domenica, agosto 28, 2005

Orgoglio e Mascalzoni





Ovvio che questa immagine grondi orgoglio nazionalistico. Ovvio che possa esser letta in tanti modi. Ovvie tante cose, ma a me piace leggerla come una risposta a quei mascalzoni, pseudo-imam da scuola Radio Elettra, che non hanno gli attributi per rischiare in prima persona e mandano gli altri (preferibilmente ragazzi) a morire faacendosi saltare in aria in mezzo a gente che va al lavoro. Questa foto scattata nel tube di Londra è soprattutto per loro.

giovedì, agosto 18, 2005

Preghiamo





Avrei voluto scriverla io, ma qualcuno mi ha preceduto. Letta subito dopo una rapida rassegna stampa.

Preghiera per il giorno del ringraziamento (William S. Burroughs)

Grazie per il tacchino e i piccioni viaggiatori,
destinati ad essere cacati attraverso le sane budella americane

[...]
Grazie per un Continente da saccheggiare e avvelenare

Grazie per gli Indiani che ci procurano quel tanto di stimoli e di pericoli

Grazie per le immense mandrie di bisonti da uccidere e scuoiare, lasciando le carcasse a marcire

Grazie per le laute ricompense sui lupi e i coyotes

Grazie per il SOGNO AMERICANO da involgarire e falsificare fin quando la nuda menzogna non vi risplenda attraverso

Grazie per il KKK, per gli uomini di legge che incidono una tacca per ogni negro ucciso, per le rispettabili signore casa-e-chiesa con le loro facce meschine, smunte, sgradevoli, perverse

Grazie per gli adesivi 'Ammazza un frocio in nome di Cristo'

Grazie per l'AIDS di laboratorio

Grazie per il Proibizionismo e la Lotta contro la Droga

Grazie per un paese dove a nessuno è dato di badare ai fatti propri

Grazie per una nazione di spie sí, grazie per tutti i ricordi...
va bene, facci vedere le tue braccia...
sei sempre stato un problema,
cI hai proprio rotto i coglioni

Grazie per l'ultimo e più grande tradimento

Dell'ultimo e più grande dei sogni umani.

William S. Burroughs

Autopromozione





Due libri che ho tradotto per la Fandango di Roma. Magari vi piacciono. Si tratta di una serie di articoli sull'Africa e di una biografia (non autorizzata) di Fidel Castro

Fareste adottare un bimbo a un finocchio?



Un bambino in affidamento a una coppia omosessuale? Ma siamo matti? Perfino sui giornali di sinistra, perfino sui forum di Repubblica i lettori si dicono contro. Ormai in Italia se non alzi la voce e non gridi non esisti. Ecco un'intervista di Repubblica a Javier Cercas, l'autore de "Soldati di Salamina". Marzullo la definirebbe "un'intervista sottovoce". A me è piaciuta molto. Lo scrittore prova a spiegare perché anche un gay potrebbe essere un genitore. È stata pubblicata in occasione dell'approvazione della legge sui matrimoni gay da parte del parlamento spagnolo.


MADRID - «Certo che sono d' accordo sui matrimoni gay. Ma è arcinoto che la grande maggioranza degli spagnoli è d' accordo». Javier Cercas si stupisce. Non della domanda, ma del fatto che si debba ancora discutere di questo tema. «E' un diritto che doveva essere riconosciuto, e finalmente ci siamo arrivati», dice lo scrittore che ha ottenuto un successo strepitoso con il suo romanzo Soldati di Salamina edito in Italia da Guanda. La legge è stata approvata dal Parlamento spagnolo, ma c' è ancora chi non ci sta.
Perché, questo dei matrimoni tra omosessuali, è un tema che divide tanto?

«Per varie ragioni, alcune comprensibili anche se non giustificabili, altre del tutto oscure. Ad esempio, la scoperta più assurda la facciamo se andiamo a vedere qual è la posizione del Partito popolare: si sono opposti alla legge, sono scesi in piazza insieme ai movimenti ultraconservatori, ma in realtà ciò su cui non sono d' accordo con il governo è soprattutto la terminologia: non volevano che si chiamasse matrimonio, tutto qui».

Ma la Chiesa va molto più in là.
«La posizione della Chiesa è incredibile e sorprendente. E' normale che la gerarchia ecclesiastica dia indicazioni e raccomandazioni di ordine morale ai fedeli. Ma non può pretendere di imporre la sua opinione all' intera popolazione e interferire nelle leggi di uno Stato laico».

Forse la questione che divide di più è quella delle adozioni...
«Sì, ma quando parliamo di adozioni dobbiamo sempre ricordare che ci sono bambini che non hanno nessuno al mondo: e allora sarà sempre meglio che li accolga una coppia omosessuale, cioè due persone che gli diano l' affetto di cui hanno bisogno. E' logico che un bambino dovrebbe avere per genitori un padre e una madre, ma questo non sempre è possibile, e non è assolutamente detto che l' amore che possono ricevere da due padri o da due madri sia meno valido o importante».

Si è parlato di «attacco alla famiglia».
«E' semplicemente assurdo. Il fatto che una coppia omosessuale si possa sposare non costituisce alcuna minaccia per la famiglia come veniva intesa fino a questo momento. Anzi, io rovescerei il discorso: i gay sono i più entusiasti in questo momento del fatto di poter formare una famiglia e di poter dare vita a un' unione stabile».

La Spagna era conosciuta, tempo fa, come un paese «machista» e omofobico. Che cosa è cambiato?
«E' cambiato moltissimo. Trent' anni fa è finito un regime e, a partire da quel momento, la rivoluzione dei costumi è stata tanto rapida da sorprendere tutti. In uno spazio di tempo relativamente breve, il paese ha fatto in maniera molto più rapida di altri Paesi che avevano recuperato prima di noi la democrazia».

Ma l' omofobia come si sconfigge? Così, come ha fatto Zapatero, a colpi di nuove leggi?
«E' anche questo, ma non solo. Una legge molto avanzata, perché possa essere efficace, deve essere piò o meno in linea con l' orientamento della società, altrimenti rischia di essere controproducente. Ma nel caso spagnolo, il primo ministro ha rispettato la convinzione di buona parte della popolazione: quasi tre quarti dei cittadini erano a favore del matrimonio omosessuale. E questo significa che la Spagna sta cambiando davvero. Che se esisteva un' omofobia diffusa come in altri Paesi, col tempo la mentalità ha cominciato a cambiare. In meglio naturalmente». (a. o.)

mercoledì, agosto 17, 2005

Ritratto di Andrea





Ho incontrato a Bogotà la cantante solista degli Aterciopelados (i vellutati), probabilmente il gruppo più noto di tutta la Colombia. Ecco che cosa mi ha detto.

Ritratto di Andrea Echeverri

In Colombia si può fare politica attraverso le note di un pentagramma? Dopo aver conosciuto Andrea Echeverri, una delle due anime (l’altra è Hector Buitrago) del gruppo rock Aterciopelados, uno si convince che è possibile. La cantante è un’artista molto diversa dall’ammiccante bambolina Shakira, l’altra star nazionale tutta mossette e borchie di pelle. Andrea Echeverri è alta e magra, con lunghe dita affusolate che tracciano il niente e l’aria di trovarsi lì per caso. Neppure una punta di trucco. E’ l’antidiva per eccellenza e si rivolge all’interlocutore con un “sumercé”, quel “vossignoria” che usano solo i contadini della provincia. Nel modo di essere, ma non nel fisico, ricorda un po’ Carmen Consoli. Anche lei, come la siciliana, ha preferito restare fra la sua gente anziché ascoltare le sirene dello show business. “La Colombia è il posto dove sono nata. Un luogo da cui in tanti vogliono andarsene. Ma se partiamo tutti alla fine qui restano solo i maiali, no?”.
Andrea Echeverri continua a lavorare nella sua casa di Teusaquillo, al centro di Bogotà. Edifici bassi, imprese di pompe funebri e decine di cliniche clandestine dove si praticano aborti senza fare troppe domande. Alla porta di casa c’è un’immagine della Vergine. L’edificio è a due passi dall’Avenida Caracas, una grande arteria intossicata, di giorno, dallo smog di migliaia di automobili, costellata, di notte, da centinaia di lucciole che illuminano, a modo loro, una miriade di squallidi localetti notturni. Quest’artista non ama essere intervistata, non ama parlare, preferisce cantare. È così che comunica con sua figlia, la piccola Milagros (l’ha chiamata proprio così, al plurale), nata dalla sua relazione con Manolo. Sopporta il giornalista solo perché sta uscendo il suo primo lavoro solista. Sono canzoni d’amore. Il titolo porta il suo nome.
Andrea Echeverri, trentanove anni, nasce da una famiglia borghese. La futura rockstar cresce con un’educazione conservatrice. Ottimi istituti e una vita pianificata fino a quando, agli inizi degli anni novanta, non si mette in testa di studiare arte all’Università bogotana di Los Andes. È allora che conosce un bassista, Hector Buitrago con cui decide di formare un gruppo rock. Il nome è terribile come la musica di quegli anni: Delia y los Aminoacidos.
“Ancora oggi quando riascoltiamo brani di quell’epoca ci si rizzano i capelli in testa. Eravamo tutta energia e nessuna tecnica”. Con gli anni lo stile si affina e il sodalizio inizia a dare i suoi frutti. Hector apporta la rabbia del rock, Andrea i ritmi della tradizione popolare e la sua energia. Nel 1993 nascono gli Aterciopelados, i vellutati, ed esce il primo disco, con el corazón en la mano. “Il lavoro è subito piaciuto ed abbiamo iniziato a girare per il paese. Una sensazione strana. A noi della fama non importava nulla e invece, di colpo, c’era tutta quella gente a chiedere autografi”, ricorda oggi Andrea. Dal circuito dei bar e dei locali underground ai palcoscenici internazionali è un passo. Nel 1996, dopo il successo del loro secondo lavoro, el Dorado, vanno in tour negli USA come spalla di altri gruppi. Il pubblico statunitense rimane colpito da questa donna diafana, una specie di Mortisia Addams punk che sul palco esprime una forza senza eguali. Ma non è tutto così semplice. Una della canzoni del disco, “Pilas”, ad alcuni proprio non piace. Parla degli squadroni della morte mandati di notte a ripulire le strade dai mendicanti. En las sombras de la noche en un negro coche/ todos saben a que vienen/ que intenciones tienen…/el paisa y la Karen ya nunca se vieron../ dice que por Guadalupe botan los cuerpos/ eso supe ellos hacen la limpieza… (arrivano a bordo di un’auto nera / con le prime ombre della notte / tutti sanno che cosa vengono a fare / le loro intenzioni… /el Paisa e la Karen sono scomparsi/ dicono che gettino i corpi dalla Guadalupe/ questo ho saputo/ sono loro che fanno pulizia. Arrivano le minacce, ma anche la fama. L’industria del disco non può non accorgersi che in Colombia è nata una stella. Gli Aterciopelados realizzano la Pipa de la Paz un lavoro che ottiene una nomination ai grammy come migliore album latino. Nel 1998 è la volta di Caribe Atomico dove ritmi sudamericani si fondono con sonorità elettroniche. E’ un’altra nomination, come miglior gruppo rock alternativo. La terza volta, nel 2001, è quella buona, ma quasi nessuno se ne accorge. Il mondo è troppo preso dagli attentati terroristici di New York per celebrare Gozo Poderoso, il lavoro che vale agli Aterciopelados la statuetta come migliore interpretazione vocale rock. Un successo discreto, come lo è da sempre la vita di Andrea: “Mi piace girare a piedi per la città, andare per vetrine. Non guardo la tv e non ascolto troppo la radio, il mio mondo lo tengo per me, come i miei ricordi e le mie speranze. Uso la mia immaginazione personale per salvarmi dall’immaginazione collettiva. Non è facile. Devi correre più forte se non vuoi che la notorietà ti acchiappi e ti trasformi in qualcosa che non sei.”.
Andrea Echeverri però, non ha paura di mischiarsi con la realtà e se necessario sporcarsi le mani. Non ha timore di cantare di quella reginetta di bellezza (Miss Panela) che finì sposa di un noto narcotrafficante per poi consegnarlo in brache di tela alla DEA, l’antidroga americana.
E’ un’artista che racconta la vita così com’è, senza fronzoli, spesso in maniera spiacevole, come quando parla del fascino che la mafia, che in Colombia ama ammantare i propri crimini d’ideologia politica, ha su tanti giovani. Ascoltando le sue canzoni è facile capire perché uno come Pablo Escobar, il narcotrafficante più famoso del mondo, quaggiù era diventato un idolo prima di finire ammazzato.
“Qui c’è molta povertà e tanti ne approfittano. Finché ci sarà fame ci saranno persone disposte a prendere un fucile per mangiare”. Viene voglia di ribattere. In fondo è comodo parlare di amore. Così con ci si fa nemici. Sorride. “In Colombia siamo in guerra da decenni. Se uno si lascia coinvolgere nel conflitto, prendendo le difese di questo o quel partito, non ne usciremo più. Chiaro che come persone abbiamo le nostre idee, ma anche una responsabilità nei confronti di chi ci ascolta. Dobbiamo dare una speranza, essere patriottici senza essere stupidamente nazionalisti”. E del presidente Álvaro Uribe Velez che pensa? “La sua politica è stata più aggressiva di quella dei suoi predecessori. Questo però non sembra aver ridotto la violenza”. Ergo? “Non so davvero se le sue scelte siano giuste”. Sbuffa. Andrea Echeverri e diventata suo malgrado un’icona in un paese che di figure positive ne ha davvero bisogno. Ma questa donna, che per tanti è un simbolo, ha un ideale femminile? “Certo! Ha occhi enormi, due anni e mezzo e si chiama Milagros. È mia figlia”.

http://www.aterciopelados.com/

Fottersene per sopravvivere


Comincio il blog, nella speranza di trovare il tempo di arricchirlo spesso, con una poesia che mi piace molto. Si tratta di Musée Des Beaux Arts (1938) di un certo Auden. Non lo conoscevo. È stato citato in un articolo che trattava di bombe terrorismo e altre amenità (oddìo! adesso ho fatto accendere Echelon!). Racconta dell'insostenibile leggerezza del menefreghismo, o forse del disperato istinto di sopravvivenza di ognuno di noi.


Sulla sofferenza non erano mai in torto,
i Vecchi Maestri: come capivano bene
la sua umana posizione; come essa si svolga
mentre qualcun’altro mangia o apre una finestra o cammina annoiato;
come, mentre i vecchi attendono rispettosi e appassionati
la nascita miracolosa, ci siano sempre
bambini a cui non importa niente che essa avvenga, e pattinano
su uno stagno al limite del bosco;
non dimenticavano mai
che anche il tremendo martirio deve avere il suo corso
in qualche modo in un angolo, in qualche squallido posto
dove i cani continuano a vivere da cani e il cavallo del torturatore
si gratta l’innocente deretano contro un albero.
Nell’Icaro di Breughel, per esempio: come ogni cosa si volge
del tutto tranquilla dal disastro; il contadino
può avere udito il tonfo, il grido desolato,
ma per lui non era un problema importante; il sole splendeva
come doveva fare sulle bianche gambe che scompaiono nel verde
dell’acqua; e la nave lussuosa e snella che aveva pur visto
qualcosa di sorprendente, un ragazzo che cade dal cielo,
sapeva dove andare e calma continuava a navigare.