sabato, settembre 24, 2005

Toni, quello che assomiglia a Marco


Una volta chiesero a una psicologa di spiegare a un bambino che cosa fosse la felicità. Quella, che era una persona seria, rispose: “La felicità? Non saprei cosa dirgli, ma saprei cosa fare. Gli darei una palla”. Troverete questa frase sul libro di Eduardo Galeano.
È per questo che il gioco del calcio è il più bello del mondo. Oggi, soprattutto in Italia e Spagna, è diventato una schifezza e non mi appassiona più. L’ultimo giocatore che davvero è riuscito a farmi sognare era un ragazzino di Bari vecchia dalla faccia un po’ così. Uno che quasi non sapeva esprimersi prima di approdare nella grande città. Ebbi la fortuna di vederlo giocare assieme a un giovane nero. Enninaya mi pare si chiamasse. Il primo veniva dai quartieri un po’ disagiati di una città difficile. Il secondo aveva fame e voglia di mostrare al mondo quello che poteva fare un nero se lo si metteva in condizione di giocare ad armi pari con gli altri. Quel barese e quell altro erano poesia allo stato puro. Quando segnavano, molto spesso, gli avversari la prendevano con filosofia. Il portiere non scaricava improperi sulla difesa. Perché quei due non si potevano fermare. Poi Enninaya si è perso. Quell altro, il ragazzino barese, ha invece perso la testa. Poteva diventare il più grande di tutti, ma non ce l’ha fatta. Si parla di lui come di un “talento da gestire”. Io intendo questa frase come se un fenomeno da baraccone dovesse essere ben gestito perché renda di più.
Mi sono allontanato dal gioco del calcio perché ormai mi annoiava. Eppure, nonostante tutto, esistono ancora dei giocatori che ogni tanto ci riescono a farmi sognare. Uno è Luca Toni. Cosa ha che fare questo lungagnone che chiamano Tiramolla con il genietto di Bari vecchia? Toni fa cose impobbili. El Pais gli dedicò un articolo splendido. Diceva pressappoco così.

Non lo aiutavano né il nome né la fortuna. Quella storia del nome sembrava una sciocchezza, però pesa: Toni. Fa pensare a una partita di quartiere, a un campo senza erba e a una panchina. Luca Toni poi, non aveva alternative: o Luca o Toni. A proposito della fortuna vale la testimonianza di Marta, la fidanzata di sempre. “Quando lo conobbi era un po’ sfigato”. Marta lo incontrò cinque anni fa, nel momento più basso della sua carriera di calciatore. Se una successione di fallimenti come quella si poteva chiamare carriera.

Toni iniziò nel 1994 nel Modena e la stagione successiva continuò un serie C scendendo poco a poco la scala che porta verso il dimenticatoio. Dopo Modena andò ad Empoli, al Fiorenzuola e alla Lodidigani. Aveva 23 anni e vegetava nella Lodigiani senza prospettive di migliorare. A un’età in cui i grandi calciatori si sono già consacrati o sono sul punto di farlo, Toni decise di lasciare. Fu Marta che lo convinse a provarci. Ancora per un altro po’. Oltretutto non è che lui avesse granché da fare.
Seguì una piccola speranza: Toni passò al Treviso e fece 15 gol. Lo sfigato che sbagliava gol fatti e mandava alla luna i rigori si stava trasformando in un centrattacco apprezzabile, di quelli che danno allegria alle squadre modeste e che poi vengono dimenticati. Lo prese il Vicenza e Toni approdò in serie A. Il massimo a cui poteva aspirare. Nel 2001 passò al Brescia dove giocò due anni e condivise il campo con Roberto Baggio. Era molto più del massimo, era una di quelle storie che i nipotini avrebbero ascoltato più e più volte.
Nel 2003 ritornò in serie B. Aveva 26 anni e la sua carriera iniziava la parabola discendente. Fu in quel momento che accadde qualcosa. Fu come se la sfiga evaporasse e Toni prese a fare cose prodigiose come segnare 30 gol e portare il Palermo in serie A. La stagione successiva fece anche di più: 20 gol e Palermo in coppa Uefa.
Cesare Prandelli è un buon allenatore, che conosce la sfiga. Nel 2004 dovette lasciare il posto di allenatore alla Roma per stare al fianco della moglie malata. Dopo un anno a riposo fu contrattato qualche mese addietro dai Della Valle, i nuovi proprietari della Fiorentina. Pose soltanto una condizione: che gli prendessero Luca Toni. I ricchi Della Valle pagarono 18 milioni di euro al Palermo e si portarono Toni a Firenze.
Luca Toni è, a 28 anni, un attaccante eccezionale. Qualche settimana fa segnò una tripletta con la nazionale. Segnò nella prima di campionato. Segnò anche nella seconda. Ieri la Fiorentina doveva vedersela con un avversario difficile: l’Udinese del bomber Iaquinta. Il duello di arieti ha avuto un chiaro vincitore: Luca Toni che ha segnato due reti e propiziato la terza. Risultato finale 4-1. Iaquinta, dal canto suo, ha segnato un rigore e un gol annullato senza motivo.
Toni è qualcosa di più. Nelle sue ripartenze c’è una elasticità inverosimile. C’è precisione. È impossibile non ripensare a un altro lungagnone (1,88) come lui che segnava gol a grappoli e che, come Toni, ha avuto pochi anni di gloria. Toni è arrivato tardi al successo. Il tipo che viene in mente guardando Toni se n’è andato troppo presto, a 28 anni, pieno di cicatrici. Un peccato perché non ci sarà un altro Marco van Basten. La consolazione è che dal nulla sia spuntato fuori Luca Toni, fino ad oggi il suo miglior surrogato. (E. González)

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