lunedì, maggio 19, 2008

Ommini & games



Corrado Ruggeri per il “Corriere della Sera – Roma” - Ha perso gli Internazionali di Roma, ma resta il numero uno nel ranking mondiale del tennis. Federer non è bello come Nadal, non è un idolo delle ragazzine, non ha una fidanzata superstar. E' un normalissimo ragazzo svizzero, «l'uomo più tranquillo che ci sia», dicono di lui all'hotel Hassler, in cima a Trinità dei Monti, albergo di fama e prestigio, rifugio dorato per viaggiatori ricchi e ricercati. Per questo ha un pò stupito che uno sportivo decidesse di scendere proprio lì, durante gli Internazionali. La Sharapova, per dire, preferisce l'Hilton. Federer ha preso una junior suite, nessuno sfarzo, nessuna richiesta particolare.

L'unico fuori programma, qualche minuto sulla terrazza per «vedere il panorama». Altro carattere dal tempestoso Leo Di Caprio, di cui in albergo ancora non dimenticano l'ultimo soggiorno. Interno notte, l'una appena passata. Leo è nella Presidential suite, tutta boiserie e stucchi. Nel suo letto non c'è nessuna, è venuto a Roma con un amico. Il desiderio irresistibile di quel momento è una playstation. Chiama il front desk e la chiede. Ma nell'hotel non ce ne sono. E' un eroico giovane delle guest relation, Emanuele Minuz, che si immola per il buon nome dell'albergo. Vola in motorino fino a casa, stacca la sua play e la porta a Di Caprio. Con il gioco che voleva, Gta3. La versione 4 ancora non c'era.

sabato, maggio 17, 2008

Armi di distrazione di massa



Poi dice che uno vota di Pietro. Un articolo assurdo, che poggia sull'aria fritta e che continua (presuntamente da sinistra) a sparare a palle incatenate contro quei pochi che non sono d'accordo col pensiero imperante di oggi.

Antonello Piroso per “Il Riformista”
Metti una sera, in una puntata immaginaria di un programma tv. Magari “Che tempo che fa” di Fabio Fazio (trasmissione la cui realizzazione è dalla Rai data in appalto. Alla società Endemol, di proprietà Mediaset. Ergo – se ragionassimo a caso di cane- Fazio sarebbe un impiegato di Berlusconi). Oppure meglio, per non salire antipaticamente in cattedra: magari “Omnibus”. Ospite unico: un giornalista dalla schiena diritta, uno che fa parte dell’associazione degli apoti, uno che non la beve e soprattutto le canta a destra come a sinistra.

Bene. A un certo punto, il sopra citato parte lancia in resta contro Antonio Di Pietro, con un intervento di questo tenore (comunque si può già vedere su YouTube): <

No. Qui si vuole citare un libro pubblicato nel maggio dell’anno scorso e che non risulta essere stato oggetto di querela alcuna. Ci riferiamo a Italiopoli di Oliviero Beha, un collega che collabora a l’Unità. Orbene, cosa si trova scritto in questo volume che ha la prefazione, pensate un po’, di Beppe Grillo, per la precisione a pagina 172, nel capitolo “Due storie semplici”? Che un avvocato sodale di Di Pietro nell’Italia dei Valori ha sporto denuncia contro di lui nell’autunno 2005, su “diverse condotte, tutte penalmente rilevanti e complesse... Gli addebiti spaziavano dal raggiro alla truffa contrattuale per il fine dell’ingiusto profitto personale…, dall’appropriazione indebita alla truffa nei confronti dello Stato per l’illegale ricorso al finanziamento pubblico ai partiti politici e tante altre ipotesi di reato tutte circostanziate” (applausi scoscianti).
E cari signori, sia ben chiaro: tali frasi testuali sono contenute, spiega Beha, in una lettera che il denunciante ha inviato nell’ottobre 2006 nientepopodimeno che al Capo dello Stato Giorgio Napolitano, nonché al Presidente del Consiglio Romano Prodi. Per farla breve, e sempre scorrendo l’opera: Di Pietro si è presentato all’Ikea della politica e ha messo in piedi un partito fai-da-te concentrato solo sulla sua persona, “fino al punto di ricevere tutti i finanziamenti pubblici previsti. Avrebbe poi trovato il modo di acquistare due immobili di pregio nel centro di Roma e Milano con una società di capitali con socio unico Di Pietro denominata An.To.Cri. srl, acronimo delle iniziali dei tre figli di Di Pietro, immobili poi affittati come sedi all’associazione Italia dei Valori” (applausi frenetici).
Saggiamente Beha aggiunge: “Nel momento in cui scrivo queste righe naturalmente io non so se tutto ciò sia vero. So solo che c’è un esposto in due Procure, non ancora archiviato anche se c’è stata di recente una richiesta in tal senso del sostituto procuratore di competenza in attesa delle decisioni del Tribunale”, e noi questa parte la sottoscriviamo in toto. Ma il problema rimane, sempre parafrasando l’autore: è vero o non è vero, che sia penalmente rilevante oppure no, quanto da Beha riportato? E perché non se ne parla? Per gli effetti debordanti che se ne avrebbero se fosse vero?
Mediaticamente, invece, c’è il silenzio. Che è la colonna sonora di ogni regime. Eppure nell’autunno del 2007 Elio Veltri, uscito dall’IdV nel 2001, ha dichiarato a Il Giornale che Di Pietro ha ammesso lo sbaglio. E proprio alla presentazione di "Italiopoli", a Milano. È andato da Beha, e onestamente ha detto: "È stato un errore". Be’, miei cari signori: le scuse tardive non bastano. Non possono bastare (ovazione). Ci si attenderebbe un gesto conseguente da parte dell’onorevole Di Pietro, ovvero la sua definitiva uscita dalla politica: perché se il sospetto è l’anticamera della verità (e noi, come l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, anche lui nell’Idv, ne siamo intimamente convinti), qui siamo andati ben oltre. In nome delle leggi e della Costituzione, quindi, onorevole Di Pietro, si dimetta>> (standing ovation).

Ecco, questo parodia fa riferimento a “fatti” -contenuti “in un libro” che riporta “una denuncia”- come potrebbero essere richiamati in un qualsiasi talk show televisivo. E anche se è un sommesso esercizio di stile che non intende essere offensivo, sia ben chiaro fin d’ora che noi ci dissociamo. Perfino da noi stessi.

venerdì, maggio 16, 2008

Ah, busciardi!!!

Il punto




Su richiesta di Gilles faccio un breve riassunto:

Bobo Maroni è ministro dell'Interno. Bobo Maroni si rifà a un partito, la lega nord, che nel paese è minoranza. Che ha rotto le scatole con la storia dell'indipendentismo padano per poi allearsi con Alleanza Nazionale che invece (a parole) fa della difesa del suolo patrio materia di campagna elettorale. Che ha un segretario (Umberto Bossi) che ha affermato (e per questo è sotto processo) che "col tricolore mi ci pulisco il culo". Che ha sempre chiamato gli africani "neger" e che ha soffiato sul vento della xenofobia per anni per conquistare qualche voto. Quel Bossi che dopo un coccolone da paura non ha avuto il buon gusto di ritirarsi dalla vita pubblica. Che quando parla ormai biascica. Che mette in imbarazzo qualsiasi italiano viva all'estero. Dall'altra parte invece c'è il Bobo, che ha il coraggio di fare discorsi come questo. In un paese serio gli direbbero di cercarsi un lavoro. Nel nostro lo fanno ministro.

Roma - Elogiando il ruolo della Polizia, e assicurando che dallo Stato arriverà il sostegno necessario "per migliorare la sicurezza del territorio", il ministro dell'Interno Roberto Maroni alla Festa per il 156° anniversario del Corpo, che si celebra oggi a Roma, in piazza del Popolo, ha avuto parole dure per chi si è reso protagonista degli attacchi contro i campi nomadi a Napoli. Avvertendo che solo con la fermezza "si può evitare che la rabbia prevalga sulle regole della convivenza civile e che si possano ripetere episodi di ingiustificabile violenza come quelli che si sono purtroppo verificati a Napoli a seguito dell'orribile tentativo di rapimento di una neonata".

La sottosegretaria al turismo

giovedì, maggio 15, 2008

In onore dei tanti passati dall'altra parte

...anche Frattini ovviamente

Pragmatismo frattiniano



I diritti umani? Non ci riguardano!, vero Frattini?

Frattini: «Non vedrò il Dalai Lama. Per non urtare gli amici cinesi»
Però precisa: «L'Italia sostiene la richiesta di autonomia del leader tibetano». L'Iran? Il ruolo dell'Italia è di «facilitatore»

ROMA - Il ministro degli Esteri Franco Frattini non intende provocare inutilmente gli «amici cinesi» incontrando il Dalai Lama, il leader spirituale tibetano. E’ quanto afferma in un’intervista al Financial Times, precisando però che il governo italiano sostiene la richiesta di autonomia avanzata dal Dalai Lama per il Tibet e si oppone alla sospensione dell’embargo sulle armi imposto alla Cina, come chiesto invece da alcuni Paesi europei.

IRAN - Il neoministro tocca poi nell'intervista altri temi. «L’Italia è pronta a sostenere la linea dura contro l’Iran, ma chiede di entrare a far parte del «club» formato dai cinque membri permanenti dell’Onu (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) e dalla Germania, chiamato a decidere sulle nuove sanzioni contro Teheran. Frattini critica il suo predecessore, Massino D’Alema, per aver compreso «troppo tardi» l’importanza di sedere al tavolo del «gruppo 5+1», impegnato sul dossier nucleare iraniano, e annuncia: «Ora l’Italia premerà per entrare veramente a far parte del club sull’Iran». Il ministro precisa che intende affrontare la questione con il Segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, alla conferenza dei donatori per l’Afghanistan, in programma a Parigi il prossimo giugno. «L’Italia non rimarrà isolata rispetto al gruppo ristretto di partner europei più gli Stati Uniti», ha aggiunto. E sosterrà la linea «molto dura» di Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito, «molto di più di quanto fatto dal precedente governo». Frattini propone quindi un ruolo di «facilitatore» per l’Italia nel dialogo tra Stati Uniti e Iran, sottolineando la necessità di garantire che l’Iran non sia più «una potenza regionale pericolosa», ma collaborativa.

I DUE FIORENTI ARRESTATI - Intanto, da fonti diplomatiche si apprende che il ministro degli Esteri si sta personalmente interessando alla vicenda di Sandro Accorinti e del figlio Marco, i due fiorentini agli arresti ormai da oltre 2 settimane in Inghilterra, con l'accusa di tentato rapimento di una minorenne anglo-packistana di fede musulmana conosciuta da Marco, 17 anni, via Internet. È intenzione del ministro Frattini promuovere un suo contatto con le autorità britanniche.

La casta si difende


ROMA - La botta è di quelle che fanno rumore. Marco Travaglio, il giornalista paladino del giustizialismo che si è fatto tanti ammiratori e diversi nemici con le sue denunce, ora subisce l'«effetto letale del metodo Travaglio». E proprio lui, Marco Travaglio - che giovedì scorso, ad «Annozero», ha ricostruito i rapporti avuti nel '79 dal presidente del Senato Renato Schifani con Nino Mandalà, allora solo futuro boss di Villabate poi accusato di mafia nel 1998 - adesso è costretto a difendersi pubblicamente per un episodio circoscritto alla sua vita privata. Lo deve fare per forza dopo l'affondo di un altro giornalista della giudiziaria di razza, Giuseppe D'Avanzo di «Repubblica », che lo tira in ballo e lo strapazza per le sue vecchie e non dimenticate frequentazioni con personaggi poi condannati al processo per le «talpe» alla procura di Palermo. Correva l'anno 2002. Era l'estate in cui il giornalista Travaglio con la sua famiglia, moglie e due figli, inizia ad andare in villeggiatura a Trabìa in compagnia di un noto sottufficiale della Guardia di Finanza: si tratta di quel maresciallo in forza alla Dia, Giuseppe Ciuro, sempre elegante e disponibile con tutti i giornalisti di giudiziaria di passaggio a Palermo, che poi verrà condannato anche in appello a quattro anni e sei mesi per violazione del sistema informatico della procura di Palermo e favoreggiamento dell'ingegner Michele Aiello.

Sì, l'ingegner Aiello, il «re delle cliniche» che a gennaio del 2008 è stato condannato in primo grado a 14 anni per associazione di stampo mafioso e truffa nel dibattimento sulle «talpe» che ha coinvolto con una pesante sentenza (5 anni per favoreggiamento di singoli mafiosi) anche l'ex governatore dell'Udc Totò Cuffaro. Per Travaglio il colpo è duro anche perché si tratta, ma solo in apparenza, di «fuoco amico». Sull'onda delle polemiche innescate dalla vicenda Schifani, si muove infatti D'Avanzo, autore di tante inchieste sulla mafia e molto stimato negli ambienti giudiziari di mezza Italia, che senza troppi complimenti fa a pezzi il metodo Travaglio: quello, scrive, che «solo abusivamente si definisce giornalismo di informazione». Ma la botta vera arriva ieri quando D'Avanzo, per dimostrare come «il metodo Travaglio» possa coinvolgere tutti noi, tira fuori un verbalino rimasto in naftalina dal 2003: l'estate in cui gli investigatori di Palermo mettono sotto intercettazione il telefonino del maresciallo Ciuro mentre dialoga amichevolmente col giornalista durante la comune villeggiatura a Trabìa. Ciuro poi, ma la ricostruzione di D'Avanzo è controversa, avrebbe chiesto all'ingegnere Aiello di saldare il conto dell'albergo. Racconta Travaglio, che ieri non è stato affatto contento di leggere sul giornale per il quale collabora un attacco così duro e che nega di essersi fatto pagare alcunché: «Quella fu una esperienza davvero fantozziana. A una cena, dopo un convegno, chiesi a Pippo Ciuro, un vero personaggio perché aveva collaborato anche con Giovanni Falcone, di indicarmi un posto per le vacanze in Sicilia. Lui mi disse che c'era un posto vicino a quello in cui di solito andavano lui e il pm Antonino Ingroia, di cui era collaboratore. Così, per mail, mi mandò un depliant di un albergo, se non ricordo male si chiama Torre del Barone, che però era veramente troppo lussuoso per me. Ma lui, davanti alle mie obiezioni, mi disse di non preoccuparmi perché le tariffe non sarebbero state poi così care. Mi fidai. Quando poi sono andato a pagare, alla reception la signorina mi ha presentato un conto pazzesco, il doppio del previsto. Sei o sette anni fa, devo aver pagato l'equivalente di otto, dieci milioni...Telefonai a Ciuro e gli dissi: "E meno male che me lo hai segnalato tu 'sto posto!". E lui: "Paga, paga. Che poi magari ti fanno lo sconto un'altra volta". Insomma, io mi sono pagato tutto di tasca mia e di questo Aiello non ho mai sentito parlare, almeno fino al giorno del suo arresto... Io comunque in quel posto non ci sono mai più tornato visto che la sòla l'avevo già presa». L'anno successivo, mese di agosto del 2003, Travaglio torna in vacanza in Sicilia: «Andai con la famiglia per dieci giorni al residence Golden Hill di Trabìa dove di solito alloggiavano Ciuro e Ingroia e ci fu quella buffa storia dei cuscini poi finita nei brogliacci delle intercettazioni. Io chiamai Ciuro e gli dissi: "Qui manca tutto. I cuscini, la macchinetta del caffé perché i precedenti affittuari si erano portati via tutto. Poi gli ospiti del residence mi aiutarono: chi con un cuscino, chi con la Moka... ». E l'affondo di D'Avanzo? «Ecco, se non fosse per la mascalzonata che ha fatto adesso questo signore contro di me ci sarebbe solo da ridere». Ma al Golden Hill chi pagò il conto? Risponde Travaglio: «Io ho pagato la prima volta il doppio di quanto stabilito e per il residence ho saldato il conto con la proprietaria. Tutto di tasca mia, fino all'ultima lira e forse se cerco bene trovo pure le ricevute. Ma poi vai a sapere cosa cavolo diceva questo Ciuro al telefono. Magari millantava come fece con Aiello quando gli raccontò che lui e Ingroia avevano ascoltato a Roma un pentito il quale, in realtà, non si era mai presentato ». Anche se dopo il suo arresto non ha più visto il giornalista Travaglio, l'ex maresciallo Ciuro ricorda bene quella vacanza al «Golden Hill» con Travaglio e il dottor Ingroia durante la quale «si stava insieme, si giocava a tennis e si facevano lunghe chiacchiere a bordo piscina ma poi ognuno faceva la sua vita anche perché c'erano i figli piccoli». E il conto? «Di questa vicenda io non ne so niente, lui ebbe i contatti con la signora del residence. Per il pagamento se l'è vista lui, io non me ne occupai ». Più di un dubbio, invece, ce l'ha l'avvocato Sergio Monaco, difensore di Aiello: «Premesso che non sono io la fonte di D'Avanzo, che non conosco, posso solo dire che l'ingegner Aiello conferma che a suo tempo fece la cortesia a Ciuro di pagare un soggiorno per un giornalista in un albergo di Altavilla Milicia. In un secondo momento, l'ingegnere ha poi saputo che si trattava di Travaglio». Qui finisce la storia di una vacanza di tanti anni fa, uno di quegli episodi che possono capitare a chiunque ceda alla tentazione di mischiare villeggiatura, amicizie di lavoro e qualche equivoco di troppo. Ricorrendo alla saggezza di Pietro Nenni, istillata ai giovani socialisti a un congresso del Psi, si potrebbe parafrasare: «A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura».

Dino Martirano per Corriere.it

mercoledì, maggio 14, 2008

Per par condicio

Ecco i Duran Duran

Gli anni '80

Furono un decennio fantastico in tanti posti. A livello musicale poi sono stati indimenticabili. In Italia il mondo era spaccato fra Spandau Ballet e Duran Duran. Dicevano che eravamo un grande paese e non era vero, ma non pensavo che a livello politico sarebbe stato peggio di allora...

Diamoci un taglio...

Aldo Forbice, uno dei giornalisti più sopravvalutati del globo (e dell'etere)terracqueo. La sua notoria maleducazione con chi non la pensa come lui è audibile sulle onde di radiorai (anche radiorai, per chi non lo sapesse, è pubblica). Qui insulta migliaia di persone (c'è chi dice milioni)

Ciò che fu detto

Agcom contro Travaglio e Santoro

Dopo il consiglio d'amministrazione della Rai e la magistratura, a cui si è rivolto il presidente del Senato, anche l'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni ha deciso a maggioranza di aprire un'istruttoria contro la Rai sul caso Travaglio.

(Gar. Comunicazioni 14.5.2008)
Istruttoria contro la Rai da parte dell'Autorità per le trasmissioni Annozero del primo maggio e Che tempo che fa del 10 maggio. L'Agcom contesta alla tv pubblica "la presunta violazione dell'articolo 4 (diritti fondamentali della persona) e dell'articolo 48 (compiti del servizio pubblico) del Testo unico della radiotelevisione". La decisione di aprire l'istruttoria è stata presa a maggioranza.(14 maggio 2008)

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Nota 14 maggio 2008

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha deciso oggi, a maggioranza, di aprire un’istruttoria nei confronti della RAI per le trasmissioni “Anno Zero” del 1° maggio e “Che tempo che fa” del 10 maggio, contestando alla Concessionaria pubblica la presunta violazione dell’articolo 4 (diritti fondamentali dellapersona) [1] e dell’articolo 48 (compiti del serviziopubblico)[2] del Testo unico della radiotelevisione.

I procedimenti così aperti si svolgeranno nel rispetto delle garanzie procedurali previsti dalla legge e dai regolamenti dell’Autorità.

Un gran pezzo

PAVAROTTI’S WEDDING
di Maria Corbi tratto da “Facce di Bronzo” (Mondadori)

Il caldo la faceva impazzire. Quei 10 gradi erano veramente troppo per quel colbacco di zibellino e il cappotto lungo fino a terra, "cappotto con le ruote", la prendeva in giro Laura, la sua compagna di sventura, incappottata anche lei nel cachemire, con mega croce della vandea spillata sul petto, due vere signore, se non fosse per quei rivoli di sudore che scendevano dalla fronte, per quell'ansia che le opprimeva, come ogni volta, quando per esigenze di lavoro dovevano dipingersi la faccia di bronzo e imbucarsi sfacciatamente in luoghi dove erano assolutamente non desiderate. E soprattutto, mentre camminavano nel centro di Modena, destinazione teatro comunale, si chiedevano: "Ma chi ce lo fa fare?".

Il colbacco calava sempre più sulla fronte di Maria che procedeva a tentoni per il corso, verso il luogo dove si sarebbe svolto il matrimonio di Luciano Pavarotti da cui la stampa era stata gentilmente esclusa. Look griffatissimo per sfondare i controlli, ma dentro di loro le due poverette si sentivano molto come Totò e Peppino a Milano con il colbacco ad agosto. Più o meno.

Laura Laurenzi e Maria Corbi
© Foto U.Pizzi
Un ferreo servizio d'ordine, una lista degli invitati blindata e guardie ovunque. Le due giornaliste (perché, dimenticavo, questo fanno le due protagoniste, non le ladre) avevano come al solito una mission impossible da compiere: partecipare a quelle nozze senza esserne state pregate. Anzi...

"E dire che tutti pensano che invece di lavorare ce la spassiamo un sacco....". Maria come al solito borbottava. Proprio quella mattina una sua cara amica, della categoria "non faccio nulla nella vita ma mi lamento sempre di avere troppo da fare" le aveva detto: "bella la vita eh? Sempre in giro per feste,,,,". Una cosa che la faceva imbestialire.

Il teatro si avvicinava e anche il servizio di sicurezza. Al primo posto di blocco: tutto ok. Con quel colbacco e con quella spilla chi avrebbe osato fermarle? Ma una volta entrate nel teatro ecco il primo, vero, problema. Una gentile signorina spuntava da una lista i nomi degli invitati che poi venivano accompagnati ai loro posti.

Il pelo dello zibellino era ormai calato definitivamente sugli occhi di Maria quando una voce le chiese: "Lei è...?". ""Già chi sono io", pensò la poveretta mentre una voce dalle sue spalle le venne, come sempre, in soccorso. "La signora Trussardi". Laura aveva preso la situazione in mano e la parte della mia assistente. Benedetta improvvisazione. Tra il caldo, l'imbarazzo e la paura sul volto di Maria era apparsa una smorfia di naturale arroganza. Il mento che si alza, il cappotto che spazzola per terra e la signorina che molto gentilmente le dice: "Signora Trussardi lei sa che ha un palco prenotato?". Momento di sgomento. Solo un momento. "Certo", la lapidaria e antipatica risposta, il modo migliore per mimetizzarsi da vip. Niente di meglio che un arrogante faccia di bronzo.

"L'accompagno", continuò la poveretta che si capiva benissimo che stava pensando: "Ammazza che stronza che è questa". E' ancora Laura a rispondere, per liquidare la zelante hostess: "Non ce ne è bisogno grazie".

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Big Luciano con Bono Vox degli U2
Erano entrate. Ma ancora mancava mezzora all'inizio della cerimonia e sarebbe arrivata anche la vera e sola signora Trussardi, legittima ospite del palchetto 26. "Che facciamo?". Le due si interrogano mentre intorno a loro sfrecciano invitati. Non rimane che la soluzione di emergenza, buona per tutte le occasioni: rifugiarsi in bagno. Una decina di minuti passano così con Maria e Laura che fingono di rifarsi il trucco. Poi una voce al microfono invita tutti a prendere posto e si dirigono in platea sedendosi su due poltrone libere, pronte a cederle appena fosse arrivato il legittimo occupante. Allora avrebbero detto: "Ci scusi ci siamo sbagliate...".

Iniziando così il solito umiliante pellegrinaggio tra poltrone riservate ad altri e il conto alla rovescia fino alla cacciata. "Smettila di guardare l'orologio che mi innervosisci", sbotta Laura. Il nervosismo tipico che precede una umiliante espulsione monta fino a che finalmente le luci si abbassano e la musica inizia a invadere il teatro. Luciano Pavarotti sale sul palco e gli occhi di tutti puntano verso l'ingresso della platea dove Nicoletta Mantovani, in versione "la riscossa di Cenerentola", sta per fare il suo ingresso.

"Abbiamo il pezzo", dicono guardandosi Maria e Laura sollevate. "Se poi riusciamo a entrare anche al pranzo di nozze meglio, ma intanto ne avremo qui da raccontare in presa diretta". Iniziate le nozze-show nessuno le avrebbe rovinate cacciandole. Perchè, dimenticavo, le nostre giornaliste non si fanno cacciare tanto facilmente e come ultima mossa sfoderano sempre la "scena da pazza". Di solito l'imbarazzo e le urla sono tali che alla fine ottengono di rimanere.

Pavarotti e Bocelli
L'occasione rende avide e così si inizia a ragionare sul piano numero due: l'ingresso nel tendone dove ci sarà una colazione per sole duecento persone tra cui Sting, Zucchero, Bono e gli altri U2, Andrea Bocelli e una carrellata infinita di personaggi del mondo della musica. Ovviamente con un esercito di body guard addestrati a fiutare un giornalista a distanza. "Non ce la farete mai", aveva previsto un cronista di un giornale locale a cui avevano chiesto informazioni. Ma la fortuna aiuta gli audaci, anzi le facce di bronzo.

All'uscita del teatro le due false ospiti incrociano un vecchio amico di Roma, invitato doc, megaburocrate Rai. Saluti e baci e una domanda: "Non c'è tua moglie?". "No, non stava troppo bene ed è rimasta a casa". Mai parole furono più dolci per Laura e Maria che presero il malcapitato sottobraccio, cinguettando felici: "Ma allora stai con noi! Hai una macchina?". IL signor X era quello che ci voleva, sarebbe stato lui il cavallo di Troia che le avrebbe introdotte alla festa dell'anno.

"Certo", rispose lo sventurato che mai avrebbe creduto che quelle due signore incappottate che lui conosceva come assennate lo stavano, in realtà, usando. E così le nostre riuscirono a varcare la soglia del grande tendone da circo bianco. Ma non era finita. Ecco altre signorine vestite di blu che braccavano chiunque entrasse per indicargli il tavolo che gli era stato assegnato. Il povero accompagnatore si trovò improvvisamente solo. "Ma dove sono andate?", chiese a un conoscente che alzò le spalle: "Non so". In bagno ovviamente. Le due erano nel loro solito buen retiro di queste occasioni: il cesso, un grande e fedele alleato.

Pava con Zucchero e Sting
Quando ne uscirono avevano sempre i lunghi cappotti indosso. Non potevano fare altrimenti visto che sotto erano vestite casual, con pantaloni neri e girocollo nero, una sorta di divisa da lavoro rubata a Diabolik.
I tavoli erano una ventina. Bisognava sedersi il più in fretta possibile. Il numero 3 era abbastanza libero. Un saluto di cortesia agli altri commensali, una presentazione con nomi inventati e poi ancora il conto alla rovescia. Quando anche gli ultimi due legittimi occupanti di quel tavolo arrivarono a reclamare le loro sedie, Maria, con finta tranquillità disse: "Scusate, abbiamo letto male sul cartellino, il nostro tavolo non è il 3 ma il 13". Scena che si ripetè per quattro interminabili volte.

Rimaneva un unico tavolo libero da provare ad espugnare: il 17. Solo un uomo tutto vestito di nero e con l'aria poco raccomandabile vi sedeva insieme a due amici. "Proviamo", disse Laura. "Si proviamo, ma mi sa che è il tavolo degli autisti", continuò Maria. Si sedettero. Il tizio vestito di nero, educatamente si presentò: "Bono Vox". Il tavolo degli U2, ecco perché era vuoto. Ma ormai era atta e il signor "poco raccomandabile" fu educato e non cercò di cacciare le intruse. Iniziava il pranzo e finiva l'agonia. Missione compiuta e anche scoperta dai giornali locali che il giorno fecero un articolo sull'impresa. Titolo: "Da inviate speciali a invitate speciali, due giornaliste si imbucano al matrimonio dell'anno". Facce di Bronzo su commissione.

In onore della Benini

Una canzone per lei. A buon intenditor...

Giornalisti un po' così



Attacco a Saviano sul Foglio, prima pagina. Scrive Annalena (Benini): «Roberto Saviano, giovane scrittore di mondiale successo, dovrebbe avere una cosa solo in testa: le ragazze». Annalena consiglia a Saviano di smetterla di dire cose «da vecchio martire inascoltato e abbandonato, mentre lui è il supereroe dei giorni nostri, la grande rivelazione editoriale, il ragazzo che racconta le sue verità sul mondo, mentre il mondo ringrazia e Mondadori corre a tirare un’altra ristampa». Annalena definisce Saviano una icona pop alla Andy Warhol e lo invita a comportarsi di conseguenza. Infine, Annalena se la prende con «tutti i viscidi che stanno trasformando Roberto Saviano in un’effigie eroica, infelice e malvestita con un sito Internet di maniacale accuratezza tradotto in cinque lingue». L’unica cosa che condivido è il fatto che Saviano veste maluccio. Ricordo che in una bellissima intervista a Joe Pistone, il famoso Donnie Brasco dell’omonimo film, l’agente Fbi che si infiltrò per anni nella potente famiglia mafiosa dei Bonanno, Saviano stesso raccontava di essere stato accolto dall’elegantissimo Pistone con questa frase: «Difficile che un italiano vesta male come te».

Adesso. Che il Foglio sia quello che sia lo sappiamo. Che però una persona banale come la Benini vinca un premio giornalistico la dice lunga sulla situazione del giornalismo in Italia. Poveraccia, cosa non si fa per avere un po' di attenzione.

lunedì, maggio 12, 2008

Schifani querela Travaglio

Se Schifani perderà la causa mi aspetto assieme a qualche milione di persone che il presidente Schifani si dimetta. E anche che i quotidiani come Libero e il Giornale mettano, eventualmente, la notizia in bella evidenza

Roma, 12 maggio 2008
Il presidente del Senato Renato Schifani ha dato mandato ai suoi avvocati per agire giudizialmente nei confronti "delle affermazioni calunniose rese nei giorni scorsi nei riguardi della sua persona". E' quanto afferma una nota dell'ufficio stampa del Senato.

"Sarà quella la sede in cui, da una puntuale ricostruzione dei fatti, la magistratura potrà stabilire le responsabilità di coloro che hanno dato luogo ad un'azione altamente diffamatoria nei riguardi del Presidente del Senato".
"Quasi quasi - commenta a caldo il giornalista - mi sta bene: finalmente ci sarà una sede che potrà appurare se ho detto la verità. A differenza dei politici, i giudici stanno ai fatti, e in tribunale le chiacchiere stanno a zero".

"Dopo tre giorni di delirio che prescinde dai fatti - dice Travaglio - si potrà stabilire se le cose che ho detto me le sono inventate, se se l'è inventate Lirio Abbate e tutti coloro che le conoscono. Se si arriverà a questa conclusione, vorrà dire che Schifani ha ragione. Se il presidente del Senato verrà interrogato, mi auguro però che dia spiegazione su quei fatti sui quali ho chiesto spiegazioni. Speriamo sia un giudice a inchiodarlo ai fatti".

"Abituato alle denunce", il giornalista ricorda che è stato "assolto otto volte su otto per la partecipazione a Satyricon", il programma di Daniele Luttazzi, e che "sulla vicenda Raiot, la trasmissione di Sabina Guzzanti, i giudici hanno stabilito che non è stato diffamato nessuno. Il problema è che intanto Satyricon e Raiot sono stati chiusi e non sono ritornati in onda. Rimane però la piccola soddisfazione delle cause vinte. Se vuole aggiungersi alla lista - conclude Travaglio - si accomodi il presidente Schifani".
da Rai.it

domenica, maggio 11, 2008

Voi immaginate...

...una cosa del genere negli Stati Uniti? Ma la libertà di stampa non è cosa italiana.

NOTA UFFICIALE - La Rai ha poi deciso di adottare subito un provvedimento. Nella puntata di questa sera Fabio Fazio in avvio di trasmissione leggerà una nota ufficiale della direzione generale di viale Mazzini. «Non posso che scusarmi» ha commentato il conduttore. «"Che tempo che fa" ha sempre cercato di rispettare due principi. Il primo: consentire la totale libertà di espressione a tutti i propri ospiti, evidentemente anche quando non se ne condividono le opinioni, come ho esplicitamente sottolineato in diretta a proposito di alcune affermazioni fatte da Marco Travaglio nel corso della puntata. Il secondo è quello di non offendere nessuno. Tanto più se assente e dunque impossibilitato a difendersi. L'offesa non mi appartiene. Quindi, quando ciò accade, non posso che scusarmi. A maggior ragione in questo caso per il rispetto che è dovuto alla Istituzione che il Presidente Schifani rappresenta. E desidero ribadirgli che, se e quando lo riterrà opportuno, sarà il benvenuto a "Che tempo che fa". Rispettare la doppia libertà - ha concluso Fazio -, quella di chi c'è e quella di chi non c'è, è sempre stato e rimarrà l'obiettivo di questa trasmissione».

Sono balle?

allora denuncino Travaglio, altrimenti tacciano.

Riporto la “carta d’identità” tratta da “Se li conosci li eviti”, libro pubblicato da Chiarelettere e scritto da Peter Gomez e Marco Travaglio, dell’attuale Presidente del Senato.
Schifani Renato Giuseppe (FI)
Anagrafe: Nato a Palermo l’11 maggio 1950.
Curriculum: Laurea in Giurisprudenza; avvocato; dal 2001 capogruppo di FI al senato; 3 legislature (1996, 2001, 2006).
Segni particolari: Porta il suo nome, e quello del senatore dell’Ulivo Antonio Maccanico, la legge approvata nel giugno del 2003 per bloccare i processi in corso contro Silvio Berlusconi: il lodo Maccanico-Schifani con la scusa di rendere immuni le “cinque alte cariche dello Stato” (anche se le altre quattro non avevano processi in corso). La norma è stata però dichiarata incostituzionale dalla consulta il 13 gennaio 2004. L’ex ministro della Giustizia, il palermitano Filippo Mancuso, ha definito Schifani “il principe del Foro del recupero crediti”, anche se Schifani risulta più che altro essere stato in passato un avvocato esperto di questioni urbanistiche. Negli anni Ottanta è stato socio con Enrico La Loggia della società di Villabate, Nino Mandalà, poi condannato in primo grado a 8 anni per mafia e 4 per intestazione fittizia di beni, e dell’imprenditore Benny D’Agostino, poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo il pentito Francesco Campanella, negli anni Novanta:
il piano regolatore di Villabate, strumento di programmazione fondamentale in funzione del centro commerciale che si voleva realizzare e attorno al quale ruotavano gli interessi di mafiosi e politici, sarebbe stato concordato da Antonio Mandalà con La Loggia. L’operazione avrebbe previsto l’assegnazione dell’incarico ad un loro progettista di fiducia, l’ingegner Guzzardo, e l’incarico di esperto del sindaco in materia urbanistica. In cambio, La Loggia, Schifani e Guzzardo avrebbero diviso gli importi relativi alle parcelle di progettazione Prg e consulenza. Il piano regolatore di Villabate si formò sulle indicazioni che vennero costruite dagli stessi Antonino e Nicola Mandalà [il figlio di Antonino che per un paio d'anni ha curato gli spostamenti e la latitanza di Bernardo Provenzano, nda], in funzione alle indicazioni dei componenti della famiglia mafiosa e alle tangenti concordate.
Schifani, che effettivamente è stato consulente urbanistico del comune di Villabate, e La Loggia hanno annunciato una querela contro Campanella.
Blog Antonio Di Pietro 10 maggio 2008

Un groupe des connards



Justice "stress"

Our little Kennedy, il nostro ministro della giustizia


John Fitzgerald Alfano in tutta la sua bellezza
da Corriere.it
Siccome non possono darmi del noto mafioso e neppure del giuridicamente incolto, avendo un curriculum probabilmente migliore di quello di Di Pietro, mi attaccano dicendo che sono troppo giovane e troppo vicino a Berlusconi. Ma non credo che essere giovane sia una colpa; anzi. E della vicinanza a un leader che ha preso più di 20 milioni di voti sono orgoglioso e meno un gran vanto». Angelino Alfano, uomo nuovo del governo Berlusconi, il Guardasigilli più giovane di sempre, lo dice sorridendo. Ma in effetti le critiche che gli sono arrivate, e non solo da Di Pietro, riguardano proprio i 38 anni non ancora compiuti e il rapporto stretto con il capo. In questi giorni concitati, gli è accaduto di ragionare con i collaboratori del «riflesso gerontocratico», «da Paese poco moderno», che ha sotto gli occhi. «Altrove non funziona così.

Quando Jfk decise di riformare la giustizia americana, a chi si affidò? Al fratello. Che, per giunta, era giovanissimo. È così a maggior ragione oggi, in tutte le grandi democrazie. In Spagna il ministro della Difesa ha 36 anni, il negoziatore che conduce le trattative per l'ingresso della Turchia in Europa ha quarant'anni, nei Paesi scandinavi coinvolgere giovani nel governo è regola. In Inghilterra, dove Gordon Brown appare vecchio a 53 anni, l'età a cui Veltroni si crede giovane, i successori della classe dirigente del Labour hanno appena compiuto quarant'anni: Miliband alla mia età era già ministro degli Esteri. Lo stesso vale per il leader conservatore Cameron. Il nuovo sindaco di Londra è nato nel '66. Quando nel '97 Blair si candidò premier, i Tory provarono a sminuirlo con lo slogan "non affidate a un ragazzo il lavoro di un uomo". Vinse il "ragazzo". Ora, io mi guardo dal paragonarmi a questi personaggi. Non sono Blair, e non sono neppure candidato premier. Ma la polemica contro la giovane età è un boomerang per chi la fa».

Alfano — Angelino all'anagrafe per non essere confuso con il padre Angelo, vicesindaco Dc di Agrigento — ha fatto tutto molto in fretta. La laurea alla Cattolica di Milano a 22 anni. Poi il dottorato di ricerca, «vinto nel dipartimento più rosso dell'università di Palermo»: diritto privato generale, direttore Alfredo Galasso. La politica comincia al liceo, «ero il leader del movimento giovanile antimafia. Metà degli Anni '80, il tempo dell'assassinio di Dalla Chiesa e Chinnici». Poi la guida dei giovani Dc della provincia di Agrigento. Ma la prima campagna è con Forza Italia: nel '94, consigliere provinciale. Due anni dopo è il più giovane eletto all'Assemblea regionale. «Ero già fidanzato con Tiziana, che ora è mia moglie, ma vivevo ancora con i genitori». Il Giornale di Sicilia titola: «Mamma, vado a fare l'onorevole». «Però continuai a studiare diritto. Così mi abilito da avvocato, tengo le prime lezioni all'università. Corsi, seminari, esercitazioni».

L'incontro con Berlusconi è legato alle tormentate vicende del governo siciliano, che tra il '96 e il 2001 passa da destra a sinistra e poi di nuovo a destra. Da capogruppo all'Ars, Alfano — «in sintonia con Micciché » — è il regista del controribaltone. «Berlusconi volle conoscermi. Si parlò di me anche come candidato alla presidenza della Regione, ma alla fine fu scelto Cuffaro. Mi proposero un ticket con lui. Rifiutai. Preferivo andare a Roma a fare il peone. Invece mi hanno fatto relatore della riforma fiscale, poi del decreto d'abolizione degli enti inutili, quindi della riforma delle fondazioni bancarie». Nel 2005, Berlusconi gli affida il partito in Sicilia. «È vero, con il presidente c'è un rapporto fortissimo. È un uomo straordinario, che tiene molto ai giovani. Dicono che questo sia il governo del premier. Bene. Giocare con una squadra coesa politicamente è un vantaggio».

Al ministero di via Arenula, dice Alfano, si va per applicare il programma: più giustizia, più sicurezza. Per questo non rilascia interviste: «Voglio parlare con il primo atto, il decreto per la sicurezza», che sarà emanato dal suo ministero. Regime carcerario più stretto, «aggressione ai pirati della strada e ai rapinatori», con immediata sanzionabilità, pene più severe, accesso più difficile a sconti di pena, processo per direttissima obbligatorio per chiunque venga colto in flagranza, sospensione condizionale della pena non più automatica; e poi, «fatte le necessarie verifiche europee cui si sta già provvedendo», l'introduzione del reato di immigrazione clandestina, con conseguente espulsione. Mai più indulti; «non mi pare proprio che il clima sia questo». Piuttosto, «occorre costruire nuove carceri, e ammodernare quelle che già ci sono».

Nella riforma della magistratura, il governo si troverà però di fronte i magistrati. «Ma io oggi vedo un umore, un clima diverso, che può consentire riforme condivise. E c'è da riformare non solo la giustizia penale ma anche quella civile. Berlusconi non ha mai cambiato politica della giustizia; ha detto sempre le stesse cose, nel '94, nel '96, nel 2001, nel 2006, e ora nel 2008. La novità è questa distensione, di cui si vedono già i primi segnali», come l'intervista al Corriere del segretario dell'Associazione magistrati. Anche qui si tratta di applicare il programma, «scritto con mano prudente e lingua chiara», in cui — fa notare Alfano — non si parla di separazione delle carriere, ma di «rafforzamento della distinzione delle funzioni» tra magistratura inquirente e giudicante, «come avviene in tutti i Paesi europei ». Per quanto riguarda le intercettazioni, le nuove regole ne limiteranno diffusione e pubblicazione, e le riserverà «ai reati più gravi, mafia compresa ovviamente». A proposito: le prime firme del nuovo Guardasigilli sono state apposte a undici atti — sei rinnovi, un diniego di revoca, quattro nuove applicazioni — riguardanti il 41 bis, cioè il carcere duro per i mafiosi.
Aldo Cazzullo

Schifani contro tutti




Gasparri: Azioni legali e conseguenze politiche per le dichiarazioni di Travaglio da Fazio

Azioni legali e conseguenze politiche che investiranno anche i vertici della Rai le preannuncia Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl, per le dichiarazioni di Marco Travaglio nel programma che 'Tempo che Fa' condotto da Fabio Fazio.

"Ancora una volta il cosiddetto servizio pubblico della Rai viene messo a disposizione, senza contraddittorio, dalla condotta diffamatoria di Marco Travaglio giudicato con eccesso di generosita' da Vittorio Sgarbi nei giorni scorsi. Le offese al presidente del Senato Schifani - ha dichiarato Gasparri - troveranno la giusta risposta nelle sedi giudiziarie. Ma il problema investe i vertici della Rai e in particolare il direttore generale il cui mandato per fortuna cessa tra venti giorni per la scadenza di legge. La vergognosa utilizzazione diffamatoria della Rai non puo' proseguire e di questo devono rendersi conto anche i consiglieri in scadenza ma ci auguriamo non scaduti in termini morali. Travaglio usa ed abusa dei mezzi pubblici ma la sua attivita' diffamatoria non ha nulla a che vedere con la liberta' di informazione. Di Fazio, megafono della calunnia, non vale nemmeno la pena parlare. La questione avra' comunque inevitabilmente conseguenze di ordine politico e legale".

Adesso io mi chiedo: visto che Travaglio sembra si sia rifatto a documenti processuali, dove sta il reato? Perché non si risponde sui fatti anziché in tribunale? Forse perché quanto affermato da Travaglio é vero?

sabato, maggio 10, 2008

Cinque vermi

Metterò le foto dei cinque bastardi che hanno massacrato il ragazzo a Verona. Volevo solo dire che rischiano al massimo 18 anni di galera. 18 anni!!! Negli Stati Uniti, grande paese che gli ameriKani del piffero che ci sono da noi non conoscono davvero, costoro non saranno, forse, considerati tutti responsabili. Negli USA per una cosa del genere non si esce più. Inoltre è passato il concetto secondo cui "tutti i partecipanti a un crimine sono UGUALMENTE responsabili". In un'aggressione come quella di Verona non importa CHI abbia colpito con il colpo finale. TUTTI sono da considerarsi responsabili.

martedì, maggio 06, 2008

Ma chissà perché hanno perso...



Marco Travaglio per l’Unità
Oggi il Consiglio di Stato, dopo nove anni di battaglie legali in Italia e in Europa, decide di quanto lo Stato debba risarcire Europa7 per la mancata assegnazione delle frequenze e se consentirle finalmente di trasmettere su scala nazionale. Nella causa il governo è rappresentato dall’Avvocatura dello Stato. La quale sorprendentemente è stata incaricata dal ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni di respingere le richieste dell’editore Francesco Di Stefano e di difendere lo status quo: cioè la legge Gasparri e il diritto di Rete4 a occupare le frequenze anche senza concessione (perduta da Mediaset e vinta da Europa7 nel 1999).

Un fatto già abbastanza singolare: l’Unione aveva promesso di abrogare la Gasparri e il 31 gennaio la Corte Europea di Giustizia ha sostenuto i diritti di Europa7 contro quelli di Rete4. Ma non basta. Per difendere Rete4, l’Avvocatura dello Stato che rappresenta il governo Prodi copia, nella sua memoria, intere pagine da quella degli avvocati Mediaset. Non per citare le loro tesi tra virgolette. Ma per farle proprie, senza nemmeno precisare da dove sono tratte.

Il gruppo Berlusconi ufficialmente non è parte in causa: Europa7, per la mancata assegnazione delle frequenze, ha citato lo Stato tramite il ministero delle Comunicazioni e l’Autorità garante delle Comunicazioni. Ma Mediaset è intervenuta ugualmente con una memoria, ben sapendo che, se fossero assegnate le frequenze a Europa7, a perderle sarebbe Rete4. E l’avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo che fa? Il copia-incolla dalla memoria Mediaset, senza nemmeno tentar di camuffare quest’autentica privatizzazione delle istituzioni al servizio del Biscione. Il tutto, ancor prima che Berlusconi torni al governo per la terza volta.

Leggere e confrontare la memoria dell’Avvocatura dello Stato (55 pagine) e quella di Mediaset (78), pubblicate integralmente su www.voglioscendere.it, è un tragicomico gioco di società: “Trova le differenze”. La più evidente è che lo Stato difende Rete4 addirittura con più passione di Mediaset. Per il resto, pagine e pagine trapiantate pari pari dagli atti dell’azienda berlusconiana. Qualche esempio.

Pagina 9 dell’Avvocatura: dieci righe (da 7 a 17) copiate da pagina 49 della memoria Mediaset (righe 1-15). Le pagine 5 (da riga 20) e 6 (fino a riga 18) dell’Avvocatura sono identiche alle pagine 60 (da riga 3), 61 (tutta) e 62 (fino a riga 11) di Mediaset. Le pag. 17 (da riga 7) e 18 (fino a riga 13) dell’Avvocatura sono uguali alle pag. 60 (da riga 3), 61 (tutta) e 62 (fino a riga 22) di Mediaset. La pag. 35 (righe 4-23) dell’Avvocatura è plagiata dalle pag. 39 (da riga 9) e 40 (fino a riga 5) di Mediaset. A pag. 35 (righe 27-31) dell’Avvocatura, stesse parole di pag. 47 (righe 17-22) di Mediaset. E così via.

Una volta manca un “quindi”. Un’altra c’è “In proposito” al posto di “In primo luogo”. Tutto il resto, compresa la punteggiatura sbagliata (molte virgole tra il soggetto e il verbo), è identico. Idem per le conclusioni, con esiti talvolta comici. Per l’Avvocato dello Stato, se Europa7 non ha avuto le frequenze, è colpa sua: avrebbe dovuto ”acquisirle anche di sua iniziativa” (e dove? e come? armi in pugno?), visto che lo Stato “non aveva l’attuale disponibilità dell’oggetto” (per forza: ha consentito che lo conservassero Telepiù nero e Rete4, prive ormai di concessione).

E comunque – aggiunge Di Carlo - disapplicare la Maccanico e la Gasparri spegnendo Rete4 sul terrestre non comporterebbe il trasferimento automatico delle frequenze a Europa7 (e a chi,di grazia?). Insomma, lo Stato ignora la recente sentenza della Corte europea di Lussemburgo, sollecitata dallo stesso Consiglio di Stato, secondo la quale le normative comunitarie “ostano a una normativa nazionale la cui applicazione conduca a che un operatore titolare di una concessione si trovi nell’impossibilità di trasmettere in mancanza di frequenze assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”.

Dunque basta con il “regime transitorio istituito a favore delle reti esistenti” a scapito di Europa7, previsto dalla Meccanico, dalla Salva-Rete4, dalla Gasparri e dal ddl Gentiloni (mai divenuto legge). Tutte leggi che andrebbero disapplicate. Non solo: “la libera prestazione di servizi” tutelata dalle norme comunitarie – scrive la Corte europea - “esige non solo la concessione di autorizzazioni alla trasmissione, ma altresì l’assegnazione di frequenze”, se no “un operatore non può esercitare i diritti conferitigli dal diritto comunitario per l’accesso al mercato televisivo”.

Sentenza alla mano, gli avvocati Grandinetti e Pace che seguono Europa7 chiedono al Consiglio di Stato le frequenze e i danni subiti. Il “danno emergente”, cioè i soldi fin qui spesi per gl’investimenti richiesti dalla legge a chiunque vinca una concessione (oltre 120 milioni di euro). E il “lucro cessante”, cioè i mancati utili della tv mai nata (oltre 2 miliardi di euro). Semprechè il Consiglio condanni lo Stato ad assegnarle finalmente le frequenze. Altrimenti Europa7 morirebbe per sempre e Di Stefano avrebbe diritto al valore dell’intera azienda. Il governo dell’Unione, tramite l’Avvocatura, parla in playback: testi e musiche di Mediaset. Niente risarcimento. Niente frequenze. Viva la Gasparri. Rete4 sine die. Tutto come prima, come sempre. Berlusconi non avrebbe saputo fare di meglio.

lunedì, maggio 05, 2008

Se lo ha detto.....



Se lo ha detto questa persona dovrebbe emigrare in Tibet altro che presidente della Camera. Se invece è una cosa montata ad arte, sarebbe un'altra dimostrazione della pochezza di un certo giornalismo, ma, ripeto, se è vero....

dalle Agenzie: Per Fini l'omicidio di Verona è meno grave delle contestazioni a Israele a Torino. E su queste parole scoppia la polemica. Durissima, quella della sinistra radicale. Più morbida nei toni, ma non nella sostanza, quella del leader Pd Walter Veltroni.

Le "priorità" di Fini. Gli scontri e le contestazioni della sinistra radicale contro la Fiera del Libro di Torino "sono molto più gravi" di quanto accaduto a Verona, dice il presidente della Camera a Porta a porta. L'aggressione dei naziskin veronesi e la violenza dei centri sociali torinesi - afferma il Presidente della Camera- "sono due fenomeni che non possono essere paragonati". A giudizio di Fini, in sostanza, se dietro l'aggressione di Verona non c'è alcun "riferimento ideologico", a Torino le frange della sinistra radicale "cercano in qualche modo di giustificare con la politica antisionista", un autentico antisemitismo, veri e propri "pregiudizi di tipo politico-religioso".

Aggiungo che è vergognoso che la Rai non dico "apra" con la morte del giovane, ma che il Tg1 lo metta dopo 5 servizi è la dimostrazione di (e qui interrompo per evitare querele in un paese come l'Italia....). Se qualche straniero leggesse questo blog si farà un'idea.

domenica, maggio 04, 2008

I derivati, vera bomba per l'economia

Edmondo Rho per “Panorama”

Un buco nero, la cui profondità è ancora sconosciuta, risucchia i soldi di comuni, province e regioni. Ed è causato dai contratti derivati: il sistema con cui gli enti locali italiani hanno ottenuto denaro dalle banche, spesso dribblando le norme per contenere il disavanzo nella finanza pubblica. Senza rendersi conto che stavano mettendo in cassa una bomba finanziaria a orologeria.

Nei prossimi mesi la bomba potrebbe esplodere. Secondo le stime che circolano sul mercato, le perdite potenziali sui derivati degli enti locali italiani superano 10 miliardi di euro e possono arrivare, in base alle fluttuazioni dei tassi di mercato, oltre i 15 miliardi: l’equivalente di una Finanziaria. «È dinamite: ci aspettiamo che il nuovo governo si muova subito per fare chiarezza e disinnescare situazioni potenzialmente esplosive» avverte Alfonso Scarano, coordinatore del gruppo di lavoro sui derivati dell’Aiaf, l’associazione italiana degli analisti finanziari.

Il comma 383 della Finanziaria 2008 impone agli enti locali di esplicitare le posizioni in derivati, ma «per dare piena attuazione alla norma occorrerebbe un decreto legge» sostiene Scarano. Il problema è che le dimensioni del fenomeno sono enormi, però dal controllo della centrale rischi della Banca d’Italia sfuggono, anche a livello statistico, le grandi banche internazionali.

Che peraltro hanno fatto le operazioni più rilevanti: come il maxiderivato da quasi 1,7 miliardi di euro firmato nel 2005 dal Comune di Milano (allora guidato dal sindaco Gabriele Albertini, ma il contratto era sul tavolo del city manager Giorgio Porta) con quattro banche estere, Deutsche bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa bank. Operazione su cui si sono aperte due indagini: una della Corte dei conti e una della procura della Repubblica di Milano. E proprio a palazzo di giustizia, il 7 maggio, presenteranno un esposto due consiglieri comunali, Davide Corritore del Pd e Basilio Rizzo della Lista Fo: l’ipotesi è truffa ai danni della pubblica amministrazione.

«Le banche hanno avuto un guadagno 440 volte superiore a quello indicato in contratto» accusa Corritore, che anticipa a “Panorama” i temi dell’esposto alla procura. «Avevano diritto a una commissione di 0,01 centesimi, in tutto 170 mila euro da dividersi in quattro. Invece le banche hanno guadagnato finora almeno 75 milioni di costi impliciti, come dimostriamo allegando all’esposto i dati ricavati dai terminali Bloomberg». E tutto per un’operazione che secondo Corritore «non si poteva fare, perché non aveva i requisiti di convenienza previsti dalla legge».

Certo, è un’ironia della sorte per le banche internazionali essere messe sul banco degli accusati a Milano da parte di un consigliere comunale, eletto nel 2006, che è un esperto di finanza e derivati. Corritore fu, tra l’altro, negli anni 90 amministratore delegato dei fondi italiani proprio della Deutsche bank, una delle quattro banche coinvolte nel maxi-derivato. «Ne ho parlato per la prima volta in consiglio comunale a ottobre, quando le perdite potenziali erano 120 milioni, ora siamo a 300 milioni» calcola Corritore. «Se c’è stata truffa, bisogna che i giudici ordinino la sospensione dei pagamenti. Il Comune di Milano l’anno prossimo dovrebbe sborsare almeno 15 milioni di euro e poi continuare a pagare per tutta la durata dell’operazione, che è trentennale».

Intanto, a iniziare lo sminamento sui derivati, è già intervenuta la Corte dei conti: la sezione della Lombardia è la più avanti nel lavoro e dovrebbe completare entro l’autunno la mappa del rischio degli enti locali. Non solo, la Corte dei conti lombarda, con la deliberazione 52/2008, ha anche messo il dito nella piaga del contratto tra banche e Comune di Milano, rilevando che «Deutsche bank e Ubs negli ultimi mesi hanno omesso ogni comunicazione al riguardo». «Si tratta di un comportamento che non sembra avere alcuna giustificazione e che deve essere stigmatizzato» afferma la Corte.

Prima dell’indagine della magistratura contabile un altro consigliere comunale milanese, Giancarlo Pagliarini (già Lega Nord, nel frattempo passato con Daniela Santanchè), aveva presentato una mozione per una «ricognizione indipendente» sui derivati. Finora senza avere risposta: l’unico effetto pratico è stato un convegno di studi, svoltosi a dicembre a Palazzo Marino. Come mai?

Gli swap sono strumenti finanziari che dovrebbero avere una funzione di copertura contro un aumento dei tassi di interesse e servono a chi è indebitato a tasso variabile. «Nel caso del Comune di Milano, invece, c’erano dei mutui a tasso fisso e con lo swap si è aperta un’operazione a rischio» accusa Corritore. «In realtà questo maxi-derivato è stato fatto per scaricare le perdite, oltre 100 milioni, di derivati precedenti, stipulati nel 2002 con l’Unicredit».



Questa notizia non viene commentata dall’Unicredit, che peraltro è stata l’unica grande banca italiana a fornire a “Panorama” i dati complessivi dei suoi contratti derivati con gli enti locali. Comunque, il caso di Milano non sembra isolato. Le società di analisi finanziaria hanno scoperto spesso negli enti locali un uso diverso degli swap: «In pratica, sono stati usati come scommesse finanziarie e in questo modo le amministrazioni pubbliche si sono assunte il rischio dell’aumento dei tassi d’interesse» spiega Matteo Trotta, dell’ufficio studi della società veronese Consultique.

Come si è arrivati a fare queste operazioni a rischio? Proviamo a spiegarlo ricordando che in molti casi il problema era già precedente. Gli enti locali che hanno emesso obbligazioni sul mercato (i cosiddetti Boc, buoni ordinari comunali) devono per legge trasformare i piani di rimborso che prevedevano la restituzione dell’intero capitale alla scadenza in un piano d’ammortamento, cioè la restituzione del capitale un po’ per volta. A questo scopo entra in azione il contratto derivato: il comune paga le rate sul piano d’ammortamento alla banca, che a sua volta costituisce un fondo dedicato (il cosiddetto sinking fund) che garantirà la restituzione del capitale a scadenza.

Ma la banca non lavora certo gratis: «Le commissioni implicite, che arrivano al 5 per cento del capitale, rappresentano la remunerazione delle banche» spiega Trotta. Il quale racconta come, in realtà, gli istituti di credito italiani siano «semplici intermediari tra enti locali e grandi banche d’affari internazionali. Così ottengono un guadagno semplice, immediato e una tantum alla firma del contratto. Su un derivato da 250 milioni di euro, abbiamo calcolato che le banche hanno guadagnato 12,5 milioni».

E mentre le banche guadagnano facilmente, le perdite sono a carico dei bilanci degli enti locali, nonché delle imprese finite nella medesima trappola (per queste ultime, nonostante la chiusura di migliaia di contratti, le perdite hanno superato i 5 miliardi di euro). Ma i derivati non avrebbero dovuto proteggere i clienti dall’aumento dei tassi d’interesse? Invece è accaduto il contrario.

La ragione la spiega Nicola Benini, socio fondatore dell’Ifa di Verona, la prima società di consulenza che si è specializzata sui derivati: «Buona parte di questi prodotti non erano di copertura, bensì di trasferimento del rischio verso le imprese e gli enti locali. Tanto è vero che le banche non hanno praticamente rischi sui derivati: l’ha detto anche il direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni, nella sua audizione parlamentare dell’autunno scorso».

Sono pochi, però, gli enti locali che si schierano contro le banche. Secondo l’avvocato Paolo Grassi, dell’associazione Sos utenti, il motivo è che «prima di avviare una causa l’ente locale deve ammettere di essere stato imbrogliato con una scommessa truccata, e questo può aprire la strada ad azioni di responsabilità interna».

In più c’è la scarsa cultura finanziaria degli amministratori locali: Benini definisce i derivati «dei grandi puzzle da smontare. Bisogna fare la procedura contraria a quella d’assemblaggio, smontarli è l’unico modo per capire il rischio insito in questi prodotti d’ingegneria finanziaria assai sofisticati». Per riuscirci «occorrono computer molto potenti e software dedicati per stimare i prezzi e ricostruire i rischi».

Si tratta di trovare i consulenti giusti per smontare i puzzle. Alla procura milanese i magistrati guidati da Francesco Greco, dopo un iniziale sconforto nell’esaminare i complicatissimi contratti derivati sequestrati negli enti locali, sembrano aver trovato il bandolo della matassa. Ora l’inchiesta è affidata al pm Alfredo Robledo.

Anche se c’è un problema di giurisdizione: le banche hanno scelto quella inglese. «E forse si sono fatte male da sole» dice Corritore. «La legge inglese, fin dal 1991, ha vietato i derivati per gli enti locali, poiché non hanno le competenze necessarie. Così, non potendo più giocare in casa, le banche inglesi vanno a fare danni in trasferta. Come gli hooligan del calcio».

Le vacanze!!!



Se il viaggio è un inferno
Il volo è annullato. L’hotel di sogno si rivela una catapecchia. Il soggiorno prenotato on line, una truffa. E si resta 48 ore in aeroporto. Ecco come difendersi, punto per punto

Volo annullato
Scarsa puntualità? Overbooking? Servizi scadenti? Mentre si apre una nuova era per i viaggiatori, il turismo spaziale, con Richard Branson che crea la Virgin Galactic e promette per gli inizi del 2010 il decollo dell’astronave SpaceShipTwo (200 mila dollari per due ore e mezzo in orbita), sulla terra continuiamo a dibatterci fra disservizi e insoddisfazioni.
Secondo Federconsumatori, lo sportello nazionale di tutela del turista che nella sola estate 2007 ha assistito 3500 persone, e ricevuto 30.000 lamentele di disservizi, i reclami legati al trasporto aereo (dalle cancellazioni e spostamenti del volo allo smarrimento del bagaglio) sono in forte e costante aumento. Anche se in cima alla lista rimangono disagi e disillusioni relativi ai pacchetti tutto compreso (33%): problemi non solo di trasporto, ma anche promesse di alberghi che si rivelano scadenti, spiagge troppo lontane, piscine senz’acqua.

Regole e diritti

L'aereo non c'è
Come difendersi? Prima di tutto informandosi dei propri diritti. Dall’inizio del Duemila, la legislazione si è aggiornata: oggi sono tre i documenti cui fare riferimento. Primo, il Codice del Consumo, la bibbia della difesa per ogni acquisto, di qualsiasi prodotto: gli articoli dall’82 al 100 si riferiscono ai viaggi comperati in agenzia, quelli dal 45 al 68 agli acquisti su internet. Ci sono poi la legge 1084/1977, per i pacchetti-vacanza, e il Regolamento europeo 261, in vigore in Italia dal 2005, che tenta di mettere un freno al malcostume dell’overbooking. È il più diffuso, anche se le compagnie aeree sono costrette a rimborsi sempre più salati. Queste regole valgono per tutti i voli effettuati da compagnie europee che partono o giungono nell’Unione: charter e low cost inclusi. E anche per i vettori di altre nazioni, quando partono da un aeroporto Ue. Altrimenti valgono le disposizioni dei rispettivi Paesi. Il negato imbarco è molto più frequente di quanto si possa pensare. E si basa su una serie di regole statistiche, che ipotizzano quanti passeggeri non si presenteranno al check-in.
Ma non è una esclusiva degli aerei: anche i tour operator, che mettono insieme voli, sistemazioni alberghiere ed escursioni, giocano sull’overbooking quando vendono più camere d’albergo di quelle prenotate.

Azioni legali
Che sia voluto o meno, non ci si può difendere più di tanto, prima o durante lo sfacelo della vacanza. L’unica soddisfazione rimane un risarcimento al ritorno. La soluzione più rapida, economica e indolore resta la conciliazione, o il patteggiamento. Da fare subito, già in aeroporto nel caso di disservizio aereo, o appena tornati: ci sono dieci giorni di tempo per reclamare con l'agente di viaggi, meglio se con l’aiuto di un’associazione dei consumatori. La Camera di commercio di Milano, per esempio, ha aperto uno sportello di conciliazione: arbitrato “amichevole” che deve essere intrapreso dalle parti in causa. Basta che una non si presenti per mandare tutto in fumo. Altre Camere di commercio offrono lo stesso servizio.
Nel frattempo si fa strada il principio del danno morale ed esistenziale: anche i più alti gradi di giudizio concordano che non c’è nulla che ripaghi dalla delusione di una vacanza andata male. Si può finire nelle aule di tribunale. E vincere. Un esempio? Nel 2007 la Cassazione ha riconosciuto il danno esistenziale ai passeggeri abbandonati alle Tremiti dalla compagnia di navigazione C.t.m., che aveva affrontato la traversata da Peschici nonostante i bollettini meteo non favorevoli.
I tempi della giustizia sono però molto lunghi. Infatti, se per un patteggiamento con il tour operator in pochi mesi si ottiene un risarcimento, ricorrere al giudice di pace (è possibile solo se il valore del viaggio non supera i 2588 euro) significa aspettare almeno un anno e mezzo, addirittura tre o quattro per una causa in tribunale e ancor di più se non ci si accontenta del primo grado e si vuole ricorrere.
Paola Baldacci per Corriere.it

venerdì, maggio 02, 2008

Porci con le ali


WASHINGTON - È stato ritrovato, ma in pezzi, il gigantesco maiale gonfiabile protagonista sul palco di molti concerti dei Pink Floyd. Era andato perduto e una società californiana che organizza festival musicali aveva offerto 10mila dollari di ricompensa a chi lo ritrovava. Il maiale, che appartiene a Roger Waters (membro della band britannica), ha fatto il suo esordio sul palco dei Pink Floyd nel 1977 in occasione dell'uscita dell'album «Animals». L'animale era volatovia domenica scorsa nella serata di chiusura di un festival di tre giorni (il Coachella Valley Arts and Music Festival) che si è tenuto a est di Los Angeles. Non è la prima volta che Roger Waters perde il suo maiale: era già successo nel 1977 nel corso di un servizio fotografico sulla band a Londra.

IL RITROVAMENTO - I resti del pallone gofiato a elio con le sembianze dell'animale è stato ritrovato da Susan Stoltz, residente nella zona che, ingnara di tutto, ha avvisato gli organizzatori del festival solo dopo aver letto la notizia della sparizione sui giornali. I resti del pallone-maiale, simbolo dei concerti dei Pink Floyd che l’ex co-leader del gruppo aveva riproposto in scena sulle note di «Pigs» (il brano del 1977, tratto da «Animals», che ha fatto del maiale un’icona della band) con alcuni adattamenti incluso un invito sovrastampato a votare per Barack Obama, sono stati riconsegnati agli organizzatori del concerto che li hanno identificati: «È senza dubbio il nostro maiale». Un riconoscimento che consentirà alle due donne autrici del ritrovamento (che abitano a poca distanza dal luogo del concerto e hanno trovato i resti vicino alle loro case) di dividersi comunque i 10mila dollari di ricompensa. La taglia sul maiale messa dagli organizzatori, non prevedendo clausole, era da intendersi come "vivo o morto"...
da corrimure.it