Pentma vuol dire pietra, ma questo blog è solo un sassolino, come ce ne sono tanti. Forse solo un po' più striato.
lunedì, dicembre 29, 2008
Equilibrio
Avevo promesso di non parlare più di queste cose, ma siccome, a tempo perso, faccio il giornalista, volevo dire la mia sulla pessima copertura mediatica dei giornali italiani sulla crisi di Gaza.
Come la vedo io. Degli stronzi fanatici (più o meno legati ad Hamas, le cose si debbono dimostrare) lanciano dei razzi su Israele che risponde bombardando uno dei luoghi più popolati al mondo. Questo è un crimine di guerra, dovunque, ma nessuno si permette di criticare Israele e la sua sanguinaria ministra Tzipi Livni (prossimo primo ministro). È terribile e non si può fare nulla. Troppi interessi attorno ai morti palestinesi, ma che in Italia le corrispondenze vengano fatte da Fiamma Nirestein io lo trovo incredibile e spiego perché.
Fiamma Nirestein è un'ottima giornalista, ma non è mai stata e mai sarà obiettiva. Vive orgogliosamente in un Kibbutz e si è sempre dichiarata sionista. Allora io mi chiedo: che obbiettività può avere la cronaca di una persona così? Che razza di credibilità può avere la parola di un'attivista? Esagero? Leggete l'articolo che posto. Una persona così può fare dei commenti (e sarebbe opportuno che dall'altra parte ci fosse anche un'altra opinione), ma non può fare cronache perché di parte. Un ennesimo esempio di come larghissima parte dei media italiani non abbiano più alcuna credibilità.
da il Giornale.it
Le immagini più significative della guerra in corso ieri si sono viste sul confine fra Gaza e l’Egitto, con tutta la tessitura degli arabeschi che il Medio Oriente è in grado di comporre. I soldati egiziani sorvegliano la frontiera col fucile impugnato da Rafiah lungo lo Tzir Philadelphi; dalle ore della tarda mattinata si svolge l’assedio dei palestinesi che vogliono passare di là dal confine mentre i soldati dall’altra parte hanno l’ordine di impedire comunque alla marea integralista di penetrare nel Paese di Mubarak, il moderato; poco più in là, la paradossale scena dei camion pieni di aiuti umanitari e le ambulanze, che sono i palestinesi a non lasciar passare mentre gridano agli egiziani: «Lasciate entrare i vivi invece di occuparvi dei morti».
Verso le cinque del pomeriggio, mentre il sole tramonta sul mare Mediterraneo, entrano in scena gli F16 che sfrecciano veloci e in quattro minuti distruggono 40 tunnel sotto il confine. Pare che fossero i più importanti tra i 600 scavati per trasportare dentro Gaza merci di qualsiasi genere dall’Egitto, quelli che hanno rimpinzato Gaza di missili. Ma ieri di missili, contro ogni previsione, non ne sono piovuti molti, e la popolazione del sud di Israele ha passato una giornata relativamente tranquilla: segno che gli obiettivi colpiti dall’aviazione sono stati scelti con una operazione di intelligence precisa, e che le strutture di Hamas stentano a riaversi da un’operazione paragonata qui in Israele a quella che nel 1967 colpì a terra i Mig egiziani.
L’esercito israeliano sostiene di aver colpito il 50% delle risorse belliche di Hamas, missili, depositi di dinamite e simili. E Hamas preferisce per ora giocare il ruolo della vittima, seguitare a segnalare, almeno per un po’, che Israele seguita ad agire in modo «sproporzionato». Ma è il mondo arabo per primo a essere contraddittorio di fronte alla vittimizzazione di Hamas, e in primis l’Egitto e gli stessi fratelli palestinesi guidati da Abu Mazen: quest’ultimo ha detto dal Cairo di aver avvertito Hamas che le sue azioni avrebbero portato all’attacco di Israele. Insomma, gliene ha attribuito la responsabilità. Aggiungendo le accuse per le decine di miliziani di Fatah prigionieri di Hamas e morti nelle carceri bombardate dagli israeliani: la strage avrebbe potuto essere evitata se fossero stati liberati per tempo. Anche gli egiziani si sono mossi con ambiguità tra la dimostrazione di solidarietà con i palestinesi e la disapprovazione nei confronti della incomprensibile politica di Hamas, che ha portato la sua popolazione alla situazione attuale. Da Sana in Yemen, a molte città e villaggi mediorientali inclusi quelli della West bank e nella stessa Gerusalemme est, fino a Teheran, dove Khamenei ha chiesto a tutti i musulmani di combattere per Gaza «in tutti i modi possibili», fino a Amman dove i Fratelli Mussulmani hanno sfilato con slogan furiosi, fino a Damasco dove Masha’al chiede un’Intifada militare di tutto il mondo arabo, si è manifestata la solita furia antisraeliana ma stavolta anche antiegiziana e anti Fatah. A Beirut i manifestanti convocati dagli Hezbollah gridavano slogan in cui il nome di Mubarak faceva rima con Ehud Barak. Qui Nasrallah, il capo di Hezbollah, ha parlato con i soliti toni di odio, esortando i suoi uomini ad essere pronti a difendersi. Ma, furbescamente, senza invitarli ad attaccare il mostro sionista.
Quanto ai moderati, è la prima volta che non possono sventolare la solita bandiera di odio contro Israele. Hamas li ha inchiodati. Ed è logico vista la crescita verticale dell’estremismo islamico in Medio Oriente. Avevamo già scritto di una segreta richiesta araba «moderata» a Israele di farla finita con Hamas visto come un emissario incendiario dell’Iran, deciso a distruggere ogni equilibrio mediorientale. L’Egitto, che ha a lungo tentato la tregua fra Fatah e Hamas, si è adontato oltre misura che Hamas abbia disertato la riunione di novembre al Cairo, sicuramente su richiesta iraniana. Nel frattempo Hamas cerca nuove sponde: da Gaza City, scavalcando la leadership di Damasco, sono partite molte telefonate da parte di Ismail Haniyeh al re del Bahrein e ai governanti del Qatar. Ma Hamas può restare molto danneggiato dalla rottura con l’Egitto: sono in programma importanti accordi economici che sembrano molto lontani dalla ringhiosa realtà attuale. Di sicuro ora, dopo i fatti di Gaza, tutto il mondo arabo dovrà fare i conti con la nuova dimostrazione di deterrenza militare israeliana, che dopo la guerra con gli Hezbollah del 2006 e per via dell’atteggiamento di attesa scelto dai vertici israeliani sembrava assai diminuita. Adesso tutti i vicini, compreso l’Iran, sanno che l’esercito israeliano è quello di un tempo quando decide, come dice Tzipi Livni che «quel che è troppo è troppo».
In questo momento i morti palestinesi sono 345 ma aumenteranno...
La censura unifica: da Berlusconi a Burnham
di Vittorio Zambardino da Repubblica.it
In un articolo di Cristina Nadotti su Repubblica.it è descritta con efficacia la posizione di Andy Burnham, segretario di stato, cioè ministro per la cultura del governo di Gordon Brown che chiede un sistema di “rating”, cioè di classificazione di pericolosità di contenuti internet e quindi un elenco di siti da sottrarre alla visione dei minori.
La posizione è contenuta in una intervista al Daily Telegraph che già il 26 dicembre ha commentato con parole dure le posizioni dell’esponente laburista, argomentando semplicemente con la non praticabilità del modello.
A sostegno della sua posizione, il ministro porta un po’ di quegli esempi da terrore psicologico (le “decapitazioni” che si possono vedere in internet) fatti per schiantare ogni resistenza nell’opione pubblica e per far apparire chi si oppone come un oggettivo complice dei più efferati criminali.
Se però mettiamo insieme le dichiarazioni dell’esponente inglese con quelle del nostro primo ministro, rese il 3 dicembre, ci si rende conto che fra “cancellerie”, come si diceva una volta, c’è un evidente scambio di memorandum e di opinioni. Qualcosa di più dello sfogo di un giovane politico impaziente o di un signore di 72 anni in vena di legiferazione autoritaria. E’ una corrente consolidata e politicamente trasversale - anche nel nostro centro sinistra queste posizioni hanno un largo seguito. Contro questi orientamenti invece c’è una vasta pubblicistica internazionale, cui spesso ha fatto riferimento il professor Stefano Rodotà, già garante per la protezione dei dati personali.
Non è un caso che il ministro inglese dica di voler rivolgersi direttamente a Barack Obama perché gli Usa aderiscano alla sua proposta. Naturalmente, in un accesso di cattiva coscienza, il ministro sente la necessità di specificare che non si tratterebbe di colpire la libertà d’espressione.
Chiede ciò che già esiste
Ora la cosa curiosa è che la proposta di Burnham chiede di istituire qualcosa che già esiste. Programmi software prodotti da privati, oltre che la vigilanza degli organi di polizia dei vari paesi hanno di fatto creato il sistema che il ministro chiede: né più né meno che un archivio di contenuti inadatti e che vengono bloccati alla fonte (anche qui con possibili abusi).
E allora cosa vuole, il governo inglese (Burnham non è stato smentito, quindi il PM è d’accordo con lui)?
Il sogno argentino di Mr Burnham
Burnham vuole che apparati degli stati, organi di polizia in particolare, usando i motori di ricerca, entrino nel merito di quanto si dice, scrive, rappresenta e cita dentro i siti internet e nelle piattaforme di social networking per decidere - loro, gli organi di polizia - che cosa va visto oppure no dai giovani. I siti verrebbero poi bloccati alla fonte, all’ingresso nel paese. Ma poiché non è possibile stabilire chi sta da quest’altra parte del computer, se cioè l’utente abbia 12 o 60 anni, allora l’unico modo per vietare l’accesso ai minori è vietare l’accesso a tutti.
Questo è il disegno. Ed è un disegno liberticida. E sbaglia chi pensa che non sia realizzabile. E’ il disegno argentino. Cosa è successo a Buenos Aires?
A seguito delle denunce di una serie di personalità pubbliche (tra queste Diego Maradona) si è ottenuto che un’ordinanza del giudice penale costringesse i motori di ricerca più importanti ad espungere dai risultati delle ricerche tutti i riferimenti ai blog o siti nei quali i campioni o signori in oggetto venivano “diffamati”. In internet essere invisibili equivale a non esistere.
Questa è una delle pratiche possibili, ma la Cina sta lì a dimostrare che un filtro di massa dei contenuti è possibile. Il Telegraph si sbaglia: la censura si può fare, non c’è tecnologia che tenga. Solo un’opposizione forte degli utenti può bloccarla. E questo modello neocensorio ha molti “poteri forti” alle sue spalle.
Morale e interessi
Non a caso il ministro inglese ha detto che si rivolgerà ai provider, cioè alle aziende di telecomunicazioni. Le quali per loro conto hanno “giardini murati” di contenuti sani e servizi “corretti” da proporre agli utenti. Ma perché quello, l’utente, che nasce libero, non se ne vada a spasso per la rete, è necessario che questa sia il più possibile desertificata e che ciò che è detto dai cittadini sia sottoposto a filtri e censure. Cioè reso invisibile.
In un articolo di Cristina Nadotti su Repubblica.it è descritta con efficacia la posizione di Andy Burnham, segretario di stato, cioè ministro per la cultura del governo di Gordon Brown che chiede un sistema di “rating”, cioè di classificazione di pericolosità di contenuti internet e quindi un elenco di siti da sottrarre alla visione dei minori.
La posizione è contenuta in una intervista al Daily Telegraph che già il 26 dicembre ha commentato con parole dure le posizioni dell’esponente laburista, argomentando semplicemente con la non praticabilità del modello.
A sostegno della sua posizione, il ministro porta un po’ di quegli esempi da terrore psicologico (le “decapitazioni” che si possono vedere in internet) fatti per schiantare ogni resistenza nell’opione pubblica e per far apparire chi si oppone come un oggettivo complice dei più efferati criminali.
Se però mettiamo insieme le dichiarazioni dell’esponente inglese con quelle del nostro primo ministro, rese il 3 dicembre, ci si rende conto che fra “cancellerie”, come si diceva una volta, c’è un evidente scambio di memorandum e di opinioni. Qualcosa di più dello sfogo di un giovane politico impaziente o di un signore di 72 anni in vena di legiferazione autoritaria. E’ una corrente consolidata e politicamente trasversale - anche nel nostro centro sinistra queste posizioni hanno un largo seguito. Contro questi orientamenti invece c’è una vasta pubblicistica internazionale, cui spesso ha fatto riferimento il professor Stefano Rodotà, già garante per la protezione dei dati personali.
Non è un caso che il ministro inglese dica di voler rivolgersi direttamente a Barack Obama perché gli Usa aderiscano alla sua proposta. Naturalmente, in un accesso di cattiva coscienza, il ministro sente la necessità di specificare che non si tratterebbe di colpire la libertà d’espressione.
Chiede ciò che già esiste
Ora la cosa curiosa è che la proposta di Burnham chiede di istituire qualcosa che già esiste. Programmi software prodotti da privati, oltre che la vigilanza degli organi di polizia dei vari paesi hanno di fatto creato il sistema che il ministro chiede: né più né meno che un archivio di contenuti inadatti e che vengono bloccati alla fonte (anche qui con possibili abusi).
E allora cosa vuole, il governo inglese (Burnham non è stato smentito, quindi il PM è d’accordo con lui)?
Il sogno argentino di Mr Burnham
Burnham vuole che apparati degli stati, organi di polizia in particolare, usando i motori di ricerca, entrino nel merito di quanto si dice, scrive, rappresenta e cita dentro i siti internet e nelle piattaforme di social networking per decidere - loro, gli organi di polizia - che cosa va visto oppure no dai giovani. I siti verrebbero poi bloccati alla fonte, all’ingresso nel paese. Ma poiché non è possibile stabilire chi sta da quest’altra parte del computer, se cioè l’utente abbia 12 o 60 anni, allora l’unico modo per vietare l’accesso ai minori è vietare l’accesso a tutti.
Questo è il disegno. Ed è un disegno liberticida. E sbaglia chi pensa che non sia realizzabile. E’ il disegno argentino. Cosa è successo a Buenos Aires?
A seguito delle denunce di una serie di personalità pubbliche (tra queste Diego Maradona) si è ottenuto che un’ordinanza del giudice penale costringesse i motori di ricerca più importanti ad espungere dai risultati delle ricerche tutti i riferimenti ai blog o siti nei quali i campioni o signori in oggetto venivano “diffamati”. In internet essere invisibili equivale a non esistere.
Questa è una delle pratiche possibili, ma la Cina sta lì a dimostrare che un filtro di massa dei contenuti è possibile. Il Telegraph si sbaglia: la censura si può fare, non c’è tecnologia che tenga. Solo un’opposizione forte degli utenti può bloccarla. E questo modello neocensorio ha molti “poteri forti” alle sue spalle.
Morale e interessi
Non a caso il ministro inglese ha detto che si rivolgerà ai provider, cioè alle aziende di telecomunicazioni. Le quali per loro conto hanno “giardini murati” di contenuti sani e servizi “corretti” da proporre agli utenti. Ma perché quello, l’utente, che nasce libero, non se ne vada a spasso per la rete, è necessario che questa sia il più possibile desertificata e che ciò che è detto dai cittadini sia sottoposto a filtri e censure. Cioè reso invisibile.
sabato, dicembre 27, 2008
domenica, dicembre 21, 2008
Dieci balle sulla crisi
dal Barbieredellasera
Dieci balle sulla Crisi
di Paul Olden
Slogan assurdi, falsi miti, castelli in aria e altre amenità sulla crisi economica globale. Ovvero, per capire certe cose non serve essere un economista: basta non raccontarsi le frottole da soli
1) La crisi è dovuta ai mutui subprime e agli altri strumenti finanziari "tossici" messi in giro dalle banche.
Falso. La crisi sarebbe arrivata comunque, anche senza la cartastraccia prodotta dall'industria finanziaria. Anzi, è possibile che la bolla finanziaria abbia contribuito per qualche mese a camuffare la crisi già in atto.
2) Una volta ripulito il sistema finanziario, assicurato nuove regole agli operatori e ripristinata la fiducia nel sistema, tutto tornerà come prima.
No, non succederà. La crisi è strutturale. Ma davvero qualcuno credeva che fosse possibile un mondo dove da una parte si produce senza consumare e dall'altra si consuma senza produrre? Anche un bambino di quinta elementare messo di fronte ad uno schema che spiega la struttura del sistema produttivo-commerciale globalizzato di oggi potrebbe facilmente dedurre che non sta in piedi.
Se poi uno degli economisti liberisti a caso spiegasse al bambino che il sistema regge perchè il consumatore che non produce continua a consumare grazie ai prestiti e alla messa in circolo di denaro prima fermo in pensioni, liquidazioni e welfare, il bimbo avrebbe bisogno di un po' piu' di tempo per capire che questi sono solo modi per ritardare la rottura di un sistema che non puo' funzionare. Ma ci arriverebbe comunque e concluderebbe ridendo in faccia all'economista.
3) La crisi sono cicliche. Tra qualche mese, massimo uno o due anni, passerà.
L'economia non è come la climatologia. Le previsioni economiche non si fanno come le previsioni del tempo, non puoi pensare che dopo la pioggia torna sempre il sereno, perchè in economia ci vogliono buoni motivi ed eventi causati dall'uomo , non dai venti o dalle correnti marine, per cambiare le cose.
Una crisi economica puo' durare molti anni, nulla lo vieta: se il popolo che ne soffre è abbastanza stupido e/o i parametri economici sono particolarmente sfavorevoli nel periodo, anche decenni o secoli.
Una volta una crisi durò oltre quattro secoli, e la chiamarono Medio Evo.
4) Le grandi crisi sono sempre passate, quindi passerà anche questa.
Sì, ma bisogna chiedersi come se ne è usciti. E' risaputo che dalle grandi crisi del sistema capitalista si esce rapidamente e facilmente in due soli modi:
a) Accedendo a nuovi territori e risorse da sfruttare
b) Facendo una grande guerra che azzera tutto e si riparte sul pulito.
Be', sta di fatto che oggi entrambe le soluzioni sono difficiline da praticare: nuove terre non ce ne sono in vista (Luna a parte, ma è piuttosto arida), poichè tutte le terre del globo sono già parte integrante del sistema economico globalizzato che è in crisi.
Una grande guerra oggi sarebbe nucleare e autodistruttiva, inoltre, il sistema economico occidentale ormai pervade tutta l'economia globale, quindi fare una grande guerra non sarebbe mai contro un vero nemico ma, in qualche modo, sarebbe sempre e comunque un danno al sistema stesso. Le guerre che rendono sono quello contro i sistemi economici alternativi, contrapposti e chiusi, quindi niente da fare, non ce ne sono in giro. Aspetteremo i marziani?
5) Questa crisi è globale ed è disastrosa ovunque nel mondo.
Questa è la solfa del "mal comune mezzo gaudio", sempre utile come anestetico locale. Purtroppo però questa affermazione è falsa: la crisi colpisce soprattutto gli stati occidentali, in particolar modo i satelliti degli USA. Certo c'e' una contrazione della domanda mondiale, e ne risentono tutti, ma noi andiamo in recessione a -2% di PIL annuo, i cinesi scendono da un +9 a un +7. Definire in crisi un'economia che cresce del 7% l'anno è tecnicamente errato, quindi concludiamo dicendo chiaro che NOI siamo in crisi, i Cinesi invece no.
6) La crisi colpisce le fasce più deboli della popolazione.
Questo, almeno per il momento, non è del tutto vero. Un operaio o un impiegato semplice precario spendevano tutto il loro stipendio per campare prima della crisi e lo spendono tutt'ora. Anzi, essendoci una leggera deflazione , se preservano il posto di lavoro, stanno meglio di prima.
I problemi più grossi al momento li hanno i borghesi, che hanno economie famigliari ben più complicate (imprese in proprio, immobili che si svalutano, soldi investiti in borsa che evaporano eccetera).
Inoltre questa crisi non è una crisi del necessario ma piuttosto una crisi del superfluo: non c'e' crisi dei consumi perchè si tira la cinghia privandosi di cose necessarie, c'e' crisi perchè si è meno disposti a buttare soldi in cazzate e a farsi debiti facili. Questo è appunto un comportamento che investe le abitudini soprattuto dei piccolo-borghesi, non degli operai!
Ora , quando si parla di "stimolare i consumi" dobbiamo parlarci chiaro e guardarci allo specchio: per uscire dalla crisi i borghesi non devono tornare a consumare il giusto, non basterebbe: devono tornare a consumare TROPPO come facevano fino a pochi mesi fa. Ora capite perchè è così difficile convincere la gente a consumare in questo momento?
7) Se i governi daranno gli aiuti e le spinte necessarie, si uscirà presto dalla crisi.
Forse. Ma se tutti tirano gli stati per la giacchetta, le finanze pubbliche possono esplodere causando una crisi ancora più grave. Ragioniamo: gli industriali chiedono soldi allo stato per produrre merci, i consumatori chiedono soldi allo stato per comperarle. Inoltre, tutti insieme chiedono sgravi fiscali allo Stato per consentire nuovi investimenti e rilancio economico.
Ma lo stato non è una mamma ricca con la borsa sempre piena: i soldi dello stato sono soldi degli stessi che li chiedono. Se tutti chiedono soldi allo Stato è come se tutti chiedessero soldi a sè stessi. Capiamo che non può reggere? Inoltre, se lo stato taglia i servizi di cui si occupa perchè ha usato i soldi per aiutare consumatori e imprenditori, ci saranno altre categorie come dipendenti pubblici e ditte appaltatrici di lavori pubblici che chiederanno aiuto allo stato perchè senza lavoro. Ecco che abbiamo il nostro bel circolo vizioso concentrico ed esplosivo da incorniciare come esempio di follia collettiva all'ennesima potenza.
8) La globalizzazione comunque ha creato molta ricchezza ed è stata una cosa buona finchè qualche spregiudicato banchiere speculatore non ha rovinato tutto.
Falso. La Globalizzazione è stata la più grande operazione di trasferimento di ricchezza verso le classi alte che la storia abbia mai conosciuto. Era vero, come dicevano, che i mercati si regolano da sè, peccato però che si fossero dimenticati di spiegare quanto è doloroso per i comuni mortali quando i mercati si danno i colpi di assestamento.
Inoltre, l'inondazione di merci cinesi a basso costo e la facilità di accesso al credito, uniti ad una sempre maggiore penetrazione del marketing aggressivo nella società hanno creato una mega-illusione nella classe media, la quale ha avuto la sensazione di stare meglio.
In realtà si stava impoverendo costantemente, nel livello di risparmio, nelle proprietà immobili e nel potere d'acquisto reale. (sarebbe interessante che qualcuno si mettesse a conteggiare la gigantesca quantità di danaro delle eredità dei vecchietti borghesi morti negli anni della globalizzazione, polverizzate in quattro e quattr'otto dagli eredi scialacquoni finto-ricchi).
9) In ogni caso la globalizzazione era inevitabile: non si può fermare la storia.
Certo. Ma quello che era assolutamente evitabile era questo tipo di globalizzazione! A Genova, nel 2001, un mucchio di gente protestò chiedendo una globalizzazione graduale, che subordinasse l'apertura dei mercati alla concessione di diritti ai lavoratori dei paesi poveri produttori. Una globalizzazione più lenta e più umana, che avrebbe messo al riparo i posti di lavoro occidentali, rallentando il flusso delle merci a basso costo, dando nel contempo una spinta per condizioni di lavoro più umane (e quindi costi più alti e meno concorrenza sleale) ai paesi emergenti.
Avremmo avuto meno telefonini in offerta speciale, meno pantaloni da 5 euro al paio ma meno fabbriche in crisi e posti di lavoro persi. I ricchi sarebbero stati un po' meno ricchi, i borghesi sarebbero stati bene come prima, gli operai, insomma, se la sarebbero cavata meglio.
Probabilmente la proposta era troppo intelligente per essere accettata, infatti coloro che la portarono avanti furono picchiati a sangue nelle vie di Genova con il beneplacito di una bella fetta dell'opinione pubblica italiana. La stessa opinione pubblica che oggi piange disperata chiedendo aiuto a mamma-stato.
10) L'importante è essere ottimisti.
E' una frase senza senso, buona per tutte le occasioni, ma pericolosa di per sè. "L'importante è essere ottimisti" puoi dirlo anche mentre sfrecci in contromano a 200 all'ora in autostrada di notte coi fari spenti. Oppure puoi fermarti, accendere le luci e fare inversione di marcia.
Concludendo, non si esce dalla crisi aspettando che passi come se fosse un temporale. Scordatevelo. Da sola non passerà. La crisi va guardata in faccia. Magari bisogna anche farsela amica, imparare a conviverci, starci dentro e incamerarla.
Il tempo di uscita dalla crisi è dato dalla nostra capacità di affrontare il problema con schemi mentali diversi da quelli che abbiamo usato per generarla.
Forse il tempo di uscita si accorcerà se impareremo che non tutta la felicità è nelle merci. E che le merci che contengono sfruttamento valgono meno e non è bene comperarle, perchè sono tristi prive di vero valore. Che le merci che contengono felicità perchè chi le produce è trattato bene hanno più valore e possono aiutarci.
Che se viviamo solo per le merci, produrremo merci che parlano della nostra ossessione nel produrre merci per avere soldi ed acquistare merci e così via. Se impariamo a produrre merci che parlano del meglio di noi stessi, si venderanno meglio, ma per farlo dobbiamo tornare a pensare che non tutto nella nostra vita è legato alle merci.
E finiamola con le merci che fanno finta di essere felici, perchè magari le hanno progettate designer felicissimi, e poi le hanno prodotte ragazzine indonesiane di tredici anni comandate con la frusta.
In fondo, i bisogni essenziali sono soddisfatti da tempo: oggi tutto gravita intorno al surplus, quindi scegliamolo bene questo surplus, sia quando lo comperiamo che quando lo produciamo. Scegliamo la qualità (nel senso più profondo del termine) anzichè la quantità. (anche il nostro ambiente e le nostre risorse naturali limitate ci ringrazieranno).
Potrebbe essere questa la via d'uscita per la crisi. Chissà. Non ho certezze, ma nemmeno paure troppo grandi che mi impediscano di pensarci. L'importante, in fondo, è esplorare nuove strade, perchè quella vecchia, ormai, è piena di buche che nessuno può riparare. Per fortuna.
Historia de un delincuente
La maravillosa historia de don Madoff
www.elpais.com
de FRANCISCO PEREGIL
Hace diez días el agente del FBI Theodore Cacioppi llamó a un apartamento de Manhattan. Sabía que la persona que estaba al otro lado de la puerta no sólo era el hombre que modernizó la Bolsa de Nueva York y consiguió que los intermediarios cambiaran el teléfono por el ordenador, con lo que las operaciones empezaron a cerrarse en segundos en vez de minutos y se podía ganar más dinero en menos tiempo.
"Ya nos estábamos mereciendo un fraude" ¿Pero dónde estaba el supervisor?
Traición en Palm Beach
Era un buen donante del Partido Demócrata y un generoso filántropo
Confesó al FBI que el fraude puede alcanzar los 50.000 millones de dólares
No logró engañar a algunos inversores, que supieron retirarse a tiempo
Vive bajo arresto domiciliario y permanece en casa toda la noche
Entre los afectados hay docenas de entidades y miles de pensionistas
No sólo había sido el presidente del Nasdaq, el mercado electrónico de acciones de EE UU. Ahora era el director de una empresa que se dedicaba a la intermediación bursátil y de otra, Bernard Madoff Investment Securities, que asesoraba a grandes inversores particulares y a gestoras de fondos. Su empresa ostentaba el récord de haber pagado beneficios superiores al 8% anual durante 72 meses consecutivos.
Bernard Madoff era, a sus 70 años, un sabio de Wall Street. Pero además, era un buen donante de las campañas electorales del Partido Demócrata y un generoso filántropo. Junto a su esposa, Ruth, dirigía la Fundación Madoff, que el año pasado donó 19 millones de dólares al grupo voluntario Kav Lachayim para que trabajase en escuelas y hospitales de Israel.
Él agente sabía todo eso y Bernard Madoff sabía a qué venía Cacioppi. Según consta en la denuncia por fraude masivo presentada por el investigador del FBI, una vez que el magnate les invitó a pasar a su casa el agente le advirtió:
-Estamos aquí para averiguar si hay una explicación inocente.
Y Madoff le contestó:
-No hay ninguna explicación inocente.
Madoff había empezado a juntar sus primeros ahorros como socorrista en las playas neoyorquinas de Long Island mientras estudiaba Derecho. A los 30 años, sin haber terminado la carrera y con 5.000 dólares en el bolsillo, fundó la empresa que llevaría siempre su nombre. Diez años después incorporó a su hermano Peter al negocio. Y después llegarían sus dos hijos y una nieta abogada.
El jueves 11 de diciembre, frente al agente Cacioppi, el gran sabio de las finanzas reconoció que durante 40 años tuvo a todo el mundo engañado. Que montó su empresa con un esquema fraudulento, que había cometido una estafa por valor de 50.000 millones de dólares (37.470 millones de euros) y que estaba arruinado y dispuesto a ir a la cárcel.
El agente había hablado dos días antes con dos directivos de su empresa. Ellos le contaron cómo a primeros de diciembre Madoff los llamó a su despacho para decirles que se veía obligado a devolver a ciertos inversores unos 7.000 millones de dólares y tenía dificultades para hacerlo. Los ejecutivos creían hasta ese momento que la empresa de Madoff disponía de una liquidez de entre 8.000 y 15.000 millones de dólares para responder a cualquier emergencia.
El martes nueve de diciembre Madoff los llamó de nuevo para comentarles algo aparentemente contradictorio con esa falta de liquidez: quería adelantar a diciembre la paga de los bonos que la compañía pagaba a sus trabajadores en febrero. ¿Por qué? Madoff les advirtió de que no le era posible abordar el asunto en la oficina y los invitó a su apartamento en Manhattan. Una vez allí, el jefe se quitó la careta. Les dijo que su negocio de asesoría financiera era "un fraude", que no tenía "absolutamente nada" de dinero y que antes de entregarse a la policía quería repartir los 200 o 300 millones de dólares que le quedaban entre empleados y familiares. Todo había sido "una gran mentira" sostenida durante cuarenta años sobre un "gigantesco esquema de Ponzi".
El inmigrante de origen italiano Carlo Ponzi (1882-1949) logró ingresar en los manuales de economía cuando en 1919 arruinó a 20.000 personas en Estados Unidos, a las que robó nueve millones de dólares. Ponzi se hizo millonario devolviéndole a algunos clientes el doble de lo invertido en sólo 90 días; eso sí, pagaba con el dinero de otros miles de clientes a los que nunca devolvió nada. En ese sistema, los últimos que llegan son los que están condenados a perder todos sus ahorros. Y los que llegan primero y saben retirarse a tiempo ganan un dinero fácil. Pero el sistema es ilegal, está basado en el engaño. A diferencia del fraude piramidal, en la estafa Ponzi es sólo una persona la que mantiene contacto directo con los inversores, mientras que en la pirámide la víctima también se convierte en estafador.
"Madoff fue más listo que Ponzi", indica un economista afincado en Estados Unidos, "porque él no prometía intereses del 30% ni del 40%, y mucho menos del 100% en tres meses, como Ponzi. Sus fondos de inversión daban unos beneficios de entre el 10% y el 15% al año, lo cual es algo extraordinariamente bueno, pero no escandalosamente bueno. Y aunque lloviese o nevase fuera, él aseguraba ganancias cada mes".
"El alza de la Bolsa y de la vivienda ha permitido todos estos años atrás ocultar muchos errores de gestión", explica el consultor financiero de Washington Isaac Cohen, de 68 años. "El dinero que ingresaba Madoff lo usaba para pagar a algunos de sus clientes. Y cuando dejó de entrar dinero se cayó la escalera. Se quedó sin ingresos para cubrir con las obligaciones".
Tras oír la confesión del jefe, los dos directivos, que en la denuncia del agente Cacioppi aparecen citados como "empleado senior número uno" y "empleado senior número dos", delataron a su jefe. En realidad, los empleados de Madoff eran sus hijos Andrew, de 42 años, y Mark, de 44. Ambos aseguran haber invertido varios millones de dólares en la empresa del padre y desde aquella conversación le retiraron la palabra, según fuentes citadas por la agencia Bloomberg. La policía no ha emprendido acciones contra ellos, pero sí contra Ruth, la esposa de Madoff, por supuesta connivencia en los desfalcos.
Madoff confesó al agente Cacioppi que el fraude podría alcanzar los 50.000 millones de dólares. También le dijo que estaba arruinado. "Pero yo no me puedo creer que 50.000 millones se puedan haber esfumado así como así. Madoff debe haber comprado algo y algún dinero se recuperará", indica Arturo Porzecanski, de 59 años, profesor de finanzas internacionales de la American University, en Washington, quien trabajó durante 30 años en instituciones de Wall Street.
Lo cierto es que no se conoce ni cuánto dinero robó Madoff ni a cuánta gente. La Securities Investor Protection Corporation (SIPC), el organismo que tratará de recuperar el capital de los inversores, ha advertido que se puede tardar hasta seis meses en aclarar las cuentas de Madoff. Hay miles de pensionistas adinerados y docenas de entidades financieras entre los afectados. El Banco Santander ha sido uno de los más perjudicados. La imagen de sus sucursales con su logotipo rojo se han mostrado a menudo en los informativos de los principales canales de televisión en Estados Unidos.
No había transcurrido ni medio año desde que la revista Euromoney otorgara en junio al Santander el premio al mejor banco del mundo. Su presidente, Emilio Botín, envió a la ceremonia celebrada en Londres ante los representantes de las principales entidades financieras británicas un discurso pronunciado en inglés. Sus palabras resultaron premonitorias en verano y se han vuelto contra él en invierno: "Como ustedes saben, el Banco Santander es una de las pocas entidades financieras que ha atravesado exitosamente las turbulencias financieras del año pasado sin que se viera afectado por los productos tóxicos. Ustedes pueden preguntarse cómo fue eso posible. Bien, déjenme explicárselo: Si no entiendes completamente un producto, no lo compres; si no comprarías un producto para ti mismo, no lo vendas; y si no conoces a tus clientes muy bien, no les prestes dinero. Si haces estas tres cosas serás un mejor banquero, hijo mío".
El banco Santander pareció seguir bien la primera máxima (si no entiendes completamente un producto, no lo compres), porque apenas invirtió 17 millones de euros en la empresa de Madoff, pero desatendió el segundo precepto (no vendas lo que no comprarías para ti), porque invirtió 2.300 millones con el dinero de sus clientes.
Entre los miles de afectados se encuentra Alicia Koplowitz, una de las mujeres más ricas de España, quien ha podido perder unos 10 millones de euros, y el empresario Juan Abelló. Entre las firmas españolas que invirtieron en Madoff destacan M&B Capital Advisers, de Javier Botín (hijo de Emilio) y Guillermo Morenés (marido de Ana Patricia Botín, hija del presidente del Santander); el BBVA y el propio Santander a través de Optimal, su gestora de hedge funds.
Otras víctimas son el asesor financiero de los famosos de Hollywood, Gerald Breslauer, quien a su vez invirtió dinero del director Steven Spielberg, y entidades humanitarias, además de otros bancos como el británico HSBC, con casi 750 millones de euros, o el BNP, el mayor banco francés por valor de mercado, con unas potenciales pérdidas de 350 millones de euros.
Hay periodistas judíos que han lamentado el daño que Madoff ha infligido a su pueblo y han recordado que entre los estafados también hay organizaciones benéficas judías.
Después del descalabro surge la pregunta: ¿Cómo pudo engañar a Bernard L. Madoff durante casi 40 años a todo el mundo? ¿A sus dos hijos, a su hermano Peter, a PwC, KPMG y Ernst & Young, tres de las cuatro mayores auditoras del mundo, a medios como The Wall Street Journal, bancos como el Santander, a la comisión de valores de EE UU (Securities and Exchange Commission, SEC), en cuya plantilla de 3.000 empleados hay 400 técnicos cuya misión es precisamente velar para que no se perpetren fraudes cómo éste? Hubo periodistas especializados en hedge funds, como Michel Ocrant, que en 2001 entrevistó durante varias horas a Madoff porque tenía ligeras sospechas sobre su negocio. Y lo vio tan sereno y seguro de sí mismo que salió convencido de que Madoff, sencillamente, había dado con una gran fórmula de hacer dinero.
Es verdad que Madoff poseía una gran capacidad de convicción. Para meter la mano en los bolsillos mejor protegidos del mundo tuvo que limarse bien las uñas. Madoff transmitía riqueza, pero no excesiva ostentación. Seguridad, pero no codicia. Cada vez que visitaba su barbería predilecta en la avenida Worth de Palm Beach (Florida) se gastaba el equivalente a 15 euros en manicura, 45 en el corte de pelo y 27 en el afeitado. Vive en un piso que compró en 1990 a diez manzanas de su oficina por 3,3 millones de dólares; tiene otra casa frente a las playas de Long Island, donde solía invitar a sus empleados, y es propietario también de una vivienda valorada en 21 millones de dólares junto a las canchas de golf del Palm Beach Country Club. Y posee un yate de 16 metros de largo que compró en 1977 por 462.000 dólares. En definitiva, tres casas, un yate y el abono de socio a unos selectos clubes de golf, donde solía jugar junto a su esposa.
"Todos los tramposos son simpáticos. Y él lo era hasta el punto de que iba a los funerales de sus inversores", explica el consultor Isaac Cohen. Es verdad que el aura de triunfador ayuda a convencer a los demás, pero no basta para explicar por qué cayeron tan ingenuamente en sus redes tantísimos expertos financieros. ¿Cómo pudo, entonces, engañar a todos? En la pregunta está la trampa. Se trata de uno de los mayores fraudes financieros de la historia, si no el mayor. Pero Madoff no engañó a todos.
Hubo alguna entidad, como la francesa Société Générale, que cumplió con su deber de supervisar el lugar donde pensaba invertir el dinero de sus clientes. Hace cinco años, cuando todo lo que rodeaba a Madoff olía a prestigio y solvencia, un equipo del banco acudió a la oficina de Manhattan para efectuar una supervisión rutinaria. Y vieron que los números no cuadraban. Lo mismo ocurrió con Aksia, una empresa neoyorquina especializada en asesorar sobre fondos de inversión. La gente de Aksia, tras 18 meses de inspecciones, averiguaron el año pasado que la contabilidad de la empresa de Madoff la llevaba la compañía Frieshling & Horowitz. Y detrás esa empresa sólo había tres personas. Una de ellas tenía 78 años y vive en Florida y la otra era una secretaria.
Además, hubo gente como el financiero Harry Markopolos, de Boston, que trabajaba en una empresa rival y venía remitiendo cartas a la SEC ¡desde 1999! en las que denunciaba que Madoff estaba actuando ilegalmente con un sistema Ponzi. "Yo fui el chico que gritó que viene el lobo", declaró Markopolos esta semana. A Markopolos le espolearon sus jefes para que consiguiera los mismo resultados que Madoff.
Pero era imposible. No disponía de pruebas corroborables, pero escribió en el año 2000 una carta que comenzaba diciendo: "Soy un idiota por hacerles perder el tiempo" y en las que pedía que se investigara a Madoff. La carta llegó a Edward Manion, un empleado de la SEC en Boston, que le confió por teléfono: "Esto parece serio". Al año siguiente, la investigación de la SEC en Boston pasó a Nueva York. Pero Manion pidió a Markopolos que siguiera remitiendo informes a la sede central de la SEC. Y así lo hizo durante ocho años.
Por fin, en junio de 2006, la SEC abrió fin una investigación sobre Madoff. Ese mismo año, Eric Swanson, un funcionario de la SEC de nivel medio, conoció a Shana Madoff, una nieta del financiero que trabaja como abogada en la empresa de Madoff. Swanson dejó su puesto en la SEC y se casó el año pasado con Shana. En noviembre de 2007 la SEC concluyó su investigación afirmando que no había evidencia de fraude en la empresa de Madoff. Hay quien se pregunta si en la actitud de la SEC influyó en algo la relación del funcionario Eric Swanson con la nieta de Madoff. Puede incluso que alguien de la SEC cobrara no ya por mirar hacia otro lado -cosa que era imposible puesto que la investigación tenía como objetivo descubrir se había producido un fraude de sistema piramidal-, sino por mentir a sabiendas. O puede que sólo influyera el hecho de que los inspectores de la SEC creían en la magia de Madoff. Los intereses que supuestamente repartía iban hacia arriba cuando todo el mundo se precipitaba hacia el fondo de la crisis. Y Madoff siguió jugando al golf y reclutando clientes.
En un acto de asunción de responsabilidad sin precedentes, el presidente de la SEC, Christopher Cox, reconoció que durante casi una década hubo "específicas y creíbles" denuncias contra la empresa de Madoff a las que la Comisión de Valores no prestó atención. Cox ha puesto en marcha una investigación interna. Pero antes de empezarla ya se sabe que la SEC se conformó con estudiar los libros que el propio Madoff le facilitaba, libros que estaban llenos de datos falsos, según reconoce ahora el propio Cox, sin solicitar una autorización judicial para inspeccionar todas las cuentas. Esta semana el presidente electo, Barack Obama, ya nombró a la que será sustituta de Cox en la SEC, Mary Schapiro.
Madoff tampoco logró engañar, probablemente, a algunos inversores que supieron retirarse a tiempo. "Y esos estarán ahora bien calladitos, pero seguro que ganaron un buen dinero", indica un economista afincado en Washington que prefiere no revelar su nombre. Esta fuente del sector considera que el Santander pecó de negligencia. "Se produjo algo parecido a lo de las hipotecas subprime. Un intermediario deposita su confianza en otro, que a su vez la deposita en otro... y al final se evapora el dinero de los clientes del Santander. Es cierto que vivimos hoy en una sociedad en la que todo el mundo se especializa y subcontrata a alguien. Pero si yo dejo mi dinero en el Santander es porque confío en que vaya a hacer el trabajo de supervisión en los fondos que yo no puedo hacer".
Hay quien se pregunta también si de verdad engañó Madoff a sus propios hijos. La empresa de asesoría de Madoff, desde donde se venía cometiendo el fraude, se encontraba en el piso 17 del edificio Lipstick, y la de corretaje, donde trabajaban el hermano, los hijos y la nieta, en los pisos 18 y 19. Las empresas usaban sistemas informáticos distintos y Madoff guardaba los libros de contabilidad bajo llave. Mientras la empresa de arriba ofrecía una transparencia absoluta, la de abajo era opaca.
¿Por qué confiaron tantos inversores en que de en esa oscuridad del piso 17 su dinero estaba a buen recaudo? El agente Cacioppi deja entrever una posible respuesta citando un párrafo que aparecía en el portal de Internet de la empresa de Madoff: "En la época de las organizaciones sin rostro que pertenecen a otras organizaciones igualmente sin rostro, Bernard L. Madoff Investment Securities vuelve a una época anterior en el mundo financiero: El nombre del propietario está en la puerta. Los clientes saben que Bernard Madoff tiene un interés personal en mantener el intachable historial de retorno sobre las inversiones, negocios justos y altos estándares éticos que siempre han distinguido a esta empresa".
O lo que es lo mismo: la palabra de un hombre es su contrato. A pesar de ser un adalid de los avances electrónicos, Madoff no abría el sistema informático del piso 17 para que los clientes comprobaran la evolución de sus propias inversiones. A cambio, Madoff les vendía su gran aura de persona con acceso a las informaciones más confidenciales de Wall Street. Su nombre estaba en la puerta. Parecía tan fiable que le apodaban el judío de las Letras del Tesoro. Pedirle que desvelara sus métodos, según The Economist, era como pedirle a Coca-Cola que enseñara su fórmula mágica. Madoff cultivaba con tanta convicción su imagen de tipo selectivo que se permitía rechazar clientes adinerados.
Madoff ha pagado una fianza de 10 millones de dólares y ha de llevar un brazalete metálico. Vive ahora bajo un arresto domiciliario que le obliga a permanecer en casa desde las siete de la tarde a las nueve de la mañana. Uno de los principales humoristas del país recordaba que no parece un castigo muy duro para una persona de 70 años pasar la noche en casa. Lo máximo que le puede caer por el fraude cometido son el pago de una multa equivalente a 3,4 millones de euros y 20 años de cárcel.
Entre las muchas explicaciones que puede ofrecer Madoff para contar lo que hizo, no hay ninguna inocente.
Noticias inadvertidas
La atención mediática que han acaparado las cruciales elecciones en Estados Unidos, la mayor crisis financiera desde el crack del 29 o los Juegos Olímpicos de China ha relegado a un segundo plano acontecimientos de gran trascendencia, que han pasado inadvertidos a la opinión pública. El aumento de producción de coca en Colombia o la construcción en India de un escudo antimisiles con la ayuda estadounidense no han encontrado espacio en los medios de comunicación. La edición española de Foreign Policy recoge en su último número "diez noticias importantes" que nunca lograron ocupar las primeras páginas.
El aumento de la producción de coca en Colombia
El Plan Colombia, destinado a aumentar la seguridad y a eliminar los cultivos de droga, ha fracasado. EE UU invirtió en él seis mil millones de dólares pero el 90% de la cocaína que consumen los estadounidenses procede del país suramericano. Según la Oficina de Cuentas del Gobierno de EE UU (GAO, en sus siglas en inglés), el cultivo de coca creció un 15% entre 2000 y 2006. Son aún más alarmantes las cifras de un estudio de la ONU, que sitúan el aumento de la producción en un 27% sólo en 2007. La coca, base para la producción de cocaína, continúa financiando a los grupos paramilitares y a las FARC. Sin embargo, a pesar de las fumigaciones aéreas y de las operaciones militares colombianas contra las guerrillas, el tráfico de droga no ha disminuido. La falta de alternativas para los campesinos que cultivan coca ha provocado que trasladen sus plantaciones hacia regiones más remotas.
El escudo antimisiles de India
Las tensiones suscitadas en Rusia ante la construcción del sistema de defensa antimisiles de EE UU en el este de Europa no son equiparables a la reacción provocada por la instalación de un escudo antimisiles en India, que, por el contrario, no ha entrado a debate en la opinión pública. El pasado 27 de febrero, el secretario de Defensa de EE UU, Robert Gates, anunció las negociaciones con India para construir un sistema de defensa antimisiles, que podría tener grandes consecuencias en la estabilidad regional y despertar la ira de China o Pakistán.
Un hotel de lujo en Tbilisi
Estados Unidos prometió a Georgia una ayuda de mil millones de dólares (720 millones de euros) para contribuir a la recuperación del país tras la guerra en agosto con Rusia. A pesar de que algunas ciudades georgianas resultaron devastadas por los bombardeos rusos, 176 millones de dólares (unos 126 millones de euros) del auxilio estadounidense se han empleado en préstamos a empresas, de los cuales 30 millones se han invertido en la construcción de un hotel de lujo, el Park Hyatt, en el centro de Tbilisi, una zona que no sufrió daños por los ataques rusos.
Rusia se lanza a la conquista de África
Los recursos energéticos de África se encuentran en el punto de mira ruso. Frente a las ya conocidas incursiones empresariales chinas en el continente, Rusia busca ganar los contratos de gas y de petróleo, hecho que, de consumarse, reduciría las alternativas de suministro europeo. Por el momento, el monopolio energético estatal ruso Gazprom se ha hecho con las concesiones de gas de Nigeria -país que, según se sospecha, cuenta con una de las mayores reservas mundiales-, financiará un gaseoducto transhariano de 4.000 kilómetros hacia Europa, trata de invertir en un gaseoducto de Libia construido bajo el mar Mediterráneo y se ha ofrecido a comprar todo el gas libio y parte de sus exportaciones de petróleo. De esta manera, Moscú controlaría todos los suministros energéticos a la Unión Europea.
Aumento de tropas en Afganistán antes de lo previsto
Las promesas del presidente electo de EE UU, Barack Obama, de incrementar el número de tropas en Afganistán ya han comenzado antes de la toma posesión. La administración Bush ha aumentado en 85.000 el número de soldados desplegados en el país centro asiático y ha emprendido la construcción de una prisión de 50 millones de dólares (unos 36 millones de euros), cerca de la base aérea de Bagram, y la ampliación del aeródromo de Kandahar, con un presupuesto de unos 100 millones de dólares (unos 72 millones de euros).
Un nuevo Darfur
El sur de Kordofan, un Estado creado en 2005 en el centro de Sudán, podría convertirse en un nuevo Darfur. El ejército del Gobierno, las fuerzas del sur de Sudán y los grupos locales se están armando de cara a las elecciones nacionales previstas para 2009. Según el Grupo Internacional de Crisis, centenares de personas han muerto por peleas por tierras y derechos de pastoreo debido a los enfrentamientos que han surgido entre los nuba, un grupo tribal de más de 50 etnias africanas, y los nómadas árabes.
Energía solar contaminante
Los últimos paneles solares fabricados contienen un gas, el NF3, que, según un estudio publicado en 2008 por la Universidad de California "tiene un posible efecto invernadero superior incluso a las mayores centrales alimentadas con carbón". La Agencia de Protección Ambiental Estadounidense ha fomentado su uso porque el sector calcula que sólo un 2% del NF3 sale a la atmósfera. Aunque las emisiones de NF3 siguen siendo insignificantes con respecto a las de CO2, científicos del Scripps Institution of Oceanography (EE UU) estiman que hay cuatro veces más NF3 del calculado por el sector energético y alertan contra las catastróficas consecuencias que la generalización de su uso podrá tener en los próximos años.
El peligroso acero de Shangai
Los rascacielos de Shangai podrían no ser lo suficientemente resistentes a terremotos y sus estructuras podrían correr el riego de corroerse a medio plazo. Según un reportaje publicado el pasado marzo por el diario Shangai Daily, la mitad del acero que compraron las constructoras de la ciudad no reunía los requisitos básicos de calidad. Una cuarta parte de las muestras no superó los exámenes de tensión, mientras que 27 de las 52 muestras analizadas eran demasiado ligeras. Algunas estaban incluso por debajo del peso del hierro, una contradicción si se tiene en cuenta que el hierro es el principal ingrediente del acero.
Juzgado un estadounidense por torturas en el extranjero
Por primera vez, desde que EE UU aprobara en 1994 el estatuto federal de tortura extraterritorial -tras ratificar el Convenio de la ONU contra la tortura-, un tribunal estadounidense ha juzgado a uno de sus ciudadanos por torturas cometidas en el extranjero. Un juez federal condenó el pasado 30 de octubre por tortura, conspiración y posesión de un arma de fuego a Charles Chuckie Taylor Junior, el hijo del antiguo presidente de Liberia, quien actualmente está pendiente de juicio en la Haya. Taylor Junior nació en Massachussets y conservó la ciudadanía estadounidense cuando se marchó a Liberia, después de que su padre tomara posesión. Como miembro de la Unidad Antiterrorista, torturó a miembros de la oposición. La condena del hijo del ex presidente de Liberia abre la puerta a procesos contra ciudadanos estadounidenses que han violado los derechos humanos fuera de sus fronteras de origen.
Una empresa de EE UU vende pistolas sónicas a China
La American Technology Corporation, una empresa con sede en California, vendió a China Dispositivos Acústicos de Largo Alcance (LRAD, en sus siglas en inglés), una especie de pistolas sónicas con las que las autoridades chinas quisieron blindarse ante la posibilidad de altercados durante los Juegos Olímpicos. La operación se realizó a pesar de las restricciones de la venta de armamento impuestas por EE UU tras la matanza de Tiananmen en 1989. El LRAD emite ondas acústicas que pueden llegar a alcanzar 150 decibelios y que, empleados contra una multitud, pueden infligir dolor, provocar pánico o pérdida de audición. Sin embargo, el potencial de estas armas puede ser mayor, mas aun cuando el vicepresidente de la compañía explicó que pueden ser utilizadas "para evitar incidentes terroristas" o contra "piratas somalíes". Por el momento, no se tiene constancia de que las fuerzas de seguridad chinas hayan empleado pistolas sónicas contra personas.
sabato, dicembre 20, 2008
Il compagno Romeo
Chi vuole si legga la nota della procura.
http://static.repubblica.it/napoli/pdf/nota_procura.pdf
http://static.repubblica.it/napoli/pdf/nota_procura.pdf
Raffaella Carrà satanista?
... o solo vecchia?
Un video che ha suscitato proteste violentissime. Ma questa ci è o ci fa?
Un video che ha suscitato proteste violentissime. Ma questa ci è o ci fa?
Equidistanza di Marcenaro
Con l'equilibrio che da sempre lo contraddistingue il collega Marcenaro così commenta un editoriale apparso sull'Unità. La stampa di sinistra critica la sinistra mentre la stampa di destra critica.... la sinistra. Alla faccia dell'equilibrio. Mi chiedo quando Marcenaro farà un coraggioso editoriale chessò, sul caso Mills-Berlusconi oppure sul fatto che nel partito del premier i suoi esponenti coraggiosamente affermano "che nel partito di Berlusconi non ci sono correnti", una cosa che ci si potrebbe aspettare nell'Argentina di Videla, non in un paese democratico. Ma questo a Marcenaro sembra non interessare. Lui sagacemente fa le pulci a Concita De Gregorio. Impareggiabile Marcenaro.
Andrea Marcenaro per "Il Foglio"
Cara Concita De Gregorio, il suo slancio è apparso generoso e nobile. A commento dei risultati delle elezioni in Abruzzo, e della slavina di inchieste penali abbattutasi su sindaci, amministratori e parlamentari del Partito democratico, lei ha scelto di dedicare il suo Filo rosso quotidiano ai lettori dell'Unità. Ha scelto di parlare con le loro parole, facendole sue. Abbiamo così scoperto che la lettrice Daniela propone di tirare scarpate ai politici che fanno un uso criminale del suo voto, che il lettore Daniele denuncia i politici che fanno un uso spregiudicato e affaristico del potere, che il lettore Nanni non ne può più della sinistra immobiliare, e dei passapizzini, e propone un'unica rete televisiva del Pd, la quale si chiami Etica-tv.
Opinioni interessanti. Poi c'è Giancarlo. Lei ha dato molto spazio, a Giancarlo, come a significare che ne condivide particolarmente il pensiero. E Giancarlo dice: "Bisogna che il Pd si sbarazzi della zavorra e che sia trasparente come una casa di vetro". D'accordo sulla zavorra. Per la trasparenza, e la casa di vetro, lascerei qualche tapparella per non far vedere che Di Pietro ha fatto la cacca in tutte le stanze.
Inconsapevolezza?
La corruzione inconsapevole che affonda il Paese
di ROBERTO SAVIANO
da Repubblica.it
La cosa enormemente tragica che emerge in questi giorni è che nessuno dei coinvolti delle inchieste napoletane aveva la percezione dell'errore, tantomeno del crimine. Come dire ognuno degli imputati andava a dormire sereno. Perché, come si vede dalle carte processuali, gli accordi non si reggevano su mazzette, ma sul semplice scambio di favori: far assumere cognati, dare una mano con la carriera, trovare una casa più bella a un costo ragionevole. Gli imprenditori e i politici sanno benissimo che nulla si ottiene in cambio di nulla, che per creare consenso bisogna concedere favori, e questo lo sanno anche gli elettori che votano spesso per averli, quei favori. Il problema è che purtroppo non è più solo la responsabilità del singolo imprenditore o politico quando è un intero sistema a funzionare in questo modo.
Oggi l'imprenditore si chiama Romeo, domani avrà un altro nome, ma il meccanismo non cambierà, e per agire non si farà altro che scambiare, proteggere, promettere di nuovo. Perché cosa potrà mai cambiare in una prassi, quando nessuno ci scorge più nulla di sbagliato o di anomalo. Che un simile do ut des sia di fatto corruzione è un concetto che moltissimi accoglierebbero con autentico stupore e indignazione. Ma come, protesterebbero, noi non abbiamo fatto niente di male!
E che tale corruzione non vada perseguitata soltanto dalla giustizia e condannata dall'etica civile, ma sia fonte di un male oggettivo, del funzionamento bloccato di un paese che dovrebbe essere fondato sui meccanismi di accesso e di concorrenza liberi, questo risulta ancora più difficile da cogliere e capire. La corruzione più grave che questa inchiesta svela sta nel mostrarci che persone di ogni livello, con talento o senza, con molta o scarsa professionalità, dovevano sottostare al gioco della protezione, della segnalazione, della spinta.
Non basta il merito, non basta l'impegno, e neanche la fortuna, per trovare un lavoro. La condizione necessaria è rientrare in uno scambio di favori. In passato l'incapace trovava lavoro se raccomandato. Oggi anche la persona di talento non può farne a meno, della protezione. E ogni appalto comporta automaticamente un'apertura di assunzioni con cui sistemare i raccomandati nuovi.
Non credo sia il tempo di convincere qualcuno a cambiare idea politica, o a pensare di mutare voto. Non credo sia il tempo di cercare affannosamente il nuovo o il meno peggio sino a quando si andrà incontro a una nuova delusione. Ma sono convinto che la cosa peggiore sia attaccarsi al triste cinismo italiano per il quale tutto è comunque marcio e non esistono innocenti perché in un modo o nell'altro tutti sono colpevoli. Bisogna aspettare come andranno i processi, stabilire le responsabilità dei singoli. Però esiste un piano su cui è possibile pronunciarsi subito. Come si legge nei titoli di coda del film di Francesco Rosi "Le mani sulla città: "I nomi sono di fantasia ma la realtà che li ha prodotti è fedele".
Indipendentemente dalle future condanne o assoluzioni, queste inchieste della magistratura napoletana, abruzzese e toscana dimostrano una prassi che difficilmente un politico - di qualsiasi colore - oggi potrà eludere. Non importa se un cittadino voti a destra o a sinistra, quel che bisogna chiedergli oggi è esclusivamente di pretendere che non sia più così. Non credo siano soltanto gli elettori di centrosinistra a non poterne più di essere rappresentati da persone disposte sempre e soltanto al compromesso. La percezione che il paese stia affondando la hanno tutti, da destra a sinistra, da nord a sud. E come in ogni momento di crisi, dovrebbero scaturirne delle risorse capaci di risollevarlo. Il tepore del "tutto è perduto" lentamente dovrebbe trasformarsi nella rovente forza reattiva che domanda, esige, cambia le cose. Oggi, fra queste, la questione della legalità viene prima di ogni altra.
L'imprenditoria criminale in questi anni si è alleata con il centrosinistra e con il centrodestra. Le mafie si sono unite nel nome degli affari, mentre tutto il resto è risultato sempre più spaccato. Loro hanno rinnovato i loro vertici, mentre ogni altra sfera di potere è rimasta in mano ai vecchi. Loro sono l'immagine vigorosa, espansiva, dinamica dell'Italia e per non soccombere alla loro proliferazione bisogna essere capaci di mobilitare altrettante energie, ma sane, forti, mirate al bene comune. Idee che uniscano la morale al business, le idee nuove ai talenti.
Ho ricevuto l'invito a parlare con i futuri amministratori del Pd, così come l'invito dell'on del Pdl Granata ad andare a parlare a Palermo con i giovani del suo partito. Credo sia necessario il confronto con tutti e non permettere strumentalizzazioni. Le organizzazioni criminali amano la politica quando questa è tutta identica e pronta a farsi comprare. Quando la politica si accontenta di razzolare nell'esistente e rinuncia a farsi progetto e guida. Vogliono che si consideri l'ambito politico uno spazio vuoto e insignificante, buono solo per ricavarne qualche vantaggio. E a loro come a tutti quelli che usano la politica per fini personali, fa comodo che questa visione venga condivisa dai cittadini, sia pure con tristezza e rassegnazione.
La politica non è il mio mestiere, non mi saprei immaginare come politico, ma è come narratore che osserva le dinamiche della realtà che ho creduto giusto non sottrarmi a una richiesta di dialogo su come affrontare il problema dell'illegalità e della criminalità organizzata. Il centrosinistra si è creduto per troppo tempo immune dalla collusione quando spesso è stato utilizzato e cooptato in modo massiccio dal sistema criminale o di malaffare puro e semplice, specie in Campania e in Calabria. Ma nemmeno gli elettori del centrodestra sono felici di sapere i loro rappresentanti collusi con le imprese criminali o impegnati in altri modi a ricavare vantaggi personali. Non penso nemmeno che la parte maggiore creda davvero che sia in atto un complotto della magistratura. Si può essere elettori di centrodestra e avere lo stesso desiderio di fare piazza pulita delle collusioni, dei compromessi, di un paese che si regge su conoscenze e raccomandazioni.
Credo che sia giunto il tempo di svegliarsi dai sonni di comodo, dalle pie menzogne raccontate per conforto, così come è tempo massimo di non volersela cavare con qualche pezza, quale piccola epurazione e qualche nome nuovo che corrisponda a un rinnovamento di facciata. Non ne rimane molto, se ce n'è ancora. Per nessuno. Chi si crede salvo, perché oggi la sua parte non è stata toccata dalla bufera, non fa che illudersi. Per quel che bisogna fare, forse non bastano nemmeno i politici, neppure (laddove esistessero) i migliori. In una fase di crisi come quella in cui ci troviamo, diviene compito di tutti esigere e promuovere un cambiamento.
Svegliarsi. Assumersi le proprie responsabilità. Fare pressione. È compito dei cittadini, degli elettori. Ognuno secondo la sua idea politica, ma secondo una richiesta sola: che si cominci a fare sul serio, già da domani.
venerdì, dicembre 19, 2008
giovedì, dicembre 18, 2008
Sacconi per tutti
La replica di Lamanna a Sacconi: non servono ulteriori certificazioni, il sondino si può staccare
Il ministro Sacconi: nessuno stop all'alimentazione nelle strutture pubbliche. Eluana, il Consiglio superiore di Sanità:«È eutanasia». Il padre: ora silenzio
Bagnasco su Eluana: «Non sospenderel'idratazione e l'alimentazione»
Eluana, respinto l'ultimo ricorso. «Si può staccare il sondino» (13 nov. 2008) MILANO - «Il decreto non ha bisogno di alcuna ulteriore certificazione di esecutività perchè la legge dice che tutte le volte che un provvedimento giudiziario non è più soggetto a impugnazione diventa definitivamente esecutivo». Lo ha detto il giudice della prima sezione civile della corte d'appello di Milano, Filippo Lamanna, estensore del decreto con cui, lo scorso luglio, Beppino Englaro era stato autorizzato a interrompere l'alimentazione e l'idratazione artificiali che da quasi 17 anni tengono in vita la figlia Eluana, in stato vegetativo permanente.
IMPUGNAZIONE IMPOSSIBILE - Il giudice ha spiegato che, nel caso specifico, il decreto del 9 luglio era già esecutivo e che, dopo il provvedimento dello scorso 11 novembre della Cassazione, che ha dichiarato inammissibile l'impugnazione della Procura Generale, è diventato definitivamente esecutivo. Comunque i legali di Englaro, ha precisato il magistrato, eventualmente possono chiedere alla cancelleria della Corte d'appello una attestazione che il provvedimento non è più soggetto a impugnazione e, di conseguenza, è esecutivo.
L'INTERVENTO DI SACCONI - La precisazione del magistrato è una risposta indiretta al ministro della Salute, Maurizio Sacconi, che aveva diramato un atto di indirizzo per impedire di fatto alle strutture sanitarie private di praticare l'interruzione della idratazione e della nutrizione ai pazienti che si trovano in stato vegetativo. Un'azione, quella del ministro, che ha raccolto il plauso degli ambienti cattolici e delle forze politiche del centrodestra, ma che ha ricevuto critiche dal mondo laico e dai gruppi che si battono per i diritti civili. Lo stesso ministro è tornato ad intervenire dopo la diffusione delle parole di Lamanna da parte dei media, facendo presente che «certi comportamenti difformi da quei principi determinerebbero inadempienze con conseguenze immaginabili». Sacconi lo ha detto replicando da Bruxelles ai giornalisti gli chiedevano se la Casa di cura «Città Udine» - dove Eluana deve essere trasferita - rischia di perdere la convenzione con il servizio sanitario nazionale se esegue la sentenza della Cassazione per lo stop all'alimentazione forzata.
LA CURATRICE - Era stata la curatrice speciale di Eluana, l'avvocato lecchese Franca Alessio, a ipotizzare uno scavalcamento dell'atto di indirizzo del ministero mediante una formula esecutiva del decreto emanato dalla Corte d'Appello di Milano». E lo aveva fatto dopo le parole di Claudio Riccobon, l'amministratore delegato della clinica «Città di Udine» presso la quale era stato già disposto il trasferimento della ragazza. : «Ci dobbiamo tutelare - ha detto Riccobon - perchè ora il problema è eminentemente giuricio, legislativo e politico. Ma noi siamo pronti. Una equipe di medici esterni, composta da 20-25 professionisti, è già organizzata per accogliere Eluana e per assisterla, in modo gratuito e volontario, nel distacco dell'alimentazione artificiale. Siamo una strutura privata, convenzionata con il Servizio sanitario regionale e nazionale e quindi dobbiamo essere molto sicuri di non incorrere in errori o, peggio, in violazioni di legge. Anzi noi vogliamo agire nel pieno e totale rispetto delle sentenze, delle leggi e dei regolamenti».
IL DISTACCO - Una volta espletate le formalità legali, il «percorso» del distacco dell'alimentazione artificiale alla quale Eluana è sottoposta da 17 anni sarà abbastanza lungo. I sanitari parlano di circa 15 giorni. Poi la donna sarà sepolta a Paluzza (Udine), in Carnia, terra d'origine della famiglia, cui la giovane era molto legata. E forse la donna potrà finalmente trovare un pò di pace lontano dal chiasso del dibattito politico-legale di questi mesi.
Sacconi, un altro che attraverserà la politica e la storia italiana senza lasciare traccia, minaccia e si permette, in barba a qualsiasi decenza, di invitare a disattendere una sentenza della cassazione. Se non è d'accordo si dimetta e continui la sua lotta politica in modo diverso, da obiettore. Altrimenti forse hanno ragione coloro i quali lo considerano persona assolutamente poco seria e squallidamente attaccata alla poltrona.
Buon Natale
Natale ai tempi della crisi
da repubblica.it
E' buio, quando papà rientra a casa. Ha un'aria strana, forse è stanco o infreddolito. Si avvicina, ci dà un bacio sulla fronte come al solito e va in cucina da mamma. Io e mio fratello continuiamo ad addobbare l'albero, mio fratello un po' si stufa, perché dice che è sempre lo stesso da molti anni. Mamma allora, per accontentarlo, ha comprato cinque decorazioni nuove in quei negozietti da 50 centesimi, ma a lui non bastano, è un periodo nero, non gli va mai bene niente, non gli vanno bene i vestiti che ci hanno regalato delle amiche di mamma dei loro figli più grandi di noi, non gli va bene mangiare verdure per secondo, non gli va bene non avere il telefonino o la play station di ultima generazione, insomma è incontentabile! Mamma dice che è l'età e bisogna capirlo.
Finalmente abbiamo terminato e, anche se è sempre lo stesso, il mio albero è bellissimo. Distrattamente guardo in cucina e vedo papà che si mantiene la fronte, ma anche mamma ha un'aria strana, direi preoccupata. Allora furtivamente ascolto cosa stanno dicendo, ora capisco : papà sarà in cassa integrazione dalla prossima settimana, perché, a causa della crisi economica, non c'è richiesta di lavoro. Mamma allora gli si avvicina, gli accarezza i capelli e gli dice di non preoccuparsi, che rinunceremo ai regali, tireremo la cinghia, ma andremo avanti. Potrebbe anche trovare lavoro come donna delle pulizie, in fondo, in questo periodo sono tante le persone che vogliono avere la casa "linta e pinta" ma che non hanno voglia o il tempo per farlo.
Ma papà non sembra consolarsi, dice di essere un fallito, perché non è riuscito a dare tranquillità e sicurezza alla sua famiglia. Si sente un fallito, perché ha caricato mamma di mille preoccupazioni e, nonostante gli sforzi, con quel misero stipendio di operaio, che portava in casa, non si riusciva ad arrivare a fine mese. Si sente un fallito perché non riesce a dare ai suoi figli un futuro sereno: non può portarci al cinema o al ristorante, ma neanche comprarci dei vestiti nuovi o una fetta di carne in più al posto delle solite verdure. Mamma allora si siede accanto a lui, lo guarda negli occhi e gli dice determinata e lucida: "E' LO STATO CHE HA FALLITO" non tu, lo Stato che non riesce a dare benessere ai suoi cittadini e sta producendo sempre più "nuovi poveri".
Papà allora la guarda e le chiede se c'è speranza che le cose cambino e mamma gli risponde che a Natale tutto può succedere, i desideri possono avverarsi. Corro in cucina, li abbraccio forte e mi rendo conto di aver avuto dalla vita il regalo più bello: la mia famiglia, povera ma dignitosa, ed è una ricchezza che nessuno potrà mai togliermi.
venerdì, dicembre 12, 2008
Mohamed al Fazio
Fabio Fazio non è certo un pasdaran dell'informazione. Molte delle sue interviste sono all'acqua di rose proprio per non indispettire l'ospite di turno. Va detto però che con questa politica persino lui sembra un coraggioso Letterman. Inverosimili le polemiche create ad arte da una parte politica (che, lo ripeterò fino alla noia destra NON è, ma solo un'accozzaglia di populisti incapaci) per poter montare polemiche assolutamente pretestuose. È inverosimile che nel 2008 questi (ma dall'altra parte sono uguali) si permettano di chiamare per mandare chi vogliono loro. Per rispondere alle domande che vogliono loro e se tutto non va come ordinano (non chiedono, ordinano) tirano fuori la storiella della libertà d'espressione e della cultura comunista. Una balla rilanciata immediatamente da una stampa pressoché totalmente controllata da una parte politica. È questa l'Italia di oggi.
"Non dipendo dalla politica e la destra rifiuta i miei inviti"
di ANTONIO DIPOLLINA per la Repubblica
Fabio Fazio
MILANO - Fabio Fazio va in onda stasera su Raitre con lo special Andrea Bocelli (e robuste iniezioni di Littizzetto&Albanese), per l'occasione si è scomodato anche il presidente Napolitano con un messaggio di complimenti, in preparazione c'è una serata-memorial su De André a gennaio nel decennale della scomparsa. L'ultima cosa di cui vorrebbe occuparsi sono le polemiche politiche, ma bene o male la commissione di Vigilanza si è occupata di lui e il presidente della Rai lo ha insignito del titolo di Letterman italiano, difendendolo platealmente.
Soddisfatto? Questione chiusa?
"Sono felice per le parole e per l'atteggiamento del presidente della Rai. Sul resto, confesso di non aver ancora capito quale sia il problema".
Diciamo che uno come Gasparri lo ha esposto con chiarezza.
"Gasparri, per quanto mi riguarda, ha perfettamente ragione".
Parliamone.
"I numeri sono quelli. In questa stagione sono venuti in trasmissione due politici, dico due, ed entrambi di centrosinistra. Veltroni e Soru".
Ma?
"Ma ne abbiamo invitati anche di centrodestra, e per un motivo o per l'altro hanno rimandato la loro partecipazione. Sono certo che entro maggio rispecchieremo i numeri che ci hanno contraddistinto in questi anni, con una sostanziale parità di presenze tra centrosinistra e centrodestra".
Nomi.
"Fini, Maroni, la Moratti. Spero che prima o poi riescano a venire in trasmissione".
Una contabilità un po' faticosa?
"Il punto è quello, si riduce tutto ai numeri. Ma quelli che hanno criticato hanno almeno visto le interviste? Con Soru, per dire, si è parlato soprattutto di crisi della sinistra. Ho il dubbio che avrebbe dovuto arrabbiarsi semmai qualche esponente del Partito democratico. Ma ormai funziona così, solo una cosa di numeri, polemiche sul nulla, la sostanza non conta più".
Invece la polemica nasce dopo la puntata con Soru. C'è chi dice che Soru ha fatto un figurone e questo ha dato fastidio a molti?
"Valutate voi. Ma c'è un'altra cosa su cui Gasparri ha ragione".
Adesso diventa interessante davvero.
"Quando dice "Quelli invitano chi vogliono loro". Certo. E chi dovremmo invitare? Chi dovrebbe fornirci la lista degli ospiti? Mi sembra una cosa da matti: siamo ogni settimana chiusi in una stanzetta con gli autori, parliamo, prendiamo decisioni, ci interessiamo a quello che succede. Soru era un ospite di attualità. Mi sembra il solito vecchio vizio della politica sulla tv, un atteggiamento proprietario che, come dire?".
Lo dica.
"La politica non è il mio editore. Punto e basta".
Ma loro incalzano comunque. E con toni forti.
"Io non posso scendere al livello di chi parla di lacché, servi e quelle altre definizioni. Io non rispondo che al pubblico e devo avere rispetto del pubblico. Se sento di riuscire in questo non mi interessa altro".
In molti pensano che il vero obbiettivo siano gli spazi satirici, Albanese è orientatissimo, la Littizzetto anche e su quello non si discute.
"Sono valutazioni che lascio a voi".
Ma Berlusconi ancora ieri ha detto che anche l'altra sera in tv veniva massacrato e dileggiato da molti programmi in contemporanea. Si sente chiamato in causa?
"L'altra sera non ero in onda. Posso uscirne così?".
Ma se avesse invitato anche un solo esponente del centrodestra sarebbe venuto fuori comunque tutto questo?
"Non lo posso sapere. Ho già spiegato come ci comporteremo in futuro, che poi è simile a quanto abbiamo fatto in passato. Anzi, facciamo una cosa: politici sempre meno, voglio arrivare a evitarli, vivremo più tranquilli tutti".
Ma quelli telefonano, vogliono farsi invitare.
"No, non chiama nessuno. Sanno che hanno zero possibilità".
Sicuro? Non chiamano?
"Non chiamano".
mercoledì, dicembre 10, 2008
Titani
Due dei molti titani intellettuali che fanno parte dell'esecutivo Berlusconi
Dal "Corriere della Sera" - «Il giudizio del ministro Carfagna sulla Giornata contro la pedofilia è incomprensibile. Una voltagabbana», ha detto il deputato Pdl Luca Barbareschi. «Dire che sarebbe celebrativa del fenomeno è come dire che la giornata contro la mafia sarebbe celebrativa della mafia stessa».
Dal "Corriere della Sera" - «Il giudizio del ministro Carfagna sulla Giornata contro la pedofilia è incomprensibile. Una voltagabbana», ha detto il deputato Pdl Luca Barbareschi. «Dire che sarebbe celebrativa del fenomeno è come dire che la giornata contro la mafia sarebbe celebrativa della mafia stessa».
Quando vincono i cattivi
Il ministro Alfano ogni volta che apre bocca lascia basiti. È incredibile che una persona accetti di fare questa figuracce per giustificare ignobili leggi ad personam. Siccome le parole sono pietre ecco un estratto di un suo discorso a Canale 5.
ROMA - Sì alla separazione delle carriere dei magistrati, no a modifiche costituzionali che possano far venir meno l'obbligatorietà dell'azione penale. A ribadire i cardini della riforma della Giustizia a cui sta pensando il governo è stato stamane il guardasigilli Angelino Alfano parlando a "Panorama del Giorno", su Canale 5.
"Non interverremo sul principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, ma sul suo funzionamento", ha chiarito il ministro. "Il pubblico ministero - ha ricordato - ha l'obbligo di esercitare l'azione penale, e questo principio è sacrosanto, il problema è quando le notizie di reato sono troppe e diventa quindi indispensabile una selezione. Ne parleremo nel nuovo anno, ma si pensa ad una legge ordinaria, per individuare dei canoni di priorità".
Quanto alla divisione delle carriere, Alfano ha ribadito che il governo pensa ad interventi di "rango costituzionale" per fissare parità tra accusa e difesa. Per "centrare l'obiettivo di rendere pari il pm che accusa con il cittadino che si difende attraverso l'avvocato - ha spiegato ancora il ministro - occorre che il giudice sia terzo, sia equidistante''. In questi anni, ha lamentato Alfano, "la parità non c'è stata, giudice e pubblico ministero fanno parte dello stesso ordine e c'è quindi uno sbilanciamento"
Quindi se uno è accusato di omicidio e di bancarotta fraudolenta lo si processa solo per omicidio mentre (per non intasare i tribunali, certo) si tralascia la bancarotta. Al Capone, per dire, fu arrestato per evasione fiscale perché non c'erano altre prove. Ovviamente molti diranno che non è così. Béh, no. L'italiano non è un'opinione e visto che è proprio il primo ministro Berlusconi ad avere decine di processi aperti ecco che si spiega come questo sia l'ennesimo procedimento ad personam.
Quando in galera non ci va proprio nessuno
... se ruba miliardi ovviamente. Se ruba una mela in Italia gli danno l'ergastolo
L'immobiliarista Stefano Ricucci è stato condannato, previo patteggiamento, a tre anni di reclusione nell'ambito del processo in cui era imputato per la fallita scalata ad Rcs, la vicenda legata alla compravendita fittizia dell'immobile in via Lima, a Roma, la gestione dei fondi previdenziali e la gestione dell'assegnazione della gara d'appalto del patrimonio immobiliare Enasarco. Tuttavia non sconterà la pena, per via dell'indulto. La sentenza è stata emessa dai giudici della quinta sezione del tribunale di Roma, presieduta da Maria Luisa Ianniello, che ha accolto la richiesta di patteggiamento avanzata dall'imputato.
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lunedì, dicembre 08, 2008
Fuori dall'Europa
... ma a calci in culo, stavolta. L'Italia ama sbrodolarsi addosso. Questo paese ama ricordare Dante, Michelangelo, tutta gente morta da un pezzo. Si tratta di un paese che non ha più i mezzi per restare in competizione con il primo mondo. Infrastrutture inesistenti. Mafiosità diffusa. Cronica incapacità gestionale e rappresentanti non proprio capacissimi. Guardate le richieste avanzate da Franco Frattini (che è stato addirittura vice presidente della commissione europea):
Il ministro ha indicato le tre «linee rosse» alle quali l'Italia non può rinunciare.
La prima è un compromesso accettabile sul cosiddetto 'carbon leakage (fughe di carbonio), ovvero la definizione dei settori industriali sottoposti alla concorrenza internazionale e ad alto consumo energetico per i quali verranno assegnati diritti di emissione gratuiti nel periodo successivo al 2013, per scongiurare delocalizzazioni; le trattative in corso mirano ad aggiustare il parametro obiettivo attualmente proposto dalla presidenza francese di turno dell'Ue per identificare i settori a rischio di delocalizzazione, in modo da comprendere nella lista i comparti industriali strategici per l'Italia (vetro, ceramica, carta, siderurgia con forno
elettrico).
ACCETTABILE NELL'ACCEZIONE ITALIANA è PROBABILMENTE SINONIMO DI IRREALIZZABILE
La seconda condizione che pone l'Italia è quella di poter contabilizzare, ai fini del rispetto del proprio obiettivo nazionale per lo sviluppo delle energie rinnovabili (17% nel consumo finale nel 2020), anche l'energia prodotta con fonti verdi nei Paesi extra Ue del bacino mediterraneo.
E PERCHé NO ANCHE LA LAPPONIA E LA SIBERIA. NON ERA BERLUSCONI A CHIEDERE UN'EUROPA UNITA DA LISBONA ALLA SIBERIA?
Terza linea rossa, ha indicato Frattini, è quella dell'inserimento di una 'clausola di revisione' che dovrebbe riesaminare nel 2014 il funzionamento delle misure del pacchetto clima, alla luce dell'eventuale accordo, o mancato accordo, per la riduzione delle emissioni di Co2 da parte dei Paesi maggiori responsabili delle emissioni di gas serra, in particolare Usa, Cina e India.
CIOÈ NON SOLO NOI NON ABBIAMO INTENZIONE (NON SIAMO CAPACI) DI RISPETTARE LE MISURE DEL PACCHETTO CLIMA, VEDERE COME TARANTO, PER DIRE, è STATA TRASFORMATA IN UNA FOGNA A CIELO APERTO, MA CI PERMETTIAMO ANCHE DI SINDACARE SUI DIRITTI DELLE PROSSIME GENERAZIONI.
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Impressionante
Vedere uno squaletto come Berlusconi tentare di azzannare al collo Murdoch fa quasi sorridere. I giornali del padrone si sono scagliati all'attacco (dimenticando che questo discorso Berlusconi lo aveva fatto pari pari anni fa quando era lui a doversi difendere), ma contro la potenza del magnate australiano e contro il connubio figa/calcio non esistono difese e il governo dovrà capitolare. E ovviamente i giornali del padrone con un doppio volo carpiato giustificheranno questa ennesima marcia indietro.
sabato, dicembre 06, 2008
Incredibile!
Beppe Grillo mesi fa ha osato rifiutare un'intervista all'Espresso. Non l'avesse mai fatto! Da allora il settimanale non fa che gettare fango sul comico genovese. Ovvio che Grillo si debba criticare, ma iniziare una discussione (peraltro con un commento non firmato) mi sembra pretestuoso. Grillo, come CHIUNQUE altro, DEVE essere criticato, soprattutto in un paese democraticamente immaturo che aspetta sempre che a togliergli le castagne dal fuoco sia l'Uomo Forte.
Fenomeno Beppe Grillo: davvero è già finito?
Lo mandano via dalle manifestazioni. Ha fallito la raccolta di firme per i referendum. Si è preso casa in Svizzera. Ed è inciampato sulla Biowashball, l'alternativa ai detersivi che si è rivelata una bufala. Così in molti dicono che il fenomeno Grillo è già al tramonto. Ma lui rilancia con le "liste civiche a cinque stelle". Che cosa ne pensate?
Quello di Beppe Grillo è stato uno dei fenomeni più innovativi nella politica italiana degli ultimi anni. Nato attraverso Internet, il movimento attorno al comico genovese ha organizzato due "V-Day" di successo e per un certo periodo è sembrato in crescita inarrestabile, grazie alle battaglie sull'acqua come bene pubblico, sugli sprechi energetici, sulla ricerca scientifica, sulle legalità e le mafie, sulle irregolarità di banche e corporation, su una concezione della politica "trasparente" e come reale servizio in cui l'eletto è dipendente degli elettori.
Tuttavia nelle ultime settimane alcuni segnali hanno fatto scrivere a diversi commentatori politici che il fenomeno è già, se non finito, in grave crisi. Il comico genovese, ad esempio, è stato allontanato da alcuni cortei a cui aveva cercato di aggregarsi. I tre referendum sui mass media non hanno raccolto abbastanza firme per portare gli italiani alle urne. Grillo ha poi acquistato una casa in Svizzera, dicendo che lo faceva per portarvi il suo blog in caso di censure in Italia, ma subito diversi blogger gli ha fatto notare che non c'è alcun bisogno di acquistare un appartamento all'estero per trasferire il dominio fuori dall'Italia: e qualcuno lo ha anche accusato di voler solo eludere le imposte. Infine c'è stata la vicenda della Biowashball, la palla ecologica alternativa ai detersivi che il comico pubblicizza nei suoi show e che, a un'analisi scientifica, si è rivelata una clamorosa bufala.
Nonostante questo, Grillo ha appena rilanciato la sua battaglia con le "liste civiche a cinque stelle", che dovrebbero presentarsi alle prossime elezioni amministrative per dare il via a una nuova cultura della politica.
Secondo voi Beppe Grillo e il suo movimento possono ancora apportare un rinnovamento positivo alla politica italiana? Oppure il fenomeno è stata una bolla di sapone? Dite la vostra
Fenomeno Beppe Grillo: davvero è già finito?
Lo mandano via dalle manifestazioni. Ha fallito la raccolta di firme per i referendum. Si è preso casa in Svizzera. Ed è inciampato sulla Biowashball, l'alternativa ai detersivi che si è rivelata una bufala. Così in molti dicono che il fenomeno Grillo è già al tramonto. Ma lui rilancia con le "liste civiche a cinque stelle". Che cosa ne pensate?
Quello di Beppe Grillo è stato uno dei fenomeni più innovativi nella politica italiana degli ultimi anni. Nato attraverso Internet, il movimento attorno al comico genovese ha organizzato due "V-Day" di successo e per un certo periodo è sembrato in crescita inarrestabile, grazie alle battaglie sull'acqua come bene pubblico, sugli sprechi energetici, sulla ricerca scientifica, sulle legalità e le mafie, sulle irregolarità di banche e corporation, su una concezione della politica "trasparente" e come reale servizio in cui l'eletto è dipendente degli elettori.
Tuttavia nelle ultime settimane alcuni segnali hanno fatto scrivere a diversi commentatori politici che il fenomeno è già, se non finito, in grave crisi. Il comico genovese, ad esempio, è stato allontanato da alcuni cortei a cui aveva cercato di aggregarsi. I tre referendum sui mass media non hanno raccolto abbastanza firme per portare gli italiani alle urne. Grillo ha poi acquistato una casa in Svizzera, dicendo che lo faceva per portarvi il suo blog in caso di censure in Italia, ma subito diversi blogger gli ha fatto notare che non c'è alcun bisogno di acquistare un appartamento all'estero per trasferire il dominio fuori dall'Italia: e qualcuno lo ha anche accusato di voler solo eludere le imposte. Infine c'è stata la vicenda della Biowashball, la palla ecologica alternativa ai detersivi che il comico pubblicizza nei suoi show e che, a un'analisi scientifica, si è rivelata una clamorosa bufala.
Nonostante questo, Grillo ha appena rilanciato la sua battaglia con le "liste civiche a cinque stelle", che dovrebbero presentarsi alle prossime elezioni amministrative per dare il via a una nuova cultura della politica.
Secondo voi Beppe Grillo e il suo movimento possono ancora apportare un rinnovamento positivo alla politica italiana? Oppure il fenomeno è stata una bolla di sapone? Dite la vostra
martedì, dicembre 02, 2008
Sky
"Io Sky la capisco - dice Berlusconi - ha avuto un privilegio, ma non capisco i giornali che invece di chiedersi come mai c'era un rapporto privilegiato nei confronti di Sky attaccano me, che vergogna! Politici e direttori di giornali come La Stampa e il Corriere dovrebbero tutti cambiare mestiere, andarsene a casa".
In USA il presidente dice cose così e il giorno dopo si dimette. Da noi se un blogger dice quello che pensa su questo signore si vede la polizia postale a casa. Ma quand'è che l'Europa si stancherà di questa italia simil-Videla?
In USA il presidente dice cose così e il giorno dopo si dimette. Da noi se un blogger dice quello che pensa su questo signore si vede la polizia postale a casa. Ma quand'è che l'Europa si stancherà di questa italia simil-Videla?
A little indian hero
For Mumbai heroes, terror attack was a call to action
By Somini Sengupta
From Iht
MUMBAI, India: On any ordinary day, Vishnu Datta Ram Zende used the public-address system at Mumbai's largest railway station to direct busy hordes of travelers to their trains.
But last Wednesday just before 10 p.m., when he heard a loud explosion and saw people running across the platform, he gripped his microphone and calmly directed a panicked crowd toward the safest exit. The station, Victoria Terminus, it turned out, was suddenly under attack, the beginning of a three-day siege by a handful of young, heavily armed gunmen.
"Walk to the back and leave the station through Gate No. 1," he chanted alternately in Hindi and Marathi, barely stopping to take a breath until the platform was cleared. No sooner, gunmen located his announcement booth and fired, puncturing one of the windows. Zende was not hurt.
Overnight, Zende became one of Mumbai's new heroes, their humanity all the more striking in the face of the inhumanity of the gunmen. As the city faced one of the most horrific terrorist attacks in the nation's history, many ordinary citizens like Zende, 37, displayed extraordinary grace.
Many times, they did so at considerable personal risk, performing acts of heroism that were not part of their job descriptions. Without their quick thinking and common sense, the toll of the attacks would most likely have been even greater than the 173 confirmed dead on Monday.
Not far from the train station, as the same network of gunmen stormed the Taj Mahal Palace & Tower Hotel, a sous chef named Nitin Minocha and his co-workers shepherded more than 200 restaurant diners into a warren of private club rooms called The Chambers.
For the rest of the night they prepared snacks, served soda, fetched cigarettes and then, when told it was safe, tried to escort the diners out through the back. They wanted to make sure their guests, many of them Mumbai's super-elite, were as comfortable as possible.
"The only thing was to protect the guests," said the executive chef, Hemant Oberoi. "I think my team did a wonderful job in doing that. We lost some lives in doing that."
During the attacks, six employees from the kitchen staff were slain. Another hotel employee, a maintenance worker on night duty, was shot in the abdomen and remained in critical condition on Monday.
Minocha, 34, caught two bullets in the left arm. It felt numb.
He could see that the bone had been shattered. He panicked.
"I'm a chef," he told himself. "I cook with both hands."
Even after an aborted evacuation bid, hotel workers helped get water for their guests and held up bedsheets to create makeshift urinals. Next to the Nariman House, the headquarters of a Jewish religious organization, where gunmen took hostages, neighbors helped neighbors evacuate to safety.
At another hotel, the Oberoi, staff members ushered restaurant diners into the kitchen and out the door; at that hotel, 10 employees were among the dead.
At Victoria Terminus, also known as Chhatrapati Shivaji Terminus, Zende's calls prevented many commuters from walking into the path of two gunmen. "It occurred to me, I should prevent people from going to that side," he said.
The attackers had already shot up the other wing of the 130-year-old railway station, littering it with dead bodies, puncturing windows with bullet holes.
In choosing their targets, the gunmen spared neither rich nor poor, neither Westerners nor Indians.
At the Taj, for instance, Minocha was on duty at the Golden Dragon restaurant, when gunmen stormed the hotel lobby. He cracked open the door, saw the commotion, and promptly closed it. He and his fellow workers escorted diners at his restaurant to the city's most expensive Japanese restaurant, and finally up to The Chambers, where guests were invited to sit and wait it out.
"They were doing everything they could," said Bhisham Mansukhani, who had been attending a friend's wedding reception that night, before he was shepherded into The Chambers.
For the next several hours, the staff tried to keep everyone calm and well-fed. At one point, Minocha recalled Monday from his hospital bed, he had seen the red dome of the hotel on fire.
Well before dawn, security officers instructed that guests leave in groups of four. The hotel staff lined up, as though in a chain. Some people got out. Others did not. Bullets suddenly came in a burst. That is when Minocha was hit twice in the forearm.
The gunfire led to a near stampede. Minocha made it outside, screaming for help. Those who were still inside made a U-turn to The Chambers, which is when a maintenance worker named Rajan Kamble was shot in the back.
The bullet went straight through his abdomen, perforating his intestines, which a couple who had been dining at the restaurant, Prashant and Tilu Mangeshikar, both doctors, tried to push back into place with some bandages and bedsheets.
Prashant Mangeshikar said that even when they were trapped inside a room in The Chambers, the young hotel staff kept unusually calm. "Everything was looking like a holy mess," he recalled. "The majority was between 20 and 25. Nobody lost their cool."
At Victoria Terminus, the gunmen acted with a cool precision.
They first struck the long-distance section of the Victoria Terminus, spraying the large waiting hall with gunfire. Those waiting were about to board the slow, crowded, poor-man's train to Varanasi, scheduled to depart at 11:55 pm, one of many that ferry migrant workers between India's hinterland and this, its dream city.
Satya Sheel Mishra, who runs a second-floor restaurant called Re-Fresh Food Plaza, saw the two gunmen take their positions and fire. Seven bullets pierced his glass windows. Crouching on the ground, he saw the men shoot indiscriminately and then march toward the other side of the station, where Zende made announcements for the commuter trains to the suburbs.
Zende saw the gunmen walk in front of his window. Then he crouched on the ground and heard them shoot. One bullet came through a window. Above his microphone, the Hindu elephant-god Ganesh, believed to be the remover of obstacles, sat in a blue box with twinkling red lights around him. Zende called his wife. "I am in the office. I'm safe. Don't worry."
Zende joined the railways at the age of 19, when his father, a railway guard, died. With a 10th-grade education, Zende began at the bottom of the ladder, working himself up to the announcement booth. Now, he commutes an hour and a half each way from a working-class corner on the city's northern edges, naturally on the railways. He makes little more than $300 a month.
On Monday, a woman strode up the steep, narrow steps to his announcement booth and burst out her praise: "Mr. Zende, you have done such good work. We need more people like you."
She declined to give her name. She said she was a retired scientist who had stepped out of her home for the first time since the attacks began. She railed against politicians.
Then she signed off. "Jai Hind," she said, or "long live India."
Zende quietly replied, "Jai Hind."
By Somini Sengupta
From Iht
MUMBAI, India: On any ordinary day, Vishnu Datta Ram Zende used the public-address system at Mumbai's largest railway station to direct busy hordes of travelers to their trains.
But last Wednesday just before 10 p.m., when he heard a loud explosion and saw people running across the platform, he gripped his microphone and calmly directed a panicked crowd toward the safest exit. The station, Victoria Terminus, it turned out, was suddenly under attack, the beginning of a three-day siege by a handful of young, heavily armed gunmen.
"Walk to the back and leave the station through Gate No. 1," he chanted alternately in Hindi and Marathi, barely stopping to take a breath until the platform was cleared. No sooner, gunmen located his announcement booth and fired, puncturing one of the windows. Zende was not hurt.
Overnight, Zende became one of Mumbai's new heroes, their humanity all the more striking in the face of the inhumanity of the gunmen. As the city faced one of the most horrific terrorist attacks in the nation's history, many ordinary citizens like Zende, 37, displayed extraordinary grace.
Many times, they did so at considerable personal risk, performing acts of heroism that were not part of their job descriptions. Without their quick thinking and common sense, the toll of the attacks would most likely have been even greater than the 173 confirmed dead on Monday.
Not far from the train station, as the same network of gunmen stormed the Taj Mahal Palace & Tower Hotel, a sous chef named Nitin Minocha and his co-workers shepherded more than 200 restaurant diners into a warren of private club rooms called The Chambers.
For the rest of the night they prepared snacks, served soda, fetched cigarettes and then, when told it was safe, tried to escort the diners out through the back. They wanted to make sure their guests, many of them Mumbai's super-elite, were as comfortable as possible.
"The only thing was to protect the guests," said the executive chef, Hemant Oberoi. "I think my team did a wonderful job in doing that. We lost some lives in doing that."
During the attacks, six employees from the kitchen staff were slain. Another hotel employee, a maintenance worker on night duty, was shot in the abdomen and remained in critical condition on Monday.
Minocha, 34, caught two bullets in the left arm. It felt numb.
He could see that the bone had been shattered. He panicked.
"I'm a chef," he told himself. "I cook with both hands."
Even after an aborted evacuation bid, hotel workers helped get water for their guests and held up bedsheets to create makeshift urinals. Next to the Nariman House, the headquarters of a Jewish religious organization, where gunmen took hostages, neighbors helped neighbors evacuate to safety.
At another hotel, the Oberoi, staff members ushered restaurant diners into the kitchen and out the door; at that hotel, 10 employees were among the dead.
At Victoria Terminus, also known as Chhatrapati Shivaji Terminus, Zende's calls prevented many commuters from walking into the path of two gunmen. "It occurred to me, I should prevent people from going to that side," he said.
The attackers had already shot up the other wing of the 130-year-old railway station, littering it with dead bodies, puncturing windows with bullet holes.
In choosing their targets, the gunmen spared neither rich nor poor, neither Westerners nor Indians.
At the Taj, for instance, Minocha was on duty at the Golden Dragon restaurant, when gunmen stormed the hotel lobby. He cracked open the door, saw the commotion, and promptly closed it. He and his fellow workers escorted diners at his restaurant to the city's most expensive Japanese restaurant, and finally up to The Chambers, where guests were invited to sit and wait it out.
"They were doing everything they could," said Bhisham Mansukhani, who had been attending a friend's wedding reception that night, before he was shepherded into The Chambers.
For the next several hours, the staff tried to keep everyone calm and well-fed. At one point, Minocha recalled Monday from his hospital bed, he had seen the red dome of the hotel on fire.
Well before dawn, security officers instructed that guests leave in groups of four. The hotel staff lined up, as though in a chain. Some people got out. Others did not. Bullets suddenly came in a burst. That is when Minocha was hit twice in the forearm.
The gunfire led to a near stampede. Minocha made it outside, screaming for help. Those who were still inside made a U-turn to The Chambers, which is when a maintenance worker named Rajan Kamble was shot in the back.
The bullet went straight through his abdomen, perforating his intestines, which a couple who had been dining at the restaurant, Prashant and Tilu Mangeshikar, both doctors, tried to push back into place with some bandages and bedsheets.
Prashant Mangeshikar said that even when they were trapped inside a room in The Chambers, the young hotel staff kept unusually calm. "Everything was looking like a holy mess," he recalled. "The majority was between 20 and 25. Nobody lost their cool."
At Victoria Terminus, the gunmen acted with a cool precision.
They first struck the long-distance section of the Victoria Terminus, spraying the large waiting hall with gunfire. Those waiting were about to board the slow, crowded, poor-man's train to Varanasi, scheduled to depart at 11:55 pm, one of many that ferry migrant workers between India's hinterland and this, its dream city.
Satya Sheel Mishra, who runs a second-floor restaurant called Re-Fresh Food Plaza, saw the two gunmen take their positions and fire. Seven bullets pierced his glass windows. Crouching on the ground, he saw the men shoot indiscriminately and then march toward the other side of the station, where Zende made announcements for the commuter trains to the suburbs.
Zende saw the gunmen walk in front of his window. Then he crouched on the ground and heard them shoot. One bullet came through a window. Above his microphone, the Hindu elephant-god Ganesh, believed to be the remover of obstacles, sat in a blue box with twinkling red lights around him. Zende called his wife. "I am in the office. I'm safe. Don't worry."
Zende joined the railways at the age of 19, when his father, a railway guard, died. With a 10th-grade education, Zende began at the bottom of the ladder, working himself up to the announcement booth. Now, he commutes an hour and a half each way from a working-class corner on the city's northern edges, naturally on the railways. He makes little more than $300 a month.
On Monday, a woman strode up the steep, narrow steps to his announcement booth and burst out her praise: "Mr. Zende, you have done such good work. We need more people like you."
She declined to give her name. She said she was a retired scientist who had stepped out of her home for the first time since the attacks began. She railed against politicians.
Then she signed off. "Jai Hind," she said, or "long live India."
Zende quietly replied, "Jai Hind."
domenica, novembre 30, 2008
Beccato
da l'espressonline.com
Che furbetto quel Brunetta. Inchiesta dell'Espresso
La trasferta a Teramo per diventare professore. La casa con sconto dall'ente. Il rudere che si muta in villa. Le assenze in Europa e al Comune. Ecco la vera storia del ministro anti-fannulloni
La prima immagine di Renato Brunetta impressa nella memoria di un suo collega è quella di un giovane docente inginocchiato tra i cespugli del giardino dell'università a fare razzia di lumache. Lì per lì i professori non ci fecero caso, ma quella sera, invitati a cena a casa sua, quando Brunetta servì la zuppa, saltarono sulla sedia riconoscendo i molluschi a bagnomaria. Che serata. La vera sorpresa doveva ancora arrivare. Sul più bello lo chef si alzò in piedi e, senza un minimo di ironia, annunciò solennemente: "Entro dieci anni vinco il Nobel. Male che vada, sarò ministro". Eravamo a metà dei ruggenti anni '80, Brunetta era solo un professore associato e un consulente del ministro Gianni De Michelis.
Ci ha messo 13 anni in più, ma alla fine l'ex venditore ambulante di gondolette di plastica è stato di parola. In soli sette mesi di governo è diventato la star più splendente dell'esecutivo Berlusconi. La guerra ai fannulloni conquista da mesi i titoli dei telegiornali. I sondaggi lo incoronano - parole sue - 'Lorella Cuccarini' del governo, il più amato dagli italiani. Brunetta nella caccia alle streghe contro i dipendenti pubblici non conosce pietà. Ha ristretto il regime dei permessi per i parenti dei disabili, sogna i tornelli per controllare i magistrati nullafacenti e ha falciato i contratti a termine. Dagli altri pretende rigore, meritocrazia e stakanovismo, odia i furbi e gli sprechi di denaro pubblico, ma il suo curriculum non sempre brilla per coerenza. A 'L'espresso' risulta che i dati sulle presenze e le sue attività al Parlamento europeo non ne fanno un deputato modello. Anche la carriera accademica non è certo all'altezza di un Nobel. Ma c'è un settore nel quale l'ex consigliere di Bettino Craxi e Giuliano Amato ha dimostrato di essere davvero un guru dell'economia: la ricerca di immobili a basso costo, dove ha messo a segno affari impossibili per i comuni mortali.
Chi l'ha visto Appena venticinquenne, Brunetta entra nel dorato mondo dei consulenti (di cui oggi critica l'abuso). Viene nominato dall'allora ministro Gianni De Michelis coordinatore della commissione sul lavoro e stende un piano di riforma basato sulla flessibilità che gli costa l'odio delle Brigate rosse e lo costringe a una vita sotto scorta. Poi diventa consigliere del Cnel, in area socialista. Nel 1993, durante Mani Pulite firma la proposta di rinnovamento del Psi di Gino Giugni. Nel 1995 entra nella squadra che scrive il programma di Forza Italia e nel 1999 entra nel Parlamento europeo.
Proprio a Strasburgo, se avessero applicato la 'legge dei tornelli' invocata dal ministro, il professore non avrebbe fatto certo una bella figura. Secondo i calcoli fatti da 'L'espresso', in dieci anni è andato in seduta plenaria poco più di una volta su due. Per la precisione la frequenza tocca il 57,9 per cento. Con questi standard un impiegato (che non guadagna 12 mila euro al mese) potrebbe restare a casa 150 giorni l'anno. Ferie escluse. Lo stesso ministro ha ammesso in due lettere le sue performance: nella legislatura 1999-2004 ha varcato i cancelli solo 166 volte, pari al 53,7 per cento delle sedute totali. "Quasi nessun parlamentare va sotto il 50, perché in tal caso l'indennità per le spese generali viene dimezzata", spiegano i funzionari di Strasburgo. Nello stesso periodo il collega Giacomo Santini, Pdl, sfiorava il 98 per cento delle presenze, il leghista Mario Borghezio viaggiava sopra l'80 per cento. Il trend di Brunetta migliora nella seconda legislatura, quando prima di lasciare l'incarico per fare il ministro firma l'elenco (parole sue) 148 volte su 221. Molto meno comunque di altri colleghi di Forza Italia: nello stesso periodo Gabriele Albertini è presente 171 volte, Alfredo Antoniozzi e Francesco Musotto 164, Tajani, in veste di capogruppo, 203.
La produttività degli europarlamentari si misura dalle attività. In aula e in commissione. Anche in questo caso Brunetta non sembra primeggiare: in dieci anni ha compilato solo due relazioni, i cosiddetti rapporti di indirizzo, uno dei termometri principali per valutare l'efficienza degli eletti a Strasburgo. L'ultima è del 2000: nei successivi otto anni il carnet del ministro è desolatamente vuoto, fatta eccezione per le interrogazioni scritte, che sono - a detta di tutti - prassi assai poco impegnativa. Lui ne ha fatte 78. Un confronto? Il deputato Gianni Pittella, Pd, ne ha presentate 126. Non solo. Su 530 sedute totali, Brunetta si è alzato dalla sedia per illustrare interrogazioni orali solo 12 volte, mentre gli interventi in plenaria (dal 2004 al 2008) si contano su due mani. L'ultimo è del dicembre 2006, in cui prende la parola per "denunciare l'atteggiamento scortese e francamente anche violento" degli agenti di sicurezza: pare non lo volessero far entrare. Persino gli odiati politici comunisti, che secondo Brunetta "non hanno mai lavorato in vita loro", a Bruxelles faticano molto più di lui: nell'ultima legislatura il no global Vittorio Agnoletto e il rifondarolo Francesco Musacchio hanno percentuali di presenza record, tra il 90 e il 100 per cento.
Se la partecipazione ai lavori d'aula non è da seguace di Stakanov, neanche in commissione Brunetta appare troppo indaffarato. L'economista sul suo sito personale ci fa sapere che, da vicepresidente della commissione Industria, tra il 1999 e il 2001 ha partecipato alle riunioni solo la metà delle volte, mentre nel biennio 2002-2003, da membro titolare della delicata commissione per i Problemi economici e monetari, si è fatto vedere una volta su tre. Strasburgo è lontana dall'amata Venezia, ma non si tratta di un problema di distanza. A Ca' Loredan, nel municipio dove è stato consigliere comunale e capo dell'opposizione dal 2000 al 2005, il nemico dei fannulloni detiene il record. Su 208 sedute si è fatto vedere solo in 87 occasioni: quattro presenze su dieci, il peggiore fra tutti i 47 consiglieri veneziani.
Un tuffo in Costiera Anche il buen retiro di Ravello è stato un affare immobiliare da Guinness. Brunetta, che si autodefinisce "un genio", diventa improvvisamente modesto quando passa in rassegna i suoi possedimenti campani. "Una proprietà scoscesa", ha definito questa splendida villa di 210 metri quadrati catastali immersa in 600 metri di giardino e frutteto. Seduto nel suo patio il ministro abbraccia con lo sguardo il blu e il verde, Ravello e Minori.
Emiliano Fittipaldi e Marco Lillo
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