Poll che ammonisce 3 volte un giocatore. Pantsil con la bandiera israeliana. Owen con il suo dolore: omaggio a quelli che già ci mancano
GABRIELE ROMAGNOLI
Lo «splashtime» è finito. Nelle piscine serie designa il periodo di tempo in cui è concesso ai bambini di fare casino tuffandosi e sguazzando in acqua. Dopo, nelle otto vasche restano solo i nuotatori veri. Quelli che ai Mondiali si sono soltanto tuffati sono già passati per lo spogliatoio e tornati a casa. Alcuni però, ci hanno lasciato troppo presto, meritando, almeno, una cerimonia d´addio prima di scomparire nell´abisso della memoria. Questa è la Nazionale dei rimpianti, i top 11 che avremmo voluto vedere ancora.
Ricardo. Era il portiere dell´Angola. Assomigliava al personaggio creato da Malamud nel romanzo «Il migliore» e interpretato da Robert Redford al cinema. Un giocatore fuori tempo massimo, con la carriera interrotta, tornato con un passato oscuro e una promessa senza pretese: «Mister, mi allenerò tutti i giorni». Trentasei anni, emigrato per sfuggire a una guerra. Ingaggiato e dimenticato come una valigia senza padrone sul rullo di un aeroporto portoghese. Convocato perché in tutta l´Angola non si trovava un portiere, si è presentato, si è allenato, ha giocato, è stato eletto uomo partita nello 0 a 0 con il Messico in cui ha parato tutto. Come «il migliore» scompare di nuovo nell´ombra della sua vita.
Pantsil. Era il giocatore del Ghana che, dopo la vittoria con la Repubblica Ceca, ha corso per il campo sventolando la bandiera d´Israele. Sventolando quel simbolo Pantsil ha assolto tre importanti funzioni. Prima: ha contestato l´insopportabile coro nazionalista e identitario che impone di cantare l´inno, dedicare al presidente e difendere l´orgoglio patrio sfregiato dai commentatori stranieri. Secondo: suscitando la protesta delle diplomazie arabe ne ha confermato l´ilare incapacità di essere serie. Terzo: ha semplicemente ribadito la fondatezza del proverbio lucano «chiamo padre chi mi dà da mangiare».
Mahdavikia. Era il poligamo iraniano a cui, alla vigilia, sono stati dedicati articoli di colore. Giocatore trascurabile, di lui sì avremmo voluto le intercettazioni, la sera al telefono con quattro mogli, una dopo l´altra. «Mi manchi», «Anche tu». «Quando torni?», «Presto». «Ti amo», «Ti amo». «Mi manchi», «Anche tu». «Quando torni?», «Presto». «Ti amo», «Ti amo». «Mi manchi», «Anche tu». «Quando torni?», «Presto». «Ti amo», «Ti amo». «Mi manchi», «Anche tu». «Quando torni?», «Presto». «Ti amo», «Ti amo».
Nedved. Era Nedved. E se n´è andato probabilmente per sempre, con il pallone e la zazzera d´oro. Non era simpatico a molti, anche perché in Italia ha giocato in squadre simpatiche a pochi. Ma era uno di quelli che non si arrendono, anche quando sembra finita e non hai nessuno intorno. Continuava a pestare, tirare, scuotere la testa. Facendolo, ha cambiato molti destini. L´ultimo, come per chiunque, era fuori portata.
La Volpe. Se questo era un hombre. Piantato davanti alla panchina del Messico con la faccia da hidalgo e una cravatta che sfidava ogni giudizio, ha rischiato di fregare l´Argentina che gli aveva dato i natali e una maglia da terzo portiere campione del mondo. Rinnegato, vendicativo e creativo, ha pensato di poter sfidare Peck a un mezzogiorno di fuoco. Poi è scesa la notte.
Hiddink. Era un signore. E lo resterà. Antitesi estetica di La Volpe: camicia bianca inamidata e gemelli. Alchimista capace di trarre succo da ogni rapa, in ogni continente. Ha disposto l´Australia sul campo facendo finta che fosse una squadra di calcio, ha ipnotizzato il pubblico, attirando su di sé gli occhi. L´illusione è riuscita finché il karma ha preteso che i conti fossero regolati dopo quattro anni: arbitro dà, arbitro toglie. Ha accolto il verdetto con eleganza. Tanto è già sull´aereo per la Russia. Lui, nel 2010, lo rivedremo.
Poll. Era un arbitro, Così assicurano. «Exit Poll» hanno titolato i tabloid inglesi la sua prematura cacciata per aver mostrato tre cartellini gialli allo stesso calciatore prima di espellerlo. Peccato davvero non sia rimasto. La professione arbitrale ha bisogno di essere riformata, le regole del gioco pure e lui sembrava il più indicato a farlo. Uno così sarebbe stato bello vederlo dirigere la finale.
Owen. Era, dell´Inghilterra, una delle già fragili punte. Si è rotto in una di quelle maniere che fa male vedere. Seduti in poltrona si fa una smorfia con il viso e ci si tocca istintivamente la gamba. Poi si pensa alla fatica che può costare stare fuori, andare dal fisioterapista invece che a ballare con le «mogliose», aspettare, leggere quelli che scrivono: «È stato un colpo di fortuna, ora giocheremo con il 4-5-1», quelli che «non ce la farà a riprendersi», riprovarci invece. Owen diventa il capitano di una pattuglia «missing in action», talenti spezzati alla vigilia della battaglia e fin qui poco recuperati. Per tutti loro sul biglietto d´auguri c´è la faccia di Ronaldo.
Le olandesine. Erano le più colorate, belle, allegre. A Francoforte protestavano perché non potevano andare a visitare gli eros center, a Berlino bevevano più degli uomini, a Norimberga sono sparite, così, lasciandoci con la sospetta cortesia delle ucraine, la follia delle inglesi e le francesi dipinte di blu. Il bello di questi Mondiali rispetto all´edizione asiatica è che il pubblico è vero: per il Portogallo tifano portoghesi, per l´Argentina argentini. Ma se Van Basten avesse fatto giocare l´ottavo a Van Nistelrooy, forse tutto sarebbe ancora più bello.
Torres. Era quell´attaccante spagnolo che sembrava appena uscito dalla casa del Grande Fratello: Fernando, quello con la cresta gialla che faceva gli scherzi a Raul, il vecchio del gruppo. Era, anche, un giocatore devastante, secondo, in proiezione, solo a Messi. Come i giovani di questo tempo, dopo essersi lamentati delle gerarchie gerontofile ottiene uno spazio e se lo prende a metà. Affonda nel confronto con la solida vetustà di Zidane e lascia sul campo la traccia dell´universale deragliamento della cosiddetta «meglio gioventù», guerrigliera, zapatera o salottiera che fosse.
L´Africa. Era il continente emergente. Manco stavolta affiorerà nelle semifinali. Ha spedito in Germania le rappresentanze di federazioni sgangherate, pittoresca quella del Togo, con l´allenatore fantasma e i giocatori in sciopero. Ha evitato il collasso con il colpo di coda del Ghana. Si è immalinconita per l´assenza di Nigeria, Camerun e perfino dell´Egitto, che è campione continentale perché ha giocato in casa. Giocherà in casa la prossima volta e, se ha imparato qualcosa da queste spedizioni, riuscirà, come fecero gli asiatici, a sfatare il tabù e continuare a giocare quando l´ora del dilettante sarà finita.
Pentma vuol dire pietra, ma questo blog è solo un sassolino, come ce ne sono tanti. Forse solo un po' più striato.
venerdì, giugno 30, 2006
lunedì, giugno 26, 2006
Una promessa è una promessa
...poi magari ha ragione lui, ma se ha torto....
"Se vince il Sì al nord andiamo all'Onu, e se vince il No andremo in Svizzera, almeno lì c'è il federalismo". Lo ha detto Umberto Bossi, conversando con i cronisti all'entrata nel seggio elettorale di via Fabriano a Milano dove il leader della Lega Nord ha votato poco prima delle 14. Bossi ha giudicato "incoraggiante la percentuale di votanti nel nord Italia e ha aggiunto che "se non sono scemi al nord votano Sì"
"Se vince il Sì al nord andiamo all'Onu, e se vince il No andremo in Svizzera, almeno lì c'è il federalismo". Lo ha detto Umberto Bossi, conversando con i cronisti all'entrata nel seggio elettorale di via Fabriano a Milano dove il leader della Lega Nord ha votato poco prima delle 14. Bossi ha giudicato "incoraggiante la percentuale di votanti nel nord Italia e ha aggiunto che "se non sono scemi al nord votano Sì"
mercoledì, giugno 21, 2006
Correva l'anno 1984 o era il 2006?
Il Garante ha diffidato Mediaset per i quattro spot riguardanti il referendum costituzionale del 25 e 26 giugno. L'Authority si è mossa dopo settimane di polemiche sulla parzialità dei contenuti degli spot pubblicitari prodotti e messi in onda dalla rete televisiva.
La Commissione Servizi e Prodotti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha diffidato Mediaset "a non continuare la trasmissione di spot informativi che per la parcellizzazione e l'incompletezza delle informazioni fornite enfatizzino aspetti particolari della complessiva consultazione referendaria".
L'Authority aveva rivolto nei giorni scorsi alle emittenti televisive nazionali "un invito alla corretta applicazione delle disposizioni in materia di comunicazione politica contenute nel regolamento emanato dall'Autorità per il referendum".
domenica, giugno 18, 2006
Altri giullari
Che nessuno pensi che il termine giullare abbia qualcosa a che fare col valente de Rossi il valido professionista che ha spaccato la faccia allo statunitense Mc Bride facendosi espellere in un incontro fondamentale per il cammino mondiale degli azzurri. Non siamo riusciti a piegare una squadretta che aveva preso tre pappine dai cechi. Diciamo la verità sul valore di questa nazionale? Ma no che poi vinciamo una partita contro il Lusemburgo in 9 e tutti a dire che è una grande squadra...
Per la cronaca ecco com'era ridotto Mc Bride dopo lo scontro con il validissimo professionista de Rossi.
sabato, giugno 17, 2006
In onore dell'Augusta Casata
di Dario Fo
Dai, dai cúnta sú,
ah beh, sì beh, dai cúnta sú, ah beh, sì beh...
Ho vist’ un rè.
Se l’ha vist cus’è?
Ho visto un rè!
Ah beh, sì beh, ah beh, sì beh...
Un re che piangeva seduto sulla sella,
piangeva tante lacrime...
ma tante che
bagnava anche il cavallo
Povero re!
...e povero anche il cavallo!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
È l’imperatore che gli ha portato via un bel castello,
Porca malò!
di trentadue che lui ce n’ha.
Povero re!
...e povero anche il cavallo!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
Ho vist’ un vè...
Se l’ha vist cus’è?...
Ho visto un vescovo!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
Anche lui, lui piangeva, faceva un gran baccano,
mordeva anche una mano...
la mano di chi?
la mano del sacrestano.
Povero vè...scovo!
...e povero anche il sacrista!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
È il cardinale che gli ha portato via un’abbazia
oh pover Crist!
di trentadue che lui ce n’ha!
Povero vè...scovo!
...e povero anche il sacrista!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
Ho vist’ un ric.
Se l’ha vist cus’è?
Ho visto un ricco! Un sciur...
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
Il tapino lacrimava su un calice di vino
ed ogni go... ed ogni goccia andava
derent’al vin
...’sì che tutto l’annacquava.
Pover tapin!
...e povero anche il vin!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
Il vescovo, il re, l’imperatore l’han’ mezzo rovinato,
gli han’ portato via tre case e un caseggiato
di trentadue che lui ce n’ha.
Pover tapin!
...e povero anche il vin!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
Vist’ un vilan.
Se l’ha vist cus’è?
Un contadino!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
Il vescovo, il re, il ricco, l’imperatore, perfino il cardinale
l’han’ mezzo rovinato, gli han’ portato via:
la casa, il cascinale, la mucca, il violino, la scatola di cachi,
la radio a transistor, i dischi di Little Tony, la moglie.
e pö cus’è?
...un figlio militare!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
...gli hanno ammazzato anche il maiale!
Pover purscel!
...nel senso del maiale!
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh...
Ma lui no, lui non piangeva, anzi, ridacchiava.
Ma sa l’è? Matt?
No! Il fatto è, che noi vilan...
noi vilan...
ehh sempre allegri bisogna stare,
ché il nostro piangere fa male al re,
fa male al ricco e al cardinale,
diventan tristi se noi piangiam.
Ah beh!
Ho visto un re.....
Trascritto da Repubblica:
Dalla Svizzera intermediario d´affari per elicotteri armati in Africa e Asia
Uscito praticamente indenne dall´"incidente" di Cavallo
L´incontro segreto di Maria José con Pertini per il ritorno
leonardo coen
ORA CHE lo hanno sbattuto in gattabuia, tanto per usare un gergo assai poco principesco, sarebbe facile e scontato ricordare che tra Vittorio Emanuele e la giustizia c´è sempre stato un continuo batti e ribatti, un giocare a nascondino, un contenzioso eterno da vita sul filo del rasoio. Già negli anni ´70 ebbe noie grosse a causa d´un traffico d´armi scoperto dal giudice Carlo Mastelloni di Venezia ma fu il magistrato che finì per avere la peggio: venne trasferito a Roma, aveva osato ficcare il naso su affari che coinvolgevano lobbies troppo potenti e protette.
Tutto si concluse nella solita bolla di sapone. Di certo, in quel giro c´era chi spendeva il nome di Vittorio Emanuele, e qualcuno gli avrà pur detto che poteva farlo: del resto, l´erede al trono dei Savoia si era fatto una reputazione vendendo allo Scià Reza Pahlevi, di cui era buon amico, elicotteri prodotti dal conte Corrado Agusta che poi riapparivano armati di tutto punto in Sudafrica, a Singapore, in Malesia, a Taiwan, triangolazioni che l´Onu metteva spesso sotto accusa. Lui si difendeva: sono solo un intermediario d´affari, vendo persino aerei da carico russo. Nel suo piccolo ufficio di import-export, a Ginevra, un giorno mi mostrò con orgoglio il modellino di uno Yak sovietico, «questo velivolo è robustissimo, costa poco, trasporta molto».
Andò peggio una sera d´estate del 1987 in quel di Cavallo, isolotto per vacanze miliardarie e per faccendieri ozianti come Silvano Larini, amico di Silvio Berlusconi e cassiere dei conti segreti di Bettino Craxi. Vi erano affinità, diciamo così, da affiliazione: alla P2 di Licio Gelli, visto che il principe vi figurava col numero 1621. Savoia e massoneria, un´antica storia di affari e intrallazzi, avevano scritto maliziosamente i giornali.
Quanto a Larini, Vittorio Emanuele lo frequentava, e anche questa coincidenza - più tardi rivalutata da Mani Pulite - avrebbe dovuto allarmare chi non crede al caso e pensa sempre al peggio (Andreotti docet). Ma stavolta la cronaca si interessò di un´altra burrascosa amicizia, quella con Nicky Pende, playboy e figlio di uno dei medici più noti e ricchi di Roma: Vittorio Emanuele era geloso della bellissima moglie Marina Doria, quella notte si sbronzò e litigò furiosamente con Nicky a tal punto che scese sottoponte della sua barca e ne riemerse armato di un fucile. Sparò e colpì un giovanotto tedesco, Dirk Hamer. Era il 18 agosto del 1987. Il ragazzo non aveva vent´anni. Morirà, dopo atroci sofferenze (gli amputarono persino una gamba pur di salvarlo), il 7 dicembre. Fu una vicenda oscura. Ma qualche anno dopo, nel dicembre del 1991, al processo di Parigi fu assolto dalla Chambre d´accusation: niente omicidio volontario, solo una lieve condanna a 6 mesi con la condizionale per porto abusivo di arma da fuoco.
Erano pure gli anni in cui l´opinione pubblica italiana cominciò a parteggiare per il rientro dei Savoia in Italia: «Ormai sono politicamente inoffensivi». Vittorio Emanuele su questo concordava pienamente: ha sempre disprezzato politica e politici, al massimo gli potevano essere utili per i suoi affari da esule regale. Merito anche del discreto lavorìo diplomatico tessuto dalla madre, la regina Maria José, che culminò nell´incontro segreto a Ginevra con il presidente Pertini (fu proprio Repubblica a svelarne i dettagli). Maria José era un´interlocutrice credibile, non aveva mai celato la sua disapprovazione nei confronti delle scelte di casa Savoia. Non seguì Umberto a Cascais, in Portogallo, rimase coi figli in Svizzera: la chiamarono "regina rossa" per le sue vaghe simpatie socialiste, la contestatrice di casa Savoia. Le sinistre decisero che era venuto il momento di ripensare alla XIII disposizione transitoria della Costituzione che vietava agli eredi maschi dei Savoia di rimettere piede in Italia, e poi Vittorio Emanuele aveva dichiarato pubblicamente di rinunciare al trono, di accettare la Repubblica italiana e la sua costituzione. La suoneria del suo telefonino era l´inno di Mameli. «Vorrei poter morire da italiano in Italia», mi disse una volta, ma poi continuò a preferire la sua Villa Italia, in riva al Lemano. Tutto era pronto per il gran rientro. Ma forse non tutti lo volevano. C´era chi non si fidava della sua conversione repubblicana.
L´occasione per verificarlo fu un lugubre anniversario, quello delle leggi razziali del 1938, sottoscritte dal nonno Vittorio Emanuele III. Il Tg2 volle intervistarlo. Gli chiesero: «Principe, cosa pensa di quella firma che suo nonno appose sotto il decreto delle leggi razziali volute dal Duce? Non crede che sia giusto scusarsi?». Vittorio Emanuele arrossì come sempre gli capita quando si trova in difficoltà. In fondo è un timido. Farfugliò: «No, perché io non ero neanche nato». Invece, a dire il vero, era nato l´anno prima, il 12 febbraio del 1937. Ma il punto era un altro: Vittorio Emanuele reclamava da anni il ritorno in Italia, si era persino rivolto alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Non riusciva però a sconfessare quel gesto, e quindi la Shoah. In verità, al principe mancava il senso della Storia, un vuoto culturale che lo metterà sempre con le spalle al muro. Provò a rimediare: «Quelle leggi non erano poi così terribili». Giustamente scoppiò il putiferio. L´avvocato Giuseppe Morbilli cercò di metterci una pezza, ma ormai Vittorio Emanuele aveva perso il controllo della situazione e se la prese con il giornalista, accusandolo di volerlo far «cadere in trappola». Ecco: è tutta la vita che Vittorio Emanuele si è sentito intrappolato dal suo nome e da un destino che non ha mai sopportato. Tornò in Italia quattro anni fa e subito dopo l´Italia se ne dimenticò.
Dalla Svizzera intermediario d´affari per elicotteri armati in Africa e Asia
Uscito praticamente indenne dall´"incidente" di Cavallo
L´incontro segreto di Maria José con Pertini per il ritorno
leonardo coen
ORA CHE lo hanno sbattuto in gattabuia, tanto per usare un gergo assai poco principesco, sarebbe facile e scontato ricordare che tra Vittorio Emanuele e la giustizia c´è sempre stato un continuo batti e ribatti, un giocare a nascondino, un contenzioso eterno da vita sul filo del rasoio. Già negli anni ´70 ebbe noie grosse a causa d´un traffico d´armi scoperto dal giudice Carlo Mastelloni di Venezia ma fu il magistrato che finì per avere la peggio: venne trasferito a Roma, aveva osato ficcare il naso su affari che coinvolgevano lobbies troppo potenti e protette.
Tutto si concluse nella solita bolla di sapone. Di certo, in quel giro c´era chi spendeva il nome di Vittorio Emanuele, e qualcuno gli avrà pur detto che poteva farlo: del resto, l´erede al trono dei Savoia si era fatto una reputazione vendendo allo Scià Reza Pahlevi, di cui era buon amico, elicotteri prodotti dal conte Corrado Agusta che poi riapparivano armati di tutto punto in Sudafrica, a Singapore, in Malesia, a Taiwan, triangolazioni che l´Onu metteva spesso sotto accusa. Lui si difendeva: sono solo un intermediario d´affari, vendo persino aerei da carico russo. Nel suo piccolo ufficio di import-export, a Ginevra, un giorno mi mostrò con orgoglio il modellino di uno Yak sovietico, «questo velivolo è robustissimo, costa poco, trasporta molto».
Andò peggio una sera d´estate del 1987 in quel di Cavallo, isolotto per vacanze miliardarie e per faccendieri ozianti come Silvano Larini, amico di Silvio Berlusconi e cassiere dei conti segreti di Bettino Craxi. Vi erano affinità, diciamo così, da affiliazione: alla P2 di Licio Gelli, visto che il principe vi figurava col numero 1621. Savoia e massoneria, un´antica storia di affari e intrallazzi, avevano scritto maliziosamente i giornali.
Quanto a Larini, Vittorio Emanuele lo frequentava, e anche questa coincidenza - più tardi rivalutata da Mani Pulite - avrebbe dovuto allarmare chi non crede al caso e pensa sempre al peggio (Andreotti docet). Ma stavolta la cronaca si interessò di un´altra burrascosa amicizia, quella con Nicky Pende, playboy e figlio di uno dei medici più noti e ricchi di Roma: Vittorio Emanuele era geloso della bellissima moglie Marina Doria, quella notte si sbronzò e litigò furiosamente con Nicky a tal punto che scese sottoponte della sua barca e ne riemerse armato di un fucile. Sparò e colpì un giovanotto tedesco, Dirk Hamer. Era il 18 agosto del 1987. Il ragazzo non aveva vent´anni. Morirà, dopo atroci sofferenze (gli amputarono persino una gamba pur di salvarlo), il 7 dicembre. Fu una vicenda oscura. Ma qualche anno dopo, nel dicembre del 1991, al processo di Parigi fu assolto dalla Chambre d´accusation: niente omicidio volontario, solo una lieve condanna a 6 mesi con la condizionale per porto abusivo di arma da fuoco.
Erano pure gli anni in cui l´opinione pubblica italiana cominciò a parteggiare per il rientro dei Savoia in Italia: «Ormai sono politicamente inoffensivi». Vittorio Emanuele su questo concordava pienamente: ha sempre disprezzato politica e politici, al massimo gli potevano essere utili per i suoi affari da esule regale. Merito anche del discreto lavorìo diplomatico tessuto dalla madre, la regina Maria José, che culminò nell´incontro segreto a Ginevra con il presidente Pertini (fu proprio Repubblica a svelarne i dettagli). Maria José era un´interlocutrice credibile, non aveva mai celato la sua disapprovazione nei confronti delle scelte di casa Savoia. Non seguì Umberto a Cascais, in Portogallo, rimase coi figli in Svizzera: la chiamarono "regina rossa" per le sue vaghe simpatie socialiste, la contestatrice di casa Savoia. Le sinistre decisero che era venuto il momento di ripensare alla XIII disposizione transitoria della Costituzione che vietava agli eredi maschi dei Savoia di rimettere piede in Italia, e poi Vittorio Emanuele aveva dichiarato pubblicamente di rinunciare al trono, di accettare la Repubblica italiana e la sua costituzione. La suoneria del suo telefonino era l´inno di Mameli. «Vorrei poter morire da italiano in Italia», mi disse una volta, ma poi continuò a preferire la sua Villa Italia, in riva al Lemano. Tutto era pronto per il gran rientro. Ma forse non tutti lo volevano. C´era chi non si fidava della sua conversione repubblicana.
L´occasione per verificarlo fu un lugubre anniversario, quello delle leggi razziali del 1938, sottoscritte dal nonno Vittorio Emanuele III. Il Tg2 volle intervistarlo. Gli chiesero: «Principe, cosa pensa di quella firma che suo nonno appose sotto il decreto delle leggi razziali volute dal Duce? Non crede che sia giusto scusarsi?». Vittorio Emanuele arrossì come sempre gli capita quando si trova in difficoltà. In fondo è un timido. Farfugliò: «No, perché io non ero neanche nato». Invece, a dire il vero, era nato l´anno prima, il 12 febbraio del 1937. Ma il punto era un altro: Vittorio Emanuele reclamava da anni il ritorno in Italia, si era persino rivolto alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Non riusciva però a sconfessare quel gesto, e quindi la Shoah. In verità, al principe mancava il senso della Storia, un vuoto culturale che lo metterà sempre con le spalle al muro. Provò a rimediare: «Quelle leggi non erano poi così terribili». Giustamente scoppiò il putiferio. L´avvocato Giuseppe Morbilli cercò di metterci una pezza, ma ormai Vittorio Emanuele aveva perso il controllo della situazione e se la prese con il giornalista, accusandolo di volerlo far «cadere in trappola». Ecco: è tutta la vita che Vittorio Emanuele si è sentito intrappolato dal suo nome e da un destino che non ha mai sopportato. Tornò in Italia quattro anni fa e subito dopo l´Italia se ne dimenticò.
venerdì, giugno 16, 2006
Pazzerelli gioviali
Ecco, io ormai mi sto convincendo che un tipino come Jean Marie Le Pen sia in fondo un moderato. Oltretutto ha una figlia che è una bomba.
- Marine le Pen -
Poveraccio. Ogni sua uscita scatena reazioni violentissime da parte di tutto il mondo. Noi invece abbiamo un simpatico caratterista, l'Umberto, il caro intellettuale della Scuola Radio Elettra, che se ne esce con affermazioni del tipo: "Se al referendum vince il no
bisogna trovare vie non democratiche". Ma in Italia nessuno dice nulla. Nessuno reagisce. È normale che invece di chiudere questo tizio in manicomio ne ne analizzi il pensiero (che questo signore si rimangia ogni 5 minuti dando la colpa ai giornalisti cattivi che lo hanno frainteso).
- l'Umberto -
È una situazione un po' così...da paese di Pulcinella
- Marine le Pen -
Poveraccio. Ogni sua uscita scatena reazioni violentissime da parte di tutto il mondo. Noi invece abbiamo un simpatico caratterista, l'Umberto, il caro intellettuale della Scuola Radio Elettra, che se ne esce con affermazioni del tipo: "Se al referendum vince il no
bisogna trovare vie non democratiche". Ma in Italia nessuno dice nulla. Nessuno reagisce. È normale che invece di chiudere questo tizio in manicomio ne ne analizzi il pensiero (che questo signore si rimangia ogni 5 minuti dando la colpa ai giornalisti cattivi che lo hanno frainteso).
- l'Umberto -
È una situazione un po' così...da paese di Pulcinella
lunedì, giugno 12, 2006
Forza Ghana?
Stasera iniziano i Mondiali per la nazionale italiana. Contro il Ghana. Chissà. Devo dire che sono davvero disamorato da questo gruppo e non credo che otterremo grandi risultati. Questa massa di mliardari annoiati non mi riscalda il cuore. Beppe Grillo ha invitato a tifare Ghana. Magari questo, no, ma tifare gli azzurri stasera.... sarà davvero un miracolo. Dovranno fare una cosa che non fanno da anni. Appassionare.
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