Forza Roma», «Avanti Lazio», «Lista del Grillo Parlante». Deciso ad essere eletto, er candidato presidente sor Nardinotti ha messo dentro tutto, nel depliant elettorale. Che je frega de la coerenza? Se si può essere insieme democratici e fascisti, liberisti e statalisti, laici e papalini, leghisti e meridionalisti, realisti e sognatori, populisti ed elitari si potrà ben tifare insieme giallorossi e biancazzurri! Il ragionamento, diciamolo, non fa una piega.
Ed è il degno cesello, sia pure in una competizione secondaria quale le «provinciali » romane, di una campagna elettorale che ha offerto davvero di tutto. Compreso il sexy manifesto della vetusta pornostar Milly D’Abbraccio che, stampato in caratteri cubitali sopra un fondo schiena con corredo di collant a rete, guanti e paillettes, intima: «Basta con queste facce da c...».
Il bello è che la campagna elettorale, nonostante i momenti di volgarità del giorno in cui era caduto il governo di sinistra, quando l’ultimo giapponese prodiano Nuccio Cusumano si era beccato uno sputo dal compagno di partito Tommaso Barbato mentre il nazional alleato Nino Strano gli urlava «sei un cesso! checca squallida!», era partita con toni da club britannico.
Col Cavaliere da una parte e il sempre-giovane Walter dall’altra che, la mano ripiegata sul fianco e un fazzolettino di lino alla cinta, si scambiavano sorridendo educati colpi di fioretto. E tutti a dire: ah, finalmente, che garbo, come in Europa! Macché... Se Veltroni ha cercato fino all’ultimo di restare fedele al ruolo scelto («Per quanto aspro e offensivo sarà il loro linguaggio elettorale, io non risponderò») fino a tirarsi addosso l’incitazione a essere più grintoso, Silvio Berlusconi ci ha messo poco a riprendersi la parte che più gli piace.
Quella di domatore del «suo» popolo. Che eccita e incanta e provoca e incendia toccando tutte le corde che sa essere più sensibili. «Anche oggi Veltroni dice tre bugie ogni due righe: è la vecchia ricetta stalinista sempre valida nella sinistra». «Ha detto 43 menzogne in una sola trasmissione!» «Dovrei ricordare che Veltroni disse che Stalin è un benefattore dell’umanità e che il comunismo è un’utopia positiva? No, sono cose non vere e io non me la sento di dire bugie. Noi siamo i nuovi, non vecchi comunisti riciclati che ricordano quei negozi che falliscono e mettono fuori il cartello nuova gestione ».
Il leader democratico parlava di «Rimonta spettacolare»? Risposta del Cavaliere: «Spettacolare bugia!». Macché, Veltroni sempre diritto. Senza azzannare mai: «E’ stata la più bella campagna elettorale che mi sia capitato di fare, soprattutto per gli incontri diretti, i pranzi a casa delle famiglie». E via a baciare bambini, abbracciare disabili, consolare anziani, sorseggiare analcolici con George Clooney («Avremmo potuto parlare di cinema, ma abbiamo parlato di politica, del Darfur, del Tibet, dell’Africa. Ci siamo molto stimati...») per chiudere infine la campagna sul palco di Roma cantando con Jovanotti «Mi fido di te» in mezzo a un coro di artisti che l’ufficio stampa si è premurato di contare per diffondere la lista. Settantuno: Roberto Andò, Zeudi Araya, Francesca Archibugi, Pippo Baudo, Margherita Buy...
Silvio Berlusconi giura da anni di avere fondato «il partito dell’amore »? Walter Veltroni quello dell’amicizia. Andrea Vantini, il nuovo menestrello del Cavaliere, lancia un nuovo inno («Ci hanno provato / scrittori e comici / Un gioco perverso / di chi ha già perso / Presidente questo è per te / Menomale che Silvio c’è») intitolato «A Silvio»? Un gruppo di milanesi risponde con un inno scanzonato imbastito sulle note di "Ymca" dei Village People con mamme, pargoli, giovani sorridenti: «Cantiamo tutti insieme / I am pd / I am pd / Senza Silvio ma / neanche Dini perché / una nuova stagione c’è / I’m Pd».
E un discolo sinistrorso completa la controffensiva con una parodia dell’inno forzista: «Certe notti si mangia pesante / la peperonata con le capesante...» Chiunque vinca, cosa resterà? Intanto, i vuoti. Come quello lasciato da Clemente Mastella, che ha visto di colpo sgretolarsi il suo campanile e dopo essere stato affettuosamente omaggiato al momento di buttare giù il governo è stato scaricato con la qualifica di impresentabile e confida che a tornare indietro ci penserebbe «dieci volte».
O quello lasciato da Michela Brambilla, la rossa salmonata che dopo essere stata pompata per mesi dal Cavaliere (si prendeva così sul serio da dire cose tipo «col mio pedigree nessuno può giudicarmi») è scomparsa come aveva previsto Marcello Dell’Utri bollandola come «una sottomarca». O ancora quello lasciato da Alfonso Pecoraro Scanio e Oliviero Diliberto praticamente spariti alle spalle di un Fausto Bertinotti tornato a dilagare sugli schermi per comunicare il nuovo messaggio che fa inorridire il custode dell’ortodossia Marco Rizzo: «Quella comunista in futuro sarà soltanto una "tendenza culturale" all’interno della Sinistra arcobaleno».
Per non dire delle sedie vuote a Palermo per Gianfranco Fini, così irritato dal flop da spiegare a Fabrizio Roncone: «Allora, sia chiaro un punto: An è fortissima e il legame che i militanti hanno con me, beh, mi pare straordinario. Detto questo, ho ritenuto opportuno fare un passo indietro, lasciando che prevalesse l’interesse della patria». A costo di rimetterci: «Mediaticamente sì, non c’è alcun dubbio, ci ho rimesso. Sebbene io potrei stare tutti i giorni in prima pagina...».
Resterà la campagna bellicosa di un Pierferdinando Casini mai visto prima, schieratissimo contro Veltroni ma più ancora contro il Cavaliere («ha una concezione padronale della politica») fino a usare parole mai sentite in bocca sua: «Fa schifo chi ha abbandonato Mastella dopo aver utilizzato i suoi servigi. Chi ritiene che Mastella sia la causa di tutti i guai del Paese non doveva firmargli dei fogli che gli garantivano la presenza in Parlamento di diversi parlamentari».
E poi resteranno il camerata pregiudicato Giuseppe Ciarrapico («’sta destra macchiata è ’na monnezza») ma più ancora la Danielita Santanché, versione fascio-cuneese di Evita e Isabelita e altre condottiere peroniste. Una che si vantava di portar a spasso il figlio, Lorenzino il Magnifichino, con una carrozzina da quattro milioni («Che c’entra? Era bella: se ne fosse costati dieci l’avrei presa lo stesso») ma chiama a raccolta la plebe contro i politici che «devono guadagnare non più di 1.200 euro al mese». Che sfida Berlusconi dicendo «è ossessionato da me, ma tanto non gliela do...». Che urla ai comizi: «Siiiiii! Rivendico di essere fascista se fascista vuol dire cacciare a pedate nel sedere gli irregolari e i clandestini!» Che gongola alle maschie battute del suo nero pigmalione Francesco Storace: «Meglio una destra figa che una destra fighetta...».
E resterà lo scambio di manganellate con la camerata Alessandra Mussolini: «Credo che suo nonno si rivolti nella tomba a vederla fare la valletta di chi come Fini ha definito il fascismo il male assoluto». Risposta: «Proprio stanotte ho sognato mio nonno Benito che mi ha detto cosa pensa di lei...». «Te lo rivelo io cosa ti ha detto tuo nonno... ». Immortali.
E poi ancora la minaccia dei fucili di Umberto Bossi «contro la canaglia centralista italiana, romana» e le battute poco cavalleresche del Cavaliere sulle sostenitrici della «sezione menopausa» e l’opportunità di «candidare le babbione» e l’elogio dellutriano e berlusconiano al mafioso Vittorio Mangano che non avendo accusato loro come volevano i giudici «è un eroe, a modo suo». E l’assalto teppistico a Giuliano Ferrara con un lancio di uova che spinse Maurizio Crippa a un omaggio irresistibile: «Ovazioni».
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