Pentma vuol dire pietra, ma questo blog è solo un sassolino, come ce ne sono tanti. Forse solo un po' più striato.
mercoledì, maggio 03, 2006
Minority report
Amiche piacenti ne ho a bizzeffe (e anche a Bari), ma una come la mia amica Alexandra.....enjoy!
MINORANZE ETNICHE
Nelle ultime settimane uno stillicidio di attentati e di scontri tra esponenti della comunità e forze dell’ordine in varie città. In Parlamento battaglia sulla legge antiterrorismo
Curdi, la mina vagante che sfida la Turchia
Pugno duro del governo contro i militanti. I sintomi di una guerra fratricida all'interno della minoranza. E nel 2007 si vota per il nuovo presidente della Repubblica
Da Istanbul Alexandra Haas
Una ragazza si stacca dalla folla gridando e si getta in lacrime a cercare conforto fra le braccia di un militare altrettanto giovane, che l'accoglie senza parlare, comprensivo e rabbuiato. Una parente della vittima? Più probabilmente, solo una giovane turca sconvolta dal ritorno di violenze che la portano indietro di dieci anni.
Sono appena terminati i solenni funerali di un colonnello rimasto ucciso nell'esplosione di una mina piazzata dal Pkk. Alla moschea Kocatepe di Ankara, il 10 aprile erano presenti i maggiori rappresentanti di governo e opposizione, compreso il primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Aprile in Turchia è il mese più crudele, quello che si trascina dietro i conflitti sorti intorno al 21 marzo, giorno del Newroz, il capodanno curdo, festa di primavera con forti connotati politici. Ma quest'anno il conflitto è ben più grave. Basterebbero queste parole di Erdogan a confermarlo: «Le nostre forze di sicurezza interverranno contro chiunque si presti come strumento del terrorismo, donne e bambini inclusi».
Una sorta di licenza di uccidere da parte di colui che in agosto era stato salutato come il primo capo di governo turco che aveva riconosciuto l'esistenza di una «questione curda», che certo non è destinata ad allentare la tensione ma serve a legittimare gli interventi dei militari nell'Est del Paese.
La situazione è degenerata il 28 marzo a Diyarbakir, ai funerali di quattro dei 14 militanti del Pkk uccisi il giorno prima dalle forze di sicurezza. Lì, nella capitale morale di un ideale Kurdistan turco, i guerriglieri dell'organizzazione separatista di Abdullah Apo Ocalan sono ancora considerati degli eroi da molta gente. La cerimonia è sfociata in una manifestazione violenta, con la distruzione di vetrine e negozi. Nei giorni successivi la guerriglia urbana si è estesa alle città vicine. I militari hanno risposto con le armi, uccidendo almeno 13 persone, fra cui tre bambini. Le violenze non hanno risparmiato la regione occidentale: a Ist anbul altre tre persone sono rimaste uccise nell'incendio di un autobus colpito dalle molotov dei manifestanti, e nei giorni scorsi la megalopoli turca è stata teatro di numerosi attentati. Uno stillicidio che testimonia la tensione latente da tempo, una bomba a orologeria che rischia di scoppiare in un Paese che sta percorrendo la strada - tutta in salita, e disseminata di ostacoli - verso l'Unione Europea.
Una situazione che, stando a molte testimonianze, si è trascinata dietro diverse violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza. Si parla di centinaia di casi, molti che hanno come vittime dei minori. Secondo l'avvocato Cengiz Analay diversi bambini e adolescenti, fermati e portati in centri di detenzione, sono stati incappucciati, denudati, bagnati con getti d'acqua fredda e picchiati. E non sembra casuale che un ricercatore dell'organizzazione umanitaria Human Rights Watch sia stato espulso solo perché lavorava con un visto turistico.
Il sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir, criticato per aver elogiato in un discorso il coraggio dei manifestanti, si difende dicendo che era l'unico modo per convincerli a disperdersi senza usare la forza, ed esprime i suoi timori di uno scontro fra i popoli turco e curdo. Ma c'è chi è ancora più pessimista. Dogan Tilic, giornalista del quotidiano BirGun e corrispondente dell'agenzia spagnola Efe, arriva a ventilare la possibilità di una guerra fratricida fra curdi: «Curdi hanno distrutto negozi che appartenevano ad altri curdi. Negli anni Novanta, quando i negozi chiudevano su ordine del Pkk, i militari intervenivano per riaprirli. Stavolta invece i negozi sono stati distrutti, e lo Stato risarcisce queste perdite. E sono stati dei curdi a chiedere alle forze di sicurezza di intervenire per fermare le proteste».
Si respira una stanchezza diffusa: la gente in questi anni ha conosciuto la pace e non ha nessuna voglia di tornare indietro. Per questo è più difficile per il Pkk attrarre seguaci, mentre gli intell ettuali sempre più si schierano contro l'organizzazione separatista, che però detiene ancora un potere tale da aver tagliato fuori quella che l'anno scorso sembrava rappresentare la nuova speranza della pace, Leyla Zana. L'ex deputata incarcerata per 10 anni, osannata alla sua liberazione, è sparita dalla circolazione nonostante avesse annunciato qualche mese fa la nascita di un nuovo movimento politico. Le sue posizioni critiche nei confronti del Pkk non sono un segreto. Anche il governo turco, però, secondo Tilic, ha perso una grossa occasione: negli anni del cessate il fuoco non ha portato avanti un vero programma di riforme per risolvere la questione curda.
In questi giorni è in arrivo un appuntamento importante: verrà messa ai voti la nuova legge antiterrorismo presentata dal governo, e i deputati curdi annunciano battaglia. E sullo sfondo una scadenza cruciale: l'anno prossimo il parlamento dovrà scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Nessuno vuole che sia l'Akp, il partito islamico, ad eleggerlo. E non è escluso che gli scontri di Diyarbakir siano stati provocati per creare una crisi che spinga ad elezioni anticipate.
Tratto da Avvenire online
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