martedì, novembre 29, 2005

Uno di noi



Lo sapevo che Pierferdinando Casini era uno di noi. Il suo cuore batte a sinistra. Notate il pugno chiuso. La sua ombra non mente. Il suo sorriso guarda fiducioso il sol dell'avvenir....

lunedì, novembre 28, 2005

Dispetti

Nel tentativo di alternare storie che vanno raccontate a boiate come la seguente, posto un'immagine che mi e' arrivata dalla Germania. Credo si tratti di un dispetto. Immagino la faccia del proprietario dell'auto

venerdì, novembre 25, 2005

Un paese di *****


Una donna è stata violentata mercoledì scorso nella periferia della città
Il responsabile sarebbe uno straniero. Fiaccolata nella strada della violenza
Bologna, caccia al violentatore, in un video l'indifferenza della gente

La telecamera di un distributore riprende il disinteresse degli automobilisti

Appello delle forze dell'ordine: "Chi ha visto, parli"

BOLOGNA - Carabinieri e magistratura hanno lanciato un appello per cercare testimoni che possano aiutare ad individuare l'uomo che mercoledì sera, nella periferia di Bologna, ha aggredito e violentato una donna di 30 anni in un giardino condominiale. Il responsabile sarebbe uno straniero, dai tratti somatici forse di origine pakistana o bengalese, anch'egli sui 30 anni. La telecamera di un vicino distributore di benzina ha ripreso l'indifferenza degli automiblisti che hanno visto l'uomo costringere la sua vittima attraversare la strada. Sul video si distinguono le due sagome: l'uomo trascina la ragazza cingendole la vita con un braccio mentre transitano due auto e due camper, ma nessuno si ferma.


L'uomo si trovava con la vittima sull'autobus numero 27, ed è sceso insieme a lei alla fermata di via Bentini. Quando le si è avvicinato in modo aggressivo, la donna ha pensato ad uno scippatore, ma l'uomo, approfittando dell'oscurità e dell'assenza di gente, l'ha trascinata a forza nel giardino di un grande condominio, e le ha usato violenza.

La donna, che è di origine friulana e si trovava a Bologna ospite di un parente per motivi di studio, è stata soccorsa da un passante che ha chiamato il 118. Un giovane straniero, fermato perché sembrava corrispondere alle descrizioni dello stupratore, non è stato riconosciuto dalla vittima ed è stato già rilasciato.

Gli investigatori hanno prelevato campioni di materiale biologico riconducibile all'aggressore, per un eventuale test del Dna, e starebbero già lavorando alla realizzazione di un identikit dell'uomo, alto circa un metro e 70, con capelli neri tirati all'indietro e la carnagione scura. I carabinieri, insieme al Pm Enrico Cieri che coordina le indagini, hanno lanciato un appello per trovare eventuali testimoni: "Chi mercoledì sera si trovava nella zona dell'aggressione e pensa di avere visto o sentito qualcosa, è invitato a rivolgersi alle forze dell'ordine".

Il coordinamento donne Ds di Bologna ha organizzato una fiaccolata, questa sera alle 19, "di solidarietà e di condanna per l'episodio di barbara violenza". L'iniziativa è promossa insieme alle donne della Cgil e alle associazioni femminili "che da sempre si battono in città contro la violenza sulle donne". Il punto di ritrovo per la fiaccolata è in via Corticella all'angolo con via Bentini, proprio nella strada dove si è consumata la violenza.

giovedì, novembre 24, 2005

Uff, con ritardo....

Volevo dire che se ne vanno. La base della Maddalena viene abbandonata.


Via i sommergibili nucleari USA dalla base della Maddalena?
sommergibili nucleari americani andranno via dalla base della Maddalena. Il giorno dopo le rivelazioni di un istituto francese sul disastro atomico sfiorato a un passo dalla costa il 25 ottobre 2003 e le successive menzogne dei militari Usa, il ministro della Difesa Antonio Martino rivela di aver concordato, in un incontro ieri a Washington con il suo omologo Donald Rumsfeld, il trasferimento fuori dal territorio nazionale della base per sommergibili nucleari. L'operazione si inserirebbe nel quadro della ridislocazione delle forze Usa in Europa. Smentita qualsiasi ipotesi di ampliamento, così come non sarebbe prevista alcuna cessione di parte dell'arsenale militare italiano alla Us Navy. Ma sono ancora ignoti i termini dell'accordo: se insieme ai sommergibili andrà via anche la nave-appoggio e i militari, dove verranno ridislocati e soprattutto quando. Nel frattempo i porti nucleari italiani si riducono a dieci.

Alla fine il movimento pacifista sardo ha vinto. I sommergibili nucleari della Us Navy andranno via dalla Maddalena. Lo ha detto ieri il ministro della Difesa, Antonio Martino, al termine di un incontro con il suo collega americano Donald Rumsfeld.

"I sottomarini atomici - ha detto il ministro della Difesa - saranno trasferiti fuori dal territorio della base di Santo Stefano secondo tempi e modi che dovranno essere definiti più avanti". "L'operazione - spiega Martino - si inserisce nel quadro di una ridislocazione delle forze Usa in Europa e conferma che le notizie relative al potenziamento della presenza di sommergibili nucleari Usa alla Maddalena e di un ampliamento della base erano prive di fondamento e che non è prevista alcuna cessione di parte o di tutto l'Arsenale alla Us Navy".

Martino ha fatto cenno alle richieste che sono arrivate dalla giunta Soru, per dire che la decisione presa ne ha tenuto conto. Un'ammissione del peso che la pressione del movimento pacifista sardo ha avuto in tutta questa storia. Poi il ministro ha ringraziato l'alleato a stelle e strisce: "Desidero esprimere tutta la riconoscenza italiana agli Stati uniti per l'importante presidio di sicurezza che la base di Santo Stefano ha rappresentato per oltre un trentennio e per il grande contributo che la sua presenza ha fornito allo stesso sviluppo e alla crescita economico-sociale dell'area". Giustificata la soddisfazione del presidente della giunta regionale sarda, Renato Soru, che da più di un anno chiede che la base della Maddalena venga chiusa. "E' una cosa fantastica, è la più bella notizia degli ultimi tempi», ha detto ieri Soru quando è stato informato dell'annuncio di Martino. Ma il trasferimento, non si sa dove, dei sommergibili atomici non risolve tutti i problemi. I sottomarini, infatti, vanno via, ma la base resta. Con tutti i problemi che, nonostante le parole di Martino, la presenza della Us Navy crea ad un'area che è parco naturalistico nazionale e che ha una vocazione soprattutto turistica. L'obiettivo della chiusura della base rimane e la decisione di Martino non potrà significare la rinuncia a questo obiettivo o un indebolimento della pressione, su questo punto, del movimento che in Sardegna chiede lo smantellamento di tutte le servitù militari. Inoltre, bisognerà vedere quali saranno i modi, ma soprattutto i tempi, del trasferimento dei sottomarini. Un eventuale governo di centrodestra, dopo le prossime elezioni politiche, che garanzia darebbe dei modi e dei tempi della decisione annunciata da Martino?

La notizia dell'allontanamento dei sommergibili nucleari dalla Maddalena è arrivata all'inizio di una giornata nel corso della quale si sono sentite ancora molte voci allarmate per le rivelazioni sull'incidente all'Uss 768 Hartford, il sommergibile nucleare Usa incagliatosi a poche miglia dalla Maddalena il 25 ottobre 2003. "Nuove inquietanti notizie - dice Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente e deputato della Margherita - che confermano i sospetti, aumentano i timori e la sfiducia. E che impongono un ripensamento complessivo della presenza della base militare".

"Sfiducia perché - spiega Realacci, che sull'argomento presenta un'interrogazione parlamentare ai ministri della difesa, della salute e dell'ambiente - ogni nuovo tassello dimostra una gestione oscurantista dell'incidente, e una gravissima sottovalutazione dei rischi, a dispetto della salute dei cittadini e del loro diritto a sapere". "L'incidente - ricorda il parlamentare della Margherita - non sarebbe avvenuto ad oriente ma ad occidente di Caprera, e non al largo ma a poche centinaia di metri dalla Maddalena e dalla base Nato". Ai ministri Martino, Matteoli e Storace, Realacci chiede di sapere "se quanto apprendiamo corrisponda a verità e se il governo fosse a conoscenza dell'esatta localizzazione dell'incidente". "E perché - chiede ancora il deputato della Margherita - in caso positivo, non abbia fornito informazioni veritiere alla popolazione e al Paese". Se, invece, fosse stato all'oscuro di tutto, "quali iniziative intendano attuare" i tre ministri "nei confronti degli Stati Uniti, gravemente manchevoli" verso il governo italiano.

Fermata la costruzione di una rampa di lancio a Capo San Lorenzo.

Prima la base della Maddalena che triplica, adesso il poligono di Capo San Lorenzo, sulla costa sud-orientale dell'isola, che s'ingrandisce. O meglio che avrebbe dovuto ingrandirsi, prima che arrivasse lo stop della giunta regionale sarda. Convocata dal ministro per le infrastrutture e i trasporti, ieri mattina si è tenuta a Cagliari una conferenza di servizio in cui il Centro italiano di ricerche aerospaziali ha presentato un progetto per realizzare, nella base, una rampa di lancio per navicelle senza pilota da sperimentare nella stratosfera. Il tutto è stato presentato dal ministero come un piano di ricerca tra scienza e tecnologia a fini esclusivamente civili.

Si tratterebbe di sperimentare materiali e tecniche di costruzione di nuovi velivoli con ricadute solo indirettamente militari. Ma il presidente della giunta sarda, Renato Soru, che chiede che la presenza militare in Sardegna sia drasticamente ridotta, ha risposto con un secco no. Almeno per il momento il progetto è bloccato. La prudenza del governatore è giustificata dalla localizzazione della rampa di lancio dentro la base, che è un poligono utilizzato dalle forze armate italiane e dalle forze dei paesi Nato. Che possibilità di controllo avrebbe la Regione se l'attività di ricerca venisse collocata all'interno di una zona sotto stretto controllo militare? Su questo punto il progetto presentato ieri non dà alcuna garanzia. Nei mesi scorsi si è anche discusso di un progetto per la costruzione di una nuova pista per caccia bombardieri all'interno del poligono di Quirra.

Anche questo progetto per il momento è fermo, forse in attesa che si spengano i riflettori dei media, che hanno denunciato come in molti comuni all'interno della base, la più grande d'Europa, siano stati registrati, negli ultimi anni, indici di morte per tumore molto superiori alla media nazionale. Anche dopo lo stop di Soru e l'annuncio di Martino il coordinamento dei gruppi pacifisti e antimilitaristi sardi continua a chiedere la sospensione immediata di tutte le esercitazioni militari in Sardegna e la chiusura delle basi. Oltre La Maddalena e Capo San Lorenzo ci sono anche Quirra e Capo Teulada.

"Le servitù - affermano i promotori dell'iniziativa - impediscono, nei territori gravati da servitù militari, qualsiasi altra forma di economia basata sui reali bisogni dei cittadini e sul rispetto dell'ambiente". I comitati di base chiedono "perché non esistono sistemi di monitoraggio ambientale e perché non sia mai stata realizzata un'indagine epidemiologica seria".

Ma in Italia rimangono 10 porti nucleari

Quello della Maddalena non sarà il primo porto nucleare a chiudere i battenti. Da quando il manifesto, nel febbraio 2000, portò alla luce l'esistenza di ben 12 porti nucleari in Italia, rigorosamente tenuti segreti, in ognuna delle città coinvolte si avviarono mobilitazioni per la chiusura. La prima, e fino a ieri l'unica, a ottenerla, era stata quella di Genova, in virtù dell'impegno diretto del comune e del fatto che si tratta di una città d'arte. Ma questa volta non si tratta solo del ritiro di una concessione all'approdo per imbarcazioni a propulsione atomica. Alla Maddalena c'è una nave-appoggio Usa con un migliaio di marines a bordo, e lì vengono effettuate anche riparazioni.

Il Manifesto, 23 novembre 2005.

L'Inter secondo la Lega

L'articolo mi piace. Che la Padania difenda l'italianità però, mi stupisce. Dopo le divertenti sceneggiate del dio Po e di Braveheart che il giornale della Lega tiri fuori un tema del genere non può che fare piacere. Peccato che poi alle parole non seguano i fatti...


Undici giocatori, undici stranieri: l’Inter che ieri sera ha giocato la sua partita di Champions contro l’Artmedia è il fallimento del calcio. Il calcio è identità. È passione. È anche sapere declinare la formazione con l’orgoglio di sentirsi parte di un gruppo.
Internazionale lo si è non perché in campo va una Babele di lingue, di razze, di tradizioni e scuole calcistiche (se ha ancora un senso parlare di scuole calcistiche in un calcio globale). Undici stranieri in campo significa ammettere che non esistono giocatori italiani buoni e degni di vestire la maglia da titolare. Certo, ci verranno a dire che è il frutto del turn-over: cretinate, l’Inter farebbe bene a trovare un suo equilibrio in campo se vuole vincere. Ma questi sono affari di Mancini.
Luca Toni - l’uomo d’oro del pallone italico - gioca ogni domenica che il padreterno manda in terra e ogni domenica la butta dentro. Oggi Toni, ieri Gilardino, Lucarelli. Come un po’ di tempo fa Bobone Vieri, Del Piero, Montella, Dario Hubner, Pietro Paolo Virdis, Paolo Rossi, Bonimba, Riva “rombo di tuono” e altri.
Ma che cosa aspettarsi da un patron come Moratti che inquina le maglie della gloria nerazzurra con le scritte in cinese per motivi di marketing? Che razza di calcio è questo?
È così che crediamo di andare a vincere i mondiali? Beamoci pure dell’imbattibilità della nazionale di Lippi: vedremo se alzeremo una coppa che conta o se, ancora una volta, ce ne torneremo a casa a leccarci le ferite.
Abbiamo voluto aprire le frontiere perché - dicevano gli esperti - ci sarebbe stato più spettacolo: calcio champagne, saremmo diventati tutti brasileri... E infatti si vede: stadi deserti, bidoni col passaporto straniero venduti per campioni, tante promesse di vittorie in estate e poca concretezza in autunno. Godo per Toni che esulta ogni domenica alla faccia degli Imperatori che durano l’arco di una stagione. E godo per i capricci di Cassano: meglio questo simpatico terroncello combinaguai (lo dico con affetto) piuttosto che Recoba o di chi va al Carnevale di Rio e poi torna di malavoglia.
Quanti bidoni ci sono passati sotto gli occhi: ci volevano vendere la magia e invece la magia del pallone ce l’hanno rotta.
Fateci caso: se ne parla d’estate e poi il silenzio. Dovrebbe parlare il campo. Ma il campo, se parla, parla mille lingue diverse. Le squadre snocciolano formazioni globali su magliette appannaggio degli sponsor e non dei tifosi. Per ogni straniero in campo, un pezzo di vivaio che se ne va irrimediabilmente.
Dove andremo? A cancellare il calcio. Anzi, lo sport tutto, perché nel basket siamo messi peggio. E bene sta facendo il presidente del Coni Gianni Petrucci a prendere di petto la situazione. Aspettarsi che qualcuno lo faccia nel calcio è chiedere troppo? So che c’è anche un sindacato dei calciatori: cosa aspetta a muoversi? Cosa aspetta a buttare un occhio in quello che stanno facendo nei settori giovanili dove si prendono gioco del futuro dei nostri bambini, illudendo loro e, soprattutto, mamme e papà “complici stupidi” di questo meccanismo fuori da ogni logica?
L’Inter di ieri sera in campo è l’esagerazione; ma non è che Juve, Milan, Udinese e le altre siano messe meglio. Pochi pochi si salvano. Certo, potremmo dare risalto a loro, e lo faremo. Ma non mi faccio illusioni: io ormai abdico da tifoso (non da rompicoglioni, però…) ed emigro in Spagna, a Bilbao, dove nell’Atletico gioca solo chi rivendica o condivide l’orgoglio e l’identità del popolo basco: zero mercenari del pallone. Le multinazionali non entrano nel tempio biancorosso. La storia non è in vendita, costi quel che costi. L’Atletico gioca nella Liga, la nostra serie A, non gioca sulla luna o nel fantacalcio o ancora nell’album dei ricordi. Gioca e fa divertire una tifoseria rude e rabbiosa se si tocca l’orgoglio basco. Hanno un inno che richiama la storia autonomista. Hanno un cuore, un orgoglio, una bandiera (anche se in questo momento la squadra non gode di buona salute). È quello che manca nel nostro calcio, pallonaro e venduto.
Gianluigi Paragone

sabato, novembre 12, 2005

Continuare a dire grazie...




Reportage sulla situazione nell'arcipelago della Maddalena dove il Governo italiano ha imposto alla giunta di centrosinistra l'aumento spropositato della base americana (si, proprio quella dove si esercitavano gli uomini di Gladio). In barba alle richieste di chi laggiù ci abita. "Per quanto tempo dovremo continuare a dire grazie agli Americani?", si chiedono gli abitanti.

La Repubblica -

Maddalena, la base triplica Sardegna in rivolta anti-Usa - E la Ue richiama l´Italia: illegittimo tenere il segreto

Da una parte gli americani, dall´altra il governatore Soru. E in mezzo un progetto che il governo minimizza: "Solo bonifica"
Un documento riservato parla di alloggi per altri 350 militari della Us Navy, che si aggiungerebbero agli attuali 2500
In costruzione un molo da 180 metri A Pizzarotti gran parte dei lavori
"Allarme suonando le trombe" per l´evacuazione in caso di incidente


di alberto statera
Renato Soru tutto vuol fare fuorché il Masaniello, non ha neanche il phisique du role, così va per gradi e non si muove se non documentando tutto, carte alla mano. Prima il contenzioso fiscale, gli arretrati di Irpef e Iva per le quote previste dallo Statuto autonomo del ‘48 e non pagate alla Regione negli ultimi anni, per un totale di 4,5 miliardi di euro, di cui nessuno si era mai accorto e la cui rivelazione ha fatto montare una protesta autonomista che non si ricordava dai tempi del Partito Sardo d´Azione. Poi, pronta a deflagrare, la vera grande questione ultratrentennale che unisce tutti i sardi: le servitù militari, che nella base per sottomarini atomici della Maddalena, a un passo dal paradiso delle vacanze dove se la spassano i briatores di mezzo mondo, hanno l´epitome. Neanche alla vista dei briatores possono essere sfuggiti i "salsicciotti", le barriere che separano lo specchio di mare della Maddalena da quello di Santo Stefano, né la Military Police che pattuglia le isole a bordo di Fiat Bravo bianche, le stesse che alla targa AFI hanno sostituito una targa italiana, né il guizzare di enormi sagome scure nelle acque cristalline. Come se a Capri spuntasse un sottomarino nucleare tra i Faraglioni e la Canzone del mare. Ma pochi sanno cosa c´è esattamente e cosa ci sarà in futuro nelle zone off-limits e nella pancia dell´arcipelago.
Quel che si sa ufficialmente è che il governo e la precedente giunta sarda hanno autorizzato l´ampliamento della base militare americana per sottomarini a propulsione e armamento nucleare, con l´edificazione di fabbricati per 52 mila metri cubi e la costruzione di un nuovo molo da 180 metri per l´attracco di altre unità da guerra. Questi lavori sono in corso protetti dalla Security americana, in gran parte ad opera del gruppo italiano Pizzarotti. Ma debordano, secondo le informazioni in possesso della Commissione europea, ben oltre le opere e i metri cubi previsti.
Per saperne di più, all´inizio dell´estate scorsa Soru, che è un sardo di poche parole ma anche di caparbietà tutta isolana, invita a Cagliari Edward Luttwak, esperto di affari militari e consulente del Dipartimento di Stato assai vicino alla Casa Bianca. I due passeggiano per le vie e sotto i portici del centro, di fronte al porto, l´americano gradisce la cucina del "Corsaro" e apprezza la villa tutta bianca da poco ristrutturata dal governatore, il quale gli spiega con il suo linguaggio senza fronzoli quel che lui, di sicuro non antiamericano, vorrebbe: che gli americani lasciassero l´arcipelago della Maddalena «da amici», per tornarci da graditi turisti e anche per far spazio a nuove iniziative imprenditoriali cui si sono candidati di nuovo l´Aga Khan e l´americano Tom Barrack, cui il principe ismailita ha venduto la Costa Smeralda. E qui ha inizio il giallo. Luttwak spiega all´inventore di Tiscali, delle cui gesta imprenditoriali è ben informato, che i costi della guerra in Iraq sono immensi e che, nel clima di tagli al bilancio di Washington, la base Us Navy sarda, anch´essa molto costosa, potrebbe essere abbandonata. Il governatore esce confortato dal colloquio, ponti d´oro al nemico che fugge, tanto che vorrebbe assumere Luttwak come consulente per accelerare la "pratica dismissione". Passano poche settimane e al presidente, ma anche alla Commissione europea, giungono notizie di un´accelerazione e di un ulteriore ampliamento dei lavori nella base americana.

Poi il colpo di scena: sul Pc di Soru - almeno così dice la vulgata che il presidente non conferma - giunge da una fonte anonima il piano segreto americano per la base dei sommergibili atomici. Vi si parla di «rafforzamento di lungo periodo», attraverso l´acquisizione dell´ex Arsenale, quello che l´Aga Khan, Barrack e un gruppo francese vorrebbero per farne il più moderno centro nautico del Mediterraneo, dei tunnel-deposito di armi italiane a Santo Stefano e a Caprera, della costruzione di altri 50 mila metri cubi al nord di Santo Stefano e di «bachelor apartments» per almeno altri 350 militari americani, che si aggiungerebbero agli attuali 2.500. Tutto ciò per «incrementare la capacità operativa di assistenza dei sottomarini e alle navi da guerra nucleari della Us Navy». Il piano, composto di quattro documenti e corredato di mappe, si deve all´ammiraglio Harry G. Ulrich III, comandante dell´Usnaveur ed è stato discusso anche al Congresso Usa, dove si è già dato per scontato che la Marina Militare italiana ha concesso l´uso dell´Arsenale.
Se Luttwak nel migliore dei casi si era sbagliato prevedendo l´imminente dismissione della Maddalena, qual è invece il reale progetto dell´Us Navy per la base? Farne, da quel che si capisce, un punto di addestramento e di partenza per i Navy Seals, le truppe speciali per operazioni di commandos e di attacco segreto, addestrando a Punta Rossa anche i commandos del Consubim, quelli della nostra Marina. Ma forse Luttwak non si era affatto sbagliato, sapeva che la triplicazione della base sarda o si farà ora, subito, Berlusconi regnante, o non si farà mai più. Lo sapeva comunque l´ammiraglio Ulrich III, che nel documento Milcom (Costruzioni militari) ha scritto: «Da quando l´amministrazione è cambiata, il clima politico si è fatto meno favorevole alla nostra presenza», per cui è necessario condurre una politica «proactive», ovvero di propaganda attiva e incisiva. Se non è già troppo tardi, perché nel frattempo si è mossa la Commissione europea, che nei giorni scorsi ha trasmesso al governo italiano una comunicazione di «costituzione in mora» per violazione dell´articolo 10 del trattato Ue, cioè per non aver risposto alla richieste di spiegazioni avanzate da Bruxelles sull´ampliamento della base. Il bello è che la procedura d´infrazione europea si riferisce al «piccolo» progetto d´ampliamento e non a quello vero misteriosamente arrivato nelle mani del governatore sardo.
A questo punto il governo italiano dovrebbe bloccare i lavori in corso nell´arcipelago. Ma come si fa a bloccare qualcosa che non esiste? Perché tante storie per una semplice «bonifica ambientale», secondo il ministro Antonio Martino, e una «riqualificazione», secondo il ministro Carlo Giovanardi? Insomma, acqua in bocca, come sempre dal 1972, quando, presidente del Consiglio Andreotti, la base della Maddalena nacque con la firma di un protocollo di cui il Parlamento non fu informato. Storia che si è ripetuta nel 1995, nella fase di transizione tra il primo governo Berlusconi e il governo Dini.
In compenso, non è più segreto il piano di emergenza dell´Arcipelago della Maddalena in caso di incidente nucleare, 200 pagine consegnate ai sindaci dal prefetto di Sassari. Si divide in due parti: «Ipotesi di incidente durante la stagione estiva e durante la stagione invernale». Primi ad andarsene i turisti che non abbiano grotte antiatomiche come quelle che si dice siano state scavate a Villa La Certosa. Gli altri, i residenti, vengono rimandati a pagina 89: saranno avvertiti con «trombe esponenziali» del pericolo, poi si metteranno in fila, in attesa di «contingenti di personale previamente dimensionati in relazione alla stagione». In bocca al lupo.

venerdì, novembre 11, 2005

Inventiva romana

Ahò, nun ce se crede.....Dopo i baracchini che da camion a camion servono per comunicare 'ndò stanno i puffi (la Stradale), dopo le trasmissioni radiofoniche di pubblico interesse che danno le coordinate degli autovelox, ecco l'ultima invenzione, stavolta romana, che viene in aiuto degli automobilisti un po' indisciplinati: la mappa delle telecamere nella zona ZTL (zona traffico limitato). In vendita nelle migliori tabaccherie...
Enjoy

martedì, novembre 08, 2005

Brucia, la Francia brucia


Qualche settimana fa postai un articolo di Repubblica su quello che stava accadendo a New Orleans, negli Stati Uniti. Da ormai due settimane, ininterrottamente la Francia brucia. A questo paese ci tengo per motivi personali. Ci ho lavorato a lungo e non posso vederlo ridotto così. Tuttavia c'è anche da dire che questa rivolta che ha appiccato il fuoco alle periferie ha il "merito" di aver fatto saltare il tappo di una finta coesistenza. Per anni si sono messi negri, arabi e africani in ghetti. Per anni si è continuato a considerarli solo negri, arabi e africani (e NON cittadini francesi di origine africana o araba e di fede musulmana). Le periferie sono state abbandonate a sé stesse. Integrazione nessuna. Ecco un intervento ricavato dal web (sito de ilbarbieredellasera) che raccoglie in poche parole la disperazione e lo sgomento. E intanto c'è già scappato un morto. È il terzo dopo i due ragazzini (idioti, ma pur sempre ragazzini) che per nascondersi alla polizia sono morti fulminati in una cabina elettrica di una merdosa banlieue della città più bella del mondo.

Dal Barbiere - Sailor -
Mitterand aveva ragione. Ma anche lui non ha fatto molto. Poi è arrivato Chirac, e le cose sono peggiorate ancora. Adesso, mentre le auto bruciano, Villepin annuncia il coprifuoco. Non servirà a nulla, naturalmente, se non (forse) a far tornare un po' di calma forzata, in attesa della prossima esplosione di violenza. Giustificata, spiegabile. Inutile.

Parigi è una piccola isola di prosperità opulenta, con circa due milioni di abitanti, circondati da altri otto milioni di persone che vivono nelle banlieu. Alcuni dei comuni di questa sterminata periferia sono grazioni, altri persino ricchi. Ma molti sono deliri alla Blade Runner. Dove i poliziotti, gentilissimi con noi cittadini bianchi che viviamo in centro, trattano come merda chiunque sia (o sembri) arabo, nero, povero. Dove le scuole sone un disastro. Dove non ci sono prospettive. Abitare in uno di questi banlieu vuol dire vedersi cestinare il cv solo per l'indirizzo. Vuol dire essere finiti a 16 anni. Si può fare qualcosa? Si, sul lungo periodo: discriminazione positiva per l'accesso al lavoro e alle migliori scuole; calmieramento forzato dei prezzi degli alloggi, per ridistribuire immigrati e discendenti fuori dai ghetti; massicci interventi pubblici; piani di pieno impiego roosveltiani (resta capire dove trovare i soldi, ma questo è un altro lungo discorso); e, soprattutto, un cambiamento delle regole del commercio internazionale e dello stato del mondo che permetta ai paesi poveri di crescere e svilupparsi.
Nel frattempo, il coprofuoco. Come ai tempi dei disturbi e dei tentativi di golpe contro de Gaulle all'epoca della guerra d'Algeria.

"Questo pomeriggio ero alla Sorbona per un seminario sul commercio delle banane: non ridete, le regole imposte dall'Unione Europea contribuiscono ad affamare centinaia di migliaia di contadini latino-americani, ma concedono incentivi enormi alle banane coltivate nelle ex colonie francesi nelle Antille. Quando esco, faccio due passi sul boulevard St Germaine. Arrivo fin davanti Au deux magots, la brasserie preferita di Sartre. Affollata come al solito. Molti turisti, qualche francese con in mano Le Monde (oggi è uscita la nuova edizione, rifatta graficamente). Macchinoni in doppia fila; un caffè al tavolino 3 o 4 euro. La vita continua, tutti si stringono nelle spalle. Intanto, la periferia brucia".

lunedì, novembre 07, 2005

Buone notizie


Santiago, arrestato in Cile l'ex presidente del Perù Fujimori. Su di lui pendeva un mandato di arresto internazionale

Alberto Fujimori, l'ex presidente del Perù fuggito in Giappone cinque anni fa per evitare di finire sotto processo in patria per corruzione e violazione dei diritti umani, è stato arrestato a Santiago del Cile, dove era arrivato ieri. L'arresto è stato effettuato su richiesta del governo di Lima, che si è avvalso del trattato di estradizione sottoscritto con il Cile nel 1932.

Fujimori, capo dello stato dal 1990 al 2000, ricercato in patria per corruzione e violazione dei diritti umani, si era rifugiato in Giappone, paese di cui è originario, nel novembre 2000, in seguito a uno scandalo di corruzione che aveva fatto cadere la sua amministrazione. Su di lui pendeva un mandato di arresto internazionale. "E' mio obiettivo restare temporaneamente in Cile, nell' ambito dei miei sforzi per ritornare in Perù e mantenere la mia promessa fatta a gran parte del popolo peruviano, che mi ha chiesto di candidarmi alle elezioni del 2006", aveva detto ieri in occasione del suo inaspettato arrivo all'aeroporto di Santiago.

Postilla: magari, se non lo fanno fuori e parla, potrebbe trascinare a fondo qualche altro sacco d'immondizia.

Senza parole

NEW YORK - Con documenti segreti, il magazine New Yorker ha ricostruito l´omicidio di un detenuto di Abu Ghraib. Manadel al-Jamadi morì nel novembre 2003 per asfissia durante un interrogatorio condotto dall´agente della Cia Mark Swanner. Nonostante la morte sia stata ufficialmente classificata come omicidio per il governo americano, Swanner continua a lavorare per la Cia.

- Ciccillo o' canaro, il responsabile del monitoraggio del rispetto dei diritti umani nel carcere di Abu Ghraib in una vezzosa immagine -

domenica, novembre 06, 2005

Che bambole!



Tutte le volte che credo illustri caratteristi come Pat Buchanan, esponente-faro della destra religiosa americana (io li chiamo fanatici) abbiano raggiunto il massimo della comicità ecco che qualcuno pensa bene di smentirmi. È il caso di organizzazioni come American Family Association" e Pro Life Action League, per intenderci due di quelle associazioni che invitavano a far fuori i medici abortisti. Hanno deciso di boicottare la ditta produttrice di questi bambolotti. Il motivo? L'azienda, acquisita recentemente dalla Mattel, finanzierebbe gruppi anti-abortisti.
- ecco un'altra bambola di Satana con il suo orripilante tutù -


- e ancora non sazi della precene immagine i malefici creatori dell'azienda hanno prodotto addirittura un godereccio pupazzo che ricorda la triste epoca in cui il sud dell'America rese illegale la schiavitù -


I radicali, intesi come forfora del tessuto sociale statunitense, hanno perciò deciso di lanciare delle bambole che propongano una vita di preghiera. Bene Eccovi una minuscola galleria (ovviamente con commento)

Diciamo basta alle automobili. Al caffé espresso. Ai boxer. La riscossa dell'integralismo ripartirà da questi pupazzi come la tenera Elsie:



O ancora, per essere politicamente corretti, la bambolina nera che non può mai mancare nella collezione della figlia del perfetto fanatico. Anche se uno si chiede come tubo facciano a pregare questi pupazzi così intabarrati.



Dolcissime. Ma poi ha voglia di domandarsi: e se fosse solo una questione di marketing? Se tutto lo scandalo fosse stato montato apposta? Non so. Ora vi lascio che devo andare a giocare con big Jim.

venerdì, novembre 04, 2005

E poi tutto è tornato uguale


Andavo all'università l'anno che ammazzarono Falcone e Borsellino. Pure io scesi in strada. Un po' di casino, ma poi tutto tornò uguale a prima, se non peggio. Ricordo le mazzate date al capo della polizia dagli amici degli uomini di scorta. La rabbia di quella vedova che chiedeva ai mafiosi "di inginocchiarsi". E poi tutto è tornato uguale, se non peggiore. Si parlò di "primavera di Palermo". E poi tutto è tornato uguale. Se non peggio. Magari però questi ragazzi sono migliori di noi. Magari loro davvero qualcosa la cambiano perché le cose non tornino uguali, se non peggiori.

Un presidente un po' cosi

Si lo so, anche a me piace il cazzeggio, ma quanto affermato dal presidente iraniano Ahmdainejad su Israele è talmente idiota, è talmente abominevole da meritare un post. Questo signore, che non credo conti molto in un paese dove il "corrrotto" regime degli ayatollah è riuscito perfino a far passare per rivoluzionario un personagggio insignificante come Khatami, ha un curriculum che avrebbe dovuto terminare col sole a scacchi, non con la presidenza di una nazione importante come l'Iran. Nel tentativo di superare a destra perfino bin Laden il nostro si è esibito in dichiarazioni che non fanno certo il bene dell'Iran. Questo signore però, del bene del suo paese se ne frega. Non venitemi a dire che è stato eletto in modo regolare, sappiamo come vengono controllate le elezioni in Persia. Purtroppo il regime montato da Khomeini (indovinate con l'aiuto di chi?) non avrebbe mai potuto permettere elezioni regolari. Troppi i rischi, primo fra tutti una popolazione giovane che ne ha le scatole piene di questi mafiosi pseudo religiosi che dettano il modo di vivere (ma che poi, personalmente fanno come gli pare). Il regime aveva bisogno di un pupazzo. Un pupazzo a cui far dire stupidaggini. Il paese negli ultimi anni si stava risollevando. Il giro di vite, l'ennesimo, dato dagli ayatollah ha ripiombato l'Iran nella crisi economica. La gente è arcistufa (provate a chattare con qualcuno su internet) e quindi cosa c'è di meglio di ritirar fuori un nuovo/vecchio nemico: l'occidente e il complotto sionista? (vedi foto)
- il presidente Ahmadinejad mentre si addestra con un suo simile nel ruolo di fiero difensore dell'Iran -

Chi mi legge in giro sui giornali sa come la penso. Sa chi sono i politici che non mi piacciono anche e soprattutto sul piano internazionale, ma queste stupidaggini fanno davvero cascare le braccia. Allego un paio di articoli che spiegano un paio di cose sul buon presidente iraniano enjoy, (se ci riuscite)

Iran, nuove accuse al presidente: giustiziava i detenuti
Il Giornale 2 Luglio - Di Gian Micalessin
Se Washington si lamenta, Teheran non ride. I primi a mettere in discussione l'immagine di Mahmoud Ahmadinejad, il discusso ex ufficiale dei pasdaran nuovo presidente della Repubblica Islamica, sono stati i servizi segreti del suo Paese. Prima ancora che sei ex ostaggi americani incominciassero a riconoscere il loro aguzzino i funzionari dell'intelligence iraniana avevano inviato al ministro Alì Younessi una serie di veline in cui si segnalava l'inopportunità della candidatura di Ahmadinejad. E l'informatissimo sito Baztab, controllato dal potente ex capo dei pasdaran Mohsen Rezai, da una settimana cita uno scottante dossier attribuito agli uomini del presidente uscente Khatami.
Il documento, ripreso da Baztab senza confermarlo, accusa Ahmadinejad d'aver guidato i plotoni d'esecuzione all'interno del carcere d'Evin e d'essersi guadagnato il soprannome di «terminator» per il vezzo di infliggere personalmente il colpo di grazia ai condannati a morte. Ora l'allarme dei servizi segreti iraniani e le insinuazioni messe in rete dal «rivale» conservatore Moshen Rezai sembrano trovare una sponda sul fronte internazionale.
Dopo i riconoscimenti degli ostaggi americani arrivano anche le accuse di Hossein Yazdan Panah, un rappresentante dell'opposizione curda in esilio in Irak pubblicate dal quotidiano di Praga Pravo. Secondo le dichiarazioni rese al giornale, Ahmadinejad sarebbe coinvolto nell'assassinio del leader dell'opposizione curda Abdel Rahman Ghassemlou, ucciso assieme ad altri due compagni nel luglio 1989 a Vienna. «Ahmadinejad, un comandante dei pasdaran responsabile delle operazioni contro i dissidenti all'estero, andò a Vienna - secondo Panah - per consegnare le armi provenienti dall'ambasciata iraniana al commando».
L'eliminazione di Ghassemlou, leader di una fazione sospettata di lavorare nel Kurdistan iraniano per conto del «nemico» Saddam Hussein, sarebbe stato pianificato dallo stesso Ahmadinejad ed eseguito materialmente da un secondo commando. L'oppositore, giunto a Vienna per trattative segrete con rappresentanti del governo iraniano, fu assassinato a colpi di pistola il 13 luglio '89 in un appartamento della capitale austriaca assieme al suo vice Abdullah Ghaderi-Azar e al cittadino austriaco di origine curda, Fadel Rasoul.
Il cruciale e imbarazzante ruolo svolto da Ahmadinejad emerge anche nell'allarmato rapporto «interno» indirizzato al ministro dei servizi dei sicurezza iraniani Alì Younessi. «Ahmadinejad - notava la velina - fu uno dei primi volontari ad aderire ai Comitati Islamici Rivoluzionari e a lavorare nell'ufficio del procuratore della Rivoluzione Islamica installato nel carcere di Evin mettendo in atto la prima ondata di esecuzioni dei funzionari dello scia e distinguendosi nella repressione delle forze controrivoluzionarie». Sulla base di queste rivelazioni il ministro dell'intelligence Alì Younessi, aveva consigliato al Consiglio dei Guardiani di non accettare la candidatura del neo eletto presidente. Il veto era stato scavalcato dal capo dei Guardiani, ayatollah Ahmadi Jannati, protettore e mentore di Ahmadinejad.
La vicenda degli ostaggi americani verrà intanto riproposta lunedì e martedì mattina nel documentario «Teheran 444 giorni» trasmesso su Rai Tre da «La Storia siamo noi». Tra gli intervistati del documentario anche l'ex colonnello dell'esercito Usa Charles Scott che per primo ha accusato Ahmadinejad.
«L'ho riconosciuto subito. Con noi si comportò da bastardo», ha detto Scott ricordando finte esecuzioni lunghe 20-30 minuti e violenti interrogatori. «Mi picchiarono, mi appesero per i polsi, mi sbatterono contro gli alberi tenendomi bendato. Ero legato così stretto che non riuscivo a respirare: quando non mi interrogavano, qualcuno mi assestava qualche calcio, mi rimetteva in piedi». Il ruolo di Ahmadinejad nell'interminabile detenzione viene però smentito da Abbas Abdi, Mohsen Mirdamadi e Hamid Reza Jalaeipour. I tre ex leader della Linea dell'Imam, il gruppo studentesco che organizzò l'assalto all'ambasciata americana, militano oggi nelle file dell'opposizione riformista. Il giornalista Abbas Abdi, uscito di recente dal carcere, fu il primo nel '99 a voler incontrare una delle sue vittime americane. Oggi tutti e tre negano però la presenza di Ahmadinejad all'interno dell'ambasciata.

Ahmadinejad, il vero volto del regime iraniano
di Emanuele Ottolenghi - Il Foglio
Il nuovo presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è il vero volto del regime che è stato eletto a rappresentare. La sua elezione è quindi una salutare svolta nei rapporti tra Iran e occidente: non ci sono più scuse dietro alle quali nascondersi e pretendere che con l’Iran il dialogo sia possibile. Da due anni ormai l’Iran gioca con l’Europa sulla questione delle sue ambizioni nucleari e della minaccia che esse pongono all’occidente, come il gatto gioca con il topo. L’illusione di Mohammad Khatami, un presidente “riformista” e ritenuto “moderato” lascia ora il posto alla realtà di Ahmadinejad, l’autentica espressione della rivoluzione iraniana. Ahmedinejad combina populismo e radicalismo, estremismo e nazionalismo in un colpo solo. E’ stato maldestramente caratterizzato come un laico solo perché, a differenza di chi lo precede, non emerge dal clero sciita. Ma Ahmadinejad è laico soltanto nel senso di non essere clero. Il suo zelo religioso non dovrebbe comunque lasciar dubbi.
Contrariamente ai suoi due predecessori, Khatami e Hashemi Rafsanjani, Ahmadinejad non pretende infatti di presentarsi come il volto rispettabile, modernizzatore e moderato della Repubblica islamica. Il suo pedigree non lascia spazio al dubbio. Ahmadinejad ha cominciato la sua carriera organizzando e partecipando alla presa degli ostaggi americani poco dopo la rivoluzione iraniana, nel 1979 (vedi box). Come ricorda il Wall Street Journal di martedì, il neopresidente da allora ha collezionato una lunga lista di rimarchevoli successi nel suo curriculum da estremista.
Prima come partecipante alla rivoluzione culturale che seguì inevitabilmente l’ascesa al potere del totalitarismo Khomeinista.
Poi come aguzzino, quando negli anni 80 interrogava prigionieri in un carcere noto per la tortura e poi come membro di un’unità delle guardie rivoluzionarie responsabile per operazioni all’estero: principalmente atti di terrorismo e assassinio di dissidenti. Fervente nelle sue convinzioni, lo ritroviamo impegnato a organizzare negli anni 90 quegli squadroni di vigilantes (la versione iraniana della camicia nera del ventennio) che tanto si sono prodigati a menare in piazza e a far sparire studenti durante le manifestazioni anti regime del 1999. La sua lunga militanza nella Guardia rivoluzionaria e il suo ruolo nei vigilantes gli hanno assicurato una fedele armata di convincenti propagandisti le cui persuasive argomentazioni durante le elezioni hanno di sicuro aiutato molti a scegliere “liberamente” Ahmadinejad.
I numerosi brogli riportati e la scarsa affluenza alle urne testimoniata da molti bloggers iraniani gli ha spianato la strada. L’esclusione di qualsiasi serio candidato dalle elezioni imposta dal suo protettore e confidente, il leader supremo ayatollah Ali Khamenei, ha fatto il resto. Altro che elezioni libere e via iraniana alla democrazia. Qui si tratta di una dittatura, i cui grotteschi burattinai si sentono ormai abbastanza forti da potersi permettere di mettere un estremista alla presidenza, carica largamente simbolica in materia di sicurezza e politica estera, ma comunque forte grazie alla sua visibilità.