di Vittorio Zambardino da Repubblica.it
In un articolo di Cristina Nadotti su Repubblica.it è descritta con efficacia la posizione di Andy Burnham, segretario di stato, cioè ministro per la cultura del governo di Gordon Brown che chiede un sistema di “rating”, cioè di classificazione di pericolosità di contenuti internet e quindi un elenco di siti da sottrarre alla visione dei minori.
La posizione è contenuta in una intervista al Daily Telegraph che già il 26 dicembre ha commentato con parole dure le posizioni dell’esponente laburista, argomentando semplicemente con la non praticabilità del modello.
A sostegno della sua posizione, il ministro porta un po’ di quegli esempi da terrore psicologico (le “decapitazioni” che si possono vedere in internet) fatti per schiantare ogni resistenza nell’opione pubblica e per far apparire chi si oppone come un oggettivo complice dei più efferati criminali.
Se però mettiamo insieme le dichiarazioni dell’esponente inglese con quelle del nostro primo ministro, rese il 3 dicembre, ci si rende conto che fra “cancellerie”, come si diceva una volta, c’è un evidente scambio di memorandum e di opinioni. Qualcosa di più dello sfogo di un giovane politico impaziente o di un signore di 72 anni in vena di legiferazione autoritaria. E’ una corrente consolidata e politicamente trasversale - anche nel nostro centro sinistra queste posizioni hanno un largo seguito. Contro questi orientamenti invece c’è una vasta pubblicistica internazionale, cui spesso ha fatto riferimento il professor Stefano Rodotà, già garante per la protezione dei dati personali.
Non è un caso che il ministro inglese dica di voler rivolgersi direttamente a Barack Obama perché gli Usa aderiscano alla sua proposta. Naturalmente, in un accesso di cattiva coscienza, il ministro sente la necessità di specificare che non si tratterebbe di colpire la libertà d’espressione.
Chiede ciò che già esiste
Ora la cosa curiosa è che la proposta di Burnham chiede di istituire qualcosa che già esiste. Programmi software prodotti da privati, oltre che la vigilanza degli organi di polizia dei vari paesi hanno di fatto creato il sistema che il ministro chiede: né più né meno che un archivio di contenuti inadatti e che vengono bloccati alla fonte (anche qui con possibili abusi).
E allora cosa vuole, il governo inglese (Burnham non è stato smentito, quindi il PM è d’accordo con lui)?
Il sogno argentino di Mr Burnham
Burnham vuole che apparati degli stati, organi di polizia in particolare, usando i motori di ricerca, entrino nel merito di quanto si dice, scrive, rappresenta e cita dentro i siti internet e nelle piattaforme di social networking per decidere - loro, gli organi di polizia - che cosa va visto oppure no dai giovani. I siti verrebbero poi bloccati alla fonte, all’ingresso nel paese. Ma poiché non è possibile stabilire chi sta da quest’altra parte del computer, se cioè l’utente abbia 12 o 60 anni, allora l’unico modo per vietare l’accesso ai minori è vietare l’accesso a tutti.
Questo è il disegno. Ed è un disegno liberticida. E sbaglia chi pensa che non sia realizzabile. E’ il disegno argentino. Cosa è successo a Buenos Aires?
A seguito delle denunce di una serie di personalità pubbliche (tra queste Diego Maradona) si è ottenuto che un’ordinanza del giudice penale costringesse i motori di ricerca più importanti ad espungere dai risultati delle ricerche tutti i riferimenti ai blog o siti nei quali i campioni o signori in oggetto venivano “diffamati”. In internet essere invisibili equivale a non esistere.
Questa è una delle pratiche possibili, ma la Cina sta lì a dimostrare che un filtro di massa dei contenuti è possibile. Il Telegraph si sbaglia: la censura si può fare, non c’è tecnologia che tenga. Solo un’opposizione forte degli utenti può bloccarla. E questo modello neocensorio ha molti “poteri forti” alle sue spalle.
Morale e interessi
Non a caso il ministro inglese ha detto che si rivolgerà ai provider, cioè alle aziende di telecomunicazioni. Le quali per loro conto hanno “giardini murati” di contenuti sani e servizi “corretti” da proporre agli utenti. Ma perché quello, l’utente, che nasce libero, non se ne vada a spasso per la rete, è necessario che questa sia il più possibile desertificata e che ciò che è detto dai cittadini sia sottoposto a filtri e censure. Cioè reso invisibile.
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