sabato, settembre 03, 2005

La Polonia. Un'altra Europa.



“Bienvenue à Varsovie” recita il cartellone pubblicitario di un ipermercato francese. La scritta appare come un miraggio dopo un viaggio allucinante, durato parecchie ore, sulle terribili strade polacche. Dal confine con la Germania, si arriva nella capitale, attraversando Zielona Gora, le sue foreste e la “via della gioia”, come la chiamano i camionisti, per via delle centinaia di giovanissime prostitute che la costellano. Sono quasi tutte ucraine o russe, molte deportate dai loro paesi d’origine. La loro presenza causa spesso paurosi incidenti.

A questo va aggiunto il fatto che la rete viaria del grande paese mitteleuropeo è disastrosa. Autostrade ce ne sono poche e la condotta di guida è affidata più alla fede che al codice della strada.
Varsavia di sera si staglia in tutta la sfacciata magnificenza dei suoi ipermercati. La globalizzazione qui si taglia a fette. Le zone sono separate fra loro da muri di luce che dividono i quartieri popolari come Bemowo da quelli moderni come _ródmiescie, con i grattacieli che circondano come una corona il Palazzo della Cultura e delle Scienze, una torre gigantesca davanti alla stazione centrale. È stato l’ultimo lascito di Stalin. Il dittatore sovietico avrebbe voluto costruire otto di questi giganteschi pinnacoli nella sola Mosca, ma, visti i costi, alla fine decise di optare per otto di questi “torte nuziali” in altrettante città dell’ex cortina di ferro, in maniera da dividere le spese con i paesi socialisti fratelli. Oggi, dopo un lunghissimo dibattito sull’avvenire di questo “coso” di cemento, si è deciso di ristrutturarlo e affittarne le varie parti. Perché questa è oggi la filosofia di Varsavia: affidarsi al mercato, convinta com’è, che questo aiuterà la ripresa. La città è un cantiere. Attorno alla Warszawa Centralna, la stazione centrale, le gru tirano su decine di palazzoni in vetrocemento che hanno completamente stravolto il volto della capitale. Varsavia alla fine della seconda guerra mondiale fu completamente ricostruita, esattamente come sta avvenendo oggi. Allora era stata distrutta dai bombardamenti. Oggi si sta ricostruendo da oltre quattro decenni di comunismo.

Da questo maquillage la città ne sta uscendo completamente trasformata. Tutto si mischia e si sovrappone. All'incrocio della Jerozolimskie con la Nowy Swiat è, per fortuna, riconoscibilissima la monumentale ex sede del partito comunista, vero emblema del cambiamento se oggi ospita la Borsa, come segnalano la scritta a caratteri cubitali Centrum Bankowo Finansowe e il display luminoso sul quale scorre il listino. Gli affari vanno bene al punto che gli stranieri pompano denaro in modo sempre più massiccio (31 miliardi di euro investiti in un decennio), lo sterminato palazzo non è in grado di contenere gli uffici e una Borsa 2 è cresciuta lì accanto. La città è un cantiere. Da qualche parte devono pur risultare visibili i 70 mila miliardi spesi ogni anno in edilizia. Nella zona deambulano giovani in giacca e cravatta, lampadati (una delle mode importate dall’occidente) e perennemente attaccati alla protesi-telefonino. Il ritmo è quello forsennato dei quartieri degli affari di tutto il mondo. Se questi yuppies rallentano è solo per spazzare il parabrezza della loro auto dalle decine di bigliettini “Towarzyskie”, delle agenzie escort che sembrano essere, assieme all’edilizia, il settore economico in massima espansione.
La Varsavia dei turisti non ha nulla da invidiare a quelle grandi capitali europee a cui la città s’ispira, anche se sembra vivere in una situazione di precarietà, d’attesa. Qui tutto si trasforma. Capita così che il palazzo che ospita il minuscolo ufficio del generale Jaruzelski, ultimo dinosauro di un mondo comunista che non c’è più, abbia, fra i suoi affittuari, una palestra all’ultima moda, alcuni gabinetti legali e un paio di agenzie specializzate in import-export.
Lontano dal centro però la musica cambia. La Vistola, il fiume che attraversa la capitale polacca, è un confine invisibile fra la zona turistica che esplode nei mille locali della Wybrzeze Gda_skie, che ogni sera si popolano di giovani, e il quartiere Praga, una delle zone più pericolose della città con i suoi immensi condomini, molti dei quali guardano sullo stadio Warszawa. È qui che ogni giorno sin dalle prime luci dell’alba, nasce una nuova città: Europa. È un gigantesco mercato all’aperto dov’è possibile trovare di tutto. La provenienza illecita della gran parte delle merci è stata addirittura un argomento di discussione quando, in sede comunitaria, si è parlato d’adesione all’Unione Europea, di cui la Polonia è entrata a far parte nel maggio 2004.
“La divisione fra quartieri propria della capitale, è la metafora del paese oggi”, dice un ricercatore della fondazione tedesca Konrad Adenauer. In effetti, la Polonia sembra una società divisa in tre: un terzo sono gli sconfitti, quelli che hanno più di quarant’anni e sono stati travolti dai cambiamenti sistemici di mercato e politici. Un altro terzo sono i vincenti. Quelli che hanno saputo adattarsi, come Pavel, ventisei anni e un diploma di tecnico informatico all’Accademia dell’esercito (gratuita) in tasca. Due anni fa ha creato il suo business privato (due aziende, 50 dipendenti e un fatturato di dieci milioni di euro nel 2002). Nel terzo gruppo ci sono quelli come Darek. Stesso corso di Pavel, anche lui preparato, ma con meno fortuna. Fa parte del popolo delle partite iva (esiste anche qui), contento dell’ottimo stipendio di 500 euro al mese. Peccato che la sua azienda non lo paghi da circa quattro mesi. “Mi hanno detto che è un fatto temporaneo”, dice. Sempre meglio che fare parte di quel 18% di senza lavoro, o di quel 19% che vive al di sotto della soglia di povertà. Molte di queste persone, anche a Varsavia, non votano più o, se lo fanno, scelgono Samoobrona (autodifesa), oppure la Lega della Famiglie Polacche. Sono partiti ultraconservatori che, infatti, assieme raccolgono circa il 18% dei suffragi. Praticamente non hanno programma e sono in mano a due personaggi da operetta: Andrzej Lepper e Roman Gyertich, due populisti ferocemente antieuropei che vivono sul malcontento di tanti. Del loro bacino elettorale fanno parte quelli che, al sabato, si mettono il vestito buono e vanno a passeggiare nei centri commerciali spuntati come funghi. Sono tanti, c’è chi dice un centinaio in tutto il paese, e offrono di tutto. Ma cosa può permettersi una famiglia di quattro persone con uno stipendio di 400 euro al mese in una città in cui il caro-vita è superiore a quello di Berlino?
Eppure l’economia va. Dal punto di vista statistico le scelte del presidente Aleksandr Kwasniewski sono state vincenti: privatizzare e aprire al mercato. La Polonia è stata ribattezzata Tigre dell'Est Europa, importa manodopera dall'Ucraina, perché i polacchi i lavori umili non li fanno più, e bisognerà dimenticarsi dello stereotipo polacco-lavavetri.
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’altissimo rischio di conflitti sociali. Sono tanti a chiedersi che cosa significherà per Varsavia e per la Polonia l’ingresso nell’UE. Più lavoro? O semplicemente una colonizzazione dall’estero, com’è successo nel settore bancario dove in pratica tutti gli istituti di credito sono in mano a banche estere? Il governo dice di non preoccuparsi e anche la chiesa, inizialmente scettica sull’adesione, ha barattato il proprio appoggio in cambio del sostegno dell’esecutivo ad una costituzione comunitaria in cui siano citate le radici cristiane del continente. “Il Papa è un grande”, dicono tanti imprenditori. Peccato che il messaggio del Pontefice sia ripreso solo quando fa comodo. Le chiese, nella capitale, così come nel resto del paese, si sono svuotate (solo il 35% dei praticanti) e la Polonia è sempre più confusa. Nessuno rimpiange il comunismo, ma questo presente non piace e il futuro, malgrado i risultati del referendum sull’adesione all’UE, fa paura. Un sondaggio lanciato tra i lettori dalla Gazeta Wiborcza, uno dei quotidiani di riferimento, perché indicassero il meglio e il peggio dopo 10 anni di libertà, ha dato risultati sorprendenti. In negativo ha vinto la presidenza dell’ex leader di Solidarnosc, Lech Walesa, un personaggio rispettato all’estero, ma che in patria è oggetto, da anni, di un crescente numero di barzellette.
Ecco com’è la vita di Varsavia e della Polonia. In bilico fra un passato che nessuno vuole ritorni e un futuro che tanti temono, ma a cui si corre incontro in maniera sfrenata. Le risposte ai dubbi, se ci sono, si avranno fra qualche anno. Una l’ha data il regista Krzysztof Zanussi nel titolo di un suo film, copiato da una scritta su un muro: “La vita è una malattia mortale trasmessa per via sessuale”. C’è solo da sperare che abbia torto.

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