Un titolo assolutamente falso e provocatorio nella speranza che quante più persone possibile abbiano la pazienza di seguire dai 5 minuti in poi la splendida lezione di Luca Telese (che era bravo anche quando lavorava al Giornale)
Pentma vuol dire pietra, ma questo blog è solo un sassolino, come ce ne sono tanti. Forse solo un po' più striato.
sabato, agosto 29, 2009
Quello stronzo di Luca Telese
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Il declino
Il declino di un paese ha molte facce. Quella della Ferrari è solo una. E non parlo solo di risultati, ma anche di scelte da incompetenti, di gerontocrazia e di una incapacità tutta italiana, di dare responsabilità e spazio ai più giovani. Di rischiare un po' insomma. Solo un po... seguite il servizio sino alla fine.
venerdì, agosto 28, 2009
Feltri non si smentisce MAI
...ovviamente poi, in televisione, il direttore del Giornale farà il timido e snocciolerà una serie di distinguo, ma questo se non è killeraggio mediatico ai danni di Dino Boffo (direttore dell'Avvenire per cui non impazzisco) che cos`è?
Boffo, il supercensore condannato per molestie
di Gabriele Villa
da ilGiornale.it
«Articolo 660 del Codice penale, molestia alle persone. Condanna originata da più comportamenti posti in essere dal dottor Dino Boffo dall’ottobre del 2001 al gennaio 2002, mese quest’ultimo nel quale, a seguito di intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, si è constatato il reato». Comincia così la nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore, alias il direttore del quotidiano Avvenire, disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004.
Copia di questi documenti da ieri è al sicuro in uno dei nostri cassetti e per questo motivo, visto che le prove in nostro possesso sono chiare, solide e inequivocabili, abbiamo deciso di divulgare la notizia. A onor del vero, questa storia della non proprio specchiata moralità del direttore del quotidiano cattolico, circolava, o meglio era circolata a suo tempo, per le redazioni dei giornali. Dove si chiacchiera, anche troppo, per tirar tardi la sera. C’è chi aveva orecchiato, chi aveva intuito, chi credeva di sapere.
Ma le chiacchiere non bastano a crocefiggere una persona. O meglio bastano, sono bastate, solo nel caso di due persone: Gesù Cristo per certi suoi miracoli e, più recentemente, Silvio Berlusconi per certi suoi giri di valzer con signore per la verità molto disponibili.
Ma torniamo alle tentazioni, in cui è ripetutamente caduto Dino Boffo e atteniamoci rigorosamente ai fatti, così come riportati nell’informativa: «...Il Boffo - si legge - è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela...».
Dino Boffo, 57 anni appena compiuti, è persona molto impegnata. O, come si dice quando si pesca nelle frasi fatte, vanta un curriculum di rispetto. È direttore di Avvenire da quindici anni, direttore e responsabile dei servizi giornalistici di Sat 2000, il network radio-televisivo via satellite dei cattolici italiani nel mondo, nonché membro del comitato permanente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, che detta le linee guida delle Università Cattolica del Sacro Cuore. Acuto osservatore della vita politica italiana e delle vicende che segnano il mutamento dei tempi e dei costumi, recentemente, in più d’una occasione, Boffo si è sentito in obbligo, rispondendo alle pressanti domande dei suoi smarriti lettori, di esprimere giudizi severi sul comportamento del presidente del Consiglio. E, turbato proprio da quel comportamento, è arrivato a parlare di «disagio» e di «desolazione». Persino, e dal suo punto di vista è assolutamente comprensibile, di «sofferenza». Quella sofferenza, per citare testualmente quanto ha scritto ancora pochi giorni fa, sul giornale che dirige «che la tracotante messa in mora di uno stile sobrio ci ha causato». Questa riflessione l’ha portato a esprimere, di conseguenza, più e più volte il suo desiderio più fervido, ovvero il «desiderio irrinunciabile che i nostri politici siano sempre all’altezza del loro ruolo».
Nell’informativa, si legge ancora che della vicenda, o meglio del reato che ha commesso e delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo, «sono indubbiamente a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori».
I primi due non hanno bisogno di presentazione, l’ultimo, per la cronaca, è l’arcivescovo di Firenze. Si dice che le voci corrono. Ma, alla fine, su qualche scrivania si fermano.
Boffo, il supercensore condannato per molestie
di Gabriele Villa
da ilGiornale.it
«Articolo 660 del Codice penale, molestia alle persone. Condanna originata da più comportamenti posti in essere dal dottor Dino Boffo dall’ottobre del 2001 al gennaio 2002, mese quest’ultimo nel quale, a seguito di intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, si è constatato il reato». Comincia così la nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore, alias il direttore del quotidiano Avvenire, disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004.
Copia di questi documenti da ieri è al sicuro in uno dei nostri cassetti e per questo motivo, visto che le prove in nostro possesso sono chiare, solide e inequivocabili, abbiamo deciso di divulgare la notizia. A onor del vero, questa storia della non proprio specchiata moralità del direttore del quotidiano cattolico, circolava, o meglio era circolata a suo tempo, per le redazioni dei giornali. Dove si chiacchiera, anche troppo, per tirar tardi la sera. C’è chi aveva orecchiato, chi aveva intuito, chi credeva di sapere.
Ma le chiacchiere non bastano a crocefiggere una persona. O meglio bastano, sono bastate, solo nel caso di due persone: Gesù Cristo per certi suoi miracoli e, più recentemente, Silvio Berlusconi per certi suoi giri di valzer con signore per la verità molto disponibili.
Ma torniamo alle tentazioni, in cui è ripetutamente caduto Dino Boffo e atteniamoci rigorosamente ai fatti, così come riportati nell’informativa: «...Il Boffo - si legge - è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela...».
Dino Boffo, 57 anni appena compiuti, è persona molto impegnata. O, come si dice quando si pesca nelle frasi fatte, vanta un curriculum di rispetto. È direttore di Avvenire da quindici anni, direttore e responsabile dei servizi giornalistici di Sat 2000, il network radio-televisivo via satellite dei cattolici italiani nel mondo, nonché membro del comitato permanente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, che detta le linee guida delle Università Cattolica del Sacro Cuore. Acuto osservatore della vita politica italiana e delle vicende che segnano il mutamento dei tempi e dei costumi, recentemente, in più d’una occasione, Boffo si è sentito in obbligo, rispondendo alle pressanti domande dei suoi smarriti lettori, di esprimere giudizi severi sul comportamento del presidente del Consiglio. E, turbato proprio da quel comportamento, è arrivato a parlare di «disagio» e di «desolazione». Persino, e dal suo punto di vista è assolutamente comprensibile, di «sofferenza». Quella sofferenza, per citare testualmente quanto ha scritto ancora pochi giorni fa, sul giornale che dirige «che la tracotante messa in mora di uno stile sobrio ci ha causato». Questa riflessione l’ha portato a esprimere, di conseguenza, più e più volte il suo desiderio più fervido, ovvero il «desiderio irrinunciabile che i nostri politici siano sempre all’altezza del loro ruolo».
Nell’informativa, si legge ancora che della vicenda, o meglio del reato che ha commesso e delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo, «sono indubbiamente a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori».
I primi due non hanno bisogno di presentazione, l’ultimo, per la cronaca, è l’arcivescovo di Firenze. Si dice che le voci corrono. Ma, alla fine, su qualche scrivania si fermano.
Brunetta e gli altri?
PAOLO BIONDANI PER "L'ESPRESSO" IN EDICOLA DOMANI
Gola Profonda, l'anonimo funzionario dell'Fbi che portò alla luce lo scandalo Watergate, dava ai reporter del "Washington Post" un consiglio rimasto famoso: "Seguite la pista dei soldi". Nell'Italia di Papi sono cambiati anche gli scandali. E per capire i retroscena del mancato commissariamento del Comune di Fondi, cioè dell'incredibile stop del governo Berlusconi a un intervento antimafia sollecitato dal prefetto, dai magistrati, da tutte le forze di polizia e dallo stesso ministro Maroni, bisogna rassegnarsi a seguire un'altra pista: le amiche degli amici.
Fondi è il comune della provincia di Latina che ospita il più grande mercato ortofrutticolo italiano (in sigla, Mof). Vent'anni di inchieste, processi e condanne documentano pesantissime infiltrazioni mafiose che inquinano non solo l'economia, dall'agroalimentare all'edilizia, ma anche l'amministrazione comunale. Dall'ottobre 2008 il prefetto, Bruno Frattasi, ha chiesto per due volte di commissariare il comune.
L'ultima documentatissima richiesta (507 pagine) era stata condivisa dal ministro dell'Interno, il leghista Roberto Maroni. Ma il consiglio dei ministri l'ha prima bloccata e poi rispedita al prefetto. Nonostante i 17 arresti per mafia e appalti (seconda retata in un anno) ordinati in luglio dai magistrati di Roma. Rispondendo a una domanda di "Repubblica", Silvio Berlusconi ha spiegato così lo stop: "Sono intervenuti diversi ministri che hanno fatto notare come nessun esponente della giunta e del consiglio comunale sia mai stato raggiunto da un avviso di garanzia".
Il che è vero, almeno adesso, solo che la nomina di un commissario non richiede affatto di provare la responsabilità penale dei politici in carica. Anzi, proprio il nuovo pacchetto sicurezza, citato da Maroni come motivo per una nuova richiesta (che il prefetto dovrebbe ultimare in settembre), consente di intervenire anche sui dirigenti della burocrazia comunale. E a Fondi ce ne sono ben quattro già imputati.
Senza contare i due ex assessori che si sono dimessi solo dopo l'avviso di garanzia. E il capitolo della relazione Frattasi dedicato alla Silo srl, una società (finanziata da Sviluppo Italia) con tre titolari: il sindaco Luigi Parisella, suo cugino Luigi Peppe, che ha il fratello sotto accusa come prestanome della 'ndrangheta, e il senatore Claudio Fazzone, numero uno di Forza Italia a Latina.
"Questa non è una città mafiosa, l'inchiesta è un complotto contro il Partito delle Libertà": a Fondi nessuno si è stupito quando Fazzone, dopo mesi di voci sulle sue pressioni sul governo, ha attaccato carabinieri e prefettura. A far gridare allo scandalo l'opposizione di sinistra e tutte le associazioni antimafia è invece la scoperta che l'opinione del senatore di Latina è diventata la linea del governo.
Ma chi sono i "diversi ministri " tanto garantisti da bocciare l'antimafia? Le sedute del governo sono segrete. Ma a Fondi e Latina, tra caserme e movimenti antiracket, si ripetono gli stessi nomi di "ministri con legami personali, prima che politici" con queste terre ormai in bilico tra stato e crimine organizzato. La traccia più vistosa porta a Renato Brunetta.
Da qualche mese il ministro dell'Innovazione pubblica si fa fotografare con la sua "nuova fidanzata": "Si chiama Titti, ma non vi dico il cognome". La bionda arredatrice d'interni corrisponde all'identikit di Tiziana Giovannoni, sorella di Paola, che è la moglie del sindaco di Cisterna, Antonello Merolla.
In questo centro a 20 chilometri da Latina, Merolla ha vinto al primo turno (con il 55 per cento) benchè candidato in extremis, naturalmente con la benedizione di Fazzone. E con l'aiuto del ministro, schierato nei comizi a Cisterna. Dove Brunetta ha pure alluso a Titti, dichiarandosi già "imparentato" con il sindaco- cognato: "Il mio cuore è qui". E sempre Brunetta ha scelto i fortunati enti locali che, "primi in Italia", potranno beneficiare del "protocollo e-gov 2012" per l'efficienza amministrativa: Provincia di Latina e Comune di Cisterna.
Anche Altero Matteoli ha un legame forte con il feudo elettorale di Fazzone. Il ministro delle Infratrutture è sceso in campo a favore di Ilaria Bencivenni, candidata sindaco di Aprilia, uno dei comuni più popolosi della provincia, dopo furiose lotte interne chiuse da un diktat del solito Fazzone. Anche Ilaria ha potuto esibire nei comizi il suo "caro amico ministro".
Ma gli elettori non hanno premiato la protetta di Matteoli, che si è fermata al 32 per cento, contro il 67 raccolto dal candidato delle liste civiche. Ad Aprilia, per inciso, la cittadinanza è sempre più impaurita da un'escalation di omicidi di mafia, arresti di boss e sequestri di droga, armi ed esplosivi.
Se la posizione ufficiale di Matteoli e Brunetta resta un segreto del governo, Giorgia Meloni si è sbilanciata pubblicamente, in almeno un comizio, contro il commissariamento di Fondi. Anche per il giovane ministro, come si diceva nel '68, il personale è politico. Nicola Procaccini, che è il suo portavoce (nonchè fidanzato, stando al settimanale Panorama), è figlio di Maria Burani, ex parlamentare berlusconiana, e di Massimo Procaccini, ex giudice penale di Latina diventato avvocato.
FAZZONE GRAZIE
Tra i suoi clienti oggi spiccano grossisti del Mof come Vincenzo Garruzzo, arrestato per usura già l'anno scorso, nella prima retata contro la mafia a Fondi. Procaccini padre difende pure la moglie di Fazzone, a cui è intestata la villa di famiglia sequestrata perchè abusiva: il tribunale l'ha condannata a un anno (indultato) definendo illegale un condono ad personam varato dal comune.
Ma la lista degli amici di Fondi nonostante la mafia, riserva un'altra sorpresa. In questo paese con un corridoio sul mare è di casa anche il generale Roberto Speciale: l'ex comandante della Guardia di Finanza che, dimettendosi dopo una velenosa polemica con il governo Prodi, contribuì a limitare i danni per Berlusconi alle elezioni del 2006, diventando quindi un suo parlamentare.
Speciale è amico da una vita di Soledad Esposito, proprietaria del camping Holiday Village. Sequestrato da un pm di Latina, il campeggio di Fondi fu salvato da Fazzone, che protestò in tribunale, dopo di che il capo della procura ha avocato l'inchiesta, dissequestrato e archiviato. Il marito di Soledad, Paolo Maio, è titolare, tra l'altro, di una società di catering chiamata "Holiday Soledad srl". Speciale era stato inquisito per presunti abusi nei voli di Stato, usati tra l'altro per trasportare tre cassette di spigole dal Tirreno alle Alpi.
Assolto dalla Corte dei Conti del Lazio, che non ha ravvisato alcun danno alle casse pubbliche nei viaggi aerei offerti ai suoi amici oltre che al pesce, il generale ora attende solo l'ultimo processo. In questa richiesta di giudizio, la procura militare nomina l'impresa che consegnò le famose spigole aerotrasportate: "Holiday Soledad srl", guarda caso.
Il grande Cota
Un incapace come Cota, uno dei buffoni della Lega Nord che continuano ad essere votati da elettori convinti che questi figuri possano risolvere i problemi delle regioni settentrionali.
Questa è invece una intervista che l'incapace ha dato a Repubblica Tv
http://tv.repubblica.it/copertina/e-cota-si-difende/36184?video
Questa è invece una intervista che l'incapace ha dato a Repubblica Tv
http://tv.repubblica.it/copertina/e-cota-si-difende/36184?video
mercoledì, agosto 26, 2009
La speranza di una reazione
.... la speranza che un culto non si riduca a un semplice gioco delle parti.
Fonte la Repubblica
Perdonanza, prima di un premier a cena Bertone e Berlusconi
di FRANCESCO BEI e ORAZIO LA ROCCA
ROMA - Scomparso dai radar da una settimana, Berlusconi riapparirà venerdì a l'Aquila tra i pellegrini della Perdonanza celestiniana, il rito che da 800 anni garantisce l'indulgenza da ogni peccato ai fedeli "sinceramente pentiti e confessati". E venerdì sera, grazie al pressing di palazzo Chigi, Berlusconi si troverà accanto al segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, alla cena che tradizionalmente segue la cerimonia.
Una partecipazione inattesa quella del presidente del Consiglio, confermata solo ieri ufficialmente, che ha destato stupore nel comitato organizzatore della Perdonanza: "Gli altri anni al massimo si faceva vedere un sottosegretario abruzzese". E invece stavolta si materializzerà il presidente del Consiglio in persona, accompagnato da Gianni Letta, il regista del tentativo di riavvicinamento fra Berlusconi e la Santa Sede. Una scommessa tutta in salita quella dell'ala "filovaticana" del governo, se è vero che lo stesso Cavaliere sarebbe ancora irritato, come riferiscono fonti vicine a Berlusconi, per "l'attacco gratuito" ricevuto da l'Avvenire a ferragosto, quando il quotidiano della Cei arrivò a stigmatizzare la "tracotante messa in mora di uno stile sobrio" da parte del premier.
E non è certo un caso, fanno notare nel Pdl, se il premier non abbia detto nulla in questi giorni contro la Lega, lasciando che dal Carroccio si scatenasse un'offensiva senza precedenti contro il Vaticano sulla questione immigrazione. "Se i vescovi non frenano le critiche al governo - è il ragionamento che si fa nelle stanze del governo - perché dovremmo noi aprire una polemica con la Lega per difenderli?". Lo stesso discorso potrebbe valere per tutti gli altri dossier che da settembre si apriranno in Parlamento, in primis la legge sul testamento biologico. "Non c'è fretta", si lasciano sfuggire ai piani alti del Pdl, lasciando intendere che l'iter del ddl che sta a cuore alla Chiesa sarà influenzato anche dall'atteggiamento che gli organi di stampa vaticani e "certi vescovi" terranno nei confronti del premier.
Venerdì sera, comunque, Berlusconi finalmente potrà incontrarsi col cardinale Bertone, un sogno che il premier ha accarezzato da quando è al centro delle critiche per le sue vicende personali. Ma Oltretevere frenano gli entusiasmi. All'Aquila non ci sarà nessun colloquio riservato tra Berlusconi e il Segretario di Stato, più "realisticamente" si tratterà di un semplice incontro di cortesia istituzionale che, oltretutto - puntualizzano i collaboratori di Bertone - non è stato chiesto "né dal Vaticano né, tantomeno, dalla curia dell'Aquila". Più semplicemente, è stato Palazzo Chigi a decidere che quest'anno a rappresentare il governo alla Perdonanza sarebbe stato Berlusconi in persona.
"Se il premier non cambia stile di vita l'incontro della Perdonanza non avrà nessun effetto", avvertono tuttavia in Vaticano, dove nessuno è pronto a giurare che gli uomini di papa Ratzinger siano disposti a dimenticare tanto facilmente "i pubblici scandali" che stanno ruotando intorno al nome del premier. È una situazione che sta creando non poco imbarazzo in Curia, dove non a caso finora hanno sempre respinto, per motivi di "opportunità", il pressing di Palazzo Chigi per un vertice Berlusconi-Benedetto XVI. E questo malgrado l'intenso lavorìo diplomatico di Gianni Letta presso l'entourage papale per tentare di far spalancare il Portone di Bronzo al premier.
Comunque, al di là di quello che Berlusconi venerdì sera dirà al cardinale Bertone, in Vaticano avvertono che dalla Santa Sede non ci sarà nessun "colpo di spugna" sulla vita privata del Cavaliere, che la Chiesa non sarà mai disposta ad accettare "contropartite governative" (finanziamenti alle scuole private, testamento biologico, stop ai progetti sulle unioni di fatto) e che resta sempre valido "il riferimento all'insegnamento di Santa Maria Goretti fatto dal segretario della Cei, il vescovo Crociata, quando ha richiamato i politici italiani ad uno stile di vita più sobrio e più rispettoso della morale e dell'etica".
In ogni caso, nonostante la Perdonanza, Berlusconi non potrà ottenere per sé l'indulgenza plenaria come gli altri diecimila pellegrini. "Il premier non la otterrà - puntualizza il portavoce dell'arcidiocesi dell'Aquila, don Claudio Tracanna - perché, in quanto divorziato, non può accedere al sacramento della comunione".
martedì, agosto 25, 2009
E se ne accorgono adesso?
...ah già, l'estate non si sa mai cosa mettere in pagina.
Fonte corsera
Allarme sesso a pagamento in classe. Segnalazioni di microprostituzione a scuola dopo la denuncia dell’assessore Landi
«I vostri figli fanno sesso online»: il Comune scrive alle famiglie
MILANO - Giorgia di prima C (e parlia mo di medie) ha pubblicato la sua foto su Messenger. È se minuda, una mano sposta la canottiera. Il seno è ancora acerbo, ma il sorriso è da attri ce consumata. Puro esibizioni smo, lei non chiede nulla in cambio di una sbirciatina «vir tuale ». Viviana, invece, in cambio di un iPod, offre un pacchetto di prestazioni orali nel bagno del liceo, a orari concordati. Un singolo incon tro, in un istituto a nordovest di Milano, costa cinque euro. I ragazzi si scambiano filmati pornografici con il cellulare. E, insieme a questi, i book del le compagne, cosa fa Rosa e per quanto lo fa. Una sorta di database consultabile online. Certo, i nomi sono di fantasia, ma l’allarme «sesso malato» a scuola, lanciato dall’assessore Giampaolo Landi di Chiaven na, «è vero e serio». «E questa è solo la punta dell’iceberg».
Il centro e la periferia, la Mi lano bene e quella dei palazzo ni degradati, i bambini e gli adolescenti, è un tarlo trasver sale e poco rintracciabile que sta sessuomania dai risvolti hard che colpisce i ragazzi mi lanesi. «E non è giusto far fin ta di niente, pensare 'non suc cederà a mio figlio', dimenti care la cosa come se riguardas se sempre e solo gli altri», spiega Luca Bernardo, prima rio della struttura di Pediatria e dell’area adolescenza al Fate benefratelli. «Sono i numeri a dimostrarlo». Dodici segnalazioni nell’ul timo anno, arrivate al centro diretto da Bernardo, l’unico in Italia (almeno in una strut tura pubblica) che si occupa di tutti i problemi dell’adole scenza. Una al mese, non è po co. Otto ragazzi che per que stioni di bullismo sono arriva ti a raccontare a medici e psicologi le loro vicende persona li e quelle dei compagni, a ri velare un giro di microprosti tuzione. Con loro, anche quat tro ragazzine tra i 14 e i 17 an ni. «I rapporti avvengono nel le scuole o nei locali — racconta l’esperto — anche tra gruppi. E mai durante l’inter vallo, ma ad orari stabiliti pri ma, durante la fase prelimina re ». Quella in cui ci si mette d’accordo.
La materia di scambio: iPhone, iPod, schede per la ri carica del cellulare, vestiti e scarpe griffate. «Le ragazze si comportano come l’ape regi na che attira a sé il maschio — continua Bernardo —, so no calme e disinibite. Di soli to hanno qualche anno in me no rispetto ai partner. I ma schi le scelgono consultando il book virtuale». Un fenomeno sotterraneo, difficile da far emergere. «So no nicchie, zone oscure — commenta Michela Franciset ti, preside all’istituto com prensivo Pertini — ma non è questo il punto. Il problema è quello che sta dietro, il disa gio di una società che fa fatica a indicare un percorso educa tivo, l’immagine imprecisa che le giovani hanno di sé e che i coetanei hanno di loro». Un appello a parlare, a rac contare e raccontarsi. Anche a questo punta la campagna del Comune che invierà nei pros simi giorni materiale informa tivo alle famiglie milanesi. L'Osservatorio sui diritti dei minori apprezza questo pro getto di sensibilizzazione e sollecita la polizia a intensifi care il monitoraggio della re te: «Alcune videochat di libe ro accesso e non vietate ai mi nori, consentono conversazio ni con giovanissimi che si esi biscono in atteggiamenti ses sualmente espliciti».
Annachiara Sacchi Andrea Senesi
What a pity Mr. Chomsky
Source NYtimes
U.S. Best Seller, Thanks to Rave by Latin Leftist
Raimin Talaie/Bloomberg News
Hugo Chávez, the president of Venezuela, recommended Noam Chomsky’s book “Hegemony or Survival,” a critique of American foreign policy, at the United Nations on Wednesday, and sales of the book have leapt.
By MOTOKO RICH
Published: September 23, 2006
All the authors currently clamoring for a seat on Oprah Winfrey’s couch might do well to send copies of their books to the latest publishing tastemaker: Venezuela’s president, Hugo Chávez.
Ever since Mr. Chávez held up a copy of a 301-page book by Noam Chomsky, the linguist and left-wing political commentator, during a speech at the United Nations on Wednesday, sales of the book have climbed best-seller lists at Amazon.com and BN.com, the online site for the book retailer Barnes & Noble, and booksellers around the country have noted a spike in sales.
The paperback edition of “Hegemony or Survival: America’s Quest for Global Dominance,” a detailed critique of American foreign policy that Mr. Chomsky published two years ago, hit No. 1 on Amazon’s best-seller list yesterday, and the hardcover edition, published in 2003, climbed as high as No. 6. At both Borders Group and Barnes & Noble, sales of the title jumped tenfold in the last two days.
“It doesn’t normally happen that you get someone of the stature of Mr. Chávez holding up a book at a speech at the U.N.,” said Jay Hyde, a manager at Borders Group in Ann Arbor, Mich.
In his speech, in which Mr. Chávez excoriated President George W. Bush as the “devil,” he held up a copy of “Hegemony” and urged his audience “very respectfully, to those who have not read this book, to read it.”
Calling it an “excellent book to help us understand what has been happening in the world throughout the 20th century,” Mr. Chávez added, “I think that the first people who should read this book are our brothers and sisters in the United States, because their threat is right in their own house.”
Julia Versau, 50, a real estate writer in Valparaiso, Ind., said she saw Mr. Chávez holding up the book during a newscast on CNN. Although she had read Mr. Chomsky’s work on propaganda at least a decade ago, she said, Mr. Chávez’s speech reminded her to try the book.
“I saw the title and I went darn, I haven’t read that one,” Ms. Versau said in a telephone interview. “If he’s reading that I better go check it out.” She said that she had previously found Mr. Chomsky’s work “a little dense,” but said that “our democracy could use more people telling the truth and more people taking the time to read and get themselves educated.”
Mr. Chomsky, who has retired from teaching full time at the Massachusetts Institute of Technology, did not return calls or an e-mail message yesterday seeking comment. In an interview with The New York Times on Thursday, he said he would be happy to meet Mr. Chávez.
Demand for the book seemed to be spread across the country. In Florida, Mitchell Kaplan, owner of Books & Books, an independent bookseller with locations in Miami Beach, Coral Gables and Bal Harbour, said he had already ordered 50 more copies of “Hegemony,” while he usually keeps only about 3 per store. In Denver, Andrea Phillips, a manager at the Colfax Avenue branch of the bookseller the Tattered Cover, said “Hegemony” had sold three times as many copies this week as it normally would in a month.
On the University of Wisconsin campus in Madison, Rainbow Books, a workers’ collective that specializes in leftist topics and carries many of Mr. Chomsky’s works, the last copy of “Hegemony” was sold on Thursday.
Allen Ruff, a manager at Rainbow Books, said “Hegemony” had not sold particularly well when it was first published three years ago, because many regulars were already familiar with Mr. Chomsky’s other works. But Mr. Ruff said the recent news media attention has meant that “people are now discovering him for the first time,” and the store has ordered a dozen more copies.
Mr. Chomsky’s publisher, Metropolitan Books, a unit of Henry Holt & Company, is printing an additional 25,000 copies of “Hegemony,” of which it said there are currently 250,000 in print in hardcover and paperback. A Holt spokeswoman said that print run could go higher after consultation with booksellers.
Up until now, the book, which Samantha Power, writing in The New York Times Book Review in 2004, called “a raging and often meandering assault on United States foreign policy,” has been a steady seller but never hit the best-seller lists. To date it has sold about 66,000 copies in hardcover and nearly 55,000 in paperback, according to Nielsen BookScan, which tracks bookstores and other outlets that usually account for 60 to 70 percent of a title’s sales.
Mr. Chomsky, 77, is hardly an obscure writer. Many people have heard of the outspoken professor, who is a darling of the left, even if they have not yet read his work. “I think Chávez speaking to it renewed interest and made people say, ‘I know that author and I’m going to check it out,’ ” said Bob Wietrak, vice president of merchandising at Barnes & Noble.
But Alan M. Dershowitz, the lawyer and Harvard Law School professor, said he doubted whether many of the current buyers would ever actually read the book.
“I don’t know anybody who’s ever read a Chomsky book,” said Mr. Dershowitz, who said he first met Mr. Chomsky in 1948 at a Hebrew-speaking Zionist camp in the Pocono Mountains where Mr. Dershowitz was a camper and Mr. Chomsky was a counselor.
“You buy them, you put them in your pockets, you put them out on your coffee table,” said Mr. Dershowitz, a longtime critic of Mr. Chomsky. The people who are buying “Hegemony” now, he added, “I promise you they are not going to get to the end of the book.”
He continued: “He does not write page turners, he writes page stoppers. There are a lot of bent pages in Noam Chomsky’s books, and they are usually at about Page 16.”
Regardless, most authors would be happy for a plug like Mr. Chávez’s. “All world leaders should be enlisted in book publicity,” said David Rosenthal, publisher of Simon & Schuster.
As a matter of fact, it is a growing trend. At a press conference in the East Room of the White House yesterday, Pervez Musharraf, the president of Pakistan, dodged a few questions by joking that Simon & Schuster, which is publishing his memoirs on Sept. 25, had barred him from commenting until his book is out. President Bush played along: “In other words, ‘Buy the book’ is what he’s saying,” Mr. Bush said.
lunedì, agosto 24, 2009
Ma trovarsi un lavoro?
Il rampollo della famiglia Agnelli in una sobria immagine
Il lancio del pezzo su Gq è fatto dal Corriere. Due geni a confronto Lapo e Lorenzo.
Lapo Elkann: «Voglio essere ebreo, ho iniziato il percorso di conversione»
«Io presidente della Fiat? Dovrebbero cambiare troppe cose per uno con le mie idee»
MILANO - Un incontro a New York. E un'intervista un po' particolare. Perché a fare le domande è Jovanotti, a rispondere è Lapo Elkann. E le sorprese - pubblicate per la storia di copertina di GQ - non mancano. «Voglio essere ebreo - annuncia Lapo. - Io sono ebreo per parte di padre, quindi per la tradizione giudaica devo fare un percorso di conversione - che ho appena cominciato - se voglio esserlo totalmente. Sai perché? Perché quando ho avuto delle difficoltà, alcuni rabbini mi hanno aiutato senza addossarmi sensi di colpa, ed è stato un vero aiuto. Ultimamente sto scoprendo la bellezza delle tradizioni religiose e voglio approfondire quella alla quale mi sento istintivamente più vicino».
FIDUCIA - «Non credi anche tu che questo sia un momento pieno di potenzialità?», gli chiede Jovanotti. «Assolutamente sì - è la risposta di Lapo - oggi sono crollate tante sicurezze del passato e c'è apertura verso nuove idee e bisogna dargli fiducia, cosa che in Italia non si riesce a fare. I bambini crescono pensando che il merito non conti nulla e i potenti non fanno niente per cambiare questo stato di cose. Con me lavorano ragazzi che vengono da famiglie normalissime ma che hanno talento, "Italia Independent" non è un club di figli di papà e non la sto facendo con i soldi della holding di famiglia».
FIAT - Perché non sei il presidente della Fiat? «Dovrebbero cambiare troppe cose perché ci siano le condizioni che permettano a uno con le mie idee di essere in quel posto». Che cosa faresti come prima cosa se diventassi sindaco di una cittadina? «Aiuterei la scuola e i servizi agli anziani. Il futuro e la memoria, i nostri patrimoni più preziosi. Farei politica solo se facessimo un partito nuovo io, te e Valentino Rossi».
LorenFo CheVubini che fa le interviste a New York, oh yes!
Il lancio del pezzo su Gq è fatto dal Corriere. Due geni a confronto Lapo e Lorenzo.
Lapo Elkann: «Voglio essere ebreo, ho iniziato il percorso di conversione»
«Io presidente della Fiat? Dovrebbero cambiare troppe cose per uno con le mie idee»
MILANO - Un incontro a New York. E un'intervista un po' particolare. Perché a fare le domande è Jovanotti, a rispondere è Lapo Elkann. E le sorprese - pubblicate per la storia di copertina di GQ - non mancano. «Voglio essere ebreo - annuncia Lapo. - Io sono ebreo per parte di padre, quindi per la tradizione giudaica devo fare un percorso di conversione - che ho appena cominciato - se voglio esserlo totalmente. Sai perché? Perché quando ho avuto delle difficoltà, alcuni rabbini mi hanno aiutato senza addossarmi sensi di colpa, ed è stato un vero aiuto. Ultimamente sto scoprendo la bellezza delle tradizioni religiose e voglio approfondire quella alla quale mi sento istintivamente più vicino».
FIDUCIA - «Non credi anche tu che questo sia un momento pieno di potenzialità?», gli chiede Jovanotti. «Assolutamente sì - è la risposta di Lapo - oggi sono crollate tante sicurezze del passato e c'è apertura verso nuove idee e bisogna dargli fiducia, cosa che in Italia non si riesce a fare. I bambini crescono pensando che il merito non conti nulla e i potenti non fanno niente per cambiare questo stato di cose. Con me lavorano ragazzi che vengono da famiglie normalissime ma che hanno talento, "Italia Independent" non è un club di figli di papà e non la sto facendo con i soldi della holding di famiglia».
FIAT - Perché non sei il presidente della Fiat? «Dovrebbero cambiare troppe cose perché ci siano le condizioni che permettano a uno con le mie idee di essere in quel posto». Che cosa faresti come prima cosa se diventassi sindaco di una cittadina? «Aiuterei la scuola e i servizi agli anziani. Il futuro e la memoria, i nostri patrimoni più preziosi. Farei politica solo se facessimo un partito nuovo io, te e Valentino Rossi».
LorenFo CheVubini che fa le interviste a New York, oh yes!
domenica, agosto 23, 2009
La risposta di Giovanardi
Questa è la lettera di risposta di Carlo Giovanardi a Beppe Grillo (vedi post precedente). Certo mi si fa passare per semplice sanzione amministrativa, come una multa, il ritiro di passaporto e patente...
"Caro Grillo,
rispondo volentieri alla sua lettera aperta. Devo subito ribadire per la millesima volta che, al contrario di quanto da lei affermato, in Italia non è reato penale utilizzare droghe, come risulta chiaramente dalla legge specifica in materia, e che nessuno è mai stato perseguito penalmente per il consumo personale ma esclusivamente per traffico, spaccio o condotte ad esso collegate o coltivazione.
A chi fa uso personale di droga viene esclusivamente erogata una sanzione amministrativa con ritiro della patente, del passaporto e del porto darmi. Non si capisce pertanto cosa lei voglia dire quando chiede di depenalizzare una fattispecie che nel nostro ordinamento è già stata da tempo depenalizzata.
Non si ritiene assolutamente necessario inoltre riaprire alcun dibattito sulla normativa in vigore, cosi come è emerso anche molto chiaramente dalla V Conferenza Nazionale sulle droghe di Trieste, dove tutti gli operatori riuniti hanno indicato, politici dell'opposizione compresi, che stante la gravità del fenomeno e della diffusione fosse meglio concentrarsi e coordinarsi tutti, in uno sforzo comune, sui reali problemi della lotta alla droga, in sinergia e fuori delle sterili e strumentali polemiche sulla legge, orientando soprattutto i nostri sforzi alla prevenzione delluso di qualsiasi tipo di droghe.
Per quanto riguarda le pene previste per la coltivazione non autorizzata di cannabis, si ricorda che la pena per la coltivazione di lieve entità è la reclusione da uno a sei a anni e la multa da euro 3.000 a euro 26.000 e non, come da lei riferito, con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000. Tali pene sono previste invece per quantitativi più considerevoli, commisurando appunto la pena al reato.
Ricordo inoltre che la pena può essere convertita in misure alternative se larrestato è anche tossicodipendente, prevedendo, quindi, luscita dal carcere per intraprendere idonei trattamenti. La coltivazione di cannabis non autorizzata è reato anche in Olanda come in Italia.
PER QUANTO RIGUARDA INVECE I DUE CASI CITATI NEL POST PRECEDENTE. A questo punto una delle due versioni è falsa, o quella dei familiari o quella dello Stato. Lì alzo le mani, non osso fare altro che riportarle entrambe.
continua Giovanardi...
Relativamente ai due casi da lei segnalati di persone decedute in carcere, va chiarito che dopo opportune verifiche con i magistrati di competenza, e per quello che risulta agli atti, le persone arrestate, da lei menzionate, non erano in carcere per consumo di droga o per il possesso di modiche quantità di marijuana, bensì erano state arrestate, sulla base dellart. 73 del DPR 309/90 e s.m., in quanto ambedue le persone furono colte in flagranza di reato.
Nello specifico, per quanto riguarda Aldo Bianzino, risulta agli atti che larresto avvenne nella fragranza del reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Allinterno della sua abitazione, infatti, sono stati rinvenuti circa 2 kg di marijuana, n. 15 involucri di carte per il confezionamento e circa 2 g di hashish. Inoltre, in un piccolo pezzo di terreno di proprietà del sig. Bianzino, venivano inoltre rinvenute n. 103 piante di marijuana. Purtroppo, il processo a carico dellimputato non si è potuto celebrare per lavvenuto decesso in carcere, sulle cause del quale è ancora aperta uninchiesta.
Analoga situazione è stata riscontrata per il sig. Stefano Frapporti per cui, dopo una perquisizione domiciliare, sono stati ritrovate quantità di hashish e marijuana in dosi già preparate, bilancino per la preparazione di tali dosi, arnesi e materiali per il confezionamento, denaro in contanti. Oltre a questo, erano state documentate anche attività di spaccio sul territorio. Anche in questo caso, purtroppo, si trattava quindi di un arresto in seguito ad attività documentata di spaccio.
Converrà con me che questi dolorosissimi episodi di decesso o suicidio in carcere non dovrebbero mai avvenire, ma purtroppo non ho mai avuto molta solidarietà quando ho ripetutamente segnalato la necessità di evidenziare che la custodia cautelare debba essere uneccezione rispetto alla regola di scontare la pena in carcere, quando un giudice terzo arrivi con ragionevole rapidità ad una sentenza di condanna.
La saluto con la speranza che si voglia affiancare a noi nell'indicare ai giovani e ai meno giovani la pericolosità per loro e per gli altri delluso di qualsiasi tipo di droghe e della necessità di non utilizzarle in nessun caso.
Cordialmente. Sottosegretario di Stato." Avv. Carlo Giovanardi
"Caro Grillo,
rispondo volentieri alla sua lettera aperta. Devo subito ribadire per la millesima volta che, al contrario di quanto da lei affermato, in Italia non è reato penale utilizzare droghe, come risulta chiaramente dalla legge specifica in materia, e che nessuno è mai stato perseguito penalmente per il consumo personale ma esclusivamente per traffico, spaccio o condotte ad esso collegate o coltivazione.
A chi fa uso personale di droga viene esclusivamente erogata una sanzione amministrativa con ritiro della patente, del passaporto e del porto darmi. Non si capisce pertanto cosa lei voglia dire quando chiede di depenalizzare una fattispecie che nel nostro ordinamento è già stata da tempo depenalizzata.
Non si ritiene assolutamente necessario inoltre riaprire alcun dibattito sulla normativa in vigore, cosi come è emerso anche molto chiaramente dalla V Conferenza Nazionale sulle droghe di Trieste, dove tutti gli operatori riuniti hanno indicato, politici dell'opposizione compresi, che stante la gravità del fenomeno e della diffusione fosse meglio concentrarsi e coordinarsi tutti, in uno sforzo comune, sui reali problemi della lotta alla droga, in sinergia e fuori delle sterili e strumentali polemiche sulla legge, orientando soprattutto i nostri sforzi alla prevenzione delluso di qualsiasi tipo di droghe.
Per quanto riguarda le pene previste per la coltivazione non autorizzata di cannabis, si ricorda che la pena per la coltivazione di lieve entità è la reclusione da uno a sei a anni e la multa da euro 3.000 a euro 26.000 e non, come da lei riferito, con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000. Tali pene sono previste invece per quantitativi più considerevoli, commisurando appunto la pena al reato.
Ricordo inoltre che la pena può essere convertita in misure alternative se larrestato è anche tossicodipendente, prevedendo, quindi, luscita dal carcere per intraprendere idonei trattamenti. La coltivazione di cannabis non autorizzata è reato anche in Olanda come in Italia.
PER QUANTO RIGUARDA INVECE I DUE CASI CITATI NEL POST PRECEDENTE. A questo punto una delle due versioni è falsa, o quella dei familiari o quella dello Stato. Lì alzo le mani, non osso fare altro che riportarle entrambe.
continua Giovanardi...
Relativamente ai due casi da lei segnalati di persone decedute in carcere, va chiarito che dopo opportune verifiche con i magistrati di competenza, e per quello che risulta agli atti, le persone arrestate, da lei menzionate, non erano in carcere per consumo di droga o per il possesso di modiche quantità di marijuana, bensì erano state arrestate, sulla base dellart. 73 del DPR 309/90 e s.m., in quanto ambedue le persone furono colte in flagranza di reato.
Nello specifico, per quanto riguarda Aldo Bianzino, risulta agli atti che larresto avvenne nella fragranza del reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Allinterno della sua abitazione, infatti, sono stati rinvenuti circa 2 kg di marijuana, n. 15 involucri di carte per il confezionamento e circa 2 g di hashish. Inoltre, in un piccolo pezzo di terreno di proprietà del sig. Bianzino, venivano inoltre rinvenute n. 103 piante di marijuana. Purtroppo, il processo a carico dellimputato non si è potuto celebrare per lavvenuto decesso in carcere, sulle cause del quale è ancora aperta uninchiesta.
Analoga situazione è stata riscontrata per il sig. Stefano Frapporti per cui, dopo una perquisizione domiciliare, sono stati ritrovate quantità di hashish e marijuana in dosi già preparate, bilancino per la preparazione di tali dosi, arnesi e materiali per il confezionamento, denaro in contanti. Oltre a questo, erano state documentate anche attività di spaccio sul territorio. Anche in questo caso, purtroppo, si trattava quindi di un arresto in seguito ad attività documentata di spaccio.
Converrà con me che questi dolorosissimi episodi di decesso o suicidio in carcere non dovrebbero mai avvenire, ma purtroppo non ho mai avuto molta solidarietà quando ho ripetutamente segnalato la necessità di evidenziare che la custodia cautelare debba essere uneccezione rispetto alla regola di scontare la pena in carcere, quando un giudice terzo arrivi con ragionevole rapidità ad una sentenza di condanna.
La saluto con la speranza che si voglia affiancare a noi nell'indicare ai giovani e ai meno giovani la pericolosità per loro e per gli altri delluso di qualsiasi tipo di droghe e della necessità di non utilizzarle in nessun caso.
Cordialmente. Sottosegretario di Stato." Avv. Carlo Giovanardi
Italia staterello canaglia?
Due "simpatici" mascalzoni a confronto...
L'Italia è uno Stato evidentemente governato da vigliacchi visto che un criminale (lo dice l'Onu, non io) come Isayas Afeworki può entrare e uscire dal nostro paese senza che nessuno lo arresti
Fonte corsera
Gli eritrei in fuga dall'inferno.
La dittatura di Afeworki è la più rigida di tutta l'Africa e finanzia i gruppi islamici in Somalia
Gli ottanta eritrei – di cui solo cinque arrivati salvi in Italia – sono scappati dall’inferno. Un inferno fatto di quotidiane violazioni dei diritti umani, dove la personalità dei cittadini viene annientata e distrutta nel nome di un utopistico e irraggiungibile bene supremo. Assieme alla Guinea Equatoriale, l’Eritrea è oggi governato dalla dittatura più rigida e repressiva di tutta l’Africa. Il presidente Isayas Afeworki ha militarizzato il Paese, comanda con il pugno di ferro e sembra ossessionato dalla guerra. Ha attaccato quasi tutti i Paesi vicini: l’Etiopia, Gibuti e lo Yemen. Secondo le Nazioni Unite protegge, finanzia e addestra i gruppi ribelli islamici in Somalia. L’uomo che negli anni Ottanta veniva applaudito come un combattente per la libertà, una volta al potere si è rivelato uno spietato tiranno. Il suo Paese è ridotto alla fame. I negozi sono vuoti; il carburante è razionato.
Ecco come Amnesty International dipinge l’ex colonia italiana sul mar Rosso: «Il governo ha vietato i giornali indipendenti, i partiti di opposizione, le organizzazioni religiose non registrate e di fatto qualsiasi attività della società civile. All'incirca 1.200 richiedenti asilo eritrei rimpatriati forzatamente dall'Egitto e da altri Paesi sono stati detenuti al loro arrivo in Eritrea. Analogamente, migliaia tra prigionieri di coscienza e prigionieri politici sono rimasti in detenzione dopo anni trascorsi in carcere. Le condizioni delle prigioni sono risultate pessime. Coloro che venivano percepiti come dissidenti, disertori e quanti avevano eluso la leva militare obbligatoria, o altri che avevano criticato il governo sono stati, assieme alle loro famiglie, sottoposti a punizioni e vessazioni. Il governo ha reagito in modo perentorio contro qualsiasi critica in materia di diritti umani».
I cittadini eritrei nella loro stessa patria sono sottoposti a restrizione nei movimenti. Spie e polizia sono ovunque. Come in Corea del Nord il partito controlla ogni cosa: la attività economiche e la vita quotidiana, fatta di continui sospetti anche all’interno di una stessa famiglia. I giovani eritrei fuggono perché la loro unica prospettiva è finire a Sawa, un enorme e durissimo centro d’addestramento reclute dove chi entra è sottoposto a un vigoroso lavaggio del cervello. I commissari politici insegnano a sospettare «dei nemici della rivoluzione e del popolo». La leva militare non ha durata fissa. Si può restare sotto le armi anche anni. In questi giorni i siti dei dissidenti eritrei hanno pubblicato la notizia di un tentativo di assassinare Isayas, avvenuto il 13 agosto, sventato dalle sue guardie del corpo che hanno ammazzato l’attentatore sul posto.
Il 18 settembre 2001 sono scomparsi in un gulag eritreo tredici ministri – tra cui l'ex capo dell’intelligence ed eroe della rivoluzione eritrea, Petros Solomon - che avevano firmato un manifesto con il quale chiedevano democrazia e libertà. Finiti chissà dove e forse morti. Giornalisti stranieri che hanno «osato» criticare il regime, sono stati ripagati con una condanna a morte in contumacia.
Isayas Afeworki viene spesso in Italia, anche in visita privata. Nessuno lo tratta da tiranno, piuttosto da amico. Non ricambia la cortesia e taglieggia in continuazione i nostri connazionali che vivono in Eritrea o hanno ancora interessi laggiù.
I rifugiati che abitano da noi hanno paura: per loro o per i parenti restati in patria. Ci sono stati casi di palesi aggressioni. L’ultima in ottobre scorso quando al festival eritreo a Roma, militanti regolarmente autorizzati che distribuivano volantini di Amnesty International sono stati presi a pugni calci e bottigliate.
Massimo A. Alberizzi
L'Italia è uno Stato evidentemente governato da vigliacchi visto che un criminale (lo dice l'Onu, non io) come Isayas Afeworki può entrare e uscire dal nostro paese senza che nessuno lo arresti
Fonte corsera
Gli eritrei in fuga dall'inferno.
La dittatura di Afeworki è la più rigida di tutta l'Africa e finanzia i gruppi islamici in Somalia
Gli ottanta eritrei – di cui solo cinque arrivati salvi in Italia – sono scappati dall’inferno. Un inferno fatto di quotidiane violazioni dei diritti umani, dove la personalità dei cittadini viene annientata e distrutta nel nome di un utopistico e irraggiungibile bene supremo. Assieme alla Guinea Equatoriale, l’Eritrea è oggi governato dalla dittatura più rigida e repressiva di tutta l’Africa. Il presidente Isayas Afeworki ha militarizzato il Paese, comanda con il pugno di ferro e sembra ossessionato dalla guerra. Ha attaccato quasi tutti i Paesi vicini: l’Etiopia, Gibuti e lo Yemen. Secondo le Nazioni Unite protegge, finanzia e addestra i gruppi ribelli islamici in Somalia. L’uomo che negli anni Ottanta veniva applaudito come un combattente per la libertà, una volta al potere si è rivelato uno spietato tiranno. Il suo Paese è ridotto alla fame. I negozi sono vuoti; il carburante è razionato.
Ecco come Amnesty International dipinge l’ex colonia italiana sul mar Rosso: «Il governo ha vietato i giornali indipendenti, i partiti di opposizione, le organizzazioni religiose non registrate e di fatto qualsiasi attività della società civile. All'incirca 1.200 richiedenti asilo eritrei rimpatriati forzatamente dall'Egitto e da altri Paesi sono stati detenuti al loro arrivo in Eritrea. Analogamente, migliaia tra prigionieri di coscienza e prigionieri politici sono rimasti in detenzione dopo anni trascorsi in carcere. Le condizioni delle prigioni sono risultate pessime. Coloro che venivano percepiti come dissidenti, disertori e quanti avevano eluso la leva militare obbligatoria, o altri che avevano criticato il governo sono stati, assieme alle loro famiglie, sottoposti a punizioni e vessazioni. Il governo ha reagito in modo perentorio contro qualsiasi critica in materia di diritti umani».
I cittadini eritrei nella loro stessa patria sono sottoposti a restrizione nei movimenti. Spie e polizia sono ovunque. Come in Corea del Nord il partito controlla ogni cosa: la attività economiche e la vita quotidiana, fatta di continui sospetti anche all’interno di una stessa famiglia. I giovani eritrei fuggono perché la loro unica prospettiva è finire a Sawa, un enorme e durissimo centro d’addestramento reclute dove chi entra è sottoposto a un vigoroso lavaggio del cervello. I commissari politici insegnano a sospettare «dei nemici della rivoluzione e del popolo». La leva militare non ha durata fissa. Si può restare sotto le armi anche anni. In questi giorni i siti dei dissidenti eritrei hanno pubblicato la notizia di un tentativo di assassinare Isayas, avvenuto il 13 agosto, sventato dalle sue guardie del corpo che hanno ammazzato l’attentatore sul posto.
Il 18 settembre 2001 sono scomparsi in un gulag eritreo tredici ministri – tra cui l'ex capo dell’intelligence ed eroe della rivoluzione eritrea, Petros Solomon - che avevano firmato un manifesto con il quale chiedevano democrazia e libertà. Finiti chissà dove e forse morti. Giornalisti stranieri che hanno «osato» criticare il regime, sono stati ripagati con una condanna a morte in contumacia.
Isayas Afeworki viene spesso in Italia, anche in visita privata. Nessuno lo tratta da tiranno, piuttosto da amico. Non ricambia la cortesia e taglieggia in continuazione i nostri connazionali che vivono in Eritrea o hanno ancora interessi laggiù.
I rifugiati che abitano da noi hanno paura: per loro o per i parenti restati in patria. Ci sono stati casi di palesi aggressioni. L’ultima in ottobre scorso quando al festival eritreo a Roma, militanti regolarmente autorizzati che distribuivano volantini di Amnesty International sono stati presi a pugni calci e bottigliate.
Massimo A. Alberizzi
La risposta di Repubblica a Feltri
Fonte Repubblica
L'Avvocato e il Cavaliere
di GIUSEPPE D'AVANZO
SI E' insediato ieri alla direzione del Giornale della famiglia Berlusconi, Vittorio Feltri, un tipo che - a quanto dice di se stesso - "non ha la stoffa del cortigiano". Lo dimostra subito.
Feltri scatena, fin dal primo editoriale, un violentissimo, sbalorditivo assalto a Silvio Berlusconi, suo editore e capo del governo. Per dimostrare che, nel lavoro che lo attende, non sarà né ugola obbediente né sgherro libellista, il neo-direttore sceglie un astuto espediente. Le canta a nuora perché suocera intenda. O, fuor di metafora, ad Agnelli (morto) perché Berlusconi (vivo) capisca e si prepari.
Feltri si dice stupefatto per "quanto sta avvenendo sul fronte fiscale". Trasecola per quel che si dice abbia combinato in vita Gianni Agnelli che "avrebbe esportato o costituito capitali all'estero sui quali non sarebbero state pagate le tasse". Decide di liberarsi una buona volta di quell'inutile fardello che è il garantismo, favola buona soltanto per il Capo e gli amici del Capo, e picchia duro, durissimo.
Questo "furfante" di un Agnelli, scrive Feltri, "ha sottratto soldi al fisco", e quindi "ha procurato un danno allo Stato", "ai cittadini che le tasse le pagano"; ha saccheggiato "per montagne di quattrini neri" le casse di società quotate in Borsa, "derubando gli azionisti". E allora, si chiede, è più grave "rubare al popolo o toccare il sedere a una ragazza cui va a genio di farselo toccare"? Conclude quel diavolo di un Feltri: "Ne riparleremo".
E' l'impegno che Feltri assume dinanzi ai suoi lettori e la minaccia che il neo-direttore del Giornale riserva, nel primo giorno, al suo povero editore. Feltri non è ingenuo e non è uno sprovveduto. E' un professionista tostissimo e soprattutto ha memoria lunga. E statene certi - questo annuncia il suo editoriale - parlerà presto di quel "furfante" del suo editore. Gli getterà in faccia, senza sconti, le 64 società off-shore "All Iberian" che Berlusconi si è creato all'estero, governandole direttamente e con mano ferma.
Gli ricorderà, e lo ricorderà ai suoi lettori, come lungo i sentieri del "group B very discreet della Fininvest" siano transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri, sottratti al fisco con danno di chi paga le tasse; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto... ed è in discussione la legge Mammì").
E ancora, la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle" ); il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma che hanno messo nelle mani del capo del governo la Mondadori; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato e in spregio dei risparmiatori, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente.
In attesa di sapere se Agnelli sia stato o meno un "furfante", Feltri, che non è un maramaldo, ricorderà quanto sia furfantissimo il suo editore, come al fondo della fortuna di Berlusconi ci siano evasione fiscale e falso in bilancio, corruzione della politica, della Guardia di Finanza, di giudici e testimoni; manipolazione, a danno degli azionisti, delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.
E, giurateci, quel diavolo di Feltri non si fermerà qui. Ricorderà le diciassette leggi ad personam che hanno salvato il suo editore da condanne penali, protetto i suoi affari, alimentato i profitti delle sue imprese. Ricorderà, con il suo linguaggio concreto e asciutto, quanto quell'uomo che ci governa sia, oltre che "un furfante", un gran bugiardo.
Rammenterà ai lettori del Giornale quando Berlusconi disse: "Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l'esistenza" (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). O quando giurò sulla testa dei figli: "All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità".
La trama dell'offensiva di Feltri contro il suo editore già fa capolino. Presto leggeremo un altro editoriale, altri editoriali all'acido muriatico. Nel solco delle menzogne diffuse dal premier che evade le tasse, Feltri ricorderà che è stato Berlusconi a mentire agli italiani negando di frequentare o di aver frequentato minorenni, giurando sulla testa dei figli di condurre una vita morigerata da buon padre di famiglia, prossima alla "santità", per intero dedicata alla fatica di governare il Paese.
Feltri concluderà che un uomo, un "furfante" che trucca bilanci, deruba i contribuenti e le casse dello Stato, si cucina legge immunitarie perché governa il Paese e per di più mente senza vergogna sull'origine della sua fortuna e sulla sua vita privata, diventata pubblica, non può essere affidabile quando parla del destino dell'Italia, qualsiasi cosa dica o prometta.
L'Avvocato e il Cavaliere
di GIUSEPPE D'AVANZO
SI E' insediato ieri alla direzione del Giornale della famiglia Berlusconi, Vittorio Feltri, un tipo che - a quanto dice di se stesso - "non ha la stoffa del cortigiano". Lo dimostra subito.
Feltri scatena, fin dal primo editoriale, un violentissimo, sbalorditivo assalto a Silvio Berlusconi, suo editore e capo del governo. Per dimostrare che, nel lavoro che lo attende, non sarà né ugola obbediente né sgherro libellista, il neo-direttore sceglie un astuto espediente. Le canta a nuora perché suocera intenda. O, fuor di metafora, ad Agnelli (morto) perché Berlusconi (vivo) capisca e si prepari.
Feltri si dice stupefatto per "quanto sta avvenendo sul fronte fiscale". Trasecola per quel che si dice abbia combinato in vita Gianni Agnelli che "avrebbe esportato o costituito capitali all'estero sui quali non sarebbero state pagate le tasse". Decide di liberarsi una buona volta di quell'inutile fardello che è il garantismo, favola buona soltanto per il Capo e gli amici del Capo, e picchia duro, durissimo.
Questo "furfante" di un Agnelli, scrive Feltri, "ha sottratto soldi al fisco", e quindi "ha procurato un danno allo Stato", "ai cittadini che le tasse le pagano"; ha saccheggiato "per montagne di quattrini neri" le casse di società quotate in Borsa, "derubando gli azionisti". E allora, si chiede, è più grave "rubare al popolo o toccare il sedere a una ragazza cui va a genio di farselo toccare"? Conclude quel diavolo di un Feltri: "Ne riparleremo".
E' l'impegno che Feltri assume dinanzi ai suoi lettori e la minaccia che il neo-direttore del Giornale riserva, nel primo giorno, al suo povero editore. Feltri non è ingenuo e non è uno sprovveduto. E' un professionista tostissimo e soprattutto ha memoria lunga. E statene certi - questo annuncia il suo editoriale - parlerà presto di quel "furfante" del suo editore. Gli getterà in faccia, senza sconti, le 64 società off-shore "All Iberian" che Berlusconi si è creato all'estero, governandole direttamente e con mano ferma.
Gli ricorderà, e lo ricorderà ai suoi lettori, come lungo i sentieri del "group B very discreet della Fininvest" siano transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri, sottratti al fisco con danno di chi paga le tasse; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto... ed è in discussione la legge Mammì").
E ancora, la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle" ); il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma che hanno messo nelle mani del capo del governo la Mondadori; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato e in spregio dei risparmiatori, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente.
In attesa di sapere se Agnelli sia stato o meno un "furfante", Feltri, che non è un maramaldo, ricorderà quanto sia furfantissimo il suo editore, come al fondo della fortuna di Berlusconi ci siano evasione fiscale e falso in bilancio, corruzione della politica, della Guardia di Finanza, di giudici e testimoni; manipolazione, a danno degli azionisti, delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.
E, giurateci, quel diavolo di Feltri non si fermerà qui. Ricorderà le diciassette leggi ad personam che hanno salvato il suo editore da condanne penali, protetto i suoi affari, alimentato i profitti delle sue imprese. Ricorderà, con il suo linguaggio concreto e asciutto, quanto quell'uomo che ci governa sia, oltre che "un furfante", un gran bugiardo.
Rammenterà ai lettori del Giornale quando Berlusconi disse: "Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l'esistenza" (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). O quando giurò sulla testa dei figli: "All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità".
La trama dell'offensiva di Feltri contro il suo editore già fa capolino. Presto leggeremo un altro editoriale, altri editoriali all'acido muriatico. Nel solco delle menzogne diffuse dal premier che evade le tasse, Feltri ricorderà che è stato Berlusconi a mentire agli italiani negando di frequentare o di aver frequentato minorenni, giurando sulla testa dei figli di condurre una vita morigerata da buon padre di famiglia, prossima alla "santità", per intero dedicata alla fatica di governare il Paese.
Feltri concluderà che un uomo, un "furfante" che trucca bilanci, deruba i contribuenti e le casse dello Stato, si cucina legge immunitarie perché governa il Paese e per di più mente senza vergogna sull'origine della sua fortuna e sulla sua vita privata, diventata pubblica, non può essere affidabile quando parla del destino dell'Italia, qualsiasi cosa dica o prometta.
Caccia al frocio
Fonte la Repubblica
Infastidito da effusioni accoltella due gay: "Perché arrivare a uccidere per niente?"
Lo sdegno e la rabbia della associazioni omosessuali. Il sindaco Alemanno: "Grave che non sia stato arrestato"
ROMA - "Sembrava una corrida ma al posto del toro c'era un ragazzo insanguinato: nessuno interveniva, ma tutti guardavano. Guardavano quell'animale, quel matto che dopo avergli dato una coltellata riempiva il ragazzo trentenne di calci e pugni". Con queste parole un testimone racconta l'aggressione che nella notte ha avuto per vittime due giovani omosessuali, uno dei quali è stato operato d'urgenza all'addome. E ora, dal suo letto d'ospedale, la vittima si chiede: "Perché mi ritrovo così senza aver fatto nulla di male? Perché arrivare ad uccidere per niente?".
"Verso le 4 in cinque siamo usciti dal Gay Village - racconta il testimone - eravamo davanti a una fontanella e a un paninaro quando uno dei miei amici ha conosciuto lì un ragazzo e si è messo a parlare con lui. Dopo un po' si sono abbracciati e si sono scambiati qualche bacio, ma innocente". A un certo punto, secondo il racconto del testimone, si è avvicinato un gruppetto di persone e uno ha urlato: "Ma che state facendo? Ci sono due ragazzini di 14 anni che non vogliono vedere certe cose!".
Uno dei due ragazzi ha replicato: "A quest'ora i ragazzini dovrebbero stare a letto". E l'altro ha aggiunto: "Oltretutto non stiamo facendo niente di male. Siamo persone libere in un paese libero". Ma a quel punto l'uomo si è allontanato di qualche metro, ha preso una bottiglia e ha spaccato prima la bottiglia in testa a uno e poi ha colpito con il coltello a serramanico l'altro. "Quest'ultimo è caduto a terra - aggiunge il testimone - e quella bestia ha continuato a riempirlo di calci e pugni. Mi sono avvicinato, l'ho preso quasi in braccio e mi sono allontanato. C'era sangue dappertutto. Ho urlato a quanti erano presenti di fare qualcosa ma nessuno si muoveva. Nel frattempo quella bestia e i suoi amici si sono allontanati a bordo di due auto. Poi è arrivata la polizia e l'ambulanza. Mi hanno detto che l'aggressore è un drogato e malato di Aids. Ma è stata una cosa vergognosa. Ora quel ragazzo è intubato, per tutta la mattinata è stato sottoposto a un intervento chirurgico. E' fuori pericolo ma rimane grave. E' pazzesco. Solo poche ore fa stava ballando e divertendosi ed ora è in un letto d'ospedale e non vuole avvisare la famiglia per il solito problema di essere gay. Credo che non sia nemmeno romano. E veramente un paese del terzo mondo".
Sul posto è intervenuta la polizia, che è riuscita a individuare l'aggressore: A.S., 40 anni, già noto per reati contro il patrimonio e per gli stupefacenti. Non è stato arrestato, ma denunciato in stato di libertà per tentato omicidio.
Dino, uno dei due gay aggraditi, è ora nel reparto di terapia intensiva del Sant'Eugenio, accanto al testimone, che gli ha salvato la vita. "Stavamo finendo di mangiare un panino - racconta - ci siamo abbracciati e dati un bacio, come una normale coppia. Solo un bacio. Questa città negli ultimi tempi è cambiata molto". Dino ha ancora mal di testa: "Mi sento stordito - dice - Quell'uomo prima ha dato una bottigliata in testa al mio amico, poi a me e quando gli ho risposto che non facevamo nulla di male mi ha dato la coltellata".
Non si sono fatte attendere le reazioni per un'aggressione che è stata giudicata "sconvolgente". Per Vladimir Luxuria Roma non ha mai vissuto "tempi così bui": "La città è sempre più insicura per tutte le categorie deboli, non solo per le donne. Ci sentiamo tutti meno sicuri e viviamo con terrore questo clima fatto di squadracce e spedizioni punitive. Stavolta è toccato a due persone che erano colpevoli solo del fatto che si stavano abbracciando". "Purtroppo - aggiunge Aurelio Mancuso, presidente nazionale di Arcigay - episodi di grave violenza fisica, ma anche di molestie e insulti, si stanno moltiplicando in tutta Italia nei pressi di luoghi di divertimento e di aggregazione della comunità Lgbt".
Indignato anche il sindaco Gianni Alemanno: "Ancora una volta devo protestare vivamente per una decisione adottata da un magistrato. E' inaccettabile che un accoltellatore che ha agito con un chiaro movente di intolleranza sessuale, mettendo in pericolo la vita di due persone, sia oggi soltanto denunciato a piede libero per un mero cavillo procedurale. Senza certezza della pena e senza un'adeguata durezza di fronte ai reati di allarme sociali, qualsiasi politica di sicurezza e di lotta al crimine risulta profondamente delegittimata. Gli uomini della squadra mobile di Roma mi hanno garantito che il criminale in questione rimarrà sotto stretta osservazione per evitarne la fuga. Ma chiedo con forza che il magistrato inquirente adotti immediatamente il provvedimento di restrizione in carcere di questo delinquente. Desidero esprimere la mia solidarietà ai due ragazzi aggrediti che pagano il prezzo di un'intolleranza e di una violenza veramente ignobile e ingiustificabile".
Chiusa del blogger Allora ricapitoliamo, mentre l'italietta sbava dietro al superenalotto (non sia mai che un italiano possa essere artefice del proprio destino, deve sempre entrarci la fortuna, la mamma, il politico che ti dà il lavoro o l'allineamento dei sette pianeti) mentre le penisola sbava si diceva, Roma torna ad essere una delle città più insicure almeno d'Europa. Non è la solita tirata contro il sindaco ex fascista, ma un fatto. Le squadracce non servono a nulla mentre, per chi non conoscesse il luogo dove si organizza il gay village, è uno dei punti più centrali e pieni di gente di Roma. Un incidente può capitare? Ci metti più polizia e in casi come questo spari, Non ci sono se e ma, per salvare un cittadino da un matto tu spari all'aggressore. Certo fa un po' schifo che nessuno sia intervenuto, ma il romano della notte è un po' così di natura: cazzaro, spaccone e sbruffone fino a quando non accade qualcosa. Lì allora diventa un vigliacco, tranne ritornare forte quando la buriana è passata. Forse uno dei problemi è il progressivo smantellamento delle Forze dell'Ordine e lì le scelte del governo centrale, forse, c'entrano qualcosa. O no?
sabato, agosto 22, 2009
Botta e risposta fra Feltri e Travaglio
Ecco il primo editoriale di Vittorio Feltri da direttore de il Giornale
Tra Silvio e Agnelli ecco chi è il peccatore
di Vittorio Feltri
Quando nel dicembre 1997 lasciai il Giornale (ereditato da Indro Montanelli) dopo quattro anni di direzione, assoggettandomi alla liturgia in voga nelle redazioni, scrissi un articolo di saluto intitolato: «Addio. Anzi, arrivederci». Ho mantenuto 1a parola e sono tornato.
Sono tornato per due motivi. Primo. Con il cuore non me ne ero mai andato. Secondo. L’editore mi ha affidato un mandato stimolante: riportare il Giornale ai livelli diffusionali, e non solo, del passato. Non sarà facile ma oso provarci. A Libero d’altronde avevo esaurito il mio compito: a nove anni dalla fondazione, quel quotidiano ha conquistato un posto importante nelle edicole; è in piena salute e ben condotto da una vecchia conoscenza degli amici del Giornale, Maurizio Belpietro. Per me non aveva più senso rimanere lì. Mi sentivo sempre meno libero e desideravo uno strumento diverso e più potente per far udire la mia voce in un Paese ancora oppresso dal conformismo di sinistra (dominatore assoluto in oltre due terzi della stampa nazionale).
Nel momento in cui il Giornale mi si è offerto garantendomi non soltanto la libertà della quale ho bisogno per lavorare ma anche i mezzi allo scopo di metterla a frutto, non ho saputo resistere al piacere di riprendere la conversazione con i lettori che già furono miei e di Montanelli prima che cedesse a corteggiamenti progressisti.
Ed eccomi qui con la voglia di affrontare le battaglie che si annunciano in autunno alla ripresa dell’attività politica. Presumo sappiate da quale parte sto, la solita. Non sarei capace di essere diverso da come sono, insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento ideologico. Questo non è mai stato un foglio di partito e il Pdl si illude se pensa lo possa diventare. La famiglia Berlusconi e gli altri azionisti da me si aspettano molto tranne una cosa: che trasformi il Giornale in un megafono di Berlusconi. Non sarei in grado. Mi manca la stoffa del cortigiano, e forse proprio per questo sono stato richiamato a coprire l’incarico di direttore della storica testata i cui lettori non sono ultrà del centrodestra, ma cittadini meritevoli di rispetto, quindi di essere informati correttamente e confortati nelle loro opinioni.
Se sarà il caso, come sempre ha fatto, il Giornale criticherà il capo del governo e cercherà di aiutarlo girandogli i consigli che saranno giunti qui dal pubblico (cioè da voi) che ha fiducia in lui, ma non gli ha dato carta bianca. Un quotidiano d’opinione ha il dovere di intercettare gli umori dei lettori e di sintetizzarne il senso sulle proprie pagine. Questo faremo con l’intento di fungere da cinghia di trasmissione tra la gente e i suoi rappresentanti politici, anzitutto il Cavaliere, l’unico che abbia avuto la forza e l’abilità di mandare in crisi la cosiddetta egemonia di sinistra.
Fra qualche settimana l’opposizione, in mancanza di argomenti politici di spessore, ricomincerà a pescare nel torbido e a frugare nelle pattumiere del gossip. Non è un vaticinio. È una notizia. Le truppe corazzate di De Benedetti sono state mobilitate per la ripresa della pugna sul terreno ad esse più congeniale: il materasso.
Un tempo la sinistra canterina aveva uno slogan: fate l’amore e non la guerra. Ha cambiato idea: basta libertà sessuale, basta prediche in favore dei gay, del divorzio, dell’aborto, delle coppie aperte. Gli ex comunisti sono passati al moralismo (senza etica, aggiunge qualcuno), alla condanna di ogni licenziosità. Pur di attaccare il centrodestra e il suo leader i compagni fanno comunella con don Sciortino, manipolano l’Avvenire (organo dei vescovi), applaudono alle ramanzine dei parroci contro le escort.
I neopuritani laici ci riserveranno altre sorprese. Li attendiamo al varco. Intanto li osserviamo e costatiamo che non muovono un dito per deplorare quanto sta avvenendo sul fronte fiscale. Il defunto Avvocato Agnelli, secondo indiscrezioni, avrebbe esportato o costituito capitali all’estero sui quali non sarebbero state pagate le tasse. Vero, falso? Verificheremo. È un fatto che se un simile sospetto gravasse sulla testa di Berlusconi, i giornali non si occuperebbero d’altro. Immaginate le dichiarazioni di Franceschini, D’Alema eccetera. Immaginate il putiferio televisivo. Immaginate le articolesse di D’Avanzo su la Repubblica. Immaginate lo sdegno de La Stampa.
Sugli Agnelli che si sarebbero fischiati un paio di miliardi d’euro, nulla. Giusto. Occorre indagare, processare, eventualmente condannare. Questo è lo stile che si impone. Perché invece lo stesso stile non si impone affatto sulle presunte birichinate del premier? Da notare che i soldi sottratti al fisco sono un danno allo Stato, ai cittadini che purtroppo per loro sono costretti a versare puntualmente denaro all’agenzia delle entrate. Fosse dimostrato che l’Avvocato Agnelli non era quel gran signore lodato, imitato, indicato da tutti quale modello, ma un furfante, ci sarebbe almeno da chiedersi perché in Italia i progressisti considerano meno grave rubare al popolo che toccare il sedere a una ragazza cui va a genio farselo toccare. Inoltre bisognerebbe spiegare ai compatrioti come sia possibile prelevare da aziende quotate in Borsa montagne di quattrini neri, portarli in Svizzera senza commettere il reato di falso in bilancio, cioè un furto agli azionisti.
È normale ricevere aiuti dallo Stato, rottamazioni e roba del genere, e per tutto ringraziamento frodare il fisco e spartirsi il bottino con gli eredi? Pare di sì. Normale o quantomeno veniale. Si può fare. Se viceversa vai a letto con una che ci sta vai dritto sul rogo. È la morale della sinistra.
Ne riparleremo.
P.S.: ringrazio l’editore Paolo Berlusconi per l’opportunità che mi ha dato, e il direttore che mi ha preceduto, l’amico Mario Giordano, che mi ha consegnato una redazione in forma e di alto profilo, la prova del buon lavoro da lui svolto. Infine, sono lieto che Mario Cervi, braccio destro di Montanelli, e mio successore nel 1997, rimanga con noi a lottare contro i conformisti d’ogni specie.
Ed ecco la risposta de: il Fatto
Feltri. Uahahahahahah
22 agosto 2009
Scrive Littorio Feltri nell’editoriale d’esordio sul Giornale che è tornato a dirigere dopo averlo lasciato nel dicembre del 1997: “Con il cuore, non me n’ero mai andato”. Uahahahahahah. Feltri se ne andò 12 anni fa dopo che il Cavaliere aveva definito “incidente gravissimo” il suo articolo di prima pagina in cui chiedeva scusa a Di Pietro per averlo calunniato per due anni con le fandonie su inesistenti tangenti di D’Adamo e Pacini Battaglia: “Caro Di Pietro, ti stimavo e non ho cambiato idea”. Seguivano due paginoni in cui il Giornale di Feltri si rimangiava quei due anni di campagne antidipietriste: “Dissolto il grande mistero: non c’è il tesoro di Di Pietro”, “Di Pietro è immacolato”, “dei famigerati miliardi di Pacini” non ha visto una lira, dunque la campagna del Giornale era tutta una “bufala”, una “ciofeca”, una “smarronata” perché la famosa “provvista” da 5 miliardi non è mai esistita. Insomma Feltri confessava di aver raccontato per ben due anni un sacco di balle ai suoi lettori. E lo faceva proprio alla vigilia delle elezioni suppletive nel collegio del Mugello, dove Di Pietro era candidato al Senato per il centrosinistra contro Giuliano Ferrara e Sandro Curzi. In cambio di quella ritrattazione e di un risarcimento di 700 milioni di lire, l’ex pm ritirò le querele sporte contro il Giornale, tutte vinte in partenza. Furente Ferrara, furente Berlusconi. Così Feltri, spintaneamente, se ne andò. Non a nascondersi, come gli sarebbe capitato in qualunque altro paese del mondo. Ma a dirigere altri giornali: il Borghese, il Quotidiano nazionale di Andrea Riffeser (sei mesi prima aveva dichiarato all’Ansa: “Per carità! Conosco Riffeser da una vita e ogni volta che ci vediamo mi dice 'Sarebbe bello se tu venissi con noi', ma tutto finisce lì. Non sto trattando con nessuno. Ma tanto so già che nessuno ci crederà, comunque è così”).
Mentre usciva dal Giornale, Littorio sparò a palle incatenate contro i fratelli Berlusconi: “Provo un certo fastidio: per la causa comune mi sono esposto (alla transazione con Di Pietro, ndr), poi gli altri si sono ritirati e io sono rimasto con la mia faccina e tutti ci hanno sputato sopra. La cosa non ha fatto per niente piacere. Così si rompe un rapporto di fiducia… Mi sono trovato da solo e ho le ferite addosso e il morale a terra” (Ansa,10 novembre 1997). E il Cavaliere gli diede del bugiardo: “Feltri ha detto ultimamente qualche piccola bugia, però è ampiamente scusato” (Ansa, 7 dicembre 1997).
Feltri ora ricorda la sua prima esperienza (dal 1994 al ’97) di direttore del Giornale, “ereditato da Indro Montanelli” e si appella ai “lettori che già furono miei e di Montanelli prima che cedesse a corteggiamenti progressisti”. Uahahahahahah. In realtà Montanelli non cedette ad alcun corteggiamento progressista: rimase l’uomo libero che era sempre stato. E Feltri non ereditò un bel niente: semplicemente prese il suo posto (dopo averlo a lungo negato) quando Berlusconi mise in condizione Montanelli di andarsene perché non “non volevo trasformarmi in una trombetta di Forza Italia” né Il Giornale che aveva fondato “nell’organo di Forza Italia”, come il Cavaliere pretendeva e come Feltri voluttuosamente accettò di fare. Montanelli, lungi dal ritenere Feltri il suo erede, lo disprezzava profondamente. Infatti il 12 aprile 1995 dichiarò al Corriere della sera: “Il Giornale di Feltri confesso che non lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Comunque, non è la formula ad avere successo, è la posizione: Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti!”.
Ma il meglio Littorio lo dà quando racconta che ora “Il Giornale mi si è offerto garantendomi la libertà della quale ho bisogno per lavorare”, perché lui sarebbe “insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento ideologico”, e poi “questo non è mai stato un foglio di partito e il Pdl si illude se pensa lo possa diventare. La famiglia Berlusconi e gli altri azionisti da me si aspettano molti tranne una cosa: che trasformi Il Giornale in un megafono di Berlusconi. Non sarei in grado. Mi manca la stoffa del cortigiano”. Uahahahahahah. Prima di lasciare Il Giornale nel 1997, Feltri chiese provocatoriamente a Berlusconi di venderglielo: “Ho fatto una proposta organica per l'acquisto del Giornale perchè non sono disposto a fare un quotidiano di partito. Se la famiglia Berlusconi la accetterà, bene, altrimenti potrei pensare di lasciare. Rimarrei solo a condizione di poter fare un giornale indipendente e non, come qualcuno evidentemente sperava, l'organo di Forza Italia o del Polo, di cui non mi frega niente. Se un deputato di Forza Italia come Roberto Tortoli chiede le mie dimissioni e nessuno lo smentisce, vuol dire che non è il solo a pensare che Il Giornale debba essere il quotidiano di Forza Italia. Sono stato costretto a questo passo dopo le ultime vicende che hanno umiliato la redazione e rischiano di far sentire al lettore l'esistenza di un cordone ombelicale che lega Il Giornale a Forza Italia. Io invece voglio fare un quotidiano indipendente e lo dimostrerò, quando ne avrò occasione, anche in modo clamoroso” (Ansa, 14 novembre 1997).
Oggi, nella fretta, Feltri dimentica di spiegare come mai a richiamarlo al Giornale sia stato un signore che non possiede nemmeno un’azione del Giornale, cioè il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, scavalcando l’editore, il fratello Paolo, informato come al solito a cose fatte. Se l’è lasciato sfuggire, come se fosse un dettaglio insignificante, lo stesso Littorio l’altra sera nella rassegna di regime di Cortina Incontra: “Il 30 giugno scorso ho incontrato Silvio Berlusconi. Ogni volta che lo vedevo mi chiedeva: ‘Ma quand'è che torna al Giornale?’. E io: ‘Sto bene dove sono’. Ma quel giorno entrò subito nei dettagli, fece proposte concrete e alla fine mi ha convinto”. Materiale interessante per le Authority che dovrebbero vigilare sui conflitto d’interessi, se non fossimo in Italia.
L’ultima parte dell’editoriale feltriano è una grandinata di insulti a Gianni Agnelli (possibile “furfante”, “vero peccatore”) per le ultime rivelazioni sui fondi neri in Svizzera. Una prova di coraggio da vero cuor di leone, visto che l’Avvocato è morto da tempo. Per la verità, che la Fiat e la famiglia Agnelli avessero montagne di soldi all’estero era già emerso nel processo intentato dai giudici di Torino ai vertici Fiat a metà degli anni 90, concluso con la condanna definitiva dell’allora presidente Cesare Romiti per falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti. Ma all’epoca Agnelli era vivo e potente, dunque Feltri e il Giornale difendevano a spada tratta casa Agnelli e attaccavano i giudici che osavano processarla.
Visto che Il Giornale non è l’organo di Forza Italia né, men che meno, il megafono di Berlusconi, Littorio Feltri sul Giornale difende appassionatamente Papi dalle inchieste del gruppo Repubblica-Espresso. Che strano. Nel ’97, lasciando Il Giornale, lo stesso Feltri si profondeva in salamelecchi verso il gruppo Repubblica Espresso e il suo editore Carlo De Benedetti: “Non ho mai litigato con nessuno, tantomeno con De Benedetti, che ho sempre stimato e di cui credo di potermi definire da sempre amico. Quando si sposò, fummo l'unico giornale italiano a pubblicare la sua foto con signora. Ho ottimi rapporti anche… con Carlo Caracciolo e Eugenio Scalfari” (Ansa, 13 novembre 1997). Come passa il tempo.
La chiusa dell’editoriale di oggi è un capolavoro: “I neopuritani laici – scrive Feltri - non muovono un dito per deplorare quanto sta avvenendo sul fronte fiscale” a proposito dei presunti fondi neri di Agnelli in barba al fisco. Invece – aggiunge -“se un simile sospetto gravasse sulla testa di Berlusconi, i giornali non si occuperebbero d’altro”, anche perché “i soldi sottratti al fisco sono un danno allo Stato, ai cittadini che sono costretti a versare puntualmente denaro all’Agenzia delle Entrate”. Uahahahahahah. Il fatto è che un simile sospetto grava eccome sulla testa di Berlusconi, rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Milano per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita per svariate centinaia di milioni di euro nascosti nei paradisi fiscali. Processo sospeso dal lodo Al Fano. Perché Littorio Feltri, questo campione della libertà di stampa “insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento ideologico”, questo pezzo d’uomo a cui “manca la stoffa del cortigiano” non se ne occupa con una bella inchiesta sul suo Giornale libero e bello? Uahahahahahah.
Chiusa del Blogger: resta la convinzione che in un qualsiasi altro paese del primo mondo Feltri non farebbe più il direttore. Ma l'Italia NON è più un paese del primo mondo.
Ed ecco il post
(credo che sia la Eleonora Andretta in questione)
Questo è invece il post incriminato mandato a Italians di Beppe Servergnini
Ho appena concluso la lettura di Io sono Dio di Giorgio Faletti e sono perplessa a dir poco. Vado subito al punto: mi riferisco a quelli che in gergo traduttivo si chiamano «calchi», vale a dire quei termini o espressioni tradotti letteralmente, con effetti orribili sulla lingua di arrivo. Ebbene, Io sono Dio ne conta moltissimi. Ma in teoria non è un libro tradotto, giusto?
Allora non mi spiego perché un autore italiano dovrebbe scrivere «non girare intorno al cespuglio»: calco di «don’t beat about the bush», invece di «non menare il can per l’aia». O perché dovrebbe scrivere «Te ne devo una», palese calco di «I owe you one», che in italiano è molto più semplicemente «sono in debito/a buon rendere». O perché in un libro scritto in teoria in italiano mi ritrovi l’incomprensibile frase «Pensavo che una ventina di grandi vi avrebbero fatto comodo» dove «grandi» è lo spudorato calco di «grand», vale a dire mille dollari nel gergo della comunità dei neri americani.
E questi non sono che pochi esempi. A dire la verità, tutto il libro mi ha lasciato l’impressione dell’italiano «derivato», con i suoi «prese un bel respiro», «telefono mobile» e così via. Ho cercato di darmi una spiegazione plausibile, iniziando con: «Faletti pensa in inglese-americano». Non sta in piedi, per tutta una serie di motivi linguistici e tecnici per i quali sarebbe necessaria un’altra lettera. E allora? Non so cosa pensare…”
IO DICO
Ho invertito l'ordine dei post perché non mi sembra corretto che Faletti abbia tutto quello spazio per replicare e offendere, mentre invece una persona normale, ma anche una professionista, debba essere trattata a questo modo
Questo è invece il post incriminato mandato a Italians di Beppe Servergnini
Ho appena concluso la lettura di Io sono Dio di Giorgio Faletti e sono perplessa a dir poco. Vado subito al punto: mi riferisco a quelli che in gergo traduttivo si chiamano «calchi», vale a dire quei termini o espressioni tradotti letteralmente, con effetti orribili sulla lingua di arrivo. Ebbene, Io sono Dio ne conta moltissimi. Ma in teoria non è un libro tradotto, giusto?
Allora non mi spiego perché un autore italiano dovrebbe scrivere «non girare intorno al cespuglio»: calco di «don’t beat about the bush», invece di «non menare il can per l’aia». O perché dovrebbe scrivere «Te ne devo una», palese calco di «I owe you one», che in italiano è molto più semplicemente «sono in debito/a buon rendere». O perché in un libro scritto in teoria in italiano mi ritrovi l’incomprensibile frase «Pensavo che una ventina di grandi vi avrebbero fatto comodo» dove «grandi» è lo spudorato calco di «grand», vale a dire mille dollari nel gergo della comunità dei neri americani.
E questi non sono che pochi esempi. A dire la verità, tutto il libro mi ha lasciato l’impressione dell’italiano «derivato», con i suoi «prese un bel respiro», «telefono mobile» e così via. Ho cercato di darmi una spiegazione plausibile, iniziando con: «Faletti pensa in inglese-americano». Non sta in piedi, per tutta una serie di motivi linguistici e tecnici per i quali sarebbe necessaria un’altra lettera. E allora? Non so cosa pensare…”
IO DICO
Ho invertito l'ordine dei post perché non mi sembra corretto che Faletti abbia tutto quello spazio per replicare e offendere, mentre invece una persona normale, ma anche una professionista, debba essere trattata a questo modo
Faletti copia?
Che tristezza Faletti che risponde come una vecchia signora isterica a delle annotazioni sul suo libro: io sono Dio, che non è la biografia di Silvio Berlusconi ovviamente....
"Scusate se prendo fate per topolini". L'attore e scrittore Giorgio Faletti
La prof risponde a Giorgio Faletti. "Niente invidia"
Dopo le accuse di plagio dovute all’uso di anglicismi, Giorgio Faletti difende il suo libro Io sono Dio
GIORGIO FALETTI
E dunque, eccomi qui. Trascinato sul banco degli imputati da diversi quotidiani e settimanali per il linguaggio del mio ultimo romanzo, Io sono Dio O meglio, per cinque frasi che ho utilizzato nei dialoghi fra i personaggi che, ricordo a tutti, sono americani. Queste frasi non sono passate invano sotto la lente di due signore. Che non hanno esitato a puntare il dito accusatore, scrivendo a blog e fornendo la loro consulenza per acconci articoli di denuncia. Con un briciolo di orgoglio premetto che, se a un romanzo giallo con una trama, dei personaggi, un necessario coinvolgimento del lettore, l'unico appunto che può essere mosso è l'uso di cinque frasi, giudico il risultato estremamente positivo. Come i pareri della critica e dei lettori hanno confermato.
Le persone che mi accusano sono due signore che hanno un blasone di tutto rispetto. Si tratta di Franca Cavagnoli, traduttrice di ben tre premi Nobel, laureata in Questo e Quello e insegnante di Quell'altro e Altro ancora e Eleonora Andretta che può vantare lo stesso tipo di retroterra culturale con il ruolo di esaminatrice per l'ammissione a Cambridge come ciliegina sulla torta. Devo dire che ho inizialmente osservato con un certo divertimento il nascere di questa polemica balneare e non ho ritenuto opportuno disturbare queste due signore mentre si godevano i loro cinque minuti di popolarità. Ma ora che la polemica si è spostata dalle mie scelte letterarie alla mia onestà di essere umano, penso che anche la difesa abbia diritto a far sentire la sua timida voce. Per prima cosa vediamo le cinque frasi incriminate.
«Non girare intorno al cespuglio». In Inglese, per esortare una persona che sta tergiversando si dice: «Don't beat around the bush», frase idiomatica che nella traduzione letterale diventa esattamente quella che ho utilizzato io. Per quel che mi riguarda la frase raggiunge benissimo lo scopo che si prefigge e credo che un autore, se vuole fare girare la gente intorno al cespuglio invece che fargli menare il can per l'aia, sia quantomeno libero di farlo. «Pensavo che una ventina di grandi vi avrebbero fatto comodo». Nel gergo dei bassifondi i biglietti da mille dollari vengono chiamati «grands». Forse se avessi utilizzato il termine «verdoni» niente sarebbe successo, perché è una parola ormai acquisita nel linguaggio italiano, dimenticando che nasce dal fatto che i dollari sono verdi e che dunque in Italia non dovrebbe avere significato alcuno.
«Non te ne devo una, ma mille». Secondo la Pubblica Accusa il concetto per avere un senso dovrebbe essere espresso con la frase «Ti devo un favore grosso come una casa». In Piemonte c'è un modo di dire: «Questa la puoi raccontare per una», che si usa ad esempio quando qualcuno esce vivo per miracolo da un incidente stradale. Potrei, volendo, essere accusato anche di «piemontesismo», ma allora temo sia nei guai pure Andrea Camilleri… «La fata del dentino a te porta la marijuana». Lo so benissimo che da noi esiste il topolino e non la fata e di questo faccio pubblica ammenda. Tuttavia devo confessare di avere dei complici. Proprio l'altra sera, vedendo un film con Ben Affleck, Il diario di Jack, mi sono accorto che in un dialogo i protagonisti parlavano della fatina del dentino. Avvertirò i distributori italiani che la mannaia sta per abbattersi anche sul film. A meno che questo fatto non sia passato inosservato e dunque c'è da chiedersi maliziosamente perché. «Smettere di sentirsi falene davanti a una candela». Questa è un piccolo personale orgoglio. Pur essendo depositario di un decoroso inglese, ignoravo del tutto l'espressione «Like mooths to flame» quindi questa espressione, che indica precarietà, è del tutto frutto della mia fantasia. A meno che non mi si voglia far credere che le falene italiane indossino perennemente una tuta d'amianto.
Ecco, tutto qui. Questi sono i capi d'accusa. Confesso di non riuscire a trattenere un sorriso e di sentirmi anche un poco stupido nell'aver avuto la necessità di rispondere a qualcosa che, onestamente, ha un leggero tocco di ridicolo. Quello che mi ha spinto a farlo, come ho detto all'inizio, è che da questa risibile querelle estiva e premestruale si sia arrivati come sempre a ipotizzare un fantomatico scrittore fantasma che è il vero autore dei libri che pubblico a mio nome. Per carattere e per scelta ho sempre condotto la mia vita privata al di fuori dei «si dice» e dei «pare che», facendo il mio lavoro con onestà e nei limiti delle mie capacità, tenendomi lontano dai gossip e dai mezzucci di fortuna per agguantare al volo un successo passeggero. Ho corso dei rischi quando avrei potuto restare a coltivare un orticello che nel corso del tempo avrebbe dato ortaggi sempre più avvizziti. Questo qualcuno può chiamarlo incoscienza ma io, nel mio piccolo lessico provinciale, mi ostino a chiamarlo coraggio. Forse non sono e non sarò mai un grande scrittore ma ho la fortuna di scrivere storie che appassionano dei lettori e di essere il solo responsabile di quello che faccio, disposto a riscuotere i meriti e ad accollarmene i demeriti. Utilizzando sempre e ancora il coraggio e la determinazione di cui parlavo prima. A questo punto tuttavia, essendo anche un essere umano, concedetemi, una breve risposta alle mie due amiche pluriblasonate. Non ho motivo di dubitare del valore della signora Franca Cavagnoli come traduttrice. Ma il fatto che si traducano dei Premi Nobel a volte può essere fuorviante e indurre a facili entusiasmi, che andrebbero tenuti a bada. Non credo che il barista di Del Piero nel tempo si sia convinto di saper tirare le punizioni anche lui. Sul fatto poi che usare quelle frasi sarebbe come tradurre «L'ultima cena», che in inglese si dice «The last supper» con il termine «L'ultima zuppa», suvvia signora, mi stupisco di lei. Anche la mia povera mamma, a forza di andare al supermercato e trovarsi sugli scaffali dei barattoli di Campbell, sapeva che in inglese la zuppa si chiama soup.
Ricordo invece alla signora Andretta, di certo padrona di un inglese migliore del mio, che la lingua italiana è piena di modi di dire mutuati da lingue straniere ormai talmente parte del linguaggio che nessuno ci fa più caso. Penso di essere solo responsabile, nel caso, di averne introdotti dei nuovi. Ho visto la sua foto sul settimanale da cui ha lanciato la sua polemica e devo dire che sono rimasto colpito dal suo viso assorto mentre regge fra le mani il mio libro. Pensare che una signora così piacente e così colta abbia trascurato la sua vita privata per esaminare i miei discutibili scritti e impiegato parte del suo tempo per scrivere al blog di Beppe Severgnini mi onora. E mi rende nello stesso tempo invidioso, perché con me il tempo è così avaro che me ne resta pochissimo, impegnato come sono nel mio lavoro, che è scrivere personalmente i miei romanzi. In questo mondo barbaro e bizantino, ognuno esibisce il blasone che ha, ricco o povero che sia. Il cronista del quotidiano che ha sollevato il vespaio conclude il suo pezzo con un inquietante interrogativo, con un afflato molto più cabarettistico che letterario. Prendendo a prestito una canzone di Carosone, dopo avermi rivolto l'appunto «tu vuo' fa l'americano» mi chiede «sient'a me chi t'o fa fà»? Mi sia concesso terra terra di rispondere con un'altra domanda: 12 milioni di copie vendute solo in Italia possono essere considerate un motivo esauriente? E credo che questo sia in definitiva il mio vero crimine. In questo paese dove il successo è considerato una colpa è estremamente facile trovarsi di fronte a dei censori animati da uno spirito che gli inglesi indicano con la parola envy che, come possono testimoniare le mie amiche traduttrici, ha un significato inequivocabile. Si traduce in italiano con una semplice parola: invidia.
In moto colpita da scacchiera
...lanciata per lite da un secondo piano
Ha dovuto arrestare all'improvviso il suo mezzo dopo esser stata colpita da un oggetto mentre transitava in via Pisana, a Firenze; quindi, mentre perdeva sangue da un taglio alla gamba sinistra, ha chiamato il 118 e la polizia. Gli agenti delle volanti hanno poi scoperto che la scooterista era stata colpita dai pezzi in ceramica di una scacchiera lanciata dal secondo piano di un edificio durante una lite fra fidanzati. Il singolare episodio è accaduto all'altezza del civico 44 della strada, intorno alle 12.30 di ieri.
Secondo quanto ricostruito dalla polizia, la scacchiera è stata tirata da una brasiliana di 23 anni mentre discuteva con il convivente. La scooterista è stata poi curata al pronto soccorso a causa di una ferita lacero-contusa alla gamba che i medici hanno giudicato guaribile in una settimana.
Agnelli e banane
proprio l'avvocato diceva che l'Italia è una repubblica delle banane... proprio lui parlava...
FRANCO BECHIS PER ITALIA OGGI
L'Agenzia delle Entrate, che ha aperto un fascicolo sull'eredità di Gianni Agnelli per verificare eventuali profili di evasione fiscale, sta accertando anche l'effettiva residenza svizzera di Marella Caracciolo vedova Agnelli.
A fare rischiare qualche brivido alla signora, secondo quanto risulta a Italia Oggi, sarebbe la passione di Marella per gli amati husky, i cani che prediligeva anche l'Avvocato, la cui permanenza sarebbe accertata in suolo italiano, principalmente a Torino per più dei fatidici sei mesi annui, data limite per considerare fittizia la residenza estera di un cittadino italiano.
Ad avere attirato l'attenzione un appunto del commercialista torinese Gianluca Ferrero, con riferimento ai cani e ai domestici di casa Agnelli. Ad avere attirato l'attenzione degli ispettori del fisco italiano sono sostanzialmente due passaggi del memorandum firmato da Ferrero il 16 maggio 2003 con l'elenco dei beni posseduti dall'Avvocato al momento della morte, relativi all'assunzione dei 15 domestici in servizio nella residenza di famiglia sulla collina di Torino e all'intestazione dei cani.
Il suggerimento dei commercialisti a Marella fu quello di non caricarsi nè dipendenti nè animali, intestando (così sta scritto nell'appunto) i domestici a John Elkann e i cani a un prestanome. L'avvertenza dei commercialisti di fiducia, scritta nel memorandum, fu infatti quella che con quei passaggi si poteva mettere a rischio l'effettiva residenza in Svizzera, «paese in cui l'amministrazione fiscale italiana non riconosce ai cittadini italiani lo status di residenti anche ai fini fiscali, salvo prova contraria da prodursi a cura del contribuente».
Con il trasferimento a Marella di cani e domestici sarebbe divenuta secondo lo studio Ferrero «un domani molto complessa la possibilità di provare la propria residenza estera». Il testo di quel memorandum, reso noto per la pubblicazione sulla stampa italiana a fine luglio, è entrato ora nel fascicolo predisposto dalla Agenzia delle Entrate.
Ufficialmente la struttura guidata da Attilio Befera non conferma e non smentisce l'indagine sulla effettiva residenza svizzera di Marella, ma spiega che gli ispettori del fisco "si stanno muovendo a 360 gradi", partiti per il momento da ritagli di stampa, e che quindi tutti gli accertamenti del caso verranno effettuati "come prevede la procedura secondo routine", anche se al momento nessuna contestazione formale è stata notificata.
Naturalmente il tema della residenza della vedova Agnelli come di tutti gli eredi dell'Avvocato ha rilievo anche a proposito di eventuale liquidità che potrebbe emergere al di fuori dei confini italiani (la polpa di quell'indagine riguarderebbe infatti due miliardi di euro di fondi non ricompresi negli accordi ereditari e contestati dalla figlia dell'Avvocato, Margherita Agnelli).
Indagini come queste sono svolte ogni anno dal fisco italiano su centinaia di grandi contribuenti e su migliaia di sospetti evasori. Non c'è da scandalizzarsi dunque se tocca anche agli eredi della più importante famiglia italiana di questi decenni. Come spesso capita le liti sugli assi ereditari provocano guai collaterali, e quel che è accaduto in casa Agnelli non poteva sfuggire agli occhi nè del fisco nè della stampa.
Nessuno è colpevole di nulla fino a quando non viene accertata quella che è solo un'ipotesi in via definitiva, e il fisco italiano non sempre ha brillato in rapidità in casi simili. Giusto quindi invocare prudenza e garantismo, che sono bandiere sventolate in Italia quasi sempre secondo le convenienze e gli schieramenti del momento.
Chi fa spallucce sul caso Agnelli e magari si indigna pure accusando chi ne riferisce di macchiare la memoria di chi non può più difendersi, spesso ha trasformato ipotesi giudiziarie che riguardavano per esempio le aziende di Silvio Berlusconi in titoli simili a sentenze passate in giudicato.
Non c'è dubbio alcuno sul fatto che imprese e grandi patrimoni italiani abbiano cercato di evitare la mannaia del fisco per decenni secondo formule più o meno raffinate. Stuoli di consulenti hanno lavorato per questo. La confusione legislativa ha offerto più di una via di fuga, è vero. Ma la sostanza è che ricchezza prodotta in Italia è stata sottratta con più o meno furbizia al fisco, e cioè al bene collettivo.
Poi magari chi lo ha fatto è stato in prima fila a fare predicozzi sullo Stato che non funziona, sulle infrastrutture che mancano, sui servizi sociali scadenti. E cioè sulle conseguenze di quella furbizia. Ci saremmo risparmiati almeno la beffa delle prediche inutili...
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Il massone
CRISTINA CUCCINIELLO PER "L'ESPRESSO"
Chissà se davvero, alla fine, Silvio Berlusconi venderà La Certosa a uno dei magnati russi sbarcati in Sardegna nei giorni scorsi. Certo è che, se tra rumors e smentite si arrivasse alla cessione, l'oligarca che se l'aggiudicherà si troverà tra le mani qualcosa di più di una dimora miliardaria.
Qualcosa che ha a che vedere con una passione che il premier non tiene molto a far sapere in giro: quella verso la massoneria, le logge, il paganesimo e tutta la paccottiglia esoterico-occultista che questa cultura talvolta si porta dietro.
Ma andiamo per ordine. Quando nel 1981 si scoprì che era iscritto alla loggia P2, Silvio Berlusconi minimizzò: "L'ho fatto solo perché me l'aveva chiesto un amico, Roberto Gervaso". Insomma, l'adesione alla massoneria - e in particolare a una loggia coperta - sarebbe stata poco più di una casualità e un evento insignificante.
Sono passati quasi trent'anni e dell'attrazione del Cavaliere verso compassi e cappucci non si parla più.
Ma davvero per Berlusconi l'adesione alla massoneria è stata solo un'imprudenza giovanile? O al contrario il premier continua a coltivare una serie di vaghi credo iniziatici collegati con l'affiliazione massonica e con le ritualità pagane?
L'interrogativo non ha niente di dietrologico o di cospirazionista: è una domanda sorta spontanea tra gli esperti di simbologia massonica e di occultismo dopo le molte pubblicazioni nelle scorse settimane di scatti - autorizzati e no - di Villa La Certosa, in Sardegna.
Ultimo, il settimanale 'Oggi', che ha pubblicato molte immagini del buen retiro del premier, fornendo agli studiosi la conferma di quello che già avevano intuito quando erano uscite le foto delle feste. Loro, gli esperti, vedono in Villa La Certosa un grande percorso massonico e iniziatico - pieno di simboli astrologici, esoterici e anche religiosi, ma non cattolici - convinzione che si rafforza se alle immagini scattate dai fotografi si aggiungono quelle riprese dal satellite di Google Earth.
Del resto, la villa e il parco, "con i disegni geometrici di cerchi nel verde, sembrano concepiti proprio per una visione dal cielo, dal punto di vista che nell'antichità poteva appartenere solo al Grande Architetto dell'Universo", come spiega a 'L'espresso' il professor Marcello Fagiolo, professore di Storia dell'Architettura all'Università La Sapienza di Roma, esperto italiano di simbologia dei giardini e autore del volume 'Architettura e massoneria: l'esoterismo della costruzione' (Gangemi editore).
L'orto botanico, ad esempio, visto dall'alto presenta una pianta quadrata ispirata a quella che, nell'iconografia, viene attribuita al Tempio di Salomone a Gerusalemme, costruito nel X secolo avanti Cristo e distrutto dai Babilonesi 500 anni dopo.
Per i cultori dell'architettura iniziatica, il Tempio di Salomone ha da sempre molti significati, sia in quanto presunto contenitore dell'Arca dell'Alleanza sia per le sue misure, che si ritenevano ricavate da un 'codice cosmico' trasformato in rapporti geometrici. Inoltre nella divulgazione di questa mitica costruzione si fa spesso riferimento (in realtà senza un valido sostegno storiografico) all'ipotesi che il Tempio avesse inizialmente anche una funzione di culto sessuale, con l'adorazione della divinità femminile Astherah e con una serie di numerologie legate alla gestazione della donna e al pianeta Venere.
Ma il Tempio è soprattutto caro ai massoni perché secondo la loro tradizione a progettarlo fu Hiram Abif, figura allegorica di architetto fondamentale per tutta la massoneria mondiale.
Del resto le simbologie esoteriche nella proprietà sarda (che Berlusconi ha acquistato negli anni Ottanta e ha fatto completamente ridisegnare su sue precise indicazioni dall'architetto Gianni Gamondi) si rivelano fin dalle scelte più generali: "Labirinti e teatri di verzura, anfiteatri e orti botanici, obelischi e piramidi, Campi Elisi e mausolei, rovine reali o artificiali, romitori e cerchi di pietre: sono tutte tipiche espressioni del giardino massonico", spiega il professor Fagiolo.
"Soprattutto", aggiunge, "quando il giardino è rappresentato come visione scenica, somma di paesaggi diversificati con sorprendenti colpi di scena, ambientati in boschi o vallette, montagnole e laghetti artificiali, fino all'abbinata lago-vulcano, che evoca il tema del battesimo col fuoco".
Ma a suscitare l'interesse verso la Certosa degli studiosi di simbologia occulta e astro-religiosa, ovviamente, sono molti altri elementi. Prendiamo ad esempio l'Agorà, come viene chiamato il polo architettonico presente nel cuore del giardino. Attorno al pozzo di pietra, a raggiera, si slanciano dodici dolmen: il riferimento esoterico, in questo caso, è ai 12 apostoli e ai 12 segni zodiacali.
Un concetto che viene ribadito in un altro punto del parco dalla presenza - sempre a raggiera - dei 12 ulivi secolari attorno alla piscina dell'Agorà: chi vi si immerge è nel contempo il dio-sole al centro dell'universo e il profeta tra gli apostoli.
La scelta di usare i dolmen, per il professor Fagiolo, sarebbe "un richiamo al genius loci della Sardegna arcaica e protostorica, che sembra influenzare (a parte le mitizzate 'tombe fenicie') una sorta di revival dell'antica civiltà rupestre dove i nuraghi diventano torrette e i menhir si ricompongono in cerchi concentrici memori della cultura megalitica e l'archetipo di Stonehenge riaffiora nei triliti della scena del teatro".
I triliti sono elementi architettonici formati da tre pietre, due verticali e uno orizzontale che li unisce, a costituire una sorta di cornice a una porta. Questa figura è presente a Stonehenge e a Villa La Certosa fa da sfondo al proscenio dell'anfiteatro, quasi a renderlo una scena sacra.
A volere poi estendere questa chiave di lettura a tutti gli elementi, si può inquadrare tra le metafore anche la passerella a pelo dell'acqua sul lago dei Cigni. Che, applicando canoni esoterici, non richiama solo il passaggio di Gesù a Tiberiade ma rappresenta anche il cammino dell'Illuminazione.
Per non parlare del labirinto - magnificato dallo stesso premier durante le sue conversazioni con Patrizia D'Addario - ispirato all'omologo con torretta della celebre Villa Pisani a Stra. E per dare sfogo a ogni frenesia esoterica, non si può dimenticare la piscina con i cactus, che - con i suoi gradoni concentrici - rimanda al mito di Atlantide, da sempre caro alla massoneria come mitica terra scomparsa in cui vivevano uomini più sapienti.
Il tema dei cerchi concentrici si ritrova attorno alla statua della centaura di Alba Gonzales, contornata di siepi e massi grezzi: le siepi formano cinque giri a rappresentare il pentacolo, simbolo esoterico pagano amato dai cultori di Afrodite. L'origine grafica del Pentacolo è infatti associata al pianeta Venere e deriva dal fatto che ogni otto anni traccia un Pentacolo perfetto.
I cerchi concentrici, tornano anche in altri punti del parco e - curiosamente - nei ciondoli che il premier ha regalato a Noemi Letizia e ad altre ragazze.
Un discorso a parte merita la presenza degli otto pezzi di meteorite scolpiti e levigati, di cui pure c'è traccia nelle conversazioni tra Berlusconi e D'Addario. La storia è in parte raccontata dall'architetto Gianni Gamondi nell'intervista a 'Oggi': Berlusconi li acquistò qualche anno fa, traendoli da un meteorite a caduto in India, nello stato dell'Orissa, nel 2003 e che tra l'altro aveva fatto un morto.
Ora, nella loro nuova forma, costituiscono il fulcro di quella che Berlusconi chiama la Piazza dell'altro mondo, dove i megaliti venuti dallo spazio svettano al centro di uno spiazzo circolare uno accanto all'altro, con forme che possono sembrare falliche ma in realtà richiamano le 'uova cosmiche': un nuovo riferimento al culto pagano del dio Sole arricchito con la citazione astrologica delle sculture d'origine spaziale.
Ma più ancora dei singoli elementi, a colpire gli addetti ai lavori è il complesso della villa e del parco, visto come 'percorso' iniziatico attraverso le simbologie date dal continuo incrocio di acqua (principalmente i laghi), fuoco (il vulcano), terra (le colline, gli orti) e aria (le farfalle della serra).
Spiega Fagiolo: "La villa e il giardino si presentano come metafora di antiche classificazioni, come i Quattro Elementi o le Quattro Parti del Mondo: vedi l'esempio della serra col salone quintessenziale di rappresentanza - al centro dei quattro giardini dell'Aria, dell'Acqua del Fuoco e della Terra - con gli esemplari di flora e fauna espressione di vari continenti". In conclusione, per il professor Fagiolo, siamo di fronte a "una villa simbolica e un giardino esoterico, con riferimenti religiosi, astrologici e iniziatici".
Tutto questo non deve far pensare che Berlusconi abbia compiuto studi esoterici approfonditi: al contrario, tutti i riferimenti a Villa Certosa sembrano il frutto di una recezione molto semplificata e divulgata in cui si mescolano alla rinfusa e al limite del kitsch elementi massonici, occultisti e paganeggianti.
Del resto se dalla Sardegna passiamo alla Brianza, alla proprietà che Berlusconi ha acquistato nel 1974, troviamo elementi di sorprendente similitudine. Non nelle ville ma nel mausoleo che ha fatto costruire dallo scultore Pietro Cascella nel giardino. "Farsi una tomba in casa propria è tipico della massoneria", spiega il professor Fagiolo: "Nel giardino massone c'è sempre la sepoltura".
Il mausoleo di Cascella è composto da 12 colonne (il consueto numero cosmologico) che, in quadrato, si innalzano verso il cielo. Segue un tripudio di cubi, sfere, mezze sfere, piramidi, più la 'volta celeste' e la classica squadretta massonica. All'interno, nei sepolcri, c'è un vestibolo e poi un grande salone di marmo, al centro del quale si trova il futuro sarcofago del Cavaliere: anch'esso di marmo, ornato di rose a cinque petali, di travertino rosso, simbolo esoterico legato a femminilità e culti dionisiaci (lo si ritrova in uno dei gioielli che Berlusconi ha regalato alle sue ospiti).
Poco più in là c'è il 'dormitorium' per l'estremo riposo degli amici più cari: trentasei posti, dove il 12 viene moltiplicato per tre, il numero perfetto. Notevole anche il fatto che Berlusconi non abbia pensato a una sepoltura accanto ai familiari ma vicino agli amici-collaboratori come fossero discepoli di una setta.
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