Pentma vuol dire pietra, ma questo blog è solo un sassolino, come ce ne sono tanti. Forse solo un po' più striato.
martedì, settembre 30, 2008
Il prossimo? Rocco Siffredi....
Fonte: agenzie
L'attrice Ramona Badescu è il consigliere del sindaco Gianni Alemanno sulle questioni che riguardano gli immigrati originari della Romania. La nomina, avvenuta a metà luglio e di cui solo ora si ha notizia, affida alla popolare attrice di origine romena l'incarico di seguire i problemi che riguardano i suoi connazionali e di studiare forme di integrazione tra i due popoli e le due culture. Ramona Badescu si era presentata alle ultime elezioni comunali nella Lista civica a sostegno di Alemanno. L'incarico sarebbe svolto dall'attrice a titolo gratuito
Ora, se la cosa è fatta a titolo gratuito è encomiabile, altrimenti è un po' sospetta... mi domando se chiederanno a Rocco Siffredi di accettare una poltrona con delega alla pianificazione familiare....
lunedì, settembre 29, 2008
Grandi colleghi
In Italia esiste un giornalista considerato un "maestro". È Angelo Panebianco che scrive per il Corsera. Io non sono d'accordo con questa disamina. Dal Velino.it riprendo alcune delle sue illuminanti affermazioni in un suo ultimo articolo. A mio avviso si tratta di banalità da brivido e piaggeria. Queste parole però vengono considerate "interessanti analisi di un uomo libero". Ovviamente solo in Italia.
Panebianco si è soffermato, in particolare, sulla questione del ritorno al maestro unico generalista deciso dal ministro Gelmini - che sembra diventato, per la sinistra, sindacale e non, il simbolo del “vento controriformista” che soffierebbe oggi sulla scuola - per obiettare che “si fa finta di dimenticare che la riforma della scuola elementare del 1990, quella che abolì il maestro unico, fu un classico prodotto del consociativismo politico-sindacale che caratterizzava tanti aspetti della vita repubblicana. Nel caso della scuola funzionava allora un’alleanza di fatto fra Dc, Pci e sindacati - ricorda Panebianco- . L’abolizione del maestro unico fu dettata esclusivamente da ragioni sindacali”. Con l’obiettivo di bloccare qualsiasi ipotesi di ridimensionamento del personale scolastico come conseguenza del calo demografico e anzi porre le premesse per nuove, massicce, assunzioni di maestri. “Non a caso - cita Panebianco quanto aveva scritto all’ epoca - sono proprio i sindacati i più entusiasti sostenitori della riforma (…) Questa classe politica ha sempre trattato così la scuola, incurante delle esigenze didattiche ma attentissima a quelle sindacali’ (Corriere della Sera , 22 novembre 1989)”. Conclude Panebianco: “Fino a questo momento, il ministro Gelmini ha fatto pochi errori. I provvedimenti fino ad ora adottati sono di buon senso e per lo più tesi ad arrestare il degrado della scuola. Ma, anziché riconoscerlo e dare il proprio contributo di idee e di proposte (come dovrebbe fare un vero partito riformista, ancorché all'opposizione), il Partito democratico preferisce ripercorrere l'antica strada: quella della ‘mobilitazione’, della sponsorizzazione dei sindacati, anche quando questi difendono posizioni indifendibili”.
Mia aggiunta:
La scuola col maestro unico la possono volere in Biafra, non in un paese del primo mondo, ma l'Italia del primo mondo non fa più parte da tanto tempo......
Turbamenti a senso unico
Da “La Stampa” - Intervenendo nella stucchevole polemica sulla Granbassi, Marco Travaglio e il vignettista Vauro hanno usato contro gli avversari politici i verbi «ragliare» e «puttaneggiare» (quest’ultimo riferito alla performance della Vezzali da Vespa). I guru della sinistra ormai imitano la destra anche nel linguaggio. A questo punto la vera opposizione sarebbe usare un po’ di educazione.
Quindi, da quello che si legge la "destra" o presunta tale potrebbe usare questi termini e la "sinistra" o presunta tale, dovrebbe offrire l'altra guancia e farsi massacrare? No, solo per capire....
Nepotismo leghista
Sono stato da poco a Udine, uno dei luoghi più belli del mio ex paese. Da mozzare il fiato. Lavoratori (e non pirla) che mi hanno accolto nel migliore dei modi. Gente che capisci perché vota Lega. Già, la Lega, da terrone ro convinto che potesse cambiare le cose, ma poi si sono fatti comprare. Squallidi.
Un pezzo di Pino Corrias
L’Umberto e i suoi cari
Da Vanity, 17 settembre 2008
Umberto Bossi e la sua Lega sono un manuale vivente di deriva politica. Vengono da Lenin. Passano per Carlo Cattaneo e Calandrino. Stanno finalmente approdando a Clemente Mastella. Anche se nella forma degenerata del mastellismo, ancestrale teoria dell’Italia familista e vorace che si fa prassi, anzi euforia, quando si tratta di divorare organigrammi, pretendere privilegi, scorte, posti garantiti, feste, appartamenti a prezzi scontati, rimborsi per viaggi, giornali di partito, convegni e almeno tre pasti al dì con il dolce.
Bisognava vederli, l’altro giorno a Venezia, tutti riuniti per il rito celtico dell’ampolla del Po, sciamare dopo il comizio popolano (con insulti ai negri, ai terroni, ai musulmani) verso i saloni patrizi dell’Hotel Metropole, camere da 500 euro a notte. Tutto lo stato maggiore padano: sindaci, assessori, deputati, senatori, sottosegretari, ministri. Con motoscafi blu e le femmine bianche, e i figli, i familiari, i portaborse.
Come quasi tutto nella Lega anche questa nuova stagione della abbondanza (sebbene mai lieta come ai tempi democristiani e socialisti, semmai cupa, rancorosa, rivendicativa) discende in linea diretta dai voleri del capo. Ha cominciato lui, Umberto, piazzando il fratello Franco e il figlio primogenito Riccardo alla Commissione europea di Bruxelles. Funzionari con notevole esperienza: uno venendo da un Autoricambi di Fagnano Olona, l’altro dal fuoricorso dell’università. E ha continuato con il secondo figlio, il prediletto Renzo, quello bocciato due volte alla maturità, che il papà definisce “trota, non ancora delfino”, ma che si porta ai vertici di Arcore e di Palazzo Chigi. Lo sta istruendo alla politica e lo fa allenare con i suoi ministri, visto che anche lui, da piccolo Bossi, sogna il federalismo prossimo venturo. Oppure il feudalesimo.
Las voces de Antigona
Es una obra contra Zapatero, lo entiendo, pero los etarras son unos mierda......
domenica, settembre 28, 2008
Fuori i buoni
Il prossimo ministro della Funzione Pubblica
da REPUBBLICA.IT
"Tra i migliori dipendenti pubblici". Ma niente assunzione per la precaria
Il governo ha bloccato la stabilizzazione di 50mila lavoratori a tempo determinato
di MAURO MUNAFO'
ROMA - "E' il momento di riconoscere i meriti e di premiare i migliori". Il proclama, rigorosamente in grassetto, domina la pagina "Non solo fannulloni" del sito del Ministero per la pubblica amministrazione, che da qualche settimana indice il concorso "Premiamo i risultati", per mettere in evidenza gli esempi di buona gestione. Valentina Benni, dell'Istituto Formazione Lavoro, è responsabile di uno dei cento lavori selezionati e, come premio, si è vista togliere la tanto attesa stabilizzazione: precaria da dodici anni e, commenta amara, "chissà per quanti altri ancora".
I precari. Un emendamento approvato dal governo blocca l'assunzione di circa 50 mila lavoratori a tempo determinato della pubblica amministrazione. Secondo gli impegni presi dalle ultime due finanziarie la stabilizzazione sarebbe iniziata con il nuovo anno per tutti coloro che possedevano tre requisiti: aver lavorato per almeno tre anni, aver sostenuto una prova selettiva ed essere entrati in graduatoria.
Tra le tante persone che si sono viste bloccare l'agognata assunzione a pochi mesi dal traguardo, emerge il caso di Valentina Benni, quarantenne dell'Isfol, precaria da dodici anni e responsabile del progetto "A European community of Practice on Sound Planning and managment", con l'obiettivo di migliorare la capacità di spesa dei finanziamenti internazionali: uno dei cento casi di buona amministrazione selezionati proprio dal ministero di Brunetta.
Il concorso. Dopo le sue campagne contro gli impiegati improduttivi, i cosiddetti "fannulloni", il Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione ha infatti promosso un concorso volto a premiare i primi della classe. "Far emergere ed illuminare tali energie vitali, favorendone la valorizzazione e la messa in comune dei risultati raggiunti" gli intenti del concorso, come si può leggere sul sito di presentazione.
Parole che oggi suonano come una beffa per Benni: "Si parla di meritocrazia e poi ecco i risultati" si sfoga. Una laurea in Scienze Politiche, un master di secondo livello e un'altra laurea conseguita negli Stati Uniti non sono bastati ad ottenere il posto fisso. Di più, il progetto di cui è stata responsabile l'ha portata a lavorare anche durante la gravidanza, conclusa cinque mesi fa. "Abbiamo collaborato con Belgio e Polonia, e il nostro lavoro ha avuto tanto successo che il progetto avrà un seguito". Una continuazione che Benni, insieme ad altri circa 300 colleghi dell'Istituto Formazione Lavoro, dovrà seguire da precaria, come ha fatto finora. E alla beffa si aggiunge un'altra beffa: "Con la certezza di assunzione a breve - racconta - ci è stato anche sconsigliato di partecipare ad altri concorsi".
aggiunta:
Il tema di cui si parlava è questo e troverete un sacco di articoli a riguardo.
Posto a rischio per 50 mila precari dello Stato, delle Regioni e dei Comuni. Con un emendamento al disegno di legge 1441 quater collegato alla Finanziaria 2009 relativo ai lavori usuranti, il governo ha deciso di azzerare le norme delle ultime due manovre che prevedevano la stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato.
sabato, settembre 27, 2008
Progetti eversivi
TODI (Perugia) - Molti ospedali pubblici verrano privatizzati per contenere le spese della sanità. È il progetto illustrato dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, intervenuto a un incontro organizzato dai Liberali popolari di Carlo Giovanardi a Todi. «Rispetto al Veneto e alla Lombardia, in Sicilia e in Sardegna le spese sanitarie sono del 40% più alte. La soluzione è il federalismo fiscale e anche la privatizzazione di molti ospedali pubblici», ha affermato il premier che ha inoltre difeso il federalismo sostenendo che «è una riforma in cui la maggioranza conta» e grazie alla quale «si potranno abbassare le imposte».
Federalismo fiscale è una cosa. Privatizzazione degli ospedali è un'altra. Difficile che gli italiani si rendano conto della differenza, ma intanto il progetto eversivo continua. Inquietante.
Federalismo fiscale è una cosa. Privatizzazione degli ospedali è un'altra. Difficile che gli italiani si rendano conto della differenza, ma intanto il progetto eversivo continua. Inquietante.
Dichiarazioni significative
Già che il capo della polizia si chiami Manganelli è esaustivo. Leggete però che fine psicologo è:
da Repubblica.it
Agenti morti durante inseguimento si consegna l'autista dell'auto in fuga.
Il capo della polizia Antonio Manganelli, lasciando la camera ardente allestita per i due poliziotti deceduti nell'inseguimento, ha spiegato che tra "tra noi c'è grande emozione, dolore, rabbia ma molta determinazione". Ieri, appena appresa la dinamica dell'incidente mortale, alcuni sindacati di polizia avevano lanciato una dura polemica per la mancata dotazione del dispositivo antiribaltamento sulle auto di servizio.
"Vedo molta serenità - ha commentato Manganelli - da parte delle organizzazioni sindacali. La polizia in questo momento è assolutamente serena e compatta". "Certo - ha aggiunto - è il momento del dolore e quindi si può dare spazio anche a delle riflessioni come quelle sull'auto e sul dispositivo antiribaltamento. Ma è uno sfogo, uno spunto di riflessione, non è una posizione della polizia nè delle organizzazioni sindacali".
A questo punto c'è da chiedersi cosa voglia dire "serenità"...
da Repubblica.it
Agenti morti durante inseguimento si consegna l'autista dell'auto in fuga.
Il capo della polizia Antonio Manganelli, lasciando la camera ardente allestita per i due poliziotti deceduti nell'inseguimento, ha spiegato che tra "tra noi c'è grande emozione, dolore, rabbia ma molta determinazione". Ieri, appena appresa la dinamica dell'incidente mortale, alcuni sindacati di polizia avevano lanciato una dura polemica per la mancata dotazione del dispositivo antiribaltamento sulle auto di servizio.
"Vedo molta serenità - ha commentato Manganelli - da parte delle organizzazioni sindacali. La polizia in questo momento è assolutamente serena e compatta". "Certo - ha aggiunto - è il momento del dolore e quindi si può dare spazio anche a delle riflessioni come quelle sull'auto e sul dispositivo antiribaltamento. Ma è uno sfogo, uno spunto di riflessione, non è una posizione della polizia nè delle organizzazioni sindacali".
A questo punto c'è da chiedersi cosa voglia dire "serenità"...
venerdì, settembre 26, 2008
giovedì, settembre 25, 2008
Les voleurs!!!!
C'est la crise au siège de la chaîne d'information France 24. Au point que le canal peut littéralement sauter !
En effet, cet été, la chaîne américaine NBC n'a pas du tout apprécié que France 24 diffuse sur internet — et notamment sur des sites de partage comme Youtube — l'intégralité de la finale du 100 mètres des Jeux Olympiques, qui a vu la victoire du supersonique sprinteur jamaïcain Usain Bolt.
D'après la direction de la chaîne française d'info en continu, les Américains pourraient leur réclamer "de quelques dizaines à quelques centaines de millions d'euros" en dommages et intérêts.
Dès le lendemain de la course, NBC, qui a remarqué que France 24 utilisait les images de la finale, a contacté le service de gestion des droits télé du CIO (Comité International Olympique), qui s'est empressé de contacter la chaîne du câble, qui a retiré, dans l'urgence, la vidéo concernée. Mais le mal était fait !
Mais chez France 24, on tremble de tous ses membres et on attend la réaction des services juridiques de NBC, qui n'ont depuis ce fameux lendemain d'épreuve, plus donné de nouvelles. Si la chaîne américaine obtient "quelques centaines de millions d'euros", France 24, dont le budget total s'élève à 87 millions d'euros, devra mettre la clé sous la porte pour régler cette ardoise.
mercoledì, settembre 24, 2008
Dichiarazioni a casaccio 2
"Il lavoro di Petruccioli è stato molto buono e se vi è la disponibilità del centrodestra a rieleggerlo, per noi va bene". Walter Veltroni
...senza parole...
...senza parole...
martedì, settembre 23, 2008
Dichiarazioni a casaccio
Al tg1 Tremonti (ministro dell'economia) promette il pareggio di bilancio nel 2011. In un paese allo 0,1%di crescita. Ovvero un paese fermo. Scrivo questo post perché fra 5 anni, magari lo rileggerò e riderò, amaramente, di questa balla.
lunedì, settembre 22, 2008
Il peggior ministro (o uno dei peggiori)
Imbarazzante. Sto ascoltando l'intervento di Maria Stella Gelmini da Vespa, a Porta a Porta. Magari non sarà il prgramma migliore del mondo, ma è esaustivo per vedere come questa persona, la Gelmini, di cui ho già scritto semplicemente non sa di che cosa parla. La Garavaglia viene fatta passare per una pericolosa agitprop di fronte a una ragazzina, la Gelmini, che non dovrebbe stare dove sta. Un esempio? La frase:" la scuola e l'università non debbono essere usate per trovare lavoro. Bisogna elevare la qualità". Ci pensi chi ha votato il PdL e ci pensi il PD che NON sta facendo opposizione.
Altro esempio? Ma certo.
Le regole per chiamare i supplenti? Risposta della Gelmini. Le fa il Parlamento (le fa il Ministero quelle regole). È indegno! E poi si rifugia in un: "ci sono molti sprechi".
Ci sarebbero 43 miliardi di euro per la scuola e il 97% sarebbero per il monte stipendi? Con gli stipendi ridicoli che prendono i professori in Italia?
Medardo Caretta
Il Kenya è uno degli stati più corrotti del globo. Ancora meta di turismo da parte dei nostri connazionali. Questa lettera del console italiano dimostra come possa essere anche un posto molto pericoloso.
Caso Caretta, la lettera del console Roberto Macrì, console onorario italiano a Malindi
«Non condanno e non assolvo ma Vi informo poiché penso di essere uno dei pochissimi che hanno assistito alla triste storia dall’inizio alla fine. Circa quattro anni fa nella tarda mattinata si presenta in Consolato il Signor Medardo Caretta, insieme a due donne e un uomo keniani. Desiderava io fossi testimone di quanto stava accadendo e presagendo qualcosa di brutto, ho approfittato della presenza in consolato del Signor Ugo Troiani che ho invitato ad assistere all’incontro.
Una delle due donne raccontava che suo figlio di una decina di anni, insieme al figlio di un’altra signora, era stato adescato ed era entrato nella casa del Signor Caretta dove lo stesso , avrebbe avuto due rapporti sessuali, uno tramite una fellatio e l’altro di sodomia con i due ragazzi. Il Signor Caretta, che vive nella sua casa di Kibokoni insieme alla moglie, negava assolutamente spiegando che, spesso i ragazzini del villaggio limitrofo venivano al cancello a chiedere caramelle o qualche soldino, cosa che quasi sempre veniva soddisfatta e che questo era stato uno dei tanti casi; l’abitudine era stata creata da una giovane inquilina italiana, persona generosa e sensibile amante dei bambini, che nei mesi in cui era stata ospite della casa, aveva abituato gli stessi a venire a prendere caramelle e biscotti; andata via l’inquilina, l’abitudine è rimasta in eredità al Signor Caretta che non si è sentito di interromperla.
Dopo un breve ma composto battibecco , la signora ci tenne a spiegare che comunque, “visto che siamo tutti esseri umani perciò soggetti a sbagliare”, con una cifra di scellini 500.000 (cinquecentomila) (cioè 5 mila euro ndr) si poteva chiudere il caso (il tutto testimoniato in Corte); il signor Caretta obiettò che non era disponibile a pagare nulla dato che non era successo nulla di quanto raccontato, e che non avrebbe avuto problemi ad andare in corte; cominciò quindi il processo durato circa quattro anni con circa quaranta (40) rimandi; desidero riassumere, per non annoiare, i fatti più salienti; a) attestati medici locali escludevano la sodomia, b) enfatizzate e accettate dalla corte erano state apportate correzioni da terza persona sul rapporto del dottore, c) dimostrate discrepanze di tempi , luoghi e rapporti fatti da i due bambini , che non avevano invece oltrepassato il cancello della casa , d) un testimone in favore del Signor Caretta veniva aggredito fuori della corte dalla mamma di uno dei due ragazzini, per evitare che deponesse; la madre fu solo ammonita dal Magistrato per tale comportamento, e) in diverse successive occasioni il Signor Caretta è stato avvicinato dalla mamma del bambino per sollecitare la chiusura del caso con un pagamento, si può supporre che se le prove fossero state schiaccianti non sarebbero passati quasi quattro anni e ripeto, 40 rimandi, per condannare un “mzungu” (bianco, ndr) che avrebbe abusato di un ragazzino keniano.
Alla fine del caso il Signor Caretta è stato assolto dal caso di sodomia (quattordici anni ) ma è stato condannato a cinque anni per adescamento e cinque anni per fellatio da considerarsi concorrenti, perciò per un totale di cinque anni; l’avvocato ha presentato ricorso , in attesa del quale, il condannato non beneficiando della cauzione (in quanto straniero) deve stare in carcere. Attualmente è ammanettato al letto dell’ospedale governativo , dove è stato portato essendo seriamente ammalato, per poter essere curato (spesso deve mingere in una bottiglia quando il secondino non ha voglia di accompagnarlo al bagno). Mi sembra doveroso, nei confronti dei connazionali e del Signor Caretta, esporre quanto realmente è accaduto e accade».
Roberto Macrì, console onorario italiano a Malindi
domenica, settembre 21, 2008
Le veline strisciano?
Ah, l'Italia, terra di meritocrazia, di veline e velone e di una splendida tivvù. Adesso sembra (pare, si mormora) che il concorso per le nuove veline fosse taroccato. In Italia? Ma siamo impazziti? Posto l'articolo della Stampa di Torino, m anche un link preso dal sito tuttosulgossip. Leggete un po' i commenti (e soprattutto le date) Fate vobis
Da la Stampa.it
Veline taroccate è polemica sul web.
L'accusa: scelte pilotate. Striscia: è tutto regolare
ALESSANDRA COMAZZI
Dopo una selezione durata tutta estate, le nuove veline di Striscia la notizia, Costanza Caracciolo e Federica Nargi, sono state elette giovedì su Canale 5 di fronte a 10 milioni di spettatori, un ascolto che la rete si sognava da tempo. Ma fin da luglio, la Nargi, molto fotografata dai rotocalchi anche per via del suo fidanzato Francesco Botta, concorrente del Grande fratello 8, era data per favoritissima, vincitrice annunciata. Per esempio dal sito Dagospia, croce e delizia del popolo dei media. Adesso che la vittoria della Nargi è puntualmente avvenuta, Dagospia rilancia. Anche con una lettera di Gianni Ippoliti, già autore e conduttore, per esempio, di Non è mai troppo tardi, o Q come cultura, che per tradizione annuncia in anticipo chi vincerà il Festival di Sanremo.
Nella lettera di Ippoliti si legge addirittura che la Nargi sarebbe stata imposta da Fabrizio Del Noce, ora direttore di RaiFiction e a interim ancora di Raiuno. Su un altro sito di gossip, fin da luglio si indicava nella Nargi la nuova velina bruna. Che si replica da Striscia? Non se la prendono tanto, ma sottolineano l’assurdità delle accuse. Circa la presunta raccomandazione di Del Noce, poi, i suoi rapporti con Ricci non dovrebbero essere idilliaci, visto il processo ancora in corso per la microfonata contro Staffelli. Altro che segnalare una velina. Il nome della Nargi era nell’aria semplicemente perché lei ha un fidanzato con un minimo di notorietà e perché è molto «velinesca». Dunque gli accusatori avrebbero tirato a indovinare, ma con basi oggettive, come dire?, «di contenuti». Indicando peraltro anche i nomi di altre concorrenti, invece puntualmente eliminate.
Pare, anzi, che alcune decisioni delle giurie siano state accolte con dispiacere dallo staff del programma, che si vedeva sfuggire alcune giovanotte molto adatte. E ancora: non è che due veline debbano restare tali per sempre, non sono nominate a vita come i senatori. Se non vanno bene, Ricci può eliminarle quando vuole. Anzi, storicamente, alla prova dello stacchetto funzionano meglio le veline scelte dagli autori che quelle votate dal popolo. Perché, dunque, Ricci dovrebbe rischiare con un taroccamento? Magari perché lui stesso ci ha insegnato che non bisogna mai credere a niente, nel dorato mondo della televisione... E comunque, posso ricordare la mia personale esperienza, già raccontata su La Stampa. Ho fatto da giurato alle veline. In giugno, a Riccione, all’inizio delle selezioni.
Per la giuria, c’era assoluta libertà di voto. Ognuno sceglieva la propria concorrente preferita, in caso di ex aequo si alzava una paletta. Le ragazze comparivano come per incanto poco prima dell’esibizione; stavano mute; appena finita la registrazione, sparivano, inghiottite dal nulla. Alla giuria non davano confidenza. Non ammiccavano, non sorridevano. Un collega aveva persino lamentato, sarcastico: «E dire che avevo pensato a un voto di scambio...».
http://tuttosulgossip.blogspot.com/2007/09/veline-2008.html?showComment=1215209640000#c15387792411754296984%20luglio%202008%2015.14
Da la Stampa.it
Veline taroccate è polemica sul web.
L'accusa: scelte pilotate. Striscia: è tutto regolare
ALESSANDRA COMAZZI
Dopo una selezione durata tutta estate, le nuove veline di Striscia la notizia, Costanza Caracciolo e Federica Nargi, sono state elette giovedì su Canale 5 di fronte a 10 milioni di spettatori, un ascolto che la rete si sognava da tempo. Ma fin da luglio, la Nargi, molto fotografata dai rotocalchi anche per via del suo fidanzato Francesco Botta, concorrente del Grande fratello 8, era data per favoritissima, vincitrice annunciata. Per esempio dal sito Dagospia, croce e delizia del popolo dei media. Adesso che la vittoria della Nargi è puntualmente avvenuta, Dagospia rilancia. Anche con una lettera di Gianni Ippoliti, già autore e conduttore, per esempio, di Non è mai troppo tardi, o Q come cultura, che per tradizione annuncia in anticipo chi vincerà il Festival di Sanremo.
Nella lettera di Ippoliti si legge addirittura che la Nargi sarebbe stata imposta da Fabrizio Del Noce, ora direttore di RaiFiction e a interim ancora di Raiuno. Su un altro sito di gossip, fin da luglio si indicava nella Nargi la nuova velina bruna. Che si replica da Striscia? Non se la prendono tanto, ma sottolineano l’assurdità delle accuse. Circa la presunta raccomandazione di Del Noce, poi, i suoi rapporti con Ricci non dovrebbero essere idilliaci, visto il processo ancora in corso per la microfonata contro Staffelli. Altro che segnalare una velina. Il nome della Nargi era nell’aria semplicemente perché lei ha un fidanzato con un minimo di notorietà e perché è molto «velinesca». Dunque gli accusatori avrebbero tirato a indovinare, ma con basi oggettive, come dire?, «di contenuti». Indicando peraltro anche i nomi di altre concorrenti, invece puntualmente eliminate.
Pare, anzi, che alcune decisioni delle giurie siano state accolte con dispiacere dallo staff del programma, che si vedeva sfuggire alcune giovanotte molto adatte. E ancora: non è che due veline debbano restare tali per sempre, non sono nominate a vita come i senatori. Se non vanno bene, Ricci può eliminarle quando vuole. Anzi, storicamente, alla prova dello stacchetto funzionano meglio le veline scelte dagli autori che quelle votate dal popolo. Perché, dunque, Ricci dovrebbe rischiare con un taroccamento? Magari perché lui stesso ci ha insegnato che non bisogna mai credere a niente, nel dorato mondo della televisione... E comunque, posso ricordare la mia personale esperienza, già raccontata su La Stampa. Ho fatto da giurato alle veline. In giugno, a Riccione, all’inizio delle selezioni.
Per la giuria, c’era assoluta libertà di voto. Ognuno sceglieva la propria concorrente preferita, in caso di ex aequo si alzava una paletta. Le ragazze comparivano come per incanto poco prima dell’esibizione; stavano mute; appena finita la registrazione, sparivano, inghiottite dal nulla. Alla giuria non davano confidenza. Non ammiccavano, non sorridevano. Un collega aveva persino lamentato, sarcastico: «E dire che avevo pensato a un voto di scambio...».
http://tuttosulgossip.blogspot.com/2007/09/veline-2008.html?showComment=1215209640000#c15387792411754296984%20luglio%202008%2015.14
giovedì, settembre 18, 2008
Mamme un po' così
In questa cronaca di ennesimo bullismo in Roma la "mamma" di uno di questi delinquenti dichiara, o avrebbe dichiarato, che il figlio " impegnato nel sociale". Già il giornalista non spiega in che senso e questi usciranno in due giorni e non gli accadrà nulla, faranno due pianti e saranno rispediti a casa. Quello che mi colpisce è la giustificazione della madre. È incredibile che nessuno in Italia assuma più la benché minima responsabilità. Per nulla.
da Repubblica.it
Pensionato pestato da tre baby bulli. Aggressione fuori da un liceo romano. Un altro episodio all'Aquila: due adolescenti denunciati per lesioni aggravate
di FEDERICA ANGELI
"Spostati, il marciapiede è nostro e tu, da qui, non passi". Stavano ascoltando una musica rap a tutto volume e ballavano scatenati tre adolescenti della Roma bene quando un anziano cardiopatico, colpevole di passare sul "loro" marciapiede, è stato bloccato e picchiato selvaggiamente. Storia di bullismo metropolitano nel cuore del Flaminio, quartiere bene della capitale, davanti ad un liceo artistico. Una storia di violenza, quasi la fotocopia di quello che è successo ieri all'Aquila, dove però ad incappare nella furia di due baby teppisti, armati di frustino da cavallo fuori da un istituto, sono stati degli studenti.
A Roma tutto è iniziato intorno all'ora di pranzo. I tre giovani, uno di 15 e due di 16 anni, erano fuori dal liceo artistico di piazza Mancini, a due passi dallo stadio Olimpico, e aspettavano che dei loro amici uscissero da scuola. Danzavano e scherzavano al centro del marciapiede quando un ex carabiniere in pensione di 75 anni ha tentato di passare. "Di qui non si passa, attraversa la strada e cammina da quella parte", così i giovani hanno iniziato a prendere in giro l'uomo, parandosi davanti a lui e impedendogli fisicamente di proseguire la camminata.
L'uomo, energico nonostante l'età, non si è lasciato mettere i piedi in testa e ha risposto a tono. E i ragazzini hanno alzato il tiro: lo hanno accerchiato, insultato e spintonato. L'anziano ha cercato di farli desistere, arrivando addirittura a supplicarli di lasciarlo tranquillo: "Sono malato di cuore, lasciatemi in pace". Ma la reazione del gruppo è stata violenta e improvvisa: uno di loro l'ha spinto, un altro lo ha colpito al volto con pugni e schiaffi, il terzo lo ha preso a calci sulle gambe.
La vittima è caduta a terra e, prima di perdere i sensi, è riuscita a dare l'allarme al 113. Gli agenti del commissariato Villa Glori, diretti dal vicequestore Loredana Del Tosto, si sono subito messi sulle tracce dei tre teppisti, fuggiti dopo il pestaggio. Una pattuglia della polizia a cavallo che si trovava nelle vicinanze ha invece prestato i primi soccorsi all'uomo in attesa dell'ambulanza. Per lui, fortunatamente, solo un ematoma alla tempia sinistra.
I tre - la cui descrizione fisica era stata molto accurata - sono stati rintracciati dagli investigatori non lontano dal luogo del pestaggio. Portati in commissariato sono stati denunciati per aggressione e lesioni. Il capo branco, a quanto dichiarato dalla madre agli investigatori, è impegnato nel sociale.
"Questo episodio rappresenta una ferita ancora più grave perché mina alla base uno dei pilastri della nostra società, la terza età - ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno - Chiedo che le punizioni per questi delinquenti in erba siano le più severe possibili". "I tre bulletti da strapazzo - suggerisce Luigi Camilloni, presidente dell'Osservatorio Sociale - dovrebbero meditare sulla parola "rispetto" per gli anziani non in riformatorio, bensì facendo loro svolgere dei servizi civili quali ad esempio la pulizia dei servizi igienici in qualche ospedale geriatrico".
Ieri in serata anche i due adolescenti dell'Aquila responsabili del pestaggio ai coetanei sono stati rintracciati dagli agenti della squadra mobile e denunciati per lesioni aggravate. Una vendetta per uno sgarro subìto la scorsa settimana, sarebbe all'origine del pestaggio.
mercoledì, settembre 17, 2008
E la Vezzali continua....
Nella migliore tradizione sono i giornalisti ad aver frainteso. in realtà lo squallore del comportamento della Vezzali a mio avviso resta tutto. Voglio proprio vedere se non finisce nel PdL
da Repubblica.it
di Antonello Caporale
L'ITALIANA più vincente della storia. Ori e argenti. C'è un solo nome da ricordare, quello di Valentina Vezzali. "Una determinazione massima ad arrivare".
Una carriera strepitosa.
"Non lo dica al passato. Sono qui e lotterò a lungo".
Pronta a sfidare i limiti.
"È la mia vita".
Donna del fare, da Jesi.
"Mi sento davvero così"
Berlusconi è uomo del fare.
"Ce ne avessimo di uomini come lui. Determinazione, grinta, energia".
Creatività.
"Tutto".
Gli ha regalato il fioretto. E persino concesso, durante la registrazione di Porta a Porta, il diritto di toccarla.
"Si vede proprio che di scherma i giornalisti sono ignoranti".
Ignorantissimi, signora.
"Toccare è un'espressione tecnica".
Vespa ha subito sottolineato il suo tecnicismo.
"Ma ci mancherebbe!".
Purtroppo la malizia è come un prato in primavera: sempre in fiore.
"Volevo dirgli: guarda presidente che da te mi farei toccare. Ma ci fossero stati Prodi o Veltroni avrei fatto lo stesso".
Per essere un tantino più precisi: da lei mi farei veramente toccare.
"Era un onore concesso a un uomo importante".
Si è capito.
"In genere tocco, non mi faccio toccare".
Signora, anche questo è chiarissimo.
"Come si può fraintendere, mi dica?".
Francamente in un certo senso si può.
"Chiunque abbia fatto scherma ride a crepapelle. Allora, per esempio, quando in pedana c'è l'assalto del maestro e ci sono delle cose, delle parole".
Altre parole?
"Si".
Si possono dire?
"Meglio di no".
Comunque Berlusconi è abituato a sistemare la spada sulla spalla. E basta.
"Io e lui in qualche modo rappresentiamo l'Italia che vuole vincere".
Io e lui.
"A quattro mesi dal parto ero di nuovo in pedana".
Una forza della natura.
"Ho subito un grave infortunio ma non ho smesso".
La sfida dei limiti, abbiamo già detto.
"Mi chiamano Vale, perché valgo".
In Parlamento ci sarebbe molto bisogno di gente come lei, Vale.
"La politica non è questione che al momento mi interessa. In televisione sono andata con le medaglie sul petto a rappresentare tutti e la voglia di continuare".
S'è capito.
"Non riesco a capacitarmi però su come sia possibile avere così tanta malizia: lei ha presente il fioretto?".
Suo marito ha compreso?
"Si è messo a ridere".
E' stata una bella serata di televisione.
"Volevo dare al presidente del Consiglio l'onore..."
Più ripetiamo e più si fraintende.
"Non penso".
Mi creda.
"Se mi tocchi è punto a te".
martedì, settembre 16, 2008
La piaggeria della Vezzali
Ogni volta che mi sembra di essere ai massimi qualcosa mi fa cambiare idea. Guardate questa perla dalla tv di Stato italiana. Mi auguro che la Vezzali sia candidata perché altrimenti non so a cosa sia servito...
Bulli al Governo
Roberto Maroni, il ministro di un partito che parla di secessione....
Cos'è un bullo? Fondamentalmenrte una persona che approfitta del suo ruolo per essere superiore agli altri. Magari un ministro che sa, oggi, di essere intoccabile in Italia. Nel governo (italiano) uno dei partiti della coalizione che lo dominano (pur con percentuali minoritarie a livello nazionale, cioè la Lega Nord) è guidato da un personaggio, Umberto Bossi, che non solo è ministro, ma che si dice pronto alla secessione. Che parla a vanvera di fucili e invece di essere rinchiuso in manicomio viene citato per le sue "argute provocazioni". I ministri di questo partito un giorno sì e l'altro pure proferiscono frasi che demolirebbero la carriera politica di un qualsiasi esponente politico di un qualsiasi paese politicamante civilizzato del mondo. Non, ovviamente, in Italia.
Un esempio? La querelle calcistica fra Inter e Catania. Leggete un estratto da un articolo:
Adesso dopo le simpatiche anche se provocatorie dichiarazioni di Mourinho verso il Catania, la squadra siciliana risponde per bocca del suo amministratore delegato: Pietro LoMonaco. Deferito perché ha detto che a Mourinho "bisognerebbe prenderlo a sprangate si denti".
Il bullo è in questo caso il ministro dell'Interno Maroni, (del partito secessionista, dei fucili etc etc). Ma lui è ministro a Roma Ladrona quindi approfitta del suo ruolo per pontificare.
da repubblica.it
Per il ministro dell'Interno quello dell'Ad del Catania "è la cosa peggiore che si può fare: se un dirigente di una squadra incita alla violenza, anche solo metaforicamente, poi io non mi stupisco se qualche tifoso esagitato mette in atto compartimenti violenti". "Bisogna - aveva concluso Maroni - evitare queste espressioni". Poi, parlando in generale del problema della violenza negli stadi, il responsabile del Viminale aveva spiegato che la proposta di mettere celle negli stadi lanciata dal presidente della Legacalcio Antonio Matarrese "non è all'ordine del giorno", mentre "le decisioni prese rimarranno" perché "al di là delle critiche che sono state fatte, funzionano".
Il duro intervento del ministro dell'Interno arriva quando lo scontro tra Catania e Inter fa registrare il quarto atto. Tutto era iniziato al termine dell'anticipo di San Siro tra i campioni d'Italia e i siciliani vinto dai padroni di casa. Se il Catania recriminava per una serie di episodi sfortunati, il tecnico nerazzurro ostentava l'arroganza che l'ha reso celebre, dichiarando che il 2-1 gli stava stretto ("potevamo vincere 5-1") e accusando Tedesco, vittima di un fallo di Muntari punito con l'espulsione (e oggi con tre giornate di squalifica), di aver simulato ("da come si rotolava a terra pensavo morisse").
Provocazioni andate di traverso a Lo Monaco che non ha perso tempo per sparare affermazioni ancora più gravi. "Mourinho andrebbe preso a bastonate sui denti", ha commentato, forse senza rendersi conto che queste parole, dette dal dirigente di una squadra la cui tifoseria si è macchiata della morte dell'ispettore di polizia Filippo Raciti, assumevano un sapore ancora più sgradevole. Poco dopo l'amministratore delegato tornava infatti parzialmente sui suoi passi, spiegando che "si trattava solo di un'espressione colorita".
Mourinho non si tirava però indietro, continuando a soffiare sul fuoco irridendo l'avversario. "Lo Monaco? Io - ha risposto il tecnico a chi gli chiedeva una replica - conosco Monaco di Baviera, il Granpremio di Monaco, il Bayern Monaco e il monaco tibetano. Lo Monaco non so chi sia, ma se mi sfrutta per farsi pubblicità deve pagarmi".
Così in mattinata, prima del richiamo di Maroni, il dirigente del Catania è tornato a farsi vivo sostenendo che "il calcio italiano senza Mourinho non perderebbe granché" e scusandosi di nuovo per quello che a suo avviso non voleva essere che "un intercalare tipico delle nostre parti". Poi, per nulla intimorito dal richiamo del ministro, Lo Monaco è tornato a difendersi, rispondendo per le rime. "Avrei volentieri fatto a meno di questa sortita del signor Maroni - ha replicato - e non sono certamente io il rappresentante di un partito che ha fatto propri i capisaldi dell'istigazione alla violenza in questi anni. Non sono stato io a parlare di fucili o di 'Roma ladrona'".
Cos'è un bullo? Fondamentalmenrte una persona che approfitta del suo ruolo per essere superiore agli altri. Magari un ministro che sa, oggi, di essere intoccabile in Italia. Nel governo (italiano) uno dei partiti della coalizione che lo dominano (pur con percentuali minoritarie a livello nazionale, cioè la Lega Nord) è guidato da un personaggio, Umberto Bossi, che non solo è ministro, ma che si dice pronto alla secessione. Che parla a vanvera di fucili e invece di essere rinchiuso in manicomio viene citato per le sue "argute provocazioni". I ministri di questo partito un giorno sì e l'altro pure proferiscono frasi che demolirebbero la carriera politica di un qualsiasi esponente politico di un qualsiasi paese politicamante civilizzato del mondo. Non, ovviamente, in Italia.
Un esempio? La querelle calcistica fra Inter e Catania. Leggete un estratto da un articolo:
Adesso dopo le simpatiche anche se provocatorie dichiarazioni di Mourinho verso il Catania, la squadra siciliana risponde per bocca del suo amministratore delegato: Pietro LoMonaco. Deferito perché ha detto che a Mourinho "bisognerebbe prenderlo a sprangate si denti".
Il bullo è in questo caso il ministro dell'Interno Maroni, (del partito secessionista, dei fucili etc etc). Ma lui è ministro a Roma Ladrona quindi approfitta del suo ruolo per pontificare.
da repubblica.it
Per il ministro dell'Interno quello dell'Ad del Catania "è la cosa peggiore che si può fare: se un dirigente di una squadra incita alla violenza, anche solo metaforicamente, poi io non mi stupisco se qualche tifoso esagitato mette in atto compartimenti violenti". "Bisogna - aveva concluso Maroni - evitare queste espressioni". Poi, parlando in generale del problema della violenza negli stadi, il responsabile del Viminale aveva spiegato che la proposta di mettere celle negli stadi lanciata dal presidente della Legacalcio Antonio Matarrese "non è all'ordine del giorno", mentre "le decisioni prese rimarranno" perché "al di là delle critiche che sono state fatte, funzionano".
Il duro intervento del ministro dell'Interno arriva quando lo scontro tra Catania e Inter fa registrare il quarto atto. Tutto era iniziato al termine dell'anticipo di San Siro tra i campioni d'Italia e i siciliani vinto dai padroni di casa. Se il Catania recriminava per una serie di episodi sfortunati, il tecnico nerazzurro ostentava l'arroganza che l'ha reso celebre, dichiarando che il 2-1 gli stava stretto ("potevamo vincere 5-1") e accusando Tedesco, vittima di un fallo di Muntari punito con l'espulsione (e oggi con tre giornate di squalifica), di aver simulato ("da come si rotolava a terra pensavo morisse").
Provocazioni andate di traverso a Lo Monaco che non ha perso tempo per sparare affermazioni ancora più gravi. "Mourinho andrebbe preso a bastonate sui denti", ha commentato, forse senza rendersi conto che queste parole, dette dal dirigente di una squadra la cui tifoseria si è macchiata della morte dell'ispettore di polizia Filippo Raciti, assumevano un sapore ancora più sgradevole. Poco dopo l'amministratore delegato tornava infatti parzialmente sui suoi passi, spiegando che "si trattava solo di un'espressione colorita".
Mourinho non si tirava però indietro, continuando a soffiare sul fuoco irridendo l'avversario. "Lo Monaco? Io - ha risposto il tecnico a chi gli chiedeva una replica - conosco Monaco di Baviera, il Granpremio di Monaco, il Bayern Monaco e il monaco tibetano. Lo Monaco non so chi sia, ma se mi sfrutta per farsi pubblicità deve pagarmi".
Così in mattinata, prima del richiamo di Maroni, il dirigente del Catania è tornato a farsi vivo sostenendo che "il calcio italiano senza Mourinho non perderebbe granché" e scusandosi di nuovo per quello che a suo avviso non voleva essere che "un intercalare tipico delle nostre parti". Poi, per nulla intimorito dal richiamo del ministro, Lo Monaco è tornato a difendersi, rispondendo per le rime. "Avrei volentieri fatto a meno di questa sortita del signor Maroni - ha replicato - e non sono certamente io il rappresentante di un partito che ha fatto propri i capisaldi dell'istigazione alla violenza in questi anni. Non sono stato io a parlare di fucili o di 'Roma ladrona'".
Il protestante nel pallone
La "squola" in ginocchio
Il consenso nel Governo italiano sembra che salga. La Gelmini fa strame della scuola pubblica. Il paese è ormai in recessione nera. Mi sembra ci sia una correlazione.
La scuola che comincia con il lutto al braccio
di FRANCESCO MERLO
da Repubblica.it
LA MINISTRA Gelmini li voleva in rosso-Stalin, ma i maestri italiani non sono caduti nella trappola e si sono listati il braccio di nero-Gelmini. Viva, dunque, questa elegante protesta dei maestri che ha messo in lutto il governo e ha spiazzato la ministra che, con la sua corona di neo addetti stampa (ricordate gli utili idioti?) cerca, sogna e brama una sgangherata violenza sessantottina. Si era insomma allenata, la signora di Brescia, per affrontare gli insegnanti sbracati di cui sparla da quando è diventata ministro. Perciò ora non sa come prendere la contestazione ironica e sobria espressa con quel nero, che lei stessa ama molto indossare e che non strumentalizza proprio nulla, meno che mai i bambini.
E ci pare mal consigliata la Gelmini quando sostiene che, con quel nero al braccio, i maestri usano i bambini contro di lei. Gli insegnanti non si sono listati di nero né contro i bambini né insieme ai bambini. Sono in nero perché orfani di chi, meglio di tutti, dovrebbe rappresentarli e proteggerli; sono a lutto del buon governatore comprensivo come un padre di famiglia; protestano perché il ministro, che dovrebbe schierarsi con la scuola tutta, si è invece schierato contro l'anima della scuola.
Viene dunque il sospetto che, spiazzata dalla civiltà e dalla compostezza della protesta, la Gelmini abbia usato - lei - i bambini come nascondiglio retorico per il suo disagio, per la sua prima sconfitta. Capita, del resto, alla Gelmini di imputare agli altri i propri peccati. Gian Antonio Stella ci ha raccontato sul Corriere di come proprio lei, che ha sprezzantemente accusato il Sud di regalare titoli di studio agli incompetenti, avesse raccattato un'abilitazione professionale - avvocato - in un dirupo di Reggio Calabria.
Sono spesso neri i tailleur della Gelmini. Le permettono, grazie alla tinta del rigore, di esporre con dignità tranquillizzante la propria maliziosa femminilità. Anche i maestri italiani, ben lontani dallo stile straccione che la Gelmini vede in loro, hanno scelto il rigore del nero per denunziare, con la stessa dignità tranquillizzante dei sornioni tailleur ministeriali, che la scuola italiana è orfana, anzi è 'adespota', senza capo, parola di etimo greco che abbiamo imparato in quel liceo che la Gelmini vorrebbe - anche questo! - rimpicciolire, avvelenare e dunque far sparire introducendo - come ha fatto sapere - 'il liceo breve', che diventerebbe un'altra morte lenta ma, intanto, è già un'altra provocazione.
Alle orecchie di chi conosce l'importanza del liceo italiano, - "la sartoria della vita" diceva Lucio Colletti - l'espressione "liceo breve" suona infatti come 'gigante nano'. E vale a poco sostenere che altri ministri dell'Istruzione, di destra di centro o di sinistra, avevano già avuto qualcuna delle pensate della Gelmini. La signora di Brescia non è la prima che, da ministro, maltratta la scuola, che la sottopone alla violenza dell'incompetenza.
E ovviamente si capisce che il liceo breve, il liceo ridotto di un anno, farebbe risparmiare altro danaro. Ma non c'è solo la bassa ragioneria all'origine di queste provocazioni. La Gelmini provoca per dimostrare che dietro la formazione italiana, dietro il liceo - soprattutto classico - c'è ancora il sessantotto, ci sono i fannulloni fradici di ideologia comunista, anzi classico-comunista. Ma il liceo italiano non è 'la scuola quadrì dei rivoluzionari frustrati. Stia attenta la Gelmini a toccare il meglio dell'Italia e della sua memoria, la nostra eccellenza, il modello nazionale per il quale ancora, ogni tanto, ci distinguiamo nel mondo.
E stia attenta a ripetere che bisogna fare come la Francia o come l'Inghilterra, o ancora come gli Stati Uniti o come la Germania. In realtà una virtù che bisognerebbe a tutti i costi 'rubarè a questi Paesi è il non inseguire modelli stranieri, quasi sempre incomparabili, ma di sostenere e di rafforzare un proprio sistema nazionale. Gli inglesi non vogliono diventare come gli americani né i francesi come i tedeschi (con la stessa, insopportabile retorica si potrebbe consigliare alla Gelmini di farsi... protestante).
E poi, andiamo!, avvocato Gelmini: l'adulto italiano che ripensa al liceo non si ferma alle manifestazioni, alle occupazioni e al 6 politico, ma si abbandona al ricordo della scoperta dei libri, della capacità di resuscitare i morti, dell'universo pieno di miti e di simboli, di quei professori ai quali i maestri che lei umilia devono per esempio l'ironia e l'arguzia di vedere in lei non il nemico di classe, ma la linguaccia lunga di Santippe che, surrogando il linguaggio intelligente, importuna Socrate e infastidisce la decenza (anche se per la verità si sospetta che Socrate si sia convinto a bere la cicuta proprio per liberarsi dalle angherie di Santippe).
È grazie al liceo che i maestri italiani stanno affrontando le provocazioni della ministra non con la violenza della demagogia che la Gelmini a tutti i costi vuole (re) suscitare, non con il ritorno di Potere operaio e di Lotta continua che la signora ha bisogno di avere come nemici, ma con il nero dell'educazione civica, con il nero del catechismo morale, con il nero della scienza greca - mélas cholé è lo spleen inglese, l'umor nero, la malinconia della scuola - , e con il nero della scienza latina - nigri sed formosi, neri ma belli direbbe Orazio dei maestri in cromatica rivolta.
La verità è che la Gelmini sta cercando con tutte le sue forze la protesta di piazza per poter dire che nella scuola italiana sono tutti comunisti, tutti fuori dalla storia prima che dal mercato. Ne ha bisogno per affrontare la scuola con lo sproloquio di Bossi, con la in-cultura della Lega, con il bisturi economicistico e con la demolizione della presunta egemonia culturale. Insomma la Gelmini si vede già protagonista di una specie di neo maccartismo alle vongole, anzi alla polenta.
Speriamo dunque che si diffonda questo tipo di protesta fantasiosa ed efficace. I colori infatti esprimono benissimo gli umori e rispondono alla regola delle opposizioni. Nei colori c'è l'idea relativista - laica - che anche la protesta è governata da quel principio di indeterminazione che abbiamo imparato al liceo: tutto dipende dalla dose e dal contesto e si può stare con il nero che rimanda al caos dell'inizio o con il nero che rimanda alla dolente compostezza della fine. Come abbiamo imparato ad usare la gobba di Leopardi contro quella di Andreotti così sappiamo che il rosso è allarme ma è anche sangue versato, è aggressività violenta ma è anche amore.
E dunque, per esempio, contro Brunetta che sogna l'ipercinesi mercuriale del colore aragosta o del blu elettrico, gli statali potrebbero presentarsi in ufficio con una bandana celeste da fannulloni in relax. E i dipendenti dell'Alitalia potrebbero viaggiare con un arcobaleno di protesta sulla giacca verde... Infine, se la Gelmini dovesse davvero insistere nella volontà di accorciare il liceo, ebbene tutti quelli che lo hanno amato e vorrebbero ancora mandarci i propri figli potrebbero fondare il movimento delle camicie blu cobalto, che è il colore della gonna di quella bellissima dark lady che piaceva da morire al Falcone Maltese, romanzo ovviamente noir.
lunedì, settembre 15, 2008
Comprate questo libro
Come il 90% delle copertine del Mulino anche questa fa schifo. Fortuna che il libro è ben scritto. Quando a Bologna si renderanno conto che non paga fare cagate di questo genere (anche l'aspetto fa vendere) forse fattureranno qualche copia in più
I SIGNORI DELLE AUTOSTRADE
di Giorgio Ragazzi
Ecco alcuni brani del libro di Giorgio Ragazzi "I signori della Autostrade", che esce per il Mulino (206 pagine, 18 euro). Perché le concessionarie autostradali registrano da tempo profitti molto elevati? Per spiegarlo, il volume ripercorre la storia del settore. Il capitale investito della maggior parte delle concessionarie era già stato ammortizzato e remunerato alla fine degli anni Novanta e i pedaggi avrebbero potuto essere drasticamente ridotti. Il ruolo delle società pubbliche. E un sistema tariffario ben lontano dal modello regolatorio del price cap.
Di Pietro, appena assunta la carica di ministro, parlando delle concessionarie ha dichiarato: “la cuccagna è finita”, anche se poi non pare sia riuscito nel suo intento. Il settore registra da tempo profitti molto elevati. Per citare solo i casi più rilevanti, in sei anni la Schemaventotto dei Benetton ha moltiplicato per sei/sette volte il valore del suo investimento. (…) L’imprenditore Gavio, entrato nel settore meno di dieci anni addietro con un piccolissimo investimento controlla oggi un “impero” che vale quattro miliardi.
Per cercare di capirne i motivi abbiamo ripercorso la storia del settore dalle origini ad oggi. Poiché le concessionarie erano prevalentemente pubbliche, dell’Iri o di enti locali, ministri e Anas sono sempre stati molto benevoli nei loro confronti (alle spalle degli utenti). Già le rivalutazioni monetarie del 1976 e 1983 erano state una fonte di grandi profitti per le concessionarie; senza quelle rivalutazioni, nella maggior parte dei casi le autostrade sarebbero già state interamente ammortizzate alla fine degli anni ’90. La privatizzazione di Autostrade ha poi innescato una vera “cuccagna” e ne hanno beneficiato anche gli azionisti privati. Èl’obiettivo di massimizzarne il valore che ha indotto alla proroga generalizzata delle concessioni alla fine degli anni ’90 e all’introduzione di un price cap particolarmente favorevole per le concessionarie, per non parlare delle clausole privilegiate inserite nella convenzione della Autostrade.
Non esiste nessun settore dove un governo, o addirittura solo un ministro, possa fare “regali” così imponenti a società (pubbliche o private) mediante la proroga della concessione e la regolazione delle tariffe, senza che gli utenti ne percepiscano nemmeno i costi addizionali.
LE RIVALUTAZIONI MONETARIE
Se si fosse seguito negli anni il modello teorico della concessione, secondo il quale gli introiti tariffari dovrebbero consentire al concessionario di ottenere una “congrua” remunerazione e di ammortizzare nel tempo il capitale investito sino ad azzerarlo allo scadere della convenzione, le convenzioni di moltissime concessionarie avrebbero dovuto essere scadute già da molto tempo, per avvenuto integrale rimborso del capitale investito.
Una delle ragioni per cui questo non è avvenuto sono le rivalutazioni monetarie del 1976 e 1983 grazie alle quali le concessionarie hanno enormemente “gonfiato”, nei loro bilanci, il valore contabile dei beni gratuitamente devolvibili (cioè il capitale investito nell’autostrada).
Gli investimenti erano stati finanziati pressoché interamente a debito, da tutte le concessionarie. A fine 1975 le 21 concessionarie avevano un capitale proprio (equity) di 115 miliardi di lire, a fronte di 5.100 miliardi di investimenti (…).
A fronte delle rivalutazioni dell’attivo (beni gratuitamente devolvibili) le concessionarie hanno iscritto al passivo riserve monetarie che hanno aumentato enormemente il valore contabile del loro patrimonio. Hanno poi ottenuto che questi maggiori valori venissero considerati “capitale investito”, da remunerarsi in tariffa e da rimborsarsi entro la scadenza della concessione (…). Ad esempio, il capitale sociale dell’Autostrada del Brennero ammontava nel 1997 a 107,4 miliardi di lire, ma di questi ben 104,5 miliardi derivavano dalla rivalutazione monetaria effettuata in base alla legge 72/1983: il capitale proprio sottoscritto dagli azionisti è stato davvero minimo, mentre oggi il patrimonio della società ammonta a ben 310 milioni di euro. Lo stesso può dirsi per molte altre (…).
Il capitale investito della maggior parte delle concessionarie era già stato ampiamente ammortizzato e remunerato, tra la metà e la fine degli anni ’90. Le tariffe avrebbero quindi potuto essere drasticamente ridotte (o gli “extraprofitti” girati allo Stato come era previsto dalla legislazione degli anni ’60). Al termine delle concessioni i beni avrebbero dovuto essere devoluti gratuitamente allo Stato. Le concessionarie sono invece risorte a nuova vita con la proroga generalizzata delle convenzioni nel 1999-2000 (vedasi paragrafo 2.7). Il nuovo sistema tariffario (price cap) è partito poi stabilendo norme per gli incrementi di tariffa, ma accettando per buoni i livelli tariffari esistenti, senza verifica della loro congruità rispetto al capitale netto investito residuo di ciascuna (paragrafo 2.6).
Altre rivalutazioni monetarie sono state effettuate da molte concessionarie nei primi anni 2000 (…). L’Anas, in occasione del rinnovo della concessione alla Satap A4 (Torino-Milano), ha accettato di calcolare il capitale investito sulla base dei valori rivalutati a bilancio (…). Se la rivalutazione viene equiparata a un incremento del capitale netto investito, il maggior valore deve essere poi “rimborsato” alla società entro la scadenza della concessione, e remunerato nel frattempo, con corrispondenti incrementi di tariffa. Questa è una richiesta del tutto ingiustificata, non solo perché le rivalutazioni sono facoltative e non obbligatorie ma soprattutto per la logica sottostante. La maggior valutazione dell’autostrada (o del ramo d’azienda cui è intestata la concessione) si giustifica solo perché produce “extraprofitti”, cioè profitti molto superiori a quanto sarebbe “congruo” rispetto ai valori storici. Il maggior valore viene stimato attualizzando questi “extraprofitti” futuri attesi. Se si riconosce alla società il diritto a vedersi “rimborsare” (e remunerare) il maggior valore per il solo fatto di averlo iscritto a bilancio, in pratica si raddoppiano gli extraprofitti: oltre a pagarli come flusso si pagano anche per il loro valore attuale!
UN GIUDIZIO COMPLESSIVO
Il sistema tariffario italiano è chiamato price cap ma in realtà è ben lontano dall’applicare tale modello regolatorio (Coco & Ponti 2006). Mentre si regolano le variazioni delle tariffe non si è proceduto a determinare i livelli congrui delle tariffe iniziali sulla base dei capitali netti residui di ciascuna commissionaria; non si specifica che l’obiettivo della regolamentazione sia quello di pervenire a una remunerazione “congrua” del capitale netto investito (Rab – Regulated Asset Basis), né che si debba riportare la redditività al livello “congruo” alla fine di ogni quinquennio (“claw back” dei profitti), aspetto che è invece la caratteristica essenziale della regolamentazione tramite price cap. Attribuire poi il “rischio traffico” ai concessionari non introduce alcun incentivo all’efficienza ma si è solo rivelato una fonte di “extraprofitti” per le prudentissime previsioni inserite nei piani finanziari.
E’ evidente che la nuova regolamentazione tariffaria è stata pensata principalmente, se non esclusivamente, al fine di massimizzare il ricavo della privatizzazione di Autostrade. A tal fine, non era certo opportuno indicare né un “tetto” alla remunerazione “congrua” sul capitale investito, né come si dovesse determinare il capitale netto investito (Rab). Con la convenzione del ’97 sono state d’altronde concesse alla sola Autostrade anche due clausole di particolare favore: il recupero dell’inflazione (negato alle altre concessionarie) e la limitazione della X al massimo pari all’incremento del traffico nel quinquennio precedente.
La “formula” ha lasciato nel vago i criteri per la determinazione del parametro X aprendo la porta a un elevato grado di arbitrarietà e a “mercanteggiamenti” periodici tra l’Anas e le singole concessionarie. La remunerazione per la qualità, che non trova riscontro né in Francia né in Spagna, appare “fantasiosa” e genera incrementi tariffari che non hanno alcun riscontro nei costi sostenuti per ottenere i miglioramenti qualitativi; anche questa clausola sembra pensata soprattutto per incrementare i ricavi prospettici delle concessionarie ed in particolare di Autostrade.
Nel complesso, i risultati conseguiti dalla regolazione delle autostrade italiane dal 1997 ad oggi sembrano davvero fallimentari. Non si ha evidenza di miglioramenti significativi nell’efficienza di costo, al di là dell’applicazione di sistemi automatici di esazione già avviati nel periodo precedente (e i costi delle nostre concessionarie sembrano molto maggiori di quelli francesi, vedasi paragrafo 3.3). Gli investimenti previsti, sulla base dei quali le concessionarie ottennero nel 1999 lunghe proroghe delle concessioni (vedasi paragrafo successivo) e incrementi di tariffa, non sono stati realizzati se non in piccola parte. Le concessionarie hanno invece registrato enormi extraprofitti, cioè rendimenti sul capitale investito largamente eccedenti non solo rispetto ad un ragionevole Wacc ma anche rispetto agli stessi generosi livelli previsti nei piani finanziari.
UN VENTENNIO DI “CUCCAGNA”
Tentiamo qui una sintesi di quanto precede, e il termine “cuccagna”, usato dal ministro Di Pietro, sembra il più appropriato per indicare ciò che è accaduto nell’ultimo ventennio.
La costruzione della rete autostradale italiana è stata finanziata pressoché interamente a debito grazie anche alla garanzia con la quale lo Stato assicurava i debiti delle concessionarie perché, sino alla fine degli anni ’90, quasi tutte erano considerate “pubbliche”. Le concessioni erano basate sulla logica della tariffa-remunerazione. I pedaggi dovevano servire a coprire i costi operativi e l’ammortamento dei debiti con i quali veniva finanziato l’investimento. La legge 463 del 1955 prevedeva che l’eventuale eccedenza dei ricavi oltre una contenuta remunerazione del capitale investito venisse devoluta allo Stato; questo principio veniva ribadito e rafforzato ancora nel 1961 con la legge 729 ed in leggi successive, sino al 1993.
Finito il grosso degli investimenti a metà anni ’70, dopo 15-20 anni molte concessionarie erano già state in grado di rimborsare i debiti finanziari e di ottenere una buona remunerazione sul capitale proprio versato (di regola modestissimo). Molte convenzioni avrebbero quindi potuto scadere negli anni ’90 per avvenuto integrale recupero del capitale investito (…). Ma quasi due terzi della rete apparteneva allo Stato tramite l’Iri, e l’Iri aveva bisogno di tutto l’ossigeno che poteva venirgli dalla Autostrade (definita al tempo la “gallina dalle uova d’oro” dell’Iri). Il resto della rete, con la sola eccezione della Torino-Milano, era di proprietà di province e comuni e quindi anch’essa “pubblica”. E’ questo che spiega o giustifica l’incredibile generosità dello Stato-regolatore, che proroga “gratuitamente” concessioni in scadenza, mantiene tariffe elevate e crescenti, accetta l’ammortamento in tariffa delle rivalutazioni monetarie.
Per massimizzare il ricavo dalla cessione di Autostrade la sua convenzione viene prorogata (in due tempi) di 35 anni, e lo Stato non può esimersi dal concedere generose proroghe anche alle altre concessionarie allora considerate “pubbliche”, anche se oggi si definiscono “private” e vantano i loro diritti contrattuali dimenticando tutti i “regali” ricevuti in passato proprio in quanto possedute da province e comuni. Ancora per massimizzare il ricavo dalla cessione di Autostrade viene introdotta la “formula” di revisione tariffaria detta price cap che “regala” ad ogni concessionaria il “diritto” di mantenere il livello tariffario del 1999 e accrescerlo secondo la “formula” sino alla scadenza della concessione, senza alcun riferimento a quale fosse nel 1999 il capitale netto residuo da ammortizzare. La fortuna di Gavio è di essere entrato nel settore poco prima del “banchetto” offerto dallo Stato (alle spalle degli utenti) per far incassare all’Iri più soldi possibile.
Insomma, a parte il caso Autostrade, per l’acquisto della quale gli azionisti hanno versato dei soldi veri (tanti o pochi…), quasi tutte le altre concessionarie hanno da tempo più che largamente recuperato e remunerato il (modestissimo) capitale originariamente versato dagli azionisti e i diritti che oggi accampano riflettono essenzialmente “regali” ricevuti a più riprese dallo Stato, nell’ultimo ventennio.
Basta dare un’occhiata ai bilanci delle concessionarie italiane per vedere che il valore residuo dell’autostrada è ormai generalmente una quota modesta dell’attivo, e in molti casi si è quasi azzerato, pur dopo le rivalutazioni monetarie e la capitalizzazione degli interessi e di ogni altra possibile spesa (vedasi il capitolo 5). Se si applica la logica della tariffa-remunerazione i pedaggi dovrebbero dunque essere drasticamente ridotti o azzerati. Si potrebbe anche applicare la tariffa-scommessa, come in Francia, ma gare per l’assegnazione delle concessioni con questa logica non sono mai state fatte, né le concessionarie hanno mai pagato il “biglietto” per questa scommessa. Manca dunque un’origine storica per la legittimità dei diritti che oggi esse accampano.
Quasi tutte le concessionarie, avendo rimborsato ormai i debiti finanziari, si sono trovate, già a partire dagli anni ’90, con flussi di cassa rilevanti e stabilmente crescenti che non avevano opportunità di impiegare nella costruzione di nuove autostrade (…). Le concessionarie “parapubbliche” (controllate da enti locali) hanno investito questa liquidità in strumenti finanziari e diversificando gli investimenti in altri settori (…). Gavio ha invece usato questi ampi flussi di cassa per accrescere la propria quota nel capitale delle partecipate e soprattutto per acquisire altre partecipazioni nel settore; egli ha costruito il suo “impero” con un impegno iniziale minimo di capitale, e ha acquistato in pochi anni tutte le partecipazioni facendo leva sui flussi di cassa delle società stesse (vedasi paragrafo 5.1).
Analogamente, Schemaventotto (la società che controlla Autostrade), tramite l’Opa e il “progetto mediterraneo” (paragrafo 4.7) ha accresciuto la propria quota di Autostrade spa dal 30 al 63 per cento, addossando alla concessionaria (e quindi agli utenti che pagano i pedaggi) l’onere del rimborso del debito contratto per finanziare l’Opa. Schemaventotto ha poi mantenuto il 51 per cento e ha rivenduto il 12 per cento rientrando così in buona parte dei soldi versati all’Iri per il 30 per cento acquistato al momento della privatizzazione.
da lavoce.info
Un intervento sulla scuola
da www.lavoce.info
GLI ITALIANI PREFERISCONO LE HOSTESS
di Massimo Bordignon 13.09.2008
Mi spiegate il mistero? Sull'Alitalia si sono versati fiumi di inchiostro, migliaia di ore di interviste, i sindacati combattono come gli ultimi giapponesi nella giungla, i politici si scannano e ci costruiscono sopra campagne elettorali. I media volteggiano frenetici. Eppure, stiamo parlando di una compagnia decotta da anni, che è costata fiumi di denaro ai contribuenti, che offre un pessimo servizio e che oltretutto coinvolge relativamente poco i cittadini. La metà degli italiani un aereo probabilmente non l'ha mai preso, e gli altri quando possono evitano Alitalia, visto i prezzi. Quanto ai lavoratori in esubero poi, con tutto il rispetto per la loro situazione, si tratta infine di poche migliaia di persone, oggettivamente privilegiati prima e ora comunque protetti dalla rete degli ammortizzatori sociali rafforzata dal governo proprio per loro. In più, molti sono altamente specializzati, e non avranno eccessivi problemi a trovare un nuovo lavoro. Negli stessi giorni dello psicodramma Alitalia, è stata annunciata la riduzione di 90.000 insegnanti in un triennio (dicesi, novantamila). Già è una categoria mal pagata e bistrattata, ora il taglio colpirà soprattutto i precari. Ammortizzatori sociali? Nessuno, nonostante i costi sociali siano multipli interi rispetto al caso Alitalia. E sì che si tratta di lavoratrici (sì, perché sono quasi tutte donne) impegnate in un servizio fondamentale che direttamente o indirettamente coinvolge, tra utenti, figli, e nipoti, la quasi totalità delle famiglie italiane. Eppure i sindacati pigolano debolmente, i politici al più scrollano le spalle, e i media vi dedicano qualche annoiato servizio, tra l'antipasto e la cena. Al di là del giudizio sulle scelte di politica economica, non è un po' strano? Non sarà un altro esempio dello strabismo dell'opinione pubblica italiana? Oppure, è che il glamour delle insegnanti non può competere con quello delle hostess?
La risposta del D'Annunzio de 'noantri
In un qualsiasi paese civilizzato una persona come vittorio sgarbi, non rivestirebbe incarichi pubblici. Dovrebbe rendere conto di quello che fa e dice. In Italia continua a parlare e fare danni. È un personaggio che usa il turpiloquio perché si sente un D'Annunzio in potenza. Si rassegni. I libri di storia a uno così non regaleranno più di una riga. Se pure...spero sinceramente che per questa intervista Parente quereli Sgarbi. E poi si faccia una vacanza pagata dal sindaco di Salemi.
da affaritaliani.it
“Le lettere aperte se le deve mettere nel buco del c., quel rotto in c. che è Parente”, sbotta Vittorio Sgarbi al telefono, raggiunto da Affaritaliani.it per commentare le accuse. Se né Elisabetta Sgarbi né la Bompiani, contattate, ribattono alle affermazioni dello scrittore, il sindaco di Salemi è un vero fiume in piena.
E’ vero che hai chiesto a Parente di firmare una lettera in cui ti proponevi al ministro Sandro Bondi per ricevere un incarico al Ministero?
“Certo, mi sembrava meglio avere un appoggio esterno. Le sue posizioni sull’arte sono simili alle mie e provavo una sorta di pudore a firmare quell’articolo che comunque poi ho pubblicato e firmato”.
La Bompiani avrebbe dovuto pubblicare un suo nuovo saggio su Proust, ma improvvisamente ha bloccato tutto. Parente dice che è una conseguenza del rifiuto a farti quel favore, tu cosa rispondi?
“Il suo rifiuto è stato del tutto ininfluente su questa vicenda. Sono insinuazioni di carattere mafioso. Parente è una persona spregevole che per mesi, in passato, mi ha chiesto di aiutarlo e che invece di ringraziare per quello che ha avuto ora pretende di avere altro. In questo senso è una puttana infelice, insaziabile. Come scrittore ha iniziato l’attività con me, che l’ho sostenuto e raccomandato a Castelvecchi, in seguito però l’ho perso di vista. Ha poi proseguito per conto suo la carriera in Bompiani con mia sorella, alla quale non l’ho mai raccomandato”.
Quindi Parente è approdato alla Bompiani senza il tuo aiuto?
“Assolutamente. E come Elisabetta lo ha pubblicato senza avere alcuno stimolo da me, così se non lo pubblica lo fa esclusivamente per sua scelta. So che è rimasta turbata dal suo comportamento, mi riferisco agli sms mandati al Riformista, ma non è comunque questo il motivo per cui non edita Proust. Mia sorella non risponde mai a me e lo ha dimostrato in passato più volte, quindi lui vada a fare in c., ‘sta faccia di m.”.
Secondo te perché la Bompiani ha bloccato la pubblicazione del suo saggio su Proust, allora?
“Perché non vende abbastanza. Semplice legge del mercato. Se scrivi per un piccolo editore può andarti anche bene vendere mille copie, ma se vai da Bompiani e il tuo libro non decolla avrai più difficoltà a pubblicare il secondo. Parente si deve rassegnare che se vuole vendere non deve essere il coglione che è ma dedicarsi a scrivere buoni libri. La deve smettete di spettegolare come una puttana e ragionare sui suoi obiettivi. Quante copie potrebbe sperare di vendere di un saggio su Proust? Cinquecento?! Forse Parente non ha capito che l’editore non fa beneficenza, pubblica per vendere”.
Saluto Vittorio Sgarbi, mi metto a scrivere l’intervista, quando mi richiama.
Vittorio?
Vittorio Sgarbi: “Ciao, sono qui con mia sorella”.
Elisabetta Sgarbi: “Non rilascio interviste”.
Vittorio Sgarbi: “Sì, ma dimmi solo: ti ho mai raccomandato Parente?"
Elisabetta Sgarbi: “No”.
Vittorio Sgarbi: “Ecco, appunto. Non le ho mai parlato di Parente, ma lo faccio adesso, per concludere questo capitolo. E sai che le dico? Le chiedo pubblicamente di editare il libro di Parente. Lei ovviamente deciderà secondo le sue logiche, ma se lo pubblica io le compro un po’ di copie come Comune di Salemi per regalarle alla comunità gay piagnucolosa di cui fa parte: insomma, per fare dell’elemosina verso questo volgare millantatore e diffamatore”.
da affaritaliani.it
“Le lettere aperte se le deve mettere nel buco del c., quel rotto in c. che è Parente”, sbotta Vittorio Sgarbi al telefono, raggiunto da Affaritaliani.it per commentare le accuse. Se né Elisabetta Sgarbi né la Bompiani, contattate, ribattono alle affermazioni dello scrittore, il sindaco di Salemi è un vero fiume in piena.
E’ vero che hai chiesto a Parente di firmare una lettera in cui ti proponevi al ministro Sandro Bondi per ricevere un incarico al Ministero?
“Certo, mi sembrava meglio avere un appoggio esterno. Le sue posizioni sull’arte sono simili alle mie e provavo una sorta di pudore a firmare quell’articolo che comunque poi ho pubblicato e firmato”.
La Bompiani avrebbe dovuto pubblicare un suo nuovo saggio su Proust, ma improvvisamente ha bloccato tutto. Parente dice che è una conseguenza del rifiuto a farti quel favore, tu cosa rispondi?
“Il suo rifiuto è stato del tutto ininfluente su questa vicenda. Sono insinuazioni di carattere mafioso. Parente è una persona spregevole che per mesi, in passato, mi ha chiesto di aiutarlo e che invece di ringraziare per quello che ha avuto ora pretende di avere altro. In questo senso è una puttana infelice, insaziabile. Come scrittore ha iniziato l’attività con me, che l’ho sostenuto e raccomandato a Castelvecchi, in seguito però l’ho perso di vista. Ha poi proseguito per conto suo la carriera in Bompiani con mia sorella, alla quale non l’ho mai raccomandato”.
Quindi Parente è approdato alla Bompiani senza il tuo aiuto?
“Assolutamente. E come Elisabetta lo ha pubblicato senza avere alcuno stimolo da me, così se non lo pubblica lo fa esclusivamente per sua scelta. So che è rimasta turbata dal suo comportamento, mi riferisco agli sms mandati al Riformista, ma non è comunque questo il motivo per cui non edita Proust. Mia sorella non risponde mai a me e lo ha dimostrato in passato più volte, quindi lui vada a fare in c., ‘sta faccia di m.”.
Secondo te perché la Bompiani ha bloccato la pubblicazione del suo saggio su Proust, allora?
“Perché non vende abbastanza. Semplice legge del mercato. Se scrivi per un piccolo editore può andarti anche bene vendere mille copie, ma se vai da Bompiani e il tuo libro non decolla avrai più difficoltà a pubblicare il secondo. Parente si deve rassegnare che se vuole vendere non deve essere il coglione che è ma dedicarsi a scrivere buoni libri. La deve smettete di spettegolare come una puttana e ragionare sui suoi obiettivi. Quante copie potrebbe sperare di vendere di un saggio su Proust? Cinquecento?! Forse Parente non ha capito che l’editore non fa beneficenza, pubblica per vendere”.
Saluto Vittorio Sgarbi, mi metto a scrivere l’intervista, quando mi richiama.
Vittorio?
Vittorio Sgarbi: “Ciao, sono qui con mia sorella”.
Elisabetta Sgarbi: “Non rilascio interviste”.
Vittorio Sgarbi: “Sì, ma dimmi solo: ti ho mai raccomandato Parente?"
Elisabetta Sgarbi: “No”.
Vittorio Sgarbi: “Ecco, appunto. Non le ho mai parlato di Parente, ma lo faccio adesso, per concludere questo capitolo. E sai che le dico? Le chiedo pubblicamente di editare il libro di Parente. Lei ovviamente deciderà secondo le sue logiche, ma se lo pubblica io le compro un po’ di copie come Comune di Salemi per regalarle alla comunità gay piagnucolosa di cui fa parte: insomma, per fare dell’elemosina verso questo volgare millantatore e diffamatore”.
Lo squallido mondo culturale italiano
Massimiliano Parente
Posto la dolorosa lettera di un autore che io amo molto (ma si sa sono ignorante) su di un personaggio che detesto, uno dei personaggi più sopravvalutati del secondo dopoguerra. Non so se ci sia del vero. Conoscendo dall'interno lo squallido mondo dell'editoria italiana (dove devi aspettare un anno per essere pagato), sono propenso a credere che le accuse di Parente siano vere. Se verrà dimostrato il contrario io posterò l'altra campana. Ho dubbi che ciò avvenga.
Lettera dello scrittore Massimiliano Parente a Dagospia
Questo è un atto di denuncia pubblica contro il mio editore, contro un sopruso, contro un’umiliazione e una corruzione a cui non voglio e non posso sottostare. Questo è un atto d’avanguardia, un avvenimento nella palude di bon ton e finte scaramucce dei letterati italiani. Questo è un atto postumo, senza precedenti per uno scrittore vivo. Perché la mafia è molto più vicina di quella di cui parla qualche autore da classifica di vendita. Perché è troppo facile, come fanno molti scrittori oggi, ritenersi indipendenti parlando male di Berlusconi o di Veltroni, lo può fare chiunque e si è sempre al sicuro, quando hanno accettato una prigione ben più meschina.
Io sono uno scrittore, e ci sono cose che “non si fanno” neppure per uno scrittore, questo diranno di me nel paese delle marchette politiche, televisive, salottiere, burocratiche e sì, anche editoriali. Ma uno scrittore è colui che scrive e dice ciò che non si può dire e scrivere, questo è l’impegno, non certo la ribellione politica che si appaia sempre bene con la gastronomia e le buone frequentazioni.
Molti mi daranno del pazzo, ma forse qualcuno, almeno uno, capirà cosa c’è dietro quello che sto per dire, perché è tutto davanti. Chi non capirà avrà altre ragioni, perché la cultura non conta niente, perché è inutile mandare i propri figli a scuola, perché se un chirurgo contasse quanto uno scrittore vi ribellereste ritenendo in pericolo la vostra vita, mentre leggere libri di merda, pensare pensieri di merda, avere idee di merda non fa male a nessuno, almeno così credete. Come se nell’arte non esistesse un’oggettività disarmante. Per cui vi racconto una storia. Una storia privata ma anche pubblica, privata per diventare pubblica perché nessuno scrittore può avere una vita privata.
L’editoria che conta funziona per cooptazione di autori accondiscendenti, è una mafia di salotterie che ammettono soltanto il simile e l’innocuo. Non bisogna temere di usare le parole. È una mafia di mediocrità e di carriere. Lo scrittore è ormai una figura impiegatizia e trattata come tale, costretto al margine di ogni potere, soprattutto del potere della parola. Il nemico non è politico, è editoriale, è la solidarietà del conformismo. Vale per qualsiasi campo, ormai, ma per uno scrittore è peggio.
Elisabetta Sgarbi
Mi ribello a questa corruzione, a questa condizione di irrilevanza. Mi ribello al fatto che se non accetto un tentativo di corruzione intellettuale di Vittorio Sgarbi io debba essere estromesso gelidamente da Bompiani, diretta dalla sorella di Vittorio Sgarbi. “Hai presente il tuo libro su Proust che dovevamo fare insieme? Non si fa più”, fine della discussione, e a fronte di un contratto con un’opzione di dieci anni su tutte le mie opere future. E dovrei abbassare la testa, e dire signorsì, perché così è se vi pare. Invece un cazzo, a me non pare.
Non mi è mai capitato di essere trattato con tanto disprezzo, con tanta supponenza, da quando ho fatto il mio ingresso in Bompiani, da quando la Bompiani ha deciso di pubblicare uno dei miei romanzi più importanti ritenendomi forse addomesticabile, corrompibile, salottizzabile. Elisabetta Sgarbi, in seguito alle proteste di Antonio Scurati, piccolo autore incapace di difendersi da solo ma capace di andare dalla mamma per lamentarsi dei miei interventi, mi ha imposto fin da subito di tacere perché non ero più un “battitore libero” ma un suo autore. Facciamo un “patto fra gentiluomini”, mi disse. Cosa? “Altrimenti sei fuori”.
Eppure ho acconsentito perché la mia opera conta più di me e immensamente più di una mia opinione su Scurati e gli altri oscurati dalla storia futura, che amministrano un potere e il salto nel buio del talento e di una missione letteraria. Così per un anno ho taciuto, non sono intervenuto, ho rifiutato articoli e interventi e recensioni su questo autore che ricorre alla mamma, ma tutto ha un limite. Paradossalmente c’è più democrazia nei giornali che nell’editoria. Lo scrittore ormai è senza alcuna dignità, o fa il servo oppure è ridotto all’emarginazione. Sono scorrettezze che accadono normalmente ma stanno tutti zitti perché hanno paura o perché chissenefrega. Quindi non servirà a niente quello che sto per scrivere, ma resti agli atti, che sia anche questo effrazione alle regole, opera, avanguardia.
Mi hanno messo in un angolo fin da subito, fin da quando Edmondo Berselli, su L’Espresso, scrisse di sua spontanea volontà una recensione di Contronatura per dire che si trovava “finalmente di fronte a un’opera d’arte fondamentale”. Ne rimasi sorpreso anche io perché non conoscevo Berselli e non mi aspettavo niente dalla critica italiana, e anche Wlodek Goldkorn, capocultura dell’Espresso, mi dichiarò la sua sincera stima, al di sopra di ogni sospetto, tenuto conto che collaboro stabilmente su un giornale di altra sponda politica.
Da parte dell’editore è scattato invece un odio in più, un’emarginazione ulteriore, con buona pace di Berselli e altri che erano anzi sorpresi che uscisse un romanzo indiscutibilmente eversivo, fuori dal coro, per mole strutturale, filosofica, per imponenza stilistica e forza artistica. Contronatura è uscito a maggio, ma sono stato tenuto lontano dal salone del libro di Torino, mi sono state fatte saltare deliberatamente molte partecipazioni a trasmissioni televisive da me organizzate, non sono stato chiamato alla Milanesiana della stessa Bompiani, niente mi è stato chiesto per Panta, la rivista letteraria della Bompiani, contesti dove però erano incastonati, tra i Nobel, discorsini sul film della medesima Sgarbi “regista” con scritti di Scurati e di Sgarbi, e non è stato organizzato niente a Mantova, si è fatto finta che non esistessi, né è stato speso un euro di promozione, anzi sono stato esplicitamente, deliberatamente insabbiato, nascosto.
Contesti dentro cui sarei stato intollerabile perché la letteratura è intollerabile, perché avrei detto cose intollerabili. Ne sono rimasti sorpresi in molti, della mia esclusione, critici, giornalisti e lettori, perfino un giovane autore Bompiani, che mi ha chiamato per dirmi “ma hanno capito chi sei?”. Delizioso e ingenuo.
Non sono l’unico, ce ne sono mille altri, ma nessuno protesta perché ognuno si sottopone alle regole del salotto buono, e perché quelli che hanno un’opera da difendere sono molto meno di quelli che puntano a una carriera. È sempre stato così, quindi poco conta. Invece è sempre stato così, quindi conta molto lanciare un sasso contro l’ipocrisia, l’ignoranza e l’abuso. Io sono la mia opera, non posso scindermi, non posso distinguermi, e anche questo fa parte della mia opera, della mia responsabilità civile. Perché su queste logiche e modi di fare si reggono le terze pagine, i premi letterari, le conventicole, i dibattiti culturali.
In Italia l’intellettuale scomodo è quello che ha accettato al massimo di sedersi sul bracciolo del salotto buono, di accamparsi con la tenda nel giardino di corte. A Aldo Busi piacerebbe essere l’Innominabile del suo racconto contro il potere appena uscito sempre da Bompiani, ma il potere non sono Berlusconi o Veltroni, e lui, di cui reputo capolavori molti romanzi, è fin troppo nominato e introdotto per parlare da innominato, i nemici, Aldo, sono quelli che ti invitano a cena, il vicino di poltrona, non c’è bisogno di andare così lontano.
Il culmine, nel mio caso, è stato toccato quando Vittorio Sgarbi, fratello di Elisabetta, mi ha chiesto di firmargli un articolo, scritto da se stesso, dove avrei dovuto sponsorizzarlo per fargli dare un posto al Ministero, da Sandro Bondi. Ritenendomi un suo sottoposto perché sua sorella è il mio editore, adombrando un ricatto se avessi rifiutato. Gli ho detto di no, e sono stato insultato e minacciato, e avrei dovuto tacere, perché certe cose non si dicono, non si fanno.
Invece ho pubblicato i suoi sms di insulti, né più né meno che se fossi stato un imprenditore a cui si chiedesse una tangente, perché sottostare a simili proposte e ricatti per uno scrittore è l’analogo della corruzione in politica. Come risposta indiretta Bompiani ha chiuso i ponti con me, rendendosi prima irreperibile per due mesi, e poi comunicandomi burocraticamente, infidamente, lapidariamente, che il mio saggio su Proust, fino al giorno prima tra i libri da pubblicare, consegnato in casa editrice a dicembre dell’anno scorso, “non avrà spazio presso Bompiani”.
Bene. Ma nessuno della Bompiani disse niente quando un mese prima uscì un’anticipazione su Libero dove se ne annunciava l’uscita, e un’altra, due settimane dopo, sulla rivista Primo Amore di Antonio Moresco. Ancora non avevo rifiutato la marchetta al fratello dell’editore, pur sempre nell’angolo c’era spazio per Proust, subito dopo no.
Io sono l’innominabile di cui parla Busi, che invece è fin troppo nominato. Per esempio sfido chiunque a mettere a confronto, proprio sul piano dell’arte, della rilevanza artistica, un libro di Pulsatilla, un libro di Scurati, un libro di Lucrezia Lerro, su cui l’editore investe in presentazioni, premi e pubblicità, con Contronatura, che per una logica inversa diventa immediatamente un problema per il suo stesso editore, insieme al suo stesso autore.
Sfido chiunque di voi che mandate i vostri figli a scuola a studiare l’importanza della letteratura a negare l’evidenza, perché l’arte è evidente e è la buccia di banana storica su cui scivoleranno i tacchi a spillo della signora Sgarbi e i mocassini tirati a lucido di suo fratello ricattatore.
Sfido chiunque a dire “avresti dovuto soggiacere al ricatto”, e allora se vale per la letteratura vale per tutto il resto, nella pubblica amministrazione, in politica, nella vita. Dovrei essere umile? Dovrei tacere perché così va il mondo? Un cazzo. Confrontare la mia opera con Scurati o Pulsatilla è come confrontare la Recherche con Guido da Verona o Liala. Ma oggi la parola è molle, equivalente. Basti confrontare anche le lettere, non sempre idilliache, che si scambiavano Proust e Céline con Gallimard.
Mai una volta l’editore ha mancato di rispetto ai suoi scrittori non certo facili da gestire, perché ne capiva la grandezza. Qui invece se Berselli scrive “ci troviamo di fronte a un’opera d’arte fondamentale” l’editore si preoccupa di non oscurare gli altri, gli Scurati e gli oscurabili, i vendibili perché venduti. Le lettere ricevute da Elisabetta Sgarbi, a fronte del mio rifiuto di corruzione nei confronti del fratello, ma anche in fase di editing, quando mi sono opposto a qualsiasi intervento normalizzante sul libro, sono sprezzanti e agghiaccianti, e meriterebbero di essere pubblicate, le mie e le sue. Se fossi stato un impiegato qualsiasi avrei ricevuto più delicatezza nel mettermi alla porta, ma essendo ogni scrittore il sindacato di se stesso ho tenuto duro mentre le chiacchiere sul mio “carattere” attraversavano i corridoi di via Mecenate.
È una commistione penosa di scambi di favori e umiliazioni date per scontate, accettate comunemente. Nessuno si accorge, tanto per dirne una, che Antonio Scurati, autore mediocre di cavallo di punta della scuderia Bompiani, riceve ottantamila euro dall’assessore alla cultura di Milano Vittorio Sgarbi, e appena il Comune di Milano licenzia Sgarbi la Bompiani annuncia la pubblicazione di un pamphlet contro la Moratti.
Così anche per me, come per un imprenditore a cui si presenti un deputato per chiedere il suo obolo di tangente, venne il medesimo Sgarbi, il fratello dell’editore e non più assessore, ora ansioso di un posto al Ministero. L’episodio è risibile, nella sua portata, perché io non ho alcun potere politico, e di certo Sandro Bondi non avrebbe dato un posto a Sgarbi perché lo chiedevo io. Il mio rifiuto è stato netto e violento per evidenti ragioni, e dopo due mesi, certo, sono fuori da Bompiani.
Se al mio posto ci fosse stato Céline avrebbe sfondato il portone della Rcs in Via Mecenate con un caterpillar, cosa che minacciava di fare con Gallimard per molto meno. Ricordo che Elisabetta Sgarbi mi ha intimato, insieme al suo compagno Eugenio Lio, prima dell’uscita del libro, che se avessi “sgarrato” sarebbe stata “implacabile”, deve essere un vizio di famiglia. Cosa mi farà mai adesso? Non so, aspetto i bravi di Don Rodrigo sotto il portone di casa. Perché scrivo questo? Tanto Bompiani troverà mille scuse, le scuse del potere.
Lo dico lo stesso perché il mio compito è dire l’indicibile e scrivere quello che non si deve scrivere. Ho fatto della mia opera il mio corpo, e farò del mio corpo la mia opera contro l’ipocrisia e i patti scellerati dell’editoria. È una partita impari, me ne rendo conto, e non come sembra adesso: io ho davanti i millenni, lei, Elisabetta Sgarbi, e suo fratello Vittorio, e gli altri amministratori privati dei salotti pubblici, solo qualche decina d’anni, finché durano gli incarichi e le poltrone su cui siedono la loro arroganza e ignoranza.
Posto la dolorosa lettera di un autore che io amo molto (ma si sa sono ignorante) su di un personaggio che detesto, uno dei personaggi più sopravvalutati del secondo dopoguerra. Non so se ci sia del vero. Conoscendo dall'interno lo squallido mondo dell'editoria italiana (dove devi aspettare un anno per essere pagato), sono propenso a credere che le accuse di Parente siano vere. Se verrà dimostrato il contrario io posterò l'altra campana. Ho dubbi che ciò avvenga.
Lettera dello scrittore Massimiliano Parente a Dagospia
Questo è un atto di denuncia pubblica contro il mio editore, contro un sopruso, contro un’umiliazione e una corruzione a cui non voglio e non posso sottostare. Questo è un atto d’avanguardia, un avvenimento nella palude di bon ton e finte scaramucce dei letterati italiani. Questo è un atto postumo, senza precedenti per uno scrittore vivo. Perché la mafia è molto più vicina di quella di cui parla qualche autore da classifica di vendita. Perché è troppo facile, come fanno molti scrittori oggi, ritenersi indipendenti parlando male di Berlusconi o di Veltroni, lo può fare chiunque e si è sempre al sicuro, quando hanno accettato una prigione ben più meschina.
Io sono uno scrittore, e ci sono cose che “non si fanno” neppure per uno scrittore, questo diranno di me nel paese delle marchette politiche, televisive, salottiere, burocratiche e sì, anche editoriali. Ma uno scrittore è colui che scrive e dice ciò che non si può dire e scrivere, questo è l’impegno, non certo la ribellione politica che si appaia sempre bene con la gastronomia e le buone frequentazioni.
Molti mi daranno del pazzo, ma forse qualcuno, almeno uno, capirà cosa c’è dietro quello che sto per dire, perché è tutto davanti. Chi non capirà avrà altre ragioni, perché la cultura non conta niente, perché è inutile mandare i propri figli a scuola, perché se un chirurgo contasse quanto uno scrittore vi ribellereste ritenendo in pericolo la vostra vita, mentre leggere libri di merda, pensare pensieri di merda, avere idee di merda non fa male a nessuno, almeno così credete. Come se nell’arte non esistesse un’oggettività disarmante. Per cui vi racconto una storia. Una storia privata ma anche pubblica, privata per diventare pubblica perché nessuno scrittore può avere una vita privata.
L’editoria che conta funziona per cooptazione di autori accondiscendenti, è una mafia di salotterie che ammettono soltanto il simile e l’innocuo. Non bisogna temere di usare le parole. È una mafia di mediocrità e di carriere. Lo scrittore è ormai una figura impiegatizia e trattata come tale, costretto al margine di ogni potere, soprattutto del potere della parola. Il nemico non è politico, è editoriale, è la solidarietà del conformismo. Vale per qualsiasi campo, ormai, ma per uno scrittore è peggio.
Elisabetta Sgarbi
Mi ribello a questa corruzione, a questa condizione di irrilevanza. Mi ribello al fatto che se non accetto un tentativo di corruzione intellettuale di Vittorio Sgarbi io debba essere estromesso gelidamente da Bompiani, diretta dalla sorella di Vittorio Sgarbi. “Hai presente il tuo libro su Proust che dovevamo fare insieme? Non si fa più”, fine della discussione, e a fronte di un contratto con un’opzione di dieci anni su tutte le mie opere future. E dovrei abbassare la testa, e dire signorsì, perché così è se vi pare. Invece un cazzo, a me non pare.
Non mi è mai capitato di essere trattato con tanto disprezzo, con tanta supponenza, da quando ho fatto il mio ingresso in Bompiani, da quando la Bompiani ha deciso di pubblicare uno dei miei romanzi più importanti ritenendomi forse addomesticabile, corrompibile, salottizzabile. Elisabetta Sgarbi, in seguito alle proteste di Antonio Scurati, piccolo autore incapace di difendersi da solo ma capace di andare dalla mamma per lamentarsi dei miei interventi, mi ha imposto fin da subito di tacere perché non ero più un “battitore libero” ma un suo autore. Facciamo un “patto fra gentiluomini”, mi disse. Cosa? “Altrimenti sei fuori”.
Eppure ho acconsentito perché la mia opera conta più di me e immensamente più di una mia opinione su Scurati e gli altri oscurati dalla storia futura, che amministrano un potere e il salto nel buio del talento e di una missione letteraria. Così per un anno ho taciuto, non sono intervenuto, ho rifiutato articoli e interventi e recensioni su questo autore che ricorre alla mamma, ma tutto ha un limite. Paradossalmente c’è più democrazia nei giornali che nell’editoria. Lo scrittore ormai è senza alcuna dignità, o fa il servo oppure è ridotto all’emarginazione. Sono scorrettezze che accadono normalmente ma stanno tutti zitti perché hanno paura o perché chissenefrega. Quindi non servirà a niente quello che sto per scrivere, ma resti agli atti, che sia anche questo effrazione alle regole, opera, avanguardia.
Mi hanno messo in un angolo fin da subito, fin da quando Edmondo Berselli, su L’Espresso, scrisse di sua spontanea volontà una recensione di Contronatura per dire che si trovava “finalmente di fronte a un’opera d’arte fondamentale”. Ne rimasi sorpreso anche io perché non conoscevo Berselli e non mi aspettavo niente dalla critica italiana, e anche Wlodek Goldkorn, capocultura dell’Espresso, mi dichiarò la sua sincera stima, al di sopra di ogni sospetto, tenuto conto che collaboro stabilmente su un giornale di altra sponda politica.
Da parte dell’editore è scattato invece un odio in più, un’emarginazione ulteriore, con buona pace di Berselli e altri che erano anzi sorpresi che uscisse un romanzo indiscutibilmente eversivo, fuori dal coro, per mole strutturale, filosofica, per imponenza stilistica e forza artistica. Contronatura è uscito a maggio, ma sono stato tenuto lontano dal salone del libro di Torino, mi sono state fatte saltare deliberatamente molte partecipazioni a trasmissioni televisive da me organizzate, non sono stato chiamato alla Milanesiana della stessa Bompiani, niente mi è stato chiesto per Panta, la rivista letteraria della Bompiani, contesti dove però erano incastonati, tra i Nobel, discorsini sul film della medesima Sgarbi “regista” con scritti di Scurati e di Sgarbi, e non è stato organizzato niente a Mantova, si è fatto finta che non esistessi, né è stato speso un euro di promozione, anzi sono stato esplicitamente, deliberatamente insabbiato, nascosto.
Contesti dentro cui sarei stato intollerabile perché la letteratura è intollerabile, perché avrei detto cose intollerabili. Ne sono rimasti sorpresi in molti, della mia esclusione, critici, giornalisti e lettori, perfino un giovane autore Bompiani, che mi ha chiamato per dirmi “ma hanno capito chi sei?”. Delizioso e ingenuo.
Non sono l’unico, ce ne sono mille altri, ma nessuno protesta perché ognuno si sottopone alle regole del salotto buono, e perché quelli che hanno un’opera da difendere sono molto meno di quelli che puntano a una carriera. È sempre stato così, quindi poco conta. Invece è sempre stato così, quindi conta molto lanciare un sasso contro l’ipocrisia, l’ignoranza e l’abuso. Io sono la mia opera, non posso scindermi, non posso distinguermi, e anche questo fa parte della mia opera, della mia responsabilità civile. Perché su queste logiche e modi di fare si reggono le terze pagine, i premi letterari, le conventicole, i dibattiti culturali.
In Italia l’intellettuale scomodo è quello che ha accettato al massimo di sedersi sul bracciolo del salotto buono, di accamparsi con la tenda nel giardino di corte. A Aldo Busi piacerebbe essere l’Innominabile del suo racconto contro il potere appena uscito sempre da Bompiani, ma il potere non sono Berlusconi o Veltroni, e lui, di cui reputo capolavori molti romanzi, è fin troppo nominato e introdotto per parlare da innominato, i nemici, Aldo, sono quelli che ti invitano a cena, il vicino di poltrona, non c’è bisogno di andare così lontano.
Il culmine, nel mio caso, è stato toccato quando Vittorio Sgarbi, fratello di Elisabetta, mi ha chiesto di firmargli un articolo, scritto da se stesso, dove avrei dovuto sponsorizzarlo per fargli dare un posto al Ministero, da Sandro Bondi. Ritenendomi un suo sottoposto perché sua sorella è il mio editore, adombrando un ricatto se avessi rifiutato. Gli ho detto di no, e sono stato insultato e minacciato, e avrei dovuto tacere, perché certe cose non si dicono, non si fanno.
Invece ho pubblicato i suoi sms di insulti, né più né meno che se fossi stato un imprenditore a cui si chiedesse una tangente, perché sottostare a simili proposte e ricatti per uno scrittore è l’analogo della corruzione in politica. Come risposta indiretta Bompiani ha chiuso i ponti con me, rendendosi prima irreperibile per due mesi, e poi comunicandomi burocraticamente, infidamente, lapidariamente, che il mio saggio su Proust, fino al giorno prima tra i libri da pubblicare, consegnato in casa editrice a dicembre dell’anno scorso, “non avrà spazio presso Bompiani”.
Bene. Ma nessuno della Bompiani disse niente quando un mese prima uscì un’anticipazione su Libero dove se ne annunciava l’uscita, e un’altra, due settimane dopo, sulla rivista Primo Amore di Antonio Moresco. Ancora non avevo rifiutato la marchetta al fratello dell’editore, pur sempre nell’angolo c’era spazio per Proust, subito dopo no.
Io sono l’innominabile di cui parla Busi, che invece è fin troppo nominato. Per esempio sfido chiunque a mettere a confronto, proprio sul piano dell’arte, della rilevanza artistica, un libro di Pulsatilla, un libro di Scurati, un libro di Lucrezia Lerro, su cui l’editore investe in presentazioni, premi e pubblicità, con Contronatura, che per una logica inversa diventa immediatamente un problema per il suo stesso editore, insieme al suo stesso autore.
Sfido chiunque di voi che mandate i vostri figli a scuola a studiare l’importanza della letteratura a negare l’evidenza, perché l’arte è evidente e è la buccia di banana storica su cui scivoleranno i tacchi a spillo della signora Sgarbi e i mocassini tirati a lucido di suo fratello ricattatore.
Sfido chiunque a dire “avresti dovuto soggiacere al ricatto”, e allora se vale per la letteratura vale per tutto il resto, nella pubblica amministrazione, in politica, nella vita. Dovrei essere umile? Dovrei tacere perché così va il mondo? Un cazzo. Confrontare la mia opera con Scurati o Pulsatilla è come confrontare la Recherche con Guido da Verona o Liala. Ma oggi la parola è molle, equivalente. Basti confrontare anche le lettere, non sempre idilliache, che si scambiavano Proust e Céline con Gallimard.
Mai una volta l’editore ha mancato di rispetto ai suoi scrittori non certo facili da gestire, perché ne capiva la grandezza. Qui invece se Berselli scrive “ci troviamo di fronte a un’opera d’arte fondamentale” l’editore si preoccupa di non oscurare gli altri, gli Scurati e gli oscurabili, i vendibili perché venduti. Le lettere ricevute da Elisabetta Sgarbi, a fronte del mio rifiuto di corruzione nei confronti del fratello, ma anche in fase di editing, quando mi sono opposto a qualsiasi intervento normalizzante sul libro, sono sprezzanti e agghiaccianti, e meriterebbero di essere pubblicate, le mie e le sue. Se fossi stato un impiegato qualsiasi avrei ricevuto più delicatezza nel mettermi alla porta, ma essendo ogni scrittore il sindacato di se stesso ho tenuto duro mentre le chiacchiere sul mio “carattere” attraversavano i corridoi di via Mecenate.
È una commistione penosa di scambi di favori e umiliazioni date per scontate, accettate comunemente. Nessuno si accorge, tanto per dirne una, che Antonio Scurati, autore mediocre di cavallo di punta della scuderia Bompiani, riceve ottantamila euro dall’assessore alla cultura di Milano Vittorio Sgarbi, e appena il Comune di Milano licenzia Sgarbi la Bompiani annuncia la pubblicazione di un pamphlet contro la Moratti.
Così anche per me, come per un imprenditore a cui si presenti un deputato per chiedere il suo obolo di tangente, venne il medesimo Sgarbi, il fratello dell’editore e non più assessore, ora ansioso di un posto al Ministero. L’episodio è risibile, nella sua portata, perché io non ho alcun potere politico, e di certo Sandro Bondi non avrebbe dato un posto a Sgarbi perché lo chiedevo io. Il mio rifiuto è stato netto e violento per evidenti ragioni, e dopo due mesi, certo, sono fuori da Bompiani.
Se al mio posto ci fosse stato Céline avrebbe sfondato il portone della Rcs in Via Mecenate con un caterpillar, cosa che minacciava di fare con Gallimard per molto meno. Ricordo che Elisabetta Sgarbi mi ha intimato, insieme al suo compagno Eugenio Lio, prima dell’uscita del libro, che se avessi “sgarrato” sarebbe stata “implacabile”, deve essere un vizio di famiglia. Cosa mi farà mai adesso? Non so, aspetto i bravi di Don Rodrigo sotto il portone di casa. Perché scrivo questo? Tanto Bompiani troverà mille scuse, le scuse del potere.
Lo dico lo stesso perché il mio compito è dire l’indicibile e scrivere quello che non si deve scrivere. Ho fatto della mia opera il mio corpo, e farò del mio corpo la mia opera contro l’ipocrisia e i patti scellerati dell’editoria. È una partita impari, me ne rendo conto, e non come sembra adesso: io ho davanti i millenni, lei, Elisabetta Sgarbi, e suo fratello Vittorio, e gli altri amministratori privati dei salotti pubblici, solo qualche decina d’anni, finché durano gli incarichi e le poltrone su cui siedono la loro arroganza e ignoranza.
domenica, settembre 14, 2008
Un paese per orfani
La gloriosa Maria Stella Gelmini (si può ancora chiamare gloriosa un ministro o si rischia un processo per vilipendio, chessò a Capo di Stato? Perché è una battuta). La vergognosa riforma che non va certo a favore delle famiglie è la dimostrazione di come si possa smontare la scuola pubblica. Scientemente. Se la ministra ha davvero affermato che i bimbi stanno troppo sui banchi di scuola dovrebbe dimettersi. Ovviamente non lo farà. Una persona che se ne esce con queste affermazioni vuol dire che proprio non ha idea. Se i due genitori lavorano, me lo dice questo ministro, con la emme minuscola, chi li tiene i bambini? Lei?
da Repubblica.it
Gelmini: "Troppo tempo sui banchi, l'orario scolastico va ridotto"
di MARIO REGGIO
ROMA - Tempi duri per i più piccoli. E per i loro genitori. Il piano dei tagli alla scuola del ministro Gelmini è pronto. Verrà presentato venerdì 16 settembre ai sindacati della scuola. Tempi duri per chi frequenta le scuole materne ed elementari. Per quella dell'infanzia l'orario verrà ridotto a 24 ore a settimana con una sola maestra.
Oggi le maestre sono due e assicurano 40 ore a settimana. In sostanza, tutti a casa a mezzogiorno e mezzo. Però con le maestre di ruolo in esubero potrà essere esteso il servizio. Stessa musica per le elementari con qualche variazione sullo spartito. Il principio base è: maestro unico e 24 ore a settimana. Ma se le famiglie lo richiedono alla scuola l'orario potrà essere prolungato a 27 o 30 ore, a condizione però che l'organico lo consenta. Peccato che il numero degli insegnanti venga stabilito sull'orario base, cioè 24 ore.
Nello "Schema di piano programmatico del Ministero dell'Istruzione di concerto con il Ministero dell'Economia" c'è di tutto: considerazioni pedagogiche, tabelle, numeri, proiezioni. Il ministro Gelmini insiste: il maestro unico rafforza il rapporto educativo tra docente e alunno e tra maestro e famiglia. "Nell'arco tra i 6 ed i 10 anni si avverte il bisogno di una figura unica di riferimento - si legge nel piano - con cui l'alunno possa avere un rapporto continuo e diretto". C'è però qualcosa che non va: nel decreto approvato dal governo, il maestro unico è previsto solo nelle prime tre classi delle elementari.
"Ci sono molte cose che non si comprendono - commenta il segretario nazionale della Cgil Enrico Panini - nelle tabelle si parla di 10 mila tagli per i maestri, ma si tratta solo del primo anno, nell'arco dei 5 anni diventeranno 50 mila. Poi non è mai citato il tempo pieno. Anche per medie e superiori vengono tagliate le ore, ma quali materie subiranno un ridimensionamento? La Gelmini ce lo faccia sapere".
Cosa succederà alle scuole medie inferiori? Solo nel prossimo anno scolastico, con la riduzione dell'orario settimanale da 32 a 29 ore, secondo il ministero 10.300 insegnanti dovranno fare i bagagli. E che fine farà il potenziamento dell'insegnamento di italiano, matematica e lingua inglese?
A dire il vero, sul tempo prolungato alle medie inferiori qualche problema esiste. Ci sono scuole che fanno un orario di 36 ore a settimana pur non disponendo di servizi e strutture in grado di assicurare le attività alternative nel pomeriggio. Alle superiori, comunque, la mazzata colpirà soprattutto gli istituti tecnici e professionali. Quattro ore in meno a settimana, compresi i laboratori.
Troppe ore di lezione rispetto altri paesi europei, come afferma il ministro? "Fandonie. Esempio di incompetenza o malafede - commenta il professor Benedetto Vertecchi, ordinario di Pedagogia sperimentale a Roma Tre e consulente dell'Ocse - si gioca sul numero di ore di lezione all'anno, mentre negli altri paesi è l'orario scolastico complessivo a valere: cioè le ore pomeridiane di laboratorio di matematica e scienze che da noi non esistono".
Ad uso e consumo dei colleghi stranieri che parlano italiano un breve riassunto sul Ministro Gelmini. Da wikipedia.it
La sua politica ministeriale non sempre è gradita dagli insegnanti, a causa del piano di tagli previsto nella finanziaria per un totale di 150.000 persone tra docenti e personale ausiliario. Si tratta del più grande piano di taglio del personale della scuola italiana di sempre. Altre polemiche sono state suscitate dalle critiche che la Gelmini ha mosso alla qualità scolastica nel Meridione, nonostante lei stessa si sia trasferita in Calabria per ottenere l'abilitazione alla professione di avvocato, ed abbia sostenuto l'esame a Reggio Calabria, ove la percentuale degli ammessi era pari ad oltre il triplo degli ammessi a Brescia.
I tagli sono cominciati a partire dalla scuola elementare mediante la reintroduzione del maestro unico tramite decreto legge. Si parla della perdita di decine di migliaia di posti di lavoro. Si tratta di una riforma della scuola introdotta per decreto legge senza la concertazione con i sindacati, che hanno manifestato la loro netta contrarietà temendo ricadute sul tempo scuola (tempo pieno) e sull'occupazione.Pesanti critiche al suo piano di tagli sono state mosse anche dal Comitato Insegnanti Evangelici Italiani.
sabato, settembre 13, 2008
La Savino si è sposata!
Evviva!
Il Cavaliere maestro di nozze ruba la scena a Miss Montecitorio
di FILIPPO CECCARELLI
da Repubblica.it
Berlusconi e la scorta al matrimonio Un matrimonio resta un matrimonio e con la politica ha poco a che fare. Ma con il potere in certi casi sì, e parecchio. Con tale doverosa premessa ieri pomeriggio a Roma, nella basilica di San Lorenzo in Lucina, si è sposata l'onorevole berlusconiana Elvira Savino. Testimone di nozze il presidente del Consiglio Berlusconi, di così felice e sperimentata attitudine cerimoniale da potersi vantare, all'uscita: "Quando ero in azienda ho fatto il testimone a 110 unioni, tutte dovute a me".
Dunque chiesa sbarrata fino all'ingresso dello sposo, l'imprenditore napoletano Ivan Campilli, doverosamente restio ad apparire in tv: "E' lei che fa politica, io sono solo il postino". Sulla piazza, in attesa del Cavaliere, agenti in borghese, gorilla pelati, ospiti abbronzati, collettoni e basettoni, belle donne arrampicate su tacchi vertiginosi, scollature forse troppo audaci per una cerimonia religiosa, schiene nude, qualche tatuaggio sui polpacci, energia ed allegria, un distillato di berlusconismo southern style, venendo la sposa da Conversano, provincia di Bari.
A 31 anni l'onorevole Savino - e qui comincia a entrarci il potere - è una di quelle vistose e spumeggianti bellezze che da un giorno all'altro, come in una fiaba della post-politica, il futuro presidente del Consiglio ha notato, scelto e fatto eleggere in Parlamento. Così a Montecitorio si è formata ormai una piccola e significativa comunità, non di rado si tratta di parlamentari angustiate dalla necessità di levarsi di torno il prima possibile sospetti, allusioni, maldicenze e quindi assai diligenti, sul lavoro.
Ma i criteri per cui sono state selezionate da un maschio potente, galante, attempato e dopo tutto anche un po' maschilista ne segnano inevitabilmente il profilo, rendendo fragile il loro incedere nei palazzi della politica. Per cui ogni battuta, ogni cena, ogni bigliettino del Capo i giornali le vengono addosso e i fotografi anche di più. C'è pure da dire che spesso sono loro stesse a non tirarsi indietro, si fanno notare, si sentono personaggi, anzi vip, insomma hanno piacere che si parli di loro. Questo è molto umano, ma poi accade che come ieri Dagospia, santuario del gossip, se ne esca con icastiche note tipo: "La topolona è incinta". Testo: "Quando farete gli auguri a Elvira Savino ricordatevi di stare attenti a strapazzarla di baci: aspetta un bebè". (Auguri, doppi).
Di questa leva di deputate ornamentali per investitura regia la Savino, che pure è laureata e ha un master in comunicazione aziendale, è senz'altro la più rimarchevole. Il giorno dell'inaugurazione della legislatura si presentò a Montecitorio con fuseau iper-aderenti e celeberrimi tacchi da 12 centimetri su sandali Ghetta Optical di Gucci. Anche per questo, da allora, nelle redazioni si è conquistata il gioioso e in fondo ammirato appellativo di "Topolona", mutuato dall'efficace spot del Consorzio del Gorgonzola. La diffusione del medesimo in tutte le fasce di ascolto ne attenua l'impatto, ma la Savino ha cercato di ribellarsi al soprannome con una dignitosa lettera. Però dopo pochi giorni era lì a fare interviste sui colleghi belli e simpatici e questa estate si è potuta ammirante in un seducente servizio in costume da bagno, su una ricca imbarcazione.
Ieri ha fatto il suo ingresso fasciata in un abito Versace, a vita alta, stile impero, a occhio. Alle sue spalle, sulla soglia della basilica, una ridda di fotografi - "Ahò, ce lassate lavorà!?" - impediti di entrare per via dell'esclusiva già venduta a un settimanale. Dentro, white carpet e filari di rose e ortensie, pure bianche, che spuntavano da artistici recipienti di porcellana a goccia. C'era un caldo infernale, invano contrastato da uno sventolio incessante di foglietti. Celebrava padre Di Marco, che l'ha presa un po' alla lontana, dall'esperimento del Cern, per poi dire parole di buonsenso ("L'amore è sopportazione"). Marce nuziali varie, due violini, viola, violoncello e organi. Sui banchi appena una spruzzatina di aristocrazia mediatica: la graziosa e brava onorevole Laura Ravetto, che prima di entrare ha posato come un'attrice per gli operatori dell'informazione, poi Melania e Angelo Rizzoli, il giornalista Arditti, Paolo Liguori e l'avvocato Grazia Volo, il ministro La Russa, il play-boy Paolo Pazzaglia con la bellissima Nina. L'altro testimone di nozze, davvero molto felice di stare per un'oretta sia pure silente al fianco di Berlusconi era Paolo Messa, già portavoce dell'Udc e fondatore di una pubblicazione che si chiama, sul serio: Formiche.
Per questo matrimonio, il Cavaliere ha rinunciato a partecipare al raduno di Gubbio - anche se è la terza volta che lì dà buca. Assai probabile che egli preferisca gli sposalizi a Forza Italia, tanto più quando il sistema che ha messo su gli conferisce il rango di acclamatissimo sovrano e di patrono che sceglie, promuove e accompagna le belle suddite all'altare. Ne La società di corte (Il Mulino, 1997) il sociologo Norbert Elias descrive la Francia di Luigi XIV; a distanza di qualche secolo la gloria cortigiana rivive negli eventi che non c'entrano tanto con la politica, ma con il potere sì.
mercoledì, settembre 10, 2008
Il problema italiano
Quando si è malati il primo passo verso la guarigione e l'essere consapevoli che qualcosa non va. Quando non si hanno soldi non si fanno altri debiti. Sono regole semplici, che in Italia non vengono minimamente considerate. Il Paese è fermo. In recessione e gli italiani che non arrivano più alla fine del mese non criticano, anzi amano le stupidaggini dei politici che raccontano che il Paese si risolleverà. Che tutto andrà bene. Berlusconi è solo una voce fra le tante. Per questo l'Italia non si risolleverà mai. È disperante osservarlo da fuori. Osservare una nazione che va verso il baratro allegramente, o serenamente, come direbbe il leader di una certa coalizione politica. "Continuiamo così, facciamoci del male", direbbe un certo regista.....
Istat, Pil -0,1% sull'anno il dato peggiore dal 2003. Ma per Berlusconi nel Paese c'è "benessere".
ROMA - Consumi in calo. Famiglie sempre più in difficoltà. E l'Istat rivede al ribasso il dato relativo alla crescita tendenziale del pil nel secondo trimestre: da 0 a -0,1%. Confermato, invece, il calo congiunturale del pil: -0,3%. La frenata rilevata su base annua è la peggiore dal terzo trimestre del 2003. Ma per il premier Silvio Berlusconi le cose vanno bene: "Credo di essere presidente del Consiglio di un Paese molto solido con un alto livello di vita e di benessere".
Eppure la Commissione europea parla di "stagnazione" dell'economia italiana e taglia le previsioni di crescita per il 2008, indicando per il nostro Paese "solo uno 0,1%", contro "la già debole crescita" dello 0,5% stimata nello scorso aprile. "Questo magro risultato - sottolinea l'esecutivo Ue - "implica che non c'è alcun impulso di crescita per il 2009". Infine, secondo Eurostat, l'inflazione toccherà in Italia quota 3,7% a fine anno.
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