martedì, aprile 29, 2008

Facimm' na cantata và....

Un pirla solo al comando



Da repubblica.it
Se la sinistra vuole lo scontro i miei uomini sono pronti. E Berlusconi deve obbedire". Riforme e governo, Bossi all'attacco. "Fucili caldi, pronti 300 mila martiri"

ROMA - Promesse, minacce e battute. Governo, riforme e Alitalia. Al suo ritorno a Roma per la riapertura del Parlamento, Umberto Bossi è incontenibile e ne ha per tutti, alleati e opposizione. In cima ai suoi pensieri c'è il federalismo fiscale.

"Questa è l'ultima occasione: o si fanno le riforme o scoppia casino", dice conversando con i giornalisti nel cortile interno della Camera. "Abbiamo 300 mila uomini, 300 mila martiri, pronti a battersi - aggiunge - e non scherziamo... mica siamo quattro gatti. Credete che avremmo difficoltà a trovare gli uomini? No, perché verrebbero giù anche dalle montagne".

Fucili sempre caldi. Appena pochi giorni fa Silvio Berlusconi lo aveva invitato a moderare i toni e usare un linguaggio meno rozzo, ma il leader del Carroccio non pare sia rimasto impressionato dal richiamo. "I fucili sono sempre caldi", dice, aggiungendo poi parole minacciose verso il Pd. "Non so cosa vuole la sinistra, noi siamo pronti, se vogliono fare gli scontri io ho trecentomila uomini sempre a disposizione, se vogliono accomodarsi". "Mi auguro - prosegue - che la sinistra scelga la via delle riforme, non come l'altra volta che non vollero assolutamente la riforma federale".

"Berlusconi? Deve obbedire". Ma il fuoco verbale di Bossi non risparmia neppure il Cavaliere, alle prese in questi giorni con il difficile compito di creare il nuovo governo dando soddisfazione ai crescenti appetiti della Lega. Il leader del Carroccio mette innanzitutto in chiaro che "non farò il vicepremier, perché non faccio il vice di nessuno". "Alla fine - sottolinea - Berlusconi troverà la soluzione: sono fiducioso, sennò avrei preteso i ministri prima del voto dei presidenti delle Camere, quando avevo il coltello dalla parte del manico". Anche perché il leader del Pdl "stavolta manterrà la parola, si è sposato con la Lega e ora deve eseguire gli ordini".

Il ruolo di Maroni. Il Senatur conferma quindi di puntare ad ottenere quattro ministeri, a partire dal Viminale, dicastero mai come questa volta ritenuto strategico. "Noi sappiamo già cosa fare, Maroni sa bene cosa fare e con lui ho un patto preciso: si tratta di applicare la Bossi-Fini, che finora è stata inapplicata".

La vicenda Alitalia. Bossi tocca infine anche il tema Alitalia, mostrando di dare poco peso alle parole pronunciate oggi da Berlusconi, che ha minacciato l'Unione Europea di acquistare l'azienda attraverso le Ferrovie. "Non credo che si possa fare perché sarebbe una concentrazione di potere - spiega il leader della Lega - Non so cosa voglia fare Berlusconi". "La soluzione c'era ed era la legge Marzano", aggiunge Bossi citando la norma che ha permesso il salvataggio di Parmalat. "Bene ha fatto la Lega - conclude - a fare un accordo su Malpensa con Lufthansa. Ho dato io il via libera a Bonomi, gli ho detto 'vai, vai'".

L'ultima bufala



da Corriere.it

Berlusconi "minaccia" la Ue: «Alitalia potrebbe essere acquistata da Ferrovie». «C'è una squadra che va al di là del capitale necessario». Tronchetti: «Disponibili a investire qualche milione»


ROMA - Se l'Unione Europea «si mette a zignare, allora potremmo prendere una decisione, per cui Alitalia potrebbe essere acquistata dallo Stato, dalle Ferrovie dello Stato. Questa è una minaccia, non una decisione - Silvio Berlusconi parla con i cronisti in Transatlantico durante la seduta inaugurale della legislatura e non lesina le parole sul futuro della compagnia di bandiera dopo i dubbi espressi da Bruxelles sul prestito ponte concesso dal governo -. Noi andiamo avanti con la compagine di azionisti, l'ho fatto in rispetto alla Ue, ma noi abbiamo bisogno di un'Europa che ci aiuti e non che metta difficoltà a chi governa». Berlusconi ha comunque sottolineato che la strada principale resta la cordata di imprenditori italiani: «C'è una squadra di persone che va ben al di là del capitale necessario. Vedremo adesso di fare la due diligence. Quando avremo il piano industriale, questa compagine nuova, assistita da banche che già ci sono, avanzerà delle proposte ai sindacati». Solo allora - spiega il Cavaliere - si deciderà sui tagli al personale.

TRONCHETTI - E i nomi nuovi non tardano a venire allo scoperto. Per esempio quello di Pirelli. Di fronte a un progetto «chiaro e trasparente» per il rilancio di Alitalia e Malpensa «noi abbiamo dato la disponibilità di mettere il nostro nome e un chip, che vuol dire qualche milione di euro a tutela dei nostri interessi economici, per un interesse generale delle nostre aziende - ha spiegato il presidente Marco Tronchetti Provera nel corso dell’assemblea annuale degli azionisti -. Abbiamo mille persone che prendono voli intercontinentali e che ci costano parecchie centinaia di euro. Se Malpensa fosse chiusa, ci costerebbero milioni di euro. Dunque a fronte di un costo di sistema, di una minor presenza di operatori nel territorio e di progetti inconsistenti per Malpensa, abbiamo dato la nostra disponibilità a dare il nostro nome». Diversa la posizione espressa dal presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, Enrico Salza. «Le bocce sono ferme, non c'è nessuna novità - ha detto Salza -, aspettiamo che qualcuno produca delle idee». Riguardo all'ipotesi del coinvolgimento di banche nel salvataggio di Alitalia, oltre all'istituto guidato da Corrado Passera, Salza ha detto di non saperne niente: «Non abbiamo nessun elemento».

Perfidie dalla rete

lunedì, aprile 28, 2008

Rizzo & Stella

da Corriere.it

Dai bidelli agli onorevoli, un’Italia alla deriva
Privilegi intoccabili e tagli impossibili

C’erano una volta le impiraresse che perdevano gli occhi a infilar perline, le filandine che passavano la vita con le mani nell’acqua bollente e le lavandere che battevano i panni curve sui ruscelli sospirando sul bel molinaro.

Una scuola in provincia di Napoli (Fotogramma)Ma all’alba del Terzo Millennio, al passo col resto del mondo che produceva ingegneri elettronici e fisici nucleari e scienziati delle fibre ottiche, nacquero finalmente anche in Italia delle nuove figure professionali femminili: le scodellatrici. Cosa fanno? Scodellano. E basta? E basta. Il moderno mestiere, per lo più ancora precario, è nato per riempire un vuoto. Quel vuoto lasciato dalle bidelle che, ai sensi del comma 4 dell’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, assolutamente non possono dare da mangiare ai bambini delle materne. Detta alla romana: «Nun je spetta».
C’è scritto nel protocollo d’intesa coi sindacati. Non toccano a loro le seguenti mansioni: a) ricevimento dei pasti; b) predisposizione del refettorio; c) preparazione dei tavoli per i pasti; d) scodellamento e distribuzione dei pasti; e) pulizia e riordino dei tavoli dopo i pasti; f) lavaggio e riordino delle stoviglie. Scopare il pavimento sì, se proprio quel pidocchioso del direttore didattico non ha preso una ditta di pulizie esterna. Ma scodellare no. Ed ecco che le scuole materne e primarie, dove le bidelle (pardon: «collaboratrici scolastiche») sono passate allo Stato, hanno dovuto inventarsi questo nuovo ruolo. Svolto da persone che, pagate a parte e spesso riunite in cooperative, arrivano nelle scuole alle undici, preparano la tavola ai bambini, scoperchiano i contenitori del cibo, mescolano gli spaghetti già cotti con il ragù e scodellano il tutto nei piatti, assistono gli scolaretti, mettono tutto a posto e se ne vanno. Costo del servizio, Iva compresa, quasi un euro e mezzo a piatto. Mille bambini, 1.500 euro. Costo annuale del servizio in un Comune di media grandezza con duemila scolaretti: 300.000 euro.

Una botta micidiale ai bilanci, per i Municipi: ci compreresti, per fare un esempio, 300 computer. Sulla Riviera del Brenta, tra Padova e Venezia, hanno provato a offrire dei soldi alle bidelle perché si facessero loro carico della cosa. Ottocento euro in più l’anno? «Ah, no, no me toca...». Mille? «Ah, no, no me toca...». Millecinque? «Ah, no, no me toca...». Ma ve lo immaginate qualcosa di simile in America, in Francia, in Gran Bretagna o in Germania? (...) E sempre lì torniamo: chi, se non la politica, quella buona, può guidare al riscatto un Paese ricco di energie, intelligenze, talenti straordinari, ma in declino? Chi, se non il Parlamento, può cambiare le regole che per un verso ingessano l’economia sul fronte delle scodellatrici e per un altro permettono invece agli avventurieri del capitalismo di rapina di muoversi impunemente con la libertà ribalda dei corsari? (...)

Giorgio Napolitano ha ragione: «Coloro che fanno politica concretamente, a qualsiasi schieramento appartengano, devono compiere uno sforzo per comprendere le ragioni della disaffezione, del disincanto verso la politica e per gettare un ponte di comunicazione e di dialogo con le nuove generazioni ». Ma certo questa ricucitura tra il Palazzo e i cittadini, necessaria come l’ossigeno per interrompere la deriva, sarebbe più facile se i partiti avessero tutti insieme cambiato quell’emendamento indecente infilato nell’ultimo decreto «milleproroghe» varato il 23 febbraio 2006 dalla destra berlusconiana, ma apprezzato dalla sinistra. Emendamento in base al quale «in caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei Deputati il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi è comunque effettuato». Col risultato che nel 2008, 2009 e 2010 i soldi del finanziamento pubblico ai partiti per la legislatura defunta si sommeranno ai soldi del finanziamento pubblico del 2008, 2009 e 2010 previsto per la legislatura entrante. Così che l’Udeur di Clemente Mastella incasserà complessivamente 2 milioni e 699.701 euro anche se non si è neppure ripresentata alle elezioni. E con l’Udeur continueranno a batter cassa, come se fossero ancora in Parlamento, Rifondazione comunista (20 milioni e 731.171 euro), i Comunisti italiani (3 milioni e 565.470), i Verdi (3 milioni e 164.920). (...)

E sarebbe più facile se i 300 milioni di euro incassati nel 2008 dai partiti sulla base della legge indecorosa che distribuisce ogni anno 50 milioni di rimborsi elettorali per le Regionali (anche quando non ci sono), più 50 per le Europee (anche quando non ci sono), più 50 per le Politiche alla Camera (anche quando non ci sono: quest’anno doppia razione) e più 50 per le Politiche al Senato (doppia razione) non fossero un’enormità in confronto ai contributi dati ai partiti negli altri Paesi occidentali. (...) Certo che ha ragione Napolitano, a mettere in guardia dai rischi dell’antipolitica. Ma cosa dicono i numeri? Che la legge attuale, che nessuno ha voluto cambiare, spinge i partiti a spendere sempre di più, di più, di più. Per la campagna elettorale del ’96 An investì un milione di euro e fu rimborsata con 4, in quella del 2006 ne investì 8 e ne ricevette 64. E così tutti gli altri, dai diessini ai forzisti. Con qualche caso limite come quello di Rifondazione: 2 milioni di spese dichiarate, 34 incassati. Rimborsi per il 2008? C’è da toccar ferro. (...) «Un fantastilione di triliardi di sonanti dollaroni». Ecco a parole cos’hanno tagliato, se vogliamo usare l’unità di misura di Paperon de’ Paperoni, dei costi della politica. A parole, però. Solo a parole. Nella realtà è andata infatti molto diversamente.

E si sono regolati come un anziano giornalista grafomane che stava anni fa al Corriere della Sera e scriveva ogni pezzo come dovesse comporre un tomo del mitico Marin Sanudo, il cronista veneziano che tra i 58 sterminati volumi dei Diarii e i 3 delle Vite dei Dogi e il De origine e tutto il resto, riuscì a riempire l’equivalente attuale di circa 150.000 pagine. Quando il vecchio barone telefonava in direzione per sapere della sua articolessa, il caporedattore sudava freddo: «Tutto bene il mio editoriale, caro?». «Scusi, maestro, dovrebbe tagliare 87 righe». «Togliete gli asterischi». Questo hanno fatto, dal Quirinale alle circoscrizioni, nel divampare delle polemiche sulle spese eccessive dei nostri palazzi, palazzetti e palazzine del potere: hanno tolto gli asterischi. Sperando bastasse spargere dello zucchero a velo per guadagnare un po’ di tempo. Per tener duro finché l’ondata d’indignazione si fosse placata. Per toccare il meno possibile un sistema ormai così impastato di interessi trasversali alla destra e alla sinistra da essere diventato un blocco di granito. (...)

Almeno una porcheria, i cittadini italiani si aspettavano che fosse spazzata via. Almeno quella. E cioè l’abissale differenza di trattamento riservata a chi regala soldi a un partito piuttosto che a un’organizzazione benefica senza fini di lucro. È mai possibile che una regalia al Popolo della Libertà o al Partito democratico, a Enrico Boselli o a Francesco Storace abbia diritto a sconti fiscali fino a 51 volte (cinquantuno!) più alti di una donazione ai bambini leucemici o alle vittime delle carestie africane? Bene: quella leggina infame, che avrebbe dovuto indignare Romano Prodi e Silvio Berlusconi e avrebbe potuto essere cambiata con un tratto di penna, è ancora là. A dispetto delle denunce, dell’indignazione popolare, delle promesse e perfino di una proposta di legge, firmata a destra da Gianni Alemanno e a sinistra da Antonio Di Pietro. Proposta depositata in un cassetto della Camera e lasciata lì ad ammuffire. Ma se non ora, quando?

Sergio Rizzo Gian Antonio Stella (1- Continua)

domenica, aprile 27, 2008

Parlamento pulito

Trovate qui la lista dei parlamentari condannati (ma eletti in parlamento)

http://www.beppegrillo.it/immagini/immagini/Parlamento_pulito_2008.pdf

I parlamentari condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio eletti in Parlamento sono settanta. Ne avevano candidati 100. I 70 voi non li avete votati. Non sono stati scelti dagli elettori.

I 70 neo eletti sono così ripartiti:

- PDL 45 (proposti 56)
- PD 13 (proposti 18)
- Lega Nord 7 (proposti 8)
- UDC – Rosa Bianca 5 (proposti 9)

La chiamavano impunità



infatti....

La Repubblica:
Entra in Senato l'ex presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro, che è il più votato dei tre esponenti dell'Udc eletti nell'isola per palazzo Madama. Al Senato potrebbe tornare anche Nino Strano, il senatore che festeggiò con mortadella e spumante in aula la caduta del governo Prodi: è infatti il primo dei non eletti del Pdl e potrebbe subentrare in futuro. Il parlamentare di An è il 14/mo della lista del Pdl al Senato in Sicilia

Truffe



da Corriere.it

Provate a chiamare Ryanair al numero 899-678910. Noterete un fatto curioso: la linea aerea low-cost per eccellenza, in fatto di tariffe telefoniche, è una compagnia high-cost, visto che per prenotare voli dall'Italia si spende la bellezza di 0,80 euro al minuto, la tariffa più cara d'Europa. I numeri cosiddetti «a valore aggiunto » - appunto i vari 899 e 892 - sono gli stessi delle linee «erotiche» da tempo sotto osservazione dell'Autorità per le comunicazioni (Agcom). Ma il bello è che chiamare la stessa compagnia aerea dalla Francia costa la metà (34 centesimi al minuto) e dalla Gran Bretagna ancora meno, 10 penny al minuto. Domanda: perché i clienti italiani devono sussidiare i clienti inglesi? Sulla fronte hanno scritto Giocondo?

Idem o quasi se per informazioni, acquisti o cambi di prenotazione chiamate il call center di Trenitalia all'892 021: 30 centesimi alla risposta più 54 centesimi al minuto, cioè 5,70 euro (diecimila lire) per una telefonata di dieci minuti. Altra domanda: è giusto che le Ferrovie dello Stato si facciano pagare come un servizio a luci rosse?

Ma il colmo è il caso dell'associazione dei consumatori Codacons, che si autodefinisce il James Bond della categoria, e infatti ha scelto come numero l'892-007. Nei costi telefonici - è una battuta, s'intende - l'associazione ricorda piuttosto la Spectre: per ottenere licenza di uccidere le ingiustizie subite, magari proprio dalle società telefoniche, il consumatore sborsa 0,12 centesimi alla risposta più 1,80 euro al minuto se chiama dalla linea fissa e un bel po' di più se usa il mobile. Per fortuna c'è il tetto di spesa fissato dal decreto Landolfi a 15 euro. È vero, 10 centesimi del ricavato di ogni telefonata vengono versati alla onlus di oncologia pediatrica «Mary Poppins». Ma quel che resta in tasca a James Bond non è comunque poco.

Sono soltanto esempi di paradossi tariffari italiani. Ma dimostrano che in fatto di prezzi, di trasparenza e di «etica telefonica » molta strada rimane ancora da fare, come si ricava da questo viaggio nella bolletta. Non a caso l'euro-commissaria Viviane Reding ha lanciato un'offensiva per ridurre le «tariffe di terminazione» (i prezzi all'ingrosso che gli operatori telefonici si praticano a vicenda per la connessione delle chiamate sulle rispettive reti), di cui parliamo nell'altro articolo.

Tuttavia, dicono all'Agcom, «le tariffe telefoniche sono in discesa da anni: nel solo 2007 sono calate dell'8% (-14% il mobile). E le carte prepagate italiane, lo calcola il regolatore inglese Ofcom, sono le più basse d'Europa. Ciò è avvenuto per effetto sia della concorrenza che dell'azione dei regolatori di Bruxelles e di Roma». Anche se in certi casi come quando sono stati eliminati i costi di ricarica dal decreto dell'ex ministro Bersani i balzelli sono stati cancellati per intervento diretto del governo.

Ma partiamo proprio dal caso dei numeri a valore aggiunto come quelli di Ryanair e Trenitalia. Dal 2 aprile, come si sa, è già possibile farsi bloccare l'accesso ai vari 899 e 892. Ma, soprattutto, dal 1˚ giugno entrerà in vigore un meccanismo opposto a quello del silenzio-assenso, una sorta di «silenzio dissenso»: gli abbonati che non avranno chiesto esplicitamente l'accesso a quei numeri se li vedranno automaticamente bloccare. «Dal 30 giugno - annunciano all'Authority di via delle Muratte - verrà poi introdotto un meccanismo d'allarme nella bolletta, che segnalerà gli aumenti di spesa oltre una certa cifra». In questi giorni si sta definendo non senza contrasti la soglia di allarme, che dovrebbe essere fissata intorno ai 100 euro (non proprio bassa…). Allo stesso modo dovrebbero essere introdotti (o reintrodotti) i cosiddetti «sistemi a pin», che permettono di bloccare le chiamate internazionali. Il criterio adottato però non sarà quello del prefisso ma del costo.

Ma la questione più importante e controversa - perché tocca al cuore il meccanismo della concorrenza - è quella che riguarda il cambio di operatore telefonico. E, nel caso delle carte prepagate, il credito residuo. Prima della legge Bersani, quando un cliente decideva di cambiare operatore, perdeva il credito. La Bersani ha fissato la regola che il credito maturato non scade. Il prossimo passo, promette l'Agcom, è consentire al cliente di portarsi dal vecchio al nuovo operatore sia il numero che il credito. Quest'ultimo, secondo ricerche dell'autorità, è mediamente di 5 euro per cliente, per un totale di parecchi milioni di euro.

E qui, tra operatori e Autorità, si è aperta una nuova contesa. L'Agcom ha dato alle aziende 45 giorni di tempo per applicare la doppia portabilità di numero e credito. Gli operatori si sono rivolti al Tar. Il quale, pur rilevando un'eccessiva brevità del tempo concesso, nel merito ha dato ragione al regolatore. Ora si profila un compromesso: se gli operatori azzereranno i costi per la restituzione del credito l'Autorità allungherà i tempi entro i quali dev'essere garantita la portabilità. Il tema è importante perché l'Italia ha il più alto numero di cambi di operatore d'Europa: 15 milioni nel solo 2007.

Altra zona della bolletta da ripulire, insiste Bruxelles, è quella del roaming internazionale. «I costi sono troppo alti, soprattutto quando si trasmettono dati e sms - dice l'Agcom - : non è ammissibile che inviare una foto scattata con il telefonino da Parigi a Milano costi 10 euro. I prezzi devono scendere». Un faccia a faccia infine si sta aprendo sui cosiddetti «motori di calcolo» per le tariffe migliori. Già oggi esistono siti Internet sui quali si possono trovare confronti utili per districarsi nella giungla delle offerte tariffarie. Non tutti però sono seri e indipendenti. E d'altra parte le aziende non aiutano: producono molti spot divertenti ma poca pubblicità comparativa.
«L'Agcom - dice il regolatore - vorrebbe, se non creare un proprio sito di confronti, dare un "bollino blu" ai più affidabili tra gli indirizzi web». Ci si può chiedere: perché non lo fa e basta, senza aspettare il permesso delle aziende? Ma lo stile dell'Autorità italiana non è quello di fare mosse ostili verso gli operatori. I più critici storceranno il naso. Altri ribatteranno che, a giudicare dai risultati, l'Agcom non ha poi fatto male. Si può aggiungere: grazie al pungolo europeo.

Edoardo Segantini

Elezioni romane e distrazioni



Esempi di giornalismo:

Jena per La Stampa - Mi taglio un braccio, mi vendo mia madre, costringo mia sorella a prostituirsi, divento prete... sono disposto a qualsiasi sacrificio per evitare che Alemanno diventi sindaco di Roma, perfino a votare Rutelli.

ROSSELLA PRO-RUTELLI
Lettera a “Chi” -. Caro Carlo, ce la farà Rutelli? Io sono di centro destra, ma il personaggio mi è sempre piaciuto assai…
Caterina, Roma

Risposta di Carlo Rossella:
Adorata Caty, Francesco è un mio amico. Io, come sai, non voto a Roma… Francesco mi piace, perché è un vero signore, Ha stile e classe, ed è una persona perbene. Ma la vedo difficile. Spero che Camilla, la sua deliziosa Labrador, gli porti fortuna. (con amici così...)

La famiglia (Odissea)

In onore di Fausto Bertinotti

Il bellissimo,intelligentissimo, alternativissimo e fichissimo Fausto Bertinotti



Riccardo Barenghi per La Stampa

L’ultima spiaggia si chiama Roma. E se per caso Rutelli dovesse perdere, «sarebbe un disastro - ci dice Franco Giordano, ex segretario di Rifondazione -. Un disastro per il Paese che subirebbe un’ulteriore svolta a destra, per la città che finirebbe nelle mani di un ex fascista. E un disastro pure per noi della Sinistra: la disperazione prenderebbe il sopravvento». E se invece Rutelli ce la fa? «Beh, allora, non dico che i nostri problemi sarebbero risolti, tuttaltro: però avremmo un po’ di ossigeno per ricominciare, per ricostruire...».

Oddio, c’è anche chi nel suo partito pensa che, paradossalmente, una sconfitta non sarebbe poi così disastrosa: perché insieme a Rutelli perderebbe anche - anzi soprattutto - Veltroni. E tutta la sua strategia politica che per la sinistra radicale è stata esiziale, come si è visto due settimane fa. Ma chi ha questa idea in testa non vuole comparire, per ora prevale la voglia di vincere e il terrore di ri-perdere.

Anche perché dentro il Prc ne stanno succedendo di ogni colore. Giovedì scorso, per esempio, Giordano ha aperto il sito del suo partito per rispondere alle domande, le polemiche, le richieste e gli interventi di militanti ed elettori. Ma il suo blog non c’era più: scomparso, cancellato senza una riga di spiegazioni e senza neanche una telefonata per comunicarglielo. Ovviamente c’è rimasto malissimo, e si è sfogato in privato: «Siamo a un livello di brutalità incredibile. Di questo passo finiranno per cancellare pure le immagini, esattamente come fece Stalin con quella di Trotzky al funerale di Lenin. E poi leggo un’intervista di Paolo (Ferrero) che invoca l’unità del partito: ma quale unità è mai possibile se si comportano in questo modo...».

Giordano comunque ha evitato polemiche pubbliche con il Comitato di gestione (che a maggioranza fa riferimento appunto a Ferrero), e lo sgarbo finora è rimasto chiuso nelle stanze di Rifondazione. Così come altri episodi che in pochi giorni si sono succeduti. Per esempio l’elezione di un portavoce del Comitato stesso, con la minoranza bertinottiana che ha votato contro. Si tratta di Maurizio Acerbo, il quale ha anche chiesto all’ufficio stampa di inviare una lettera a tutti gli organi di informazione per comunicare che d’ora in poi avrebbero dovuto parlare solo ed esclusivamente con lui.

E’ scoppiata una dura polemica, l’ex parlamentare Graziella Mascia (area Giordano) ha accusato i suoi avversari interni di «comportarsi in modo antipatico e ridicolo. Noi siamo un organo provvisorio, non previsto dallo Statuto: non abbiamo poteri se non quelli appunto di gestire il percorso verso il congresso, un percorso il più possibile unitario. Il portavoce, per quanto mi riguarda, porta solo la voce di se stesso». La lettera è stata bloccata fino a nuove ordine.

Ma non è finita qui, per lunedì prossimo il Comitato ha convocato separatamente il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti, e l’amministratore Sergio Boccadutri. Sansonetti è nel mirino, e già prima del ribaltone interno di domenica scorsa era girata la voce di una sua sostituzione con Giovanni Russo Spena. Il blitz è rapidamente rientrato anche perché la notizia è uscita sui giornali. Adesso all’ordine del giorno non c’è più il siluramento ma un sua «messa in riga»: deve adeguarsi alla nuova linea del partito.

Replica Mascia: «Da quando esiste Rifondazione, con tutti gli scontri e le scissioni che abbiamo avuto, la libertà del giornale non è mai stata messa in discussione. Io mi batterò perché Liberazione mantenga la sua piena autonomia». L’amministratore invece sarà chiamato a rendere conto dell’ufficio stampa, chi ci lavora, quanti sono, cosa fanno. E qui sotto tiro ci sono soprattutto due ex giornalisti del “manifesto”, Andrea Colombo e Cosimo Rossi, entrambi collaboratori di Giordano.

Questo il clima nel quale Rifondazione si prepara al suo congresso di luglio, uno scontro durissimo tra due linee e due gruppi dirigenti. Anche perché è probabile che chi perde se ne vada via, dando vita all’ennesima scissione dell’atomo della Sinistra. Ferrero comunque si candiderà alla segreteria proponendo di ricominciare dal Prc, stringiamoci a coorte e poi si vede. Gli altri tenteranno di vincere giocando la carta Nichi Vendola e proponendo di andare oltre il vecchio Prc.

E a proposito del governatore pugliese, qualche giorno fa Giovanni Russo Spena (legato a filo doppio con Ferrero) ha avvisato Nicola Latorre, luogotenente di D’Alema: «Guarda che se Nichi diventa segretario di Rifondazione, toccherà rivotare in Puglia. E la sconfitta sarebbe certa». In altre parole: se D’Alema convincesse Vendola a restare governatore, sarebbe molto meglio per tutti...

Love song (for my poor country)

sabato, aprile 26, 2008

A production of mine (trad. l'ho fatto io)

Pistole Puttane & Coca Cola

Un'ottimo lancio d'agenzia

da Agendacomunicazione.it

DEBORAH BERGAMINI CE LA FA, RENATO FARINA FORSE.
IN SENATO ENTRA CIARRAPICO

L'ex responsabile del marketing Rai, che ha risolto il contratto con la televisione pubblica dopo lo scandalo intercettazioni, eletta alla Camera nelle liste del Pdl. L'editore laziale accusato di essere un nostalgico del fascismo eletto in Senato, ancora nelle file del Pdl, così come Diana De Feo, moglie del direttore del Tg4 Emilio Fede. In forse la nomina a deputato dell'ex vicedirettore di Libero, secondo dei non eletti in Lombardia. Passa invece Fiamma Nirenstein.

Come ogni nuova legislatura sono molti gli esponenti del mondo della comunicazione pronti a varcare la soglia di Palazzo Madama e Montecitorio, all'indomani delle elezioni. Tra i nomi più conosciuti Deborah Bergamini, ex responsabile del marketing Rai che ha risolto il contratto con la televisione pubblica dopo lo scandalo intercettazioni "Rai - Mediaset", eletta alla Camera in Toscana nelle liste del Popolo della Libertà. Entra a Montecitorio anche Fiamma Nirenstein, corrispondente de "il Giornale", eletta in Liguria sempre nelle liste Pdl, mentre Renato Farina, l'ex vicedirettore di Libero radiato dall'Ordine dei giornalisti per il suo coinvolgimento con i servizi segreti, dovrà attendere ancora alcuni giorni per una risposta definitiva: risulta infatti il secondo non eletto nella circoscrizione numero 2 della Lombardia, dove i primi nomi della lista sono - come in tutte le altre liste Pdl - Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. I due leader dovranno optare per un solo collegio, aprendo la strada a molti dei non eletti. Secondo dei non eletti risulta anche il giornalista e blogger Mario Adinolfi, candidato dal Pd nel Lazio, che ha molte meno possibilità di Farina di entrare in Parlamento, visto il differente criterio di composizione delle liste del partito di Walter Veltroni, che non ha candidato i leader in tutte le circoscrizioni. Nelle file del Pd alla Camera entra invece Ricardo Franco Levi, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nella passata legislatura, con delega per l'ìnformazione e l'editoria.
Entrano infine in Senato con il Pdl Giuseppe Ciarrapico, il discusso editore laziale finito poco tempo fa nell'occhio del ciclone per un'intervista, poi smentita, dalla quale traspariva una certa nostalgia per il fascismo e Diana De Feo, moglie del direttore del Tg4 Emilio Fede.

Quello che si è detto davvero



Il vero V-day che Merlo di Repubblica evidentemente NON ha visto.

Quando Repubblica s'offende



Ecco che viene scatenato Merlo che non deve aver visto granché del V-Day 2 trasmesso in diretta su Eco-tv. Un peccato perché Merlo scrive bene, ma questo articolo è ridicolo. Grillo potrà dire anche tante sciocchezze, ma questo articolo è una risposta uterina da persona che si sente punta sul vivo. Non è giornalismo.

Il comico
del malumore
di FRANCESCO MERLO

ECCO una bella sfida per la nuova stagione della politica italiana: riprendersi questa piazza che Beppe Grillo riempie ma non merita, e non solo perché, in piena crisi artistica, non riesce più nemmeno a fare ridere. Il punto è che Grillo, per galleggiare nel malumore, ormai deve spararla sempre più grossa. E infatti, in questa escalation, ieri è diventato un altro di quegli irresponsabili italiani che di tanto in tanto vorrebbero riprendere e continuare il lavoro feroce dei partigiani - "ah se solo avessimo più cuore e più coglioni" - scambiando la tragedia della guerra civile con le gag da Bagaglino: "Siamo noi la nuova Resistenza".

Grillo attacca i giornali perché non scrivono quel che vuole lui e come vuole lui. Come tutti i demagoghi italiani, vorrebbe abbattere la stampa
Crede di essere una somma di Totò e del professor Sartori, uno che prende drammaticamente sul serio la propria scienza politica

E come tanti altri anche Grillo attacca i giornali perché non scrivono quel che vuole lui e come vuole lui: "Pennivendoli di regime". E sogna un capo dello Stato meno "Morfeo" e dunque più decisionista, purché ovviamente nel consiglio di reggenza di questo virile presidenzialismo ci sia lui, Beppe Grillo.

Grillo non lo sa, ma il giornalismo, che come tutti i demagoghi italiani anch'egli vorrebbe abbattere, serve anche a mostrare la realtà che sta dietro il dito dell'inaudito. E dunque a segnalare che ieri a Torino la piazza era, come sempre in Italia, molto migliore di lui, nel senso che il malumore del suo "pubblico" non è solo l'umore andato a male di Grillo. E non soltanto perché lì, in mezzo a quei cinquantamila, c'è anche tanta gente che vorrebbe ancora divertirsi a vederlo recitare; gente che - dicono al Sud - lo "buffonia", lo prende in giro, gli fa credere d'esser lì per la sua sapienza politologica e invece è lì soltanto perché in piazza San Carlo non si paga il biglietto.

Insomma alcuni - quanti? - dei suoi fans sono "portoghesi" che sperano di ridere gratis partecipando a uno spettacolo di comicità. E nessuno li comprende meglio di noi che, pur di sentire cantare Ventiquattromila baci o Azzurro, siamo disposti a "buffoniare" Celentano. È così anche per Grillo. L'importante è che, tra una stupidaggine e l'altra di filosofia etica, ci faccia ridere e magari anche ghignare con i suoi lazzi, le sue pernacchie, la sua strumentazione di comico.

Abbiamo un rapporto speciale con i comici, noi italiani. Molti di loro ci hanno insegnato trucchi e scorciatoie di grande intelligenza. Abbiamo imparato molte più cose da Totò che non da Gramsci. Totò, con il suo "vota Antonio, vota Antonio", ci diceva per esempio che la campagna elettorale dei suoi tempi somigliava già ad un canovaccio da commedia dell'arte. Ma nient'altro Totò sapeva e voleva e poteva fare. Questo Grillo invece crede di essere una somma di Totò e del professore Sartori, una specie di Sartori totoizzato, uno che prende drammaticamente sul serio la propria scienza politica. E invece tutto può fare Grillo tranne che saltare la propria ombra, che rimane l'ombra di un comico (in crisi).

Nella rabbia dell'Italia giustamente insoddisfatta della politica, Beppe Grillo è dunque la carnevalata. I suoi sberleffi, le sue parolacce, le sue linguacce sono i coriandoli di piazza. E si capisce che "mandare a fare in culo" possa apparire più piccante che partecipare a una celebrazione - rituale per quanto solenne - della Resistenza.

Aggiungiamo adesso, senza alcuna reticenza, che in quella piazza ieri c'erano umori che non solo non si identificano con gli schizzi di bile nera di Grillo, ma sono, in parte, anche umori nostri. In tutti i movimenti - direbbe Alberoni - c'è chi fa cassa. Da Masaniello a Canepa a Bossi a Grillo... c'è sempre qualcuno che diventa l'espressione sgangherata di malumori forti e legittimi. E la buona politica dovrebbe calarsi dentro di essi; per tirare fuori, ad esempio, il buon umore dal malumore dei produttori del Nord che stanno con Bossi perché si sentono ipertassati e non protetti.

Così tra i piazzaioli di Grillo ci sono professionisti, docenti, giovani e giovanissimi che coltivano buoni sentimenti e disagio, e magari in qualche caso sono il meglio della gioventù, quella che non trova espressione nei codici della politica e va dunque a cercare un detonatore o un pantografo che percepisca e ingrandisca il segnale.

Due parole infine sulla lotta di liberazione contro i giornali che sarebbero fascisti, fogli di regime eccetera eccetera: roba per il vaffa. Tutti vedono che i giornali italiani sono un esempio di caotico pluralismo che produce più informazione di quanta si possa raccogliere e metabolizzare. Insomma in Italia c'è una sovrapproduzione di informazione che, in menti sciagurate e mediocri, produce ingorghi alluvionali. I casi sono due: o Grillo non riesce ad infilarsi in questo gorgo oppure, lì dentro, si ingolfa la sua intelligenza.

Vogliamo dire che Grillo scambia per prepotenza d'altri la propria incapacità di capire che la realtà è l'insieme di centinaia di punti di vista. Nulla di nuovo e nulla di grave, anche perché i giornalisti non sono sacri. L'importante è non attaccare il diritto degli altri a ficcare il naso nella realtà. Se dunque non gli piacciono i mille giornali che lo raccontano in mille modi, tutti diversi da come egli vede se stesso, Grillo faccia lui un giornale che gli somigli di più, che sia specchio del suo narcisismo: un giornale che canta, insulta e sputa in aria.

lunedì, aprile 21, 2008

Se avrete la pazienza di leggere



da l'Espressonline

Grand Prix Poltronissima
di Francesco Bonazzi e Marco Damilano
Politici navigati e attricette. Eminenze grigie ed ex spioni. Manager e banchieri. Ecco il chi è dei candidati agli incarichi che contano

Gianni Letta Spioni e attrici di fiction, aspiranti statisti e magliette verdi, vecchie volpi democristiane e pura specie berlusconiana, nata e crescita nell'era del Cavaliere. C'è di tutto, alla corte di Silvio III, monarca dell'Italia 2008. Ecco il catalogo di chi è destinato a salire ai vertici del comando nei prossimi anni: nel governo, nelle banche, nell'impresa. E, naturalmente, in tv.

Governanti

Gianni Letta In questi anni ha fatto scuola: nel Pdl in tanti sognano di assomigliargli. E lui è pronto al salto: resterà accanto a Silvio a Palazzo Chigi come vicepremier. Con l'incarico di dialogare con l'amico Veltroni.

Giulio Tremonti Da macchina spara-slogan con il sorrisetto sprezzante a uomo del dialogo tutto minuetti e fairplay. L'ultima trasformazione del tributarista di Sondrio ha stupito molti avversari. Nulla di casuale, ovviamente. Il ministero dell'Economia non si discute, ma per ambire a mete più alte bisogna sembrare meno partigiani e limitare i sarcasmi.

Franco Frattini L'ex ministro degli Esteri di Silvio II ha lasciato la Commissione europea per prenotare un posto al governo. Il Cavaliere lo ha annunciato in diretta tv, la notte delle elezioni: tornerà alla Farnesina, per costruirsi un futuro da delfino. Aspirante Gianni Letta.

Claudio Scajola Duro e pragmatico, di un vecchio lupo Dc come "Sciaboletta" ire di Arcore presidia lo scivoloso comparto sicurezza (polizia, carabinieri e barbe finte) in concorrenza con Frattini. In cambio di tanta fatica ha ottenuto mano libera nella sua Liguria, dove comanda come fosse l'Abruzzo di Remo Gaspari.

Altero Matteoli L'uomo forte di An, come ambientalista, ha un cuore di cemento e infatti ha un sogno: essere il primo ministro dell'Ambiente e delle Infrastrutture insieme. Il progetto tenta molto il Cavaliere. Certo, di più osè ci sarebbe solo Dell'Utri all'Antimafia.

Marco Reguzzoni L'ex presidente della Provincia di Varese è il giovane leone padano più amato dall'Umberto Bossi, fin dai tempi dell'ictus. La scelta di spedirlo a Roma non è stata indolore, Varese è il cuore della Lega. Per l'ingegnere di Busto Arsizio la candidatura alla Camera è stato un sacrificio che potrebbe essere ripagato con un posto da mastino al governo.

Giulia Bongiorno È la new entry di An: potrebbe diventare ministro della Giustizia, alle prese con le intercettazioni da vietare. Da avvocato di Giulio Andreotti a legale di Gianfranco Fini, per cui cura affari pubblici e privati, le querele e la separazione dalla moglie Daniela.

Mara Carfagna Alla convention delle donne del Pdl si è presentata con un nuovo taglio di capelli e col piglio del leader. «La donna è il fulcro della famiglia», ha proclamato con gli occhi spiritati: «Fare un figlio è un atto di generosità verso la nazione». Idee non proprio avanzate, da rivedere in caso di incarico governativo.

Stefania Prestigiacomo Stefania Prestigiacomo Nel precedente governo Berlusconi, dopo la bocciatura delle quote rosa, finì con lei in lacrime nel Consiglio dei ministri e Bonaiuti che la consolava. Oggi è certa di ritornare ministro, con la sicurezza della veterana.

Roberto Formigoni È già stato nel governo come sottosegretario all'Ambiente. Ora che è un azzimato signore di 61 anni il governatore lombardo ritenta il salto nazionale. Si prepara il ministero dell'Istruzione. Oppure la presidenza di Palazzo Madama: l'anticipo del Senato delle regioni che piace tanto anche alla Lega.

Maurizio Lupi Le sue quotazioni sono salite dopo aver accompagnato Magdi Cristiano Allam dal papa come padrino di battesimo. Seguace di don Luigi Giussani, intimo di monsignor Rino Fisichella, vorrebbe fare il vice-ministro dei Trasporti.

Francesco Giro Deputato del Lazio, molto legato a Letta, si è segnalato per aver ripreso con una telecamerina gli spacciatori a Trastevere. I maligni in Forza Italia temono che Berlusconi gli assegni un posto da sottosegretario agli Interni: con l'incarico, questa volta, di tenere d'occhio i colleghi. Non caso, lo chiamano lo Spione.

Maristella Gelmini Avvocato trentaquattrenne, coordinatrice lombarda di Forza Italia, ben sponsorizzata dalla lobby ciellina per un incarico di governo, viceministro o sottosegretario.

Michela Vittoria Brambilla La rossa presidente dei Circoli della libertà vorrebbe portare la società civile nel governo. Con un'idea meravigliosa: un ministero del Made in Italy per rilanciare l'immagine dell'Italia nel mondo. Dalle autoreggenti alle autocandidature.

Giorgia Meloni Leader dei giovani di An, 31 anni, già vicepresidente della Camera, con i big al governo potrebbe assumere la reggenza del partito di via della Scrofa, in vista dell'abbraccio con i berluscones e con le ragazze di Silvio. Con cui non va d'accordo: militante lei, fru fru quelle. Diversità antropologica.

Paolo Bonaiuti Portavoce di Silvio, per il grande pubblico è il signore con i capelli color Berlusconi che annuisce in tv piantato sulle spalle del Cavaliere. Ora, a quasi 70 anni, vorrebbe fare il ministro dei Beni culturali: per dimostrare la sua passione per le belle arti ha dichiarato guerra al tram che passerà intorno al battistero di Firenze, la sua città.

Adolfo Urso Moderato di An, può ambire a un dicastero economico, ma il suo sogno nel cassetto si chiama Rai. Se volesse presiederla dovrebbe dimettersi da deputato e forse neppure basterebbe. Ma una poltrona da viceministro delle Comunicazioni è a portata di mano.

Roberto Maroni Roberto Maroni L'eterno erede di Bossi piace anche a sinistra perché non ce l'ha con gli operai e non santificherebbe subito l'ex stalliere di Arcore Vittorio Mangano. Un ministero di peso lo acchiappa sicuro. A meno che il Senatùr lo incateni in via Bellerio con una poltrona da comandante supremo. In seconda, ovviamente.

Roberto Calderoli Come uomo immagine non è il massimo. Ma l'ex ministro ha doti indiscusse di capo d'Aula. L'astuzia e l'efficienza con cui guidava Palazzo Madama da vicepresidente del Senato gli sono state universalmente riconosciute. Chissà che non venga promosso.

Roberto Cota L'avvocato trentanovenne che guida la Lega in Piemonte è una macchina da voti certificata. Ex sottosegretario alle Attività produttive, pur di allontanarlo dalla regione, in Forza Italia sono pronti a spalancargli le porte di Roma.

Nicolò Pollari L'ex capo del Sismi gode ancora della piena stima di tutto il centrodestra. I guai giudiziari per le vicende Abu Omar e Pio Pompa sono probabilmente destinati a finire in nulla per la compatta copertura che tutti i governi gli hanno assicurato. La riforma dei servizi è una grande incompiuta, i suoi ex collaboratori sono più o meno ai loro posti e Pollari potrebbe essere il primo Mister Sicurezza italiano. Con rango di viceministro o sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

Banchieri e imprenditori

Corrado Passera Pare che tutti lo cerchino e tutti lo vogliano. E il numero uno di Intesa- San Paolo passa la vita a smentire salti in politica o nella finanza italo-francese (Generali, l'ultima voce). Se però qualcuno gli offrisse la guida dell'Eni, non è detto che il "patriota" che voleva salvare Alitalia a mezzo di Air One sappia resistere alla tentazione di dire "sì".

Diana Bracco Presidente di Assolombarda, amministratore del colosso farmaceutico, il suo nome è rimbalzato sui giornali nella cordata italiana per Alitalia. Di certo è una grande amica del Cavaliere che voleva candidarla alle elezioni. E ora potrebbe inserirla, a sorpresa, nella lista dei ministri con un ruolo di primo piano.

Giorgio Squinzi Il presidente di Federchimica era l'uomo che Berlusconi avrebbe voluto issare sulla poltrona più alta di viale dell'Astronomia. Ora Emma Marcegaglia sta tentando di coinvolgerlo nel nuovo corso confindustriale. La disponibilità a rischiare la faccia nel salvataggio Alitalia alla vigilia delle elezioni ne fa una sicura riserva della Repubblica (di Arcore).

Ennio Doris L'uomo con la banca intorno non si occuperà mai di politica, almeno finché c'è in campo il suo socio più famoso: Berlusconi Silvio. Ma è ben piazzato in Mediobanca e Generali. Chi meglio di lui potrebbe aiutare l'amico nelle future battaglie finanziarie?

Ubaldo Livolsi Il consulente-banchiere più vicino al Cavaliere, ex numero uno della Fininvest, è un vulcano di progetti finanziari. È l'Angelo Rovati di Silvio con una fondamentale differenza: da bravo siciliano non gli esce di bocca una parola che è una.

Cesare Geronzi Come per Pollari, non c'è praticamente nessun politico di peso che non gli debba qualcosa. Certo, anche il presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca è inseguito dalla giustizia, ma questo in Italia non è più un problema. Anzi, le disavventure giudiziarie forgiano e completano un vero leader. Così Geronzi attende serafico che la prescrizione faccia il suo corso, per uscire indenne dai processi Cirio e Parmalat.

Boiardi

Paolo Scaroni Con Berlusconi e Tremonti, il gran capo dell'Eni ha un rapporto di ferro. Il problema è: cosa gli possono offrire più del cane a sei zampe? L'unico intralcio può venirgli dall'inchiesta sulla vendita di Wind a Sawiris. Ma per uno che si è rialzato alla grande da Tangentopoli non è certo un problema da perderci il sonno.

Flavio Cattaneo Guida il monopolista Terna con una mano. Con l'altra rischia d'impalmare l'eroina dei precari e della sinistra
Sabrina Ferilli. In più, ha trent'anni di meno dei suoi colleghi. Insomma, deve solo saper scegliere la poltrona giusta.

Pierfrancesco Guarguaglini Alla guida del polo italiano della Difesa, il numero uno di Finmeccanica ha la stima di tutto l'arco costituzionale, solidi agganci internazionali e discreta immagine sui mercati, nonostante un eloquio livornese non proprio da Harvard. Candidabile a tutto.

Roberto Poli Il commercialista più fidato del Cavaliere, l'uomo che da anni tenta di risolvere i complicati problemi ereditari di Re Silvio, per inciso è anche presidente dell'Eni. Lo davano in uscita, ora sarà lui a scegliere che fare.

Raiset

Agostino Saccà «Lei mi ha lasciato una libertà culturale totale», giurava al telefono con il Cavaliere don Agostino, «lo dico senza piangeria ». Ha resistito a indagini giudiziarie e a procedimenti disciplinari della Rai. E ora il «vuoto» che lamentava nella società italiana dopo la sconfitta del suo boss alle elezioni del 2006 è finalmente colmato. Anche per lui.

Fabrizio Del Noce Sopravvissuto a Celentano, a "Striscia la notizia", ai flop del sabato sera e di Sanremo, potrebbe lasciare Raiuno per la poltronissima di viale Mazzini, la direzione generale.

Maurizio Belpietro Folgorato dalle telecamere, da anni sogna una carriera da anchorman: direttore di un tg con ampia facoltà di incursioni video. Un Gianni Riotta con la giacca e il ringhio: ora o mai più. Guido Paglia Avvistato nei tristi aperitivi di An, dove si esalta il futurismo e si tuona contro l'egemonia culturale della sinistra, il capo della corrente berlusconianfiniana della Rai, oggi alle relazioni istituzionali, assapora altri cinque anni di potere, magari da una poltrona nel cda.

Gianluigi Paragone L'ex direttore della "Padania" imperversa su tutti i canali. Direttore di un tg Rai in quota Lega o di un tg Mediaset, per portare il verbo del Nord nelle case del resto d'Italia.

Emilio Carelli Negli ultimi due anni il suo tg su Sky è stato il canale preferito di Romano Prodi, ma questo non va ricordato al Cavaliere. Nel cuore, è rimasto sempre un uomo Mediaset: in caso di ritorno a casa sarebbe accolto a braccia aperte.
Clemente Mimun Per ora resterà al Tg5, almeno fino alla nomina del nuovo cda Rai. Ama la prima linea, ma la direzione di Raiuno al posto di Del Noce sembra fatta apposta per lui, secondo la linea di successione decisa ad Arcore.

Deborah Bergamini «Voglio cambiare il mondo», proclama la neo-deputata. Nell'attesa, ha incassato dalla Rai una liquidazione principesca. E si prepara a controllare viale Mazzini dalla commissione parlamentare di vigilanza.

Evelina Manna, Elena Russo Le ragazze della fiction che stavano nel cuore di Silvio («Sono dilaniato dalle richieste») nella ormai storica telefonata con Saccà. Pronte a invadere le serate Rai.

Bruno Vespa Intoccabile. Dalla seconda serata di Raiuno non se ne va neppure a cannonate. E c'è chi teme perfino l'allargamento ad altre fasce orarie. Vespa for ever.

sabato, aprile 19, 2008

Kinky Quest!



(ANSA) - NEW YORK, 19 apr - Un giornalista britannico della Cnn, Richard Quest, 46 anni, e' stato arrestato a Central Park, nel centro di New York. Secondo il New York Post, oltre a un po' di droga in tasca, il cronista aveva una corda intorno al collo che gli legava anche i genitali, oltre ad un fallo di gomma in uno dei suoi stivali. Quest e' stato scarcerato dopo poche ore e ha accettato di seguire 6 mesi di terapia antidroga. Se la terapia dara' risultati positivi, le incriminazioni cadranno.

KINKY NEWS NETWORK - CNN'S QUEST A VERY 'KNOTTY' BOY
By DAREH GREGORIAN and PHILIP MESSING
TYING ONE ON: CNN broadcaster Richard Quest was busted in the wee hours in Central Park yesterday with a rope tied to his neck and genitals. "I've got some meth in my pocket," he helpfully told the arresting officer.
April 19, 2008 --

This is CNN? Kinky!

CNN personality Richard Quest was busted in Central Park early yesterday with some drugs in his pocket, a rope around his neck that was tied to his genitals, and a sex toy in his boot, law-enforcement sources said.

Quest, 46, was arrested at around 3:40 a.m. after a cop spotted him and another man inside the park near 64th Street, a police source said.

The criminal complaint against Quest said the park was closed at the time - something Quest should have known because of all the signs saying "Park Closed 1 a.m. to 6 a.m."

Quest was initially busted for loitering, the source said. Aside from the oddly configured rope, the search also turned up a sex toy inside of his boot, and a small bag of methamphetamine in his left jacket pocket.

It wasn't immediately clear what the rope was for.

The criminal complaint says the officer at the scene was able to ID the drug because of "his prior experience as a police officer in drug arrests, observation of packaging which is characteristic of this type of drug, and defendant's statements that . . . 'I've got some meth in my pocket.' "

He was charged with loitering and criminal possession of a controlled substance. His unusual get-up didn't lead to a lewdness charge because he wasn't exposing himself, the police source said.

Quest's unidentified companion was given a summons for not carrying any identification, the source said.

Quest's lawyer, Alan Abramson, had a much more innocuous version of events.

"Mr. Quest didn't realize that the park had a curfew," Abramson said. He was simply "returning to his hotel with friends."

At a hearing in Manhattan Criminal Court, Quest agreed to undergo six months of drug counseling in return for an "adjournment in contemplation of dismissal," which means the misdemeanor charges against him will be dropped and the case sealed if he stays out of trouble and completes his drug program.

He was released with no bail after spending most of the day behind bars.

Abramson predicted after the hearing that "the case will be dismissed." He declined to answer questions.

Quest, known for his hollering antics and stunts on the cable news network and its international counterpart, declined comment, as did a CNN spokeswoman.

On his official CNN bio, the network calls him "one of the most instantly recognizable members of the CNN team."

"He has become one of the network's highest profile presenters," and his "dynamic and distinctive style has made him a unique figure in the field of business and news broadcasting," the network's Web site says.

He was reportedly once offered a position for the English-language version of the controversial Al Jazeera network, but said he turned it down because being gay and Jewish, he didn't think it would be a good fit.

Additional reporting by Adam Buckman

Lapalisse sò io...


(ANSA) - ROMA, 19 APR - ''La partita della Capitale e'
determinante. Dobbiamo impedire il dilagare della peggiore
destra. L'Italia ha gia' subito una sterzata con la crescita di
una destra rissosa e inquietante''. Lo afferma il leader del Prc
Franco Giordano, intervenendo al comitato politico del partito.
''Trovo una correlazione - prosegue - tra la sconfitta della
sinistra e lo sfondamento della destra''. (ANSA).


...praticamente un genio

Io non sono sopra le parti

Agli imbecilli che hanno pensato bene di non ricandidarlo....



Salvatore Dama per “Libero”
Dai banchi dei deputati dell'Ulivo allo staff di Fini. «Lavorerò con Gianfranco», annuncia a sorpresa Khaled Fouad Allam, «non ho ancora firmato nulla. Ma ne abbiamo parlato, siamo in parola. Mi vuole nel suo staff, in un ruolo di visibilità». Che sia presidente della Camera (molto probabile) o ministro degli Esteri, il leader di Alleanza nazionale avrà nella sua squadra di collaboratori l'ex deputato ulivista.

Per ammissione del diretto interessato. Chi è Fouad Allam? Giornalista algerino naturalizzato italiano, docente di sociologia del mondo musulmano e storia delle istituzioni dei paesi islamici all'università di Trieste e all'ateneo di Urbino. Nel 2006, è Francesco Rutelli a insistere perché si candidi nelle liste dell'Ulivo e finisce in Puglia, regione dove risulta eletto alla Camera in quota Margherita.

D'altronde, Fouad Allam ha un pedigree di tutto rispetto. Per anni è uno stimato collaboratore di “Repubblica”, la bibbia laica della sinistra. E in Parlamento non tradisce le aspettative dei suoi dirigenti di partito. Presenta quattordici proposte di legge, partecipa a decine di convegni, è una presenza fissa in aula nei momenti che contano. Poi arriva la crisi di governo. I giorni difficili della caduta di Romano Prodi.

La nascita del Partito democratico, alla quale il nostro aderisce, all'inizio con convinzione, poi sempre di meno. Walter Veltroni? «L'ho cercato a lungo e non mi ha nemmeno ricevuto, è un maleducato». Il Pd? Non ne parliamo. Fouad Allam si sfoga in un Transatlantico semi deserto: «Chi ha delle competenze viene messo da parte. Non mi riferisco solo a me. Penso a Violante, Mattarella, e altri. Molti altri. Candidano i portaborse, non viene premiato il merito. C'è troppo cinismo, troppa attenzione alla gestione del potere».
Morale: Khaled Fouad Allam non viene ricandidato. Ma neanche lo cercano dal loft per dirgli che per lui, stimato docente universitario ed esponente del mondo islamico impegnato nel dialogo tra culture, non c'è spazio in lista. Neppure in posizioni a rischio. Non lo chiama Veltroni, né Goffredo Bettini, né Rutelli, il suo primo mentore politico. Eppure il leader del Pd, che ha ricandidato quasi tutti gli uscenti, non l'ha nemmeno voluto vedere, porte chiuse.

Khaled Fouad Allam se la prende. Poi si guarda intorno. L'Osservatore romano gli offre la possibilità di collaborare ospitando i suoi scritti. Si parla di lui anche come possibile sottosegretario nel governo del Popolo delle Libertà. Poi la chiacchierata con Gianfranco Fini, qualche giorno fa, che gli propone l'opportunità di una collaborazione con lui e con l'istitu zione che, da qui a qualche tempo, andrà a guidare. Salto della quaglia? Giammai: «Gianfranco è una persona intelligente. È avanti. Molto di più di altri suoi colleghi politici».

Non avete capito?

Ve lo rispiego

lunedì, aprile 14, 2008

Stella per il Corsera

Forza Roma», «Avanti Lazio», «Lista del Grillo Parlante». Deciso ad essere eletto, er candidato presidente sor Nardinotti ha messo dentro tutto, nel depliant elettorale. Che je frega de la coerenza? Se si può essere insieme democratici e fascisti, liberisti e statalisti, laici e papalini, leghisti e meridionalisti, realisti e sognatori, populisti ed elitari si potrà ben tifare insieme giallorossi e biancazzurri! Il ragionamento, diciamolo, non fa una piega.

Ed è il degno cesello, sia pure in una competizione secondaria quale le «provinciali » romane, di una campagna elettorale che ha offerto davvero di tutto. Compreso il sexy manifesto della vetusta pornostar Milly D’Abbraccio che, stampato in caratteri cubitali sopra un fondo schiena con corredo di collant a rete, guanti e paillettes, intima: «Basta con queste facce da c...».

Il bello è che la campagna elettorale, nonostante i momenti di volgarità del giorno in cui era caduto il governo di sinistra, quando l’ultimo giapponese prodiano Nuccio Cusumano si era beccato uno sputo dal compagno di partito Tommaso Barbato mentre il nazional alleato Nino Strano gli urlava «sei un cesso! checca squallida!», era partita con toni da club britannico.

Col Cavaliere da una parte e il sempre-giovane Walter dall’altra che, la mano ripiegata sul fianco e un fazzolettino di lino alla cinta, si scambiavano sorridendo educati colpi di fioretto. E tutti a dire: ah, finalmente, che garbo, come in Europa! Macché... Se Veltroni ha cercato fino all’ultimo di restare fedele al ruolo scelto («Per quanto aspro e offensivo sarà il loro linguaggio elettorale, io non risponderò») fino a tirarsi addosso l’incitazione a essere più grintoso, Silvio Berlusconi ci ha messo poco a riprendersi la parte che più gli piace.

Quella di domatore del «suo» popolo. Che eccita e incanta e provoca e incendia toccando tutte le corde che sa essere più sensibili. «Anche oggi Veltroni dice tre bugie ogni due righe: è la vecchia ricetta stalinista sempre valida nella sinistra». «Ha detto 43 menzogne in una sola trasmissione!» «Dovrei ricordare che Veltroni disse che Stalin è un benefattore dell’umanità e che il comunismo è un’utopia positiva? No, sono cose non vere e io non me la sento di dire bugie. Noi siamo i nuovi, non vecchi comunisti riciclati che ricordano quei negozi che falliscono e mettono fuori il cartello nuova gestione ».

Il leader democratico parlava di «Rimonta spettacolare»? Risposta del Cavaliere: «Spettacolare bugia!». Macché, Veltroni sempre diritto. Senza azzannare mai: «E’ stata la più bella campagna elettorale che mi sia capitato di fare, soprattutto per gli incontri diretti, i pranzi a casa delle famiglie». E via a baciare bambini, abbracciare disabili, consolare anziani, sorseggiare analcolici con George Clooney («Avremmo potuto parlare di cinema, ma abbiamo parlato di politica, del Darfur, del Tibet, dell’Africa. Ci siamo molto stimati...») per chiudere infine la campagna sul palco di Roma cantando con Jovanotti «Mi fido di te» in mezzo a un coro di artisti che l’ufficio stampa si è premurato di contare per diffondere la lista. Settantuno: Roberto Andò, Zeudi Araya, Francesca Archibugi, Pippo Baudo, Margherita Buy...

Silvio Berlusconi giura da anni di avere fondato «il partito dell’amore »? Walter Veltroni quello dell’amicizia. Andrea Vantini, il nuovo menestrello del Cavaliere, lancia un nuovo inno («Ci hanno provato / scrittori e comici / Un gioco perverso / di chi ha già perso / Presidente questo è per te / Menomale che Silvio c’è») intitolato «A Silvio»? Un gruppo di milanesi risponde con un inno scanzonato imbastito sulle note di "Ymca" dei Village People con mamme, pargoli, giovani sorridenti: «Cantiamo tutti insieme / I am pd / I am pd / Senza Silvio ma / neanche Dini perché / una nuova stagione c’è / I’m Pd».

E un discolo sinistrorso completa la controffensiva con una parodia dell’inno forzista: «Certe notti si mangia pesante / la peperonata con le capesante...» Chiunque vinca, cosa resterà? Intanto, i vuoti. Come quello lasciato da Clemente Mastella, che ha visto di colpo sgretolarsi il suo campanile e dopo essere stato affettuosamente omaggiato al momento di buttare giù il governo è stato scaricato con la qualifica di impresentabile e confida che a tornare indietro ci penserebbe «dieci volte».
O quello lasciato da Michela Brambilla, la rossa salmonata che dopo essere stata pompata per mesi dal Cavaliere (si prendeva così sul serio da dire cose tipo «col mio pedigree nessuno può giudicarmi») è scomparsa come aveva previsto Marcello Dell’Utri bollandola come «una sottomarca». O ancora quello lasciato da Alfonso Pecoraro Scanio e Oliviero Diliberto praticamente spariti alle spalle di un Fausto Bertinotti tornato a dilagare sugli schermi per comunicare il nuovo messaggio che fa inorridire il custode dell’ortodossia Marco Rizzo: «Quella comunista in futuro sarà soltanto una "tendenza culturale" all’interno della Sinistra arcobaleno».

Per non dire delle sedie vuote a Palermo per Gianfranco Fini, così irritato dal flop da spiegare a Fabrizio Roncone: «Allora, sia chiaro un punto: An è fortissima e il legame che i militanti hanno con me, beh, mi pare straordinario. Detto questo, ho ritenuto opportuno fare un passo indietro, lasciando che prevalesse l’interesse della patria». A costo di rimetterci: «Mediaticamente sì, non c’è alcun dubbio, ci ho rimesso. Sebbene io potrei stare tutti i giorni in prima pagina...».

Resterà la campagna bellicosa di un Pierferdinando Casini mai visto prima, schieratissimo contro Veltroni ma più ancora contro il Cavaliere («ha una concezione padronale della politica») fino a usare parole mai sentite in bocca sua: «Fa schifo chi ha abbandonato Mastella dopo aver utilizzato i suoi servigi. Chi ritiene che Mastella sia la causa di tutti i guai del Paese non doveva firmargli dei fogli che gli garantivano la presenza in Parlamento di diversi parlamentari».

E poi resteranno il camerata pregiudicato Giuseppe Ciarrapico («’sta destra macchiata è ’na monnezza») ma più ancora la Danielita Santanché, versione fascio-cuneese di Evita e Isabelita e altre condottiere peroniste. Una che si vantava di portar a spasso il figlio, Lorenzino il Magnifichino, con una carrozzina da quattro milioni («Che c’entra? Era bella: se ne fosse costati dieci l’avrei presa lo stesso») ma chiama a raccolta la plebe contro i politici che «devono guadagnare non più di 1.200 euro al mese». Che sfida Berlusconi dicendo «è ossessionato da me, ma tanto non gliela do...». Che urla ai comizi: «Siiiiii! Rivendico di essere fascista se fascista vuol dire cacciare a pedate nel sedere gli irregolari e i clandestini!» Che gongola alle maschie battute del suo nero pigmalione Francesco Storace: «Meglio una destra figa che una destra fighetta...».

E resterà lo scambio di manganellate con la camerata Alessandra Mussolini: «Credo che suo nonno si rivolti nella tomba a vederla fare la valletta di chi come Fini ha definito il fascismo il male assoluto». Risposta: «Proprio stanotte ho sognato mio nonno Benito che mi ha detto cosa pensa di lei...». «Te lo rivelo io cosa ti ha detto tuo nonno... ». Immortali.

E poi ancora la minaccia dei fucili di Umberto Bossi «contro la canaglia centralista italiana, romana» e le battute poco cavalleresche del Cavaliere sulle sostenitrici della «sezione menopausa» e l’opportunità di «candidare le babbione» e l’elogio dellutriano e berlusconiano al mafioso Vittorio Mangano che non avendo accusato loro come volevano i giudici «è un eroe, a modo suo». E l’assalto teppistico a Giuliano Ferrara con un lancio di uova che spinse Maurizio Crippa a un omaggio irresistibile: «Ovazioni».

Los Angeles Communist Times

domenica, aprile 13, 2008

Una hit dal Corriere d'Italia

L'ultimo comizio



Scrive il Tempo (non propriamente un giornale di sinistra)

di Stefano Mannucci

In attesa della rockstar Silvio, e prima della superband Antoniozzi, Alemanno & Fini, il compito di scaldare lo sparuto pubblico spetta all'orchestra soul di Demo Morselli. Ma il Colosseo non è il teatro Parioli né Woodstock, e forse il repertorio andrebbe meglio calibrato, per evitare che la potenza subliminale di certi brani si trasformi in un comico boomerang elettorale.

Che dire di scelte come "Vorrei la pelle nera" dell'indimenticato Nino Ferrer o della battistiana "Dieci ragazze per me"? Quasi una satira involontaria, se non un boicottaggio mascherato nei confronti del Cav. E il tema funky di "2001 Odissea nello spazio"? C'è anche un simil-Michael Jackson che accenna "Thriller", quella con il video sugli zombie.

Ma l'autogol più clamoroso è la sinatriana "My Way", quella che dice: "E ora che la fine è vicina, e io sono davanti al mio ultimo sipario...". L'effetto è un mix fra i "Sopranos" e un intrattenimento sul ponte di seconda classe. Sul declivio, manipoli di pantere grigie affrontano la graziosa tortura acustica, con la dignità di passeggeri di un torpedone che abbia forato nella curva sbagliata. Un pazzo assoluto gesticola per sottolineare il climax ritmico, ma pare un naufrago che invochi un bagnino.

C'è spazio: quanti saranno gli entusiasti convenuti? Non più di duemila (gli organizzatori parlano anche di 30mila). Più tre cani: della volpina Bianca sappiamo che «ringhia a Prodi in tv», informa la padrona. Gatti zero, e il dato è inquietante. Due anime per una sola piazza: e dal look e dai segreti brividi sottopelle riconosci i finiani dai forzisti. Un ragazzo compra a dieci euro la felpa con la scritta "Berlusconi presidente": «Me la metto in palestra».

Poi il giallo delle bandiere: sul muretto offrono stendardi-cimelio di Alleanza Nazionale a cinque euro, fai venti metri e scopri che quelle aggiornate con il simbolo del Pdl non sono in vendita. I simpatizzanti ne vengono muniti prima dell'inno di Mameli, quando una misteriosa voce dal fondo urla "Serrate le fila!" per mostrare alle telecamere uno sventolio corroborante.

Da Gaeta, ecco il comitato delle «Donne assolutamente in piedi», con buona pace della Santanché. Qualcun altro dispiega un lenzuolo con su scritto «Silvio salvaci dal male», che a pochi metri dalla via Crucis assume significati proto-post-cristiani. Roberto, «disoccupato ma benestante», inoltra un messaggio a Veltroni. «Al governo in Africa? Si può fare».

Quando il Cavaliere affronta lo show, le sue battute incontrano il tripudio preventivo dei fans. È tutto un «bravo!» anticipato come nella gag di Petrolini-Nerone, eroi locali. Lì dietro, sotto l'Arco di Costantino, mezzo secolo fa arrivò anche il maratoneta Bikila. Vincente sì, ma con i piedi nudi e piagati. Meno male che anche questa corsa è finita.

sabato, aprile 12, 2008

Il delirio in un paese allo sbando...



e come se non bastasse: Berlusconi QUERELA Di Pietro.

Il lancio di un'agenzia

Voto, Berlusconi querela per diffamazione Di Pietro
venerdì, 11 aprile 2008 12.54

MILANO - Il candidato premier del Pdl Silvio Berlusconi ha dato mandato ai suoi avvocati di agire in sede legale contro il ministro uscente delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, per varie dichiarazioni ritenute diffamatorie.

Lo riferisce il senatore Niccolò Ghedini, avvocato di Berlusconi e per tutta risposta Di Pietro ha annunciato di "avere già citato in giudizio Berlusconi per le mascalzonate che ha detto su di me e continua a ripetere".

In una nota, Ghedini spiega che "il ministro Di Pietro, che Veltroni si è scelto come alleato privilegiato, nel corso dell'intera campagna elettorale, ha insistentemente continuato ad aggredire verbalmente il presidente Berlusconi, offendendolo ed ingiuriandolo o minacciando ritorsioni legislative su Mediaset, creando altresì grave nocumento alla credibilità internazionale del nostro mercato azionario".

"Ancora oggi sulla stampa si possono rinvenire le ennesime esternazioni del ministro Di Pietro, che sono ad ogni evidenza diffamatorie. Berlusconi mi ha conferito esplicito mandato di esperire ogni opportuna azione giudiziaria in tal senso", conclude Ghedini.

In risposta al legale, Di Pietro -- annunciando a sua volta la querela -- in un comunicato si augura che Berlusconi non voglia "avvalersi dell'immunità parlamentare, come io non me ne avvarrò"

"Questo perché solo un mascalzone può insultare il sacrificio che ho fatto per laurearmi mentre lavoravo", ha detto l'ex-magistrato, in riferimento alle parole di Berlusconi che ieri ha detto di non aver mai offerto un ministero a Di Pietro, che non avrebbe una laurea valida. "E solo un mascalzone può mentire fino al punto di dire che non mi ha mai proposto l'incarico di ministro nel suo governo quando ci sono testimoni, fotografie e registrazioni che attestano il contrario".

Di Pietro, che con il suo partito Italia dei valori è alleato del Partito democratico che candida premier Walter Veltroni, durante la campagna elettorale ha proposto di togliere due reti a Mediaset, mentre oggi in una intervista alla Stampa l'ex-pm di Mani Pulite ha detto di temere una "dittature dolce" in caso di vittoria del Pdl, con "il controllo dell'informazione, un conflitto di interessi destabilizzante, l'utilizzo strumentale delle leggi".

The next south-african President?



Jacob Zuma's ANC duties suspended

Zuma is under increasing pressure
South Africa's governing ANC party has confirmed that deputy leader Jacob Zuma may not carry out offical leadership duties while he faces a rape charge.
Mr Zuma was sacked as deputy president of the country in June and charged with corruption. He denies both charges.

Mr Zuma said on Tuesday he would suspend his participation in party structures during the rape trial.

The ANC said it accepted his suspension "forthwith". Mr Zuma was released on bail after a court hearing on Tuesday.

The party's decision leaves Mr Zuma politically isolated, unable to rally the support of his remaining sympathisers within the ANC, say correspondents.

Sensitivity

In a statement read out by secretary general Kgalema Motlante, the ANC national working committee said the law must be allowed to take its course, and that the party respected the principle of the presumption of innocence.

"The extended NWC noted the announcement by the deputy president of his decision, given the nature and the seriousness of the allegations, to voluntarily suspend his participation in the leading structures of the ANC for the duration of this trial. The meeting accepted this decision," the statement said.

Although Mr Zuma will retain the title of ANC deputy president, the ANC emphasised that he will not be allowed to speak on party platforms or carry out any other duties in the name of the ANC without express permission.

"Following consultation with Comrade Zuma, the National Working Committee understands this decision to mean that he would not act nor pronounce in the capacity of deputy president of the ANC for the duration of this trial," the statement said.

The sensitive nature of the rape charge made the decision a difficult one for the ANC, and the announcement of a decision was delayed several times.

Debate

Mr Motlante said the charge had raised "issues relating to the focus of the 16 days of activism" - an annual initiative against gender violence, supported by the government and the ANC - and had generated "lots of debate".

Mr Zuma was previously seen as the natural successor to President Thabo Mbeki.

While Mr Zuma's many supporters within the ANC and its allies stood by him as he was charged with corruption, his support has ebbed since the rape allegations first emerged in the press last month.

The corruption and rape charges have caused the party its biggest internal crisis since it was elected to power in 1994.

The corruption charges stem from the trial of Mr Zuma's former financial adviser, Schabir Shaik, who is appealing against a 15-year jail sentence for fraud and corruption.

Quotes:

Zuma said he knew there was a risk of getting HIV AIDS, but he believed it was small, from knowledge he had gained while serving on the Aids Council. This is after having sex with his HIV-positive rape accuser.

After the intercourse Jacob Zuma took a shower. “It… would minimise the risk of contracting the disease,” he told the court.

And this guy was our Deputy President, don’t you just wish he was still in power? Tell me again why he has a few thousand supporters outside the court room everyday?

Chessadafà.....



L'ex parlamentare di Forza Italia Tiziana Maiolo, oggi assessore alle Attività Produttive al Comune di Milano, ha inviato una lettera a Silvio Berlusconi con allegata una foto che la ritrae mentre riceve un bacio da George Clooney per rassicurarlo che il «divo di Hollywood non tifa per il Pd», nonostante ieri abbia incontrato a Milano Walter Veltroni. «Avrai certo visto - scrive Maiolo a Berlusconi - anche tu la foto dell'incontro casuale tra il tuo competitor, di cui non ricordiamo il nome, e George Clooney ieri a Milano. Non preoccuparti, il noto attore non è roba loro. Come puoi notare dalla foto che ti allego, il nostro George ha altri gusti». «Politici, ovvio», ha aggiunto Tiziana Maiolo.

Ragazzi, finalmente si vota

giovedì, aprile 10, 2008

Alitalia, una verità




Un brano su Alitalia tratto dal libro di Stefano Livadiotti “L'altra casta”. L'inchiesta sul sindacato, in uscita per Bompiani mercoledì 9 aprile.

Piloti e hostess lavorano molto meno dei loro colleghi di altre compagnie. Però costano tanto di più. Grazie a una giungla di benefit, difesi con le unghie e con i denti e puntigliosamente elencati in un contratto degno di Harry Potter, dove tutti i mesi durano quanto febbraio e il giorno di riposo comprende due notti.

Un giorno è un giorno. Dal Circolo polare artico fino alle isole di Tonga, è uguale per tutti. Ma non per i piloti dell'Alitalia. È scritto nero su bianco a pagina 2 del Regolamento sui limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti di riposo per il personale navigante approvato, con la delibera n. 67 del 19 dicembre 2006, dal consiglio di amministrazione dell'Enac, l'Ente nazionale per l'aviazione civile. Il terzo comma dell'articolo 2 disciplina il «giorno singolo libero dal servizio».

Che viene così descritto: «Periodo libero da qualunque impiego che comprende due notti locali consecutive o, in alternativa, un periodo libero da qualunque impiego di durata non inferiore a 33 ore che comprende almeno una notte locale». Un giorno di 33 ore o con due notti? Quando si tratta del personale di volo della ex compagnia di bandiera italiana, e dei relativi regolamenti di lavoro, bisogna abbandonare ogni convenzione, dal sistema metrico decimale all'ora di Greenwich: per loro non valgono.

Vivono in un mondo a parte, dove tutto è dorato. Da sempre veri padroni dell'azienda, piloti e assistenti di volo si sono dati delle norme di lavoro consone al loro status (a proposito: i capintesta dei sindacati degli autisti dei cieli hanno una speciale indennità economica che percepiscono anche se se ne stanno incollati a terra tutto l'anno). Secondo il regolamento dell'Enac, dove è specificato che hanno diritto a riposare su poltrone con una reclinabilità superiore al 45% e munite di poggiapiedi regolabile in altezza, non devono volare più di cento ore nel corso del mese.

Anzi nei 28 giorni consecutivi, come hanno preferito scrivere: e si vede che per loro è sempre febbraio. Nell'intero anno, cioè nei dodici mesi (se non hanno modificato a loro uso e consumo pure il calendario) il tetto non è, come da calcolatrice, mille e 200 ore (100 per 12) ma 900, e vai a sapere perché. Nel contratto, che l'azienda si rifiuta di fornire ai giornalisti, come del resto qualunque altro dato sulla produttività dei dipendenti, l'orario però si riduce. Nel medio raggio, la barriera scende a 85 ore al mese. Che nel trimestre non diventano 255, ma 240. E nell'anno non arrivano, come l'aritmetica sembrerebbe suggerire, a mille e 20, ma a 900.

Ma non è neanche questo il punto: fosse vero che volano così tanto (tra gli assistenti di volo l'assenteismo è all'11%). I numeri tracciano un quadro un po' diverso e dicono che nel medio-corto raggio gli steward e le hostess (alla fine del 2007, 480 di queste ultime su 4300, cioè l'11%, erano praticamente fuori gioco perché in maternità o in permesso in base alla legge che consente di assistere familiari gravemente malati) restano tra le nuvole per non più di 595 ore l'anno. Vuol dire 98 minuti al giorno, il tempo che molti Cipputi impiegano per fare su e giù tra casa e fabbrica. A titolo di raffronto, un assistente di volo della Lufthansa vola 900 ore, uno della Iberia 850 e uno della portoghese Tap 810. Restando in Italia, una hostess di AirOne si fa le sue belle 680 ore.

I piloti, poi, alla cloche sembrano quasi allergici: la loro performance non va oltre le 566 ore, che significano 93 minuti al giorno. I loro pari grado riescono a pilotare per 720 ore all'Iberia, per 700 alla Lufthansa e all'AirOne, per 680 alla Tap e per 650 all'Air France. I nostri, insomma, non sono esattamente degli stakanovisti: in media fanno, tra nazionale e internazionale, 1,8 tratte al giorno, contro le 2,4-2,75 dei colleghi di AirOne. In compenso, sono molto più cari di tutti gli altri. Un assistente di volo con una certa anzianità può arrivare a costare ad Alitalia 86 mila e 533 euro, contro i 33 mila che deve mettere nel conto la compagnia di Toto (AirOne, ndr ).

Il comandante di un Md80 dell'azienda della Magliana ha un costo del lavoro annuo pari a 198 mila e 538 euro. Per la stessa figura professionale i concorrenti italiani non sborsano più di 145 mila euro. Sempre restando allo stesso tipo di aereo, per pagare il pilota Alitalia ha bisogno di 108 mila e 374 euro, tra i 28 e i 33 mila in più di AirOne o di un'altra azienda italiana. Il mix di orari da impiegati del catasto e stipendi da superprofessionisti crea un cocktail che risulterebbe micidiale per qualunque azienda: facendo due conti viene infatti fuori che alla fine dell'anno Alitalia spende per ogni ora volata da un suo comandante qualcosa come 350,8 euro. Contro i 207,1 di AirOne. Una differenza del 69,4% che manderebbe fuori mercato chiunque. Soprattutto se si considera anche che un aereo della ex compagnia di bandiera viaggia con un equipaggio superiore di un buon 30% rispetto alla media dei concorrenti.


Il risultato finale è che in Alitalia il tasso di efficienza per dipendente è pari, secondo i calcoli dell'Association of European Airlines, a poco più della metà di quello che può vantare la Lufthansa. Che i passeggeri trasportati sono 1.090 per dipendente, contro i 10 mila e 350 di Ryanair. E che nel 2004 il ricavo medio per ogni lavoratore impiegato non andava oltre i 199 mila euro, poco più di un terzo rispetto a quanto registrava ad esempio Ryanair (513 mila euro).

In Alitalia comandano i sindacati (che nel solo primo semestre del 2005 hanno proclamato scioperi per 496 ore: quasi 3 ore ogni 24). E si vede. Il contratto in vigore dal 1° gennaio 2004 dice che, nel medio raggio, una hostess o un pilota non possono essere utilizzati per più di 210 ore al mese (che, con il solito giochino, diventano 600 nel trimestre e 1.800 nell'anno). Ebbene, se uno di loro parte da Roma per andare a prendere servizio a Milano la metà della durata del viaggio che lo vedrà impegnato nelle parole crociate viene considerata servizio.

Francesco Mengozzi
La tabella dell'Enac che stabilisce, a seconda dell'orario di inizio del turno, su quante tratte continuative può essere impiegato il personale navigante prevede cinque diverse ipotesi. Che salgono a diciassette nell'accordo sottoscritto da azienda e sindacato. Dove è stabilito per il personale navigante il diritto a 33 giorni di riposo a trimestre (ad AirOne sono 30), che aumentano fino a 35 per chi è impegnato nel lungo raggio. In base al contratto, al termine di ogni volo deve essere garantito un riposo fisiologico di 13 ore, che sul lungo raggio deve risultare invece pari al numero dei fusi geografici attraversati moltiplicato per otto, con un minimo però di 24 ore. Boh.

Semplicemente geniale è poi il nuovo sistema retributivo, in vigore dal 1° gennaio 2005. Sono rimasti, ovviamente, lo stipendio base (quattordici mensilità) e l'indennità di volo minimo garantito: quaranta ore, che uno le faccia o meno. Le dieci voci che componevano la parte variabile della retribuzione di un pilota (compreso il cosiddetto «premio Bin Laden» corrisposto, dopo l'attentato alle Torri gemelle di New York, a tutti quelli che viaggiano in Medio Oriente e dintorni) sono state tutte sostituite da un'unica indennità di volo giornaliera (per un comandante è pari a 177 euro se è impegnato sul lungo raggio e a 164 se vola sul medio, cifre alle quali va sommata la diaria, che sono altri 42 euro, per un totale che può quindi arrivare a 219 euro). Indennità che scatta tutta intera anche se il pilota sta alla cloche solo per mezz'ora o semplicemente si trasferisce all'aeroporto da dove prenderà servizio. E perfino se il suo volo viene cancellato dopo che lui ha già raggiunto quello che doveva essere lo scalo d'imbarco. Per di più, aumenta se c'è uno spostamento dei turni rispetto al calendario originale.

Siccome poi lavorare stanca, il contratto prevede l'istituzione di una Banca dei riposi individuali dove confluiscono i crediti che si ottengono per esempio quando l'aereo viaggia con personale ridotto (un riposo ogni due giorni) e dalla quale hostess e piloti possono attingere pure degli anticipi. Non è invece dato sapere se le parti hanno raggiunto un accordo su una nuova indennità graziosamente prevista nell'ultima intesa: il premio di puntualità, che per i passeggeri assume davvero il sapore della beffa. Mentre è alla direttiva dell'Enac che bisogna tornare se si vuole conoscere la dettagliatissima disciplina della cosiddetta «riserva», i periodi di tempo nei quali il personale navigante deve essere pronto a rispondere a un'improvvisa chiamata.

Premesso che si può essere messi in riserva solo dopo aver goduto di un riposo, si stabilisce che la metà del tempo trascorso a casa con le pantofole ai piedi va considerata come servizio. Bingo. Di più: che se l'attesa si consuma inutilmente perché il telefono non trilla, e dev'essere proprio per lo stress, scatta un successivo periodo di riposo di almeno otto ore, che in alcuni casi salgono a dodici. Ed è sempre il premuroso Enac a stabilire che a piloti e hostess, una volta a bordo, deve essere dato da mangiare una volta ogni sei ore, come ai pupi, e adeguatamente, «in modo da evitare decrementi nelle prestazioni».

Di alcuni privilegi o istituti incomprensibili nessuno ricorda neanche l'esatta origine. Ci sono e basta. Così, le hostess continuano ad avere una franchigia di ventiquattr'ore al mese, che in pura teoria dovrebbe coincidere con l'inizio del ciclo mestruale, ma si racconta del caso di una di loro che ha chiesto la giornata del 31 come permesso per il mese di dicembre e quella del 1° per il mese di gennaio: misteri del corpo femminile. Sempre le assistenti di volo, quando vanno in maternità vengono retribuite per tutto il tempo con lo stesso stipendio guadagnato nell'ultimo mese di servizio, che, guarda un po', svolgono regolarmente sul lungo raggio, per far salire l'importo della busta paga. I piloti, invece, non possono atterrare due volte nello stesso scalo in un solo giorno. La logica della regola, che pare non sia neanche scritta ma frutto della consuetudine, è imperscrutabile.

La conseguenza, però, è chiara: la crescita delle spese per le trasferte. A partire da quelle per gli alberghi, che in Alitalia vengono scelti da un'apposita commissione dopo attento esame dei loro requisiti: con il risultato che l'importo medio è superiore del 45% a quello sostenuto dagli altri vettori. Solo per le 300 stanze prenotate tutto l'anno per i dipendenti che, anziché essere trasferiti a Malpensa, vanno su e giù da Roma, la compagnia ha in bilancio 45 milioni. Nella babele dei benefit, per un certo periodo tutto il personale viaggiante ha poi goduto di una speciale indennità per l'assenza del lettino a bordo di alcuni 767-300: alcune centinaia di euro che venivano corrisposte anche a chi volava su aerei dotati delle cuccette in questione.

I lavoratori più coccolati d'Italia quando viaggiano per piacere godono di una politica di sconti davvero generosa. Argomento sul quale l'azienda ha di nuovo una tale coda di paglia da rifiutarsi di fornire chiarimenti. Ma è il segreto di Pulcinella: i dipendenti (e con loro i pensionati) hanno diritto ad acquistare (anche per i loro cari: figli e coniugi o conviventi) i biglietti con una riduzione del 90% sulla tariffa piena, se rinunciano al diritto alla prenotazione. Il taglio scende invece al 50% se vogliono il posto garantito, magari perché vanno a festeggiare l'ultima promozione, che in Alitalia non si nega davvero a nessuno. Nel 2007 la direzione per la finanza dell'azienda della Magliana poteva contare su 152 persone: 20 dirigenti, 52 quadri e 80 impiegati. In quella per il personale i soldati semplici (61) prevalevano di una sola unità sui graduati (60: 25 dirigenti e 35 quadri).

Dev'essere anche per questo che il consiglio di amministrazione dell'azienda ha sentito la necessità di garantirsi l'ombrello di una polizza assicurativa a copertura di possibili azioni di responsabilità nei confronti di chi ha guidato la baracca. E si è reso così complice dei sindacati. Ai quali invece nessuno potrà mai presentare il conto.

Parenti-serpenti



Il vispo Valerio Veltroni non ci pensa proprio alla campagna elettorale per il fratellino minore Walter. No, al Pidì di famiglia, Valerio preferisce sostenere la campagna elettorale Pdl della fatale Debora Bergamini nel collegio in Toscana.

mercoledì, aprile 09, 2008

Maybe he was a bad guy

maybe not: 2pac Shakur