sabato, maggio 30, 2009

Il conformista

Frasi

(L'intelligenza del titolista nell'epoca della sua riproducibilità tecnica) "roma, è allarme caldo. Gli esperti consigliano di bere molto e di non uscire di casa nelle ore più calde"
Andrea Rustichelli

Il milione e mezzo di euro



stralcio dal corriere.it

Diritto alla privacy una cippa...

La stessa cifra che sarebbe stata negoziata anche con il settimanale della Rusconi Gente. A questo punto il reporter racconta di essere stato chia mato da Amadori e da Miti Si monetto. È la curatrice del l’immagine della famiglia Ber lusconi. Proprio lei, nel 2006, fu contattata da Fabrizio Coro na per la vendita di alcune fo to che ritraevano la figlia del premier Barbara all’uscita di una discoteca milanese insie me ad un ragazzo. «Mi disse ro di interrompere le altre trattative», dice. Le immagini cominciano a circolare nelle redazioni dei giornali. I collaboratori di Zappadu sostengono di aver ricevuto offerte da tabloid in glesi, si parla anche di perio dici francesi che potrebbe ro essere inte ressati. Alcu ne ritraggono l’arrivo di Sil vio Berlusconi in un aeropor to — che presumibilmente è quello di Olbia — a bordo del l’aereo di Stato.

Con lui c’è il fedele Mariano Apicella, ri tratto mentre scende dalla scaletta del velivolo dell’Aero nautica Militare con le inse gne della «Repubblica italia na » ben visibili. Il cantante napoletano che alla feste del premier è una presenza fissa ha gli occhiali scuri, il volto sorridente proprio come Ber lusconi. In un’altra immagine l’ex posteggiatore è ritratto mentre carica i bagagli su una delle auto del corteo pre sidenziale. Dovrebbe trattarsi di un periodo estivo: le perso ne sono ritratte con abiti leg geri, si vede una donna di spalle che indossa sandali in fradito. Poi ci sono le foto dei giar dini di Villa Certosa con ragaz ze in bikini o in topless, altre sotto le docce all’aperto, altre vestite accanto a Berlusconi nel patio delle residenze desti nate agli ospiti. Lo stesso Ber lusconi spiega nel suo ricorso che alcune foto fatte circolare con i volti 'oscurati', «verosi­milmente ritraggono nel mag gio del 2008 la delegazione ce ca oltre a una serie di soggetti che erano stati ufficialmente convocati per le serate di in trattenimento offerte a Topo lanek ».

Il premier affronta poi il capitolo che riguarda le ultime vacanze natalizie: «Si tratta di soggetti ripresi in momenti di assoluta intimità del tutto leciti e senza alcun particola re rilievo o connotazione, ad dirittura mentre si trovavano all’interno delle abitazioni po ste a loro disposizione e ritrat te mediante potenti e intrusi vi mezzi di riproduzioni delle immagini». Una tesi che Zappadu con testa nella relazione inviata al Garante, ventilando l’ipotesi che in giro possano anche es serci altre immagini. «Nella mia disponibilità — scrive in fatti il fotografo — ci sono fo­tografie riprese lecitamente, in diverse circostanze di tem po e luogo, nello svolgimen to della professione giornali stica. Non ho ricevuto e visio nato le fotografie alle quali il dottor Berlusconi può fare ri ferimento, che possono an che essere estranee a quelle nella mia disponibilità. Quin di mi riservo ogni valutazio ne sulla paternità, luogo, tem po, tecniche e modalità di ac quisizione delle immagini co nosciute dall’onorevole Berlu sconi una volta avuta contez za delle medesime immagi ni ».

Fiorenza Sarzanini

Per completezza:

Una donna di nome Miti cura l'immagine di Silvio
SCRITTO DA MICAELA DE MEDICI
Di lei non si trovano fotografie su internet. I giornali la citano. I bene informati sanno chi è. Ma lei resta nell’ombra. A lavorare dietro le quinte. Miti Simonetto segue Silvio Berlusconi dal 1991. È l’esperta che cura l’immagine del Cavaliere e della sua famiglia. Quella che gli suggerisce il look più adatto, il modo più accattivante per conquistare la gente.

Catenaccio




L'avvocato Niccolò Ghedini (per inciso a mio parere vero ministro della Giustizia) non trova nulla di strano nell'essere parlamentare (ergo pagato da tutti) e avvocato difensore del Premier (ergo a favore di uno solo). È un tipico del chiagn'e fotte. Ottimo professionista, ma spesso sin tropo zelante. Capisco che debba tutto a Berlusconi e se si comporta così è perché glielo lasciano fare. Quello che fa sorridere è che nessuno (soprattutto in tv) è in grado di spiegare le contraddizioni della sua difesa a oltranza. Un'incapacità provocata a volte dalla piaggeria a volte da manifesta incompetenza (perché oggi in Italia un po' troppi incapaci scrivono sui giornali). Ecco la difesa del premier a riguardo della inverosimile festa di capodanno alla Hugh Hefner con decine di sgallettate in Sardegna (una tendenza, questa del premier, che B si porta dietro da anni come ha affermato la stessa Cicciolina che non ha mai voluto commentare cosa avesse fatto, tanti anni fa, in una vacanza col premier)

Prego leggere con attenzione:

La Procura di Roma ha disposto il sequestro di centinaia di foto scattate lo scorso Capodanno a Villa Certosa, in Sardegna, durante la festa organizzata da Silvio Berlusconi, alla quale avrebbero partecipato decine di ragazze tra cui Noemi Letizia. La decisione della Procura "fa seguito ad una esplicita richiesta che noi avevamo avanzato - dice il parlamentare del Pdl e legale di Berlusconi, Niccolò Ghedini - e dovrebbe chiudere la vicenda. (QUINDI SAREBBE STATO CHIESTO DAL PDL CIOè DA SILVIO B)

poi però...

"Quanto alle foto, il sequestro è stato ordinato dal procuratore Giovanni Ferrara e dal pm Simona Maisto che hanno iscritto sul registro degli indagati, per violazione della privacy e tentata truffa, il fotografo Antonello Zappadu, autore delle foto e di un altro servizio relativo anche alla festa di Capodanno del 2008. Secondo quanto si è appreso, a denunciare Zappadu è stato Ghedini"

Cioè Ghedini prima denuncia il fotografo (che fa quello che i giornali di Berlusconi sanno fare meglio, gossip), e poi dice che la richiesta era stata avanzata da lui.

Altra infamia, per me che sono giornalista e che sul mercato ci sto per davvero.

"All'attenzione dei magistrati, una mail nella quale Zappadu, proponendo l'acquisto delle foto a Panorama per un milione e mezzo di euro, avrebbe spiegato al settimanale che c'era un'altra proposta di acquistare il servizio da parte del settimanale Gente, circostanza falsa secondo i primi accertamenti e che motiva l'accusa di tentata truffa".

Tutti, ma proprio tutti i freelance cercano di farsi belli davanti agli editori e una storia come questa (un vecchio di 72 ani, primo ministro e con il giardino pieno di sgallettate) sarebbe stata acquistata dappertutto. Chi dice no, mente. Chi non l'ha pubblicata nn l'ha fatto per rispetto della privacy del premier. Lo ha fatto per vigliaccheria. Il resto è fuffa.

Sbando



Visto che i creativi di questo messaggio hanno l'aria di voler essere giovani, io posso dire che questa pubblicità è merda. Così com'è un imbecille chi ha dato il permesso di affiggerla. Anche per queste cose ci ridono dietro in tutto il mondo.

venerdì, maggio 29, 2009

Peter Pan juega en el Barça



Fuente: el Pais
Peter Pan en el olimpo del fútbol
JOHN CARLIN 24/05/2009

Humilde, tímido, menudo. Leo Messi reserva toda su expresividad para el campo. Y ésa puede ser la clave que le aúpe a lo más alto. Es el nuevo genio del fútbol mundial. El ‘crack’ de un equipo, el Barça, que este miércoles, ante el Manchester United, puede redondear una temporada histórica.

Leo Messi nació en Rosario, Argentina, hace casi 22 años, era muy chiquito de pequeño, pero marcaba 100 goles por temporada, hoy es el jugador determinante del Barça y de su selección, marca goles que pasarán a la historia, juega con la pelota pegada a los pies...

Sigue jugando como si fuera un niño, como si no fuera consciente del fenómeno

“No me iría de acá, de Barcelona, ni a Madrid ni a ningún otro lado”

“Me gusta jugar, me gusta entrenar… pero mirar el fútbol, no. No soy de mirar”

“Es la imagen del fútbol, su esencia”, dice su amigo el fisioterapeuta Juanjo Brau

“Cada era tiene su super-estrella, y Messi puede ser la siguiente”, dice Valdano

“Hace cosas que nadie ha hecho nunca... es el nuevo Maradona”, dice Eto’o

No, eso ya lo sabemos todos (al que no lo sepa se le podría preguntar, como dijo el locutor de radio cuando Diego Maradona marcó el mejor gol de la historia contra Inglaterra en el Mundial de 1986: "¿De qué planeta viniste?"). Empecemos otra vez.

He entrevistado a Messi en dos ocasiones, la última para EL PAÍS hace un mes, y si se me ofreciera una tercera posibilidad de hacerlo, respondería cortésmente que no; no, gracias. Algún intercambio después de un partido, tal vez, pero tiene poco sentido para un periodista sentarse a hablar con él y exigirle perlas de autorreflexión. O tan poco sentido, digamos, como haberle pedido a Luciano Pavarotti que nos mostrase lo que era capaz de hacer vistiendo pantalón corto en el Camp Nou. Entre amigos quizá se lo pasaba bien Pavarotti con un balón; del mismo modo que, con sus íntimos, puede que Messi se suelte en conversación (aunque tampoco tanto, porque la palabra tímido es la que repiten con más frecuencia todos los que le conocen cuando hablan de él). Pero juzgar a Pavarotti en base a su actuación en un campo de fútbol, o a Messi en función de cómo habla en público, es tan absurdo como injusto. Como lo es sacar la conclusión, no infrecuente, de que Messi no es una persona inteligente.

Messi es mucho más que una persona inteligente. Es un genio que reserva toda su expresividad para el campo de fútbol. Y para ser genio se requiere, en el ámbito que sea (ópera, violín, ballet, natación, tenis, libros), una capacidad cerebral singular. Con la diferencia de que tiene más mérito ser el mejor jugador de fútbol del planeta que ser el mejor en cualquier otra cosa. Por la sencilla razón de que hay más competencia. Habrá decenas de miles de personas que desean ser grandes cantantes de ópera o tocar magistralmente el violín o ser primeras bailarinas o bailarines; habrá cientos de miles que aspiran a jugar al tenis como Rafa Nadal o nadar como Michael Phelps o escribir como García Márquez. Pero cientos de millones de soñadores, de niños, e incluso adultos, que aspiran a ser el más grande, sólo hay en una disciplina, el fútbol.

La vida profesional de un futbolista es trágicamente corta. Pero cuánta gente habrá que lo cambiaría todo por ser no sólo el que muchos consideran el futbolista más talentoso y eficaz de la tierra, sino el que medio mundo pagaría (y paga) por ver jugar. Porque el placer de presenciar las maravillas que Messi es capaz de hacer con un balón -esos toquecitos eléctricos que le da con la punta del pie, esos movimientos como de ardilla, que se frena en seco, y sale disparado, y se vuelve a frenar- es algo único, sólo suyo, que, para gran parte de la humanidad, no tiene precio.

Lo dicen los aficionados de a pie en todo el mundo. Y lo dicen los profesionales del deporte. Acabo de estar un par de semanas en Suráfrica, sede del Mundial de 2010, hablando con la gente de fútbol, y cada vez que les pedía su opinión de Messi, no importaba que fuesen políticos o barrenderos o jugadores, los ojos se les ponían como platos. Cuando le pregunté a un delantero del equipo profesional Amazulu qué pensaba de Messi, se infló los cachetes y soltó un largo "¡uuuuffff!". Los compañeros de equipo de Messi en el Barcelona, el mejor Barcelona de todos los tiempos, según Juande Ramos, entrenador del Real Madrid, responden de manera similar. Samuel Eto'o dice que ver a Messi en el campo es como ver "dibujos animados". Thierry Henry confiesa que con Messi en el campo corre el peligro de convertirse en un mero espectador: "Lo que él hace es increíble y debo tener cuidado de no quedarme mirando sus movimientos". Gabriel Milito, que también juega con Messi en la selección argentina, dijo hace un par de años en una entrevista con EL PAÍS: "A cada partido te preguntas: '¿Cómo lo ha hecho?' Llegas al partido pensando: '¿Qué hará Messi?'. Le conocí en Argentina. En el primer entrenamiento con la selección supe que era diferente a todos. He jugado con enormes futbolistas, pero ninguno como Leo".

En cuanto a opiniones fuera de su entorno profesional, destaca una de Fabio Capello, seleccionador inglés y ex entrenador del Real Madrid. Comparándolo en abril con Cristiano Ronaldo, del Manchester United, con el que se retará en un duelo en la final de la Liga de Campeones este miércoles, Capello afirmó en abril que aunque el portugués del Manchester United jugaba a "un altísimo nivel", el "genial" era Messi. Otros madridistas tampoco se cortan. Arjen Robben, el extremo holandés con el que algunos fanáticos del Bernabéu le llegaron a comparar, ha dicho de Messi: "Para mí es de otro planeta. Es el mejor, diferente al resto". Alfredo di Stéfano, otro genio argentino, declaró a finales del año pasado que Messi era "el número uno porque juega y hace jugar; crea y finaliza". "Ojalá", agregó, "lo tuviera el Madrid". Lo mismo piensa, no lo duden, Florentino Pérez, que por una vez parece estar condenado a seguir soñando.

Una de las cosas que quedaron claras en la entrevista que le hice para este periódico el mes pasado fue que no había tenido ningún contacto con Pérez y que no pensaba jamás traicionar al Barcelona como lo hizo en su día Luis Figo. "No me iría de acá, de Barcelona, ni a Madrid ni a ningún otro lado," declaró.

En el campo, Messi es un derroche de talento, energía y claridad. Pero cara a cara con un periodista, todas sus respuestas son cortas e imprecisas. No se extiende nunca. Es famosísimo y admirado por mucha más gente de la que él se puede imaginar, pero emite una extraña inocencia, como si no acabara de entender por qué alguien querría entrevistarle. Humilde y respetuoso siempre, responde lo mínimo necesario para no ser descortés. Poco más. ¿Qué le parece aquello que ha dicho Di Stéfano de usted, que es grande porque crea y finaliza? "Sí, todo es lindo, ¿no?," contesta, sin sonreír. "Sobre todo cuando viene de gente tan ilustre". ¿Ha tenido compañeros en el Barcelona que le han ayudado a mejorar como jugador? "No, la verdad es que no. Mi juego siempre es el mismo". ¿Hay algún jugador que admira fuera del Barcelona o de la selección argentina? "No. Qué se yo... La verdad es que no". ¿Algún otro deporte que le podría interesar? "Me gusta mirar tenis, basket..., pero tampoco lo sigo tanto...". ¿Y cuando no juega al fútbol, qué le gusta hacer? "Y... Estar con la familia".

Si Messi consideró que las preguntas fueron banales (muy posible) o repetitivas (también, posible), no lo delató. Ni altivo ni desdeñoso, como lo pueden ser otros famosos del fútbol, lo que llamó la atención fue su sencillez, la ausencia de pretensión de ningún tipo. No luce tatuajes visibles, ni pendientes, ni ropa de moda (vestía vaquero y camiseta blanca), ni nada que haría que en la calle se le mirara dos veces. No podría ser más diferente a David Beckham, o incluso a su único rival para el título de mejor del mundo, Cristiano Ronaldo, que juega al fútbol como si las luces del escenario brillasen únicamente para él. Después de marcar un golazo de casi 40 metros, el mes pasado, contra el Oporto en cuartos de final de la Liga de Campeones, Ronaldo declaró: "Es el mejor gol de mi vida. Fue un disparo fantástico y me muero de ganas de verlo otra vez en DVD".

Messi no ve sus goles después de un partido. Ése fue el dato más revelador que salió de nuestra entrevista.

¿Ve mucho fútbol en televisión?, le pregunté. "No. No miro fútbol," contestó. ¿Ni sus propios goles? "No. No. Tampoco". ¿Ni partidos de equipos a los que se va a enfrentar, como los ingleses en la Champions? "Me gusta, obviamente, entrenar, jugar..., pero mirarlo, la verdad que no. No soy de mirar".

He aquí una pista para descifrar el particular genio de Leo Messi. No mira; actúa. Cuando no participa en el juego, cuando observa, vive callado en la sombra. Cuando tiene un balón a sus pies, canta, brilla como el sol. No hay más que leer la biografía escrita por el periodista italiano Luca Caioli, Messi: el niño que no podía crecer, o ver el documental que hizo Informe Robinson, en Canal Plus, sobre su infancia en Rosario, ciudad industrial a 300 kilómetros de Buenos Aires, y su llegada al Barcelona, club en el que aterrizó con 13 años, para constatar que, lazos familiares aparte, Messi vive y siempre ha vivido única y exclusivamente para jugar al fútbol.

Lo familiares, los amigos, las profesoras, los entrenadores que tenía cuando era pequeño, todos ofrecen variaciones sobre el mismo tema: "Cuando jugaba al fútbol, ya fuera en un campo o en la calle, se transformaba"; "era impresionante porque lo hablábamos y decíamos: 'Mirá al Leo, siempre con una pelota en la mano"; "era un nene tranquilo, era tímido, como se ve ahora... con la pelota se transformaba, era otra persona, era asombroso ver el cambio que producía"; "él brillaba, brillaba cuando jugaban en los recreos".

Y hoy sigue jugando como si fuera un niño, como si no fuera consciente de los millones que siguen por televisión cada paso que da en el campo. Como si el largo recorrido, los sacrificios que ha hecho y la valentía que ha demostrado para llegar a donde ha llegado, a la cima de una gigantesca montaña llena de alpinistas que ha dejado por el camino, no hubieran dejado huella.

A diferencia de su abuela, que sí la dejó. Messi se pasó la mayor parte de sus primeros cuatro años de vida dando puntapiés a un balón hasta que un día la abuela, como recordó en nuestra entrevista (siempre recuerda a su abuela, muy futbolera ella, fan de Maradona), lo introdujo en el deporte de su vida al insistir en que lo dejaran jugar en un equipo infantil de Rosario cuyos jugadores tenían dos años más que él. Él siempre fue muy pequeño para su edad, algo que se hacía aún más evidente en aquella primera liguilla en la que jugó, pero se convirtió instantáneamente en el crack de su equipo, llamado Grandoli. Las patadas eran la única forma de pararle ("pero sin maldad, eran chicos", me dijo en la entrevista con un exceso de generosidad), pero él nunca se arrugaba. Como hoy en el Barcelona, cuanto más le pegaban, más lo volvía a intentar.

De Grandoli se fue al gran equipo profesional rosarino, Newell's Old Boys, y fue allí donde durante cinco años marcó una media de 100 goles por temporada. Y eso que seguía siendo muy pequeñito. Un médico le diagnosticó un problema de insuficiencia hormonal que le impedía crecer con la naturalidad debida. Le recetó una inyección diaria en la pierna, pero el tratamiento era muy caro. Ni la asistencia social ni su club podían abordar el coste indefinidamente, lo que persuadió a su padre, Jorge, a volar con él a Barcelona en septiembre de 2000 a ver si el club catalán le contrataba y le pagaba las inyecciones.

Tenía 13 años cuando se puso a prueba en el Barça. Carles Rexach, el ex jugador y entrenador del primer equipo, fue el encargado de decidir su destino. Tardó siete minutos en hacerlo, mientras daba la vuelta a un campo de césped artificial en el que estaba jugando el pequeño Leo. Era el martes 3 de octubre de 2000, a las cinco de la tarde, en un partido en el que, por enésima vez, Messi se enfrentaba a jugadores más grandes que él. "¿Quién es ése?", preguntó Rexach, al llegar al final de su recorrido. "Messi", le dijeron. "Collons, l'hem de fitxar ara mateix", respondió Rexach, según él mismo ha recordado. Alguna persona del entorno le comentó que quizá era demasiado pequeño, como de futbolín, a lo que Rexach (que aquel día ganó la lotería para el club que le paga el sueldo) contestó: "Pues tráeme a todos los jugadores de futbolín porque los quiero en mi equipo".

Jorge Messi trabajaba de jefe de sección en una siderúrgica en Rosario, pero entonces se trasladó a Barcelona a ligar su futuro y el del resto de la familia -eran tres hermanos- al porvenir de su hijo menor, el más silencioso, el más brillante. Su madre, Celia, se quedó en Rosario. Leo tuvo que ir a un colegio nuevo en una ciudad extraña donde muchas veces la gente hablaba un idioma que él desconocía. Pasados unos meses, los padres le dieron la opción de volver a casa, donde podrían reunificar la familia dividida, pero él, con sus 13 años, no lo dudó: se quedaría y triunfaría en Barcelona. Quizá parte de esa fuerza y confianza que demostró es atribuible, precisamente, a su familia, que todo el mundo que ha tratado con ella, sean periodistas o gente del Barça, define como sana, unida y cariñosa, con los pies firmemente en la tierra.

Una de las personas que más trato cercano ha tenido con Messi, tanto en lo futbolístico como en lo personal, es Juanjo Brau, fisioterapeuta y recuperador empleado por el Barcelona. Brau, que le conoce desde que llegó a España, es el puente entre el Barça y la familia Messi. A petición expresa de Messi y su familia, acompaña al jugador a donde vaya, cuando se tuvo que recuperar de una lesión durante un mes la temporada pasada en Rosario, e incluso ahora, cuando viaja a Argentina o a Bolivia con su selección. A lo largo de una entrevista de una hora reflexiona sobre Messi como el propio Messi lo haría si tuviera el don, o el interés. Brau tiene el personaje absolutamente interiorizado y le tiene tanto afecto como si fuera un primo favorito. Como todos los que le conocen, Brau constata que Messi es introvertido, pero que se hace querer.

"Sólo por lo chiquito, cuando llegó, le cogías cariño. Se daba a la gente, siempre con una sonrisa tímida en la boca. Y a la vez es muy cercano al pueblo, al contrario que una estrella de cine. Lo sigue siendo hoy. Es el icono del fútbol mundial ahora, así lo veo. Leo Messi es la imagen del fútbol, su esencia. Hace cosas inalcanzables para otros futbolistas, pero permanece humilde, familiar. La fama no le ha cambiado en nada como persona. Su centro es su familia, que siempre está con él, entre Rosario y Barcelona. Es tan cariñoso como siempre, con los mismos amigos de antes. Él no olvida a la gente que estuvo con él, y no le gustan los privilegios. Prefiere andar con la gente en la calle que rodeado de seguridad. Y no esquiva. Siempre se para para la foto, el autógrafo".

Brau dice que él ha sido muy bien recibido no sólo por la familia Messi, donde ya parece ser casi uno más, sino incluso por el entorno de la selección argentina, por el propio Maradona, el actual seleccionador. Como si supieran que su presencia le da serenidad. "Le miro a los ojos por la mañana y sé cómo está. No tiene que hablar," dice Brau, que revela lo que puede ser la clave de ganar la confianza de Messi cuando dice: "Le sé respetar su espacio y su silencio".

Dentro de su espacio y su silencio ya ha hecho historia. Impresionó a sus compañeros en los equipos inferiores, entre ellos al centrocampista Cesc Fábregas, hoy del Arsenal, y, como repiten un testigo tras otro, ganaba partidos solo. "Era, con diferencia, el mejor," dice Brau. "Hacía lo mismo con el balón que ahora, aunque el balón le quedaba enorme. Había una gran desproporción. Pero pensaba y ejecutaba con una velocidad tal, que aunque el rival supiera lo que le iba a hacer, no le podía parar".

Por eso siempre lo ponían de titular cuando había que jugar un partido decisivo, aunque tuviera que jugar dos partidos en dos días. "Ya con 15 años había mucho peso sobre él. Lo sabía. Sabía que era líder, y maduró así, porque, siendo el Barça, tenía que ganar. Tuvo mucha presión de joven. De ahí sale su carácter competitivo".

Y el desparpajo necesario para debutar en el primer equipo contra el Oporto a los 16 años. Luego ganó el Mundial sub 20 con Argentina, siendo elegido el mejor jugador del torneo. Y con 17 años se consagró, o, como él me dijo en un atípico flash de orgullo, "se me conoció", en un amistoso de pretemporada en 2005 en el Camp Nou contra la Juventus, cuyo entrenador entonces, Fabio Capello, respondió a su estelar actuación preguntando: "¿Quién es ese diavolo?".

El diavolo, según lo ve Brau, es un talento innato. "No se puede entender. El balón es la continuidad de su cuerpo. Fue Carlos Bilardo [seleccionador argentino en tiempos de Maradona] el que dijo que si le hiciéramos una radiografía veríamos un objeto redondo, un balón, pegado al pie".

Lo cierto es que sin el balón Messi se siente menos, como si le cortaran el acceso a un órgano vital. "Si a Leo le quieres hacer feliz", explica Brau, "dale un balón. Cuando hago trabajo de readaptación, traigo un balón, porque sin el balón no es completo. El balón es su mejor amigo en el fútbol. Él es feliz cuando juega. Si no juega una noche, todo el día está nervioso. No es un buen día para él, sea por lesión, o por tarjetas, o por decisión del técnico. Para ser feliz tiene que hacer esto. Su vida se reduce a esto. Dentro de la grandeza es muy simple".

Messi y el balón son como el pez y el agua. El grado de interdependencia entre una cosa y la otra se demostró en una anécdota contada por otra persona del entorno del Barça. Durante una gira por Asia en 2005, Messi, recién llegado al primer equipo, tuvo que pasarse todo un partido en el banquillo. Enfrente había un pequeño muro, al nivel de sus rodillas. Se pasó el partido entero chutando un balón de manera hipnótica contra el murito, un toque tras otro, sin parar. "Estaba como fuera de sí", recuerda la persona que lo presenció, "como si el balón fuera una especie de droga".

O un objeto de amor. Cuando le pregunté en una entrevista que le hice en 2007 si, como decían los brasileños, acariciaba al balón como si fuera una mujer, se sonrojó. Pero no lo negó. Aquel año, tras ganar la Liga española y la de Campeones en 2006 (aunque no jugó los últimos partidos por lesión), el mundo futbolero se enamoró definitivamente de él. Tres goles que marcó aquel año en el espacio de tres meses hicieron saltar al diavolo a las alturas del Olimpo.

El primero, memorable tanto por las circunstancias del partido como por la ejecución, fue en marzo de 2007, en el superclásico de la Liga española, Barcelona contra Real Madrid. Era el último minuto del partido. El Barça, que jugaba con diez hombres tras una expulsión, perdía 2 a 3. Messi recibió el balón en el semicírculo al borde del área. No había posibilidad de nada. Toda la defensa (y todo el ataque) del Madrid estaba atrás; su único objetivo, evitar el gol del empate. Messi giró a la izquierda, hizo un regate relámpago que dejó a dos jugadores madridistas tumbados, y entró en el área. Todavía tenía a Sergio Ramos, el mejor defensa del Madrid, e Iker Casillas, el mejor portero del mundo, por delante. Superó a Ramos y colocó la pelota en la esquina de la portería, pegada al poste, dejando a Casillas sin posibilidad de alcanzarla. Todo ocurrió en un parpadeo: el gol del empate, el tercer gol de Messi en un 3-3 que aquella noche definió al argentino para los cientos de millones que siguieron el partido en televisión como uno de los grandes.

La segunda obra de arte, el mes siguiente, fue su célebre gol contra el Getafe en la Copa española; el que imitó, casi paso por paso, al que muchos consideran el gol más grande de todos los tiempos, el extraplanetario de Maradona contra Inglaterra en el Mundial de México de 1986. Recibió el balón en la banda izquierda sobre la línea central y se regateó a toda la defensa rival. La diferencia con el gol de Maradona fue que además se regateó al portero. Otro gol que dio la vuelta al planeta. Veinte veces.

El tercero, de menos repercusión, pero igual de extraordinario, fue el que marcó en junio de 2007 contra México para la selección argentina en la Copa América. Sólo necesitó dos toques. El primero, un control a la carrera en el pico izquierdo del área mexicana; el segundo, todavía a la carrera, una vaselina sublime. Todo el estadio se esperaba o un tiro raso o un pase al centro del área, donde había un delantero listo para disparar. Messi, en cambio, dio un toquecito con la punta de la bota izquierda que alzó la pelota en un arco perfecto, imparable, geométricamente impecable, rozando el larguero. Lo dijo el comentarista inglés de Sky Television: "That is perfection!" (¡Ésa es la perfección!). Lo fue. La conexión entre el cerebro de Messi y el pie en el instante en el que las piernas alcanzaban su máxima velocidad fueron un himno a la maravillosa complejidad de la biología humana.

Pasa el tiempo y marca, sucesivamente, más goles y da más asistencias de gol. Esta temporada ha rozado los 40 goles, ocho de ellos en la Liga de Campeones, competición en la que ha sido el principal anotador. Dentro de España, y en Argentina, nadie duda de que es el mejor del mundo. Fuera, hay los que creen que tiene un rival, Cristiano Ronaldo. Pero más y más la pregunta que se hace es si el Messias acabará superando a jugadores como Zidane, Ronaldo (el brasileño) o Ronaldinho (cuando todavía era un profesional de verdad) y se colocará en el podio de los eternos, con Maradona y Pelé.

Maradona mismo ha demostrado cierta ambigüedad al respecto, acusándole el año pasado de ser un chupón. Últimamente se ha corregido, como reconociendo que su éxito como seleccionador dependerá de Messi como jugador. Declaró hace poco: "Ojalá Messi me supere". Más revelador fue lo que dijo en el vestuario, según alguien que estuvo ahí, tras finalizar un partido contra Francia en París, en febrero, en el que Messi marcó el golazo de la victoria. Maradona giró hacia un amigo y le dijo, entre resignado y admirado: "A ver si es verdad que será mejor que yo...".

Jorge Valdano, que ganó la Copa del Mundo con Maradona, por cuyas dotes futbolísticas siempre ha expresado veneración, no dice que será mejor que su ídolo, pero sí cree que puede llegar a la misma altura. "En Argentina, cuando eras un jugador rápido, decían que tenías un cohete en el culo; Messi lo tiene en la mente también", dice. "Tiene velocidad mental, física y técnica: tres argumentos demoledores en el campo". Tres defensas es lo que suelen poner los entrenadores rivales para frenarle. Uno sólo no tiene nada que hacer. "Hace el regate al mismo pie del adversario", dice Valdano, "pero siempre tiene el pie más rápido, y la mente también. Y lo hace mirando al horizonte, no mirando la pelota y al rival. Mientras regatea sabe exactamente dónde está la portería, los adversarios, los compañeros".

A la pregunta de si se podía hablar de Messi en los mismos términos que Maradona o Pelé, Valdano dudó un segundo, respiró hondo, y dijo: "Por mí, sí. Éste es un proyecto de esa magnitud. Messi es más maduro que Maradona a los 21 años, la edad en la que Maradona jugó en el Mundial de España y fracasó. Luego Maradona construyó una historia en los siguientes diez años. Y no nos olvidemos que Maradona nunca jugó en un equipo tan grande como ese Barça. En ese sentido es más como Pelé, que jugó en aquel equipo de Brasil de 1970".

Valdano no es la única figura del fútbol que compara a Messi con Maradona. También lo hace Capello, cuya primera impresión del joven argentino ha evolucionado in crescendo durante los últimos cuatro años al punto de que en marzo de este año declaró: "Cada era tiene su superestrella, como Pelé o Maradona, y Messi puede ser la superestrella de la siguiente década".

Los compañeros de equipo de Messi tampoco se cortan. El camerunés Samuel Eto'o dice que "hace cosas que nadie ha hecho nunca... es el nuevo Maradona. Es un jugador que nos hace soñar". Thierry Henry, delantero del Barça y de la selección francesa, soltó en una rueda de prensa reciente que a la única persona que había visto hacer cosas como Messi era Maradona. Entonces el francés pausó, como sintiendo que entraba en territorio profano. Ponderó sus palabras y, respirando hondo como Valdano, continuó: "Mira, no... no quiero presionar a Leo, pero, bueno, hay que decirlo, se parece mucho a Maradona".

Henry dudó, temió presionarle, porque quizá intuye que el éxito de Messi depende de retener esa inocencia en su forma de ser, esa especie de autismo que le protege contra la fama y hace que juegue con una facilidad y una soltura que no se ve en los rostros tensos de los demás jugadores. Muchos lo han dicho: Messi juega como si todavía estuviera en el patio del colegio. O quizá sea que juega como un jugador de los años cincuenta, antes de que la televisión transmitiera cada detalle de cada partido a cada rincón del mundo. Lo dijo Gianluca Zambrotta, su ex compañero en el Barcelona: "Para él no hay ninguna diferencia entre el Camp Nou y el campo de tierra de su pueblo". Y lo repitió su ex entrenador Frank Rijkaard: "No importa que juegue delante de 10 espectadores o de 100.000, Leo siempre es el mismo".

Como demostró cuando lo entrevisté, no acaba de pillar quién es, no acaba de digerir la hazaña monumental de lograr ser el mejor de los cientos de millones que juegan al fútbol en todo el mundo. Michael Robinson, comentarista deportivo de Canal + y ex jugador con Osasuna y el Liverpool, dice en respuesta a la pregunta del millón (si llegará a ser tan grande como Maradona) que Messi puede ser tan grande como él quiera. "Pero todo depende de que mantenga esa frescura, esa inconsciencia de quién es, de quién ha llegado a ser. Lo que le hace grande es esa sencillez y humildad que tiene. Sólo quiere jugar al fútbol. No es egoísta, sino más bien todo lo contrario. A veces te encuentras queriendo que no suelte el balón, que lo intente solo. No es el show Leo Messi. Él juega un fútbol honesto, auténtico. Juega para el equipo".

Robinson lo compara con Cristiano Ronaldo, jugador que dice que padece "un conflicto de intereses". "Cristiano es brillante, sin duda, pero la diferencia reside en que es una estrella y actúa siempre como si lo supiera. Juega para el equipo, pero también para sí mismo. Messi no tiene esa astucia. No juguetea con su fama y su poder. No flirtea con otros clubes, como Cristiano. Messi dice que se queda en el Barça porque ahí está feliz, y punto".

Lo cual no le ayudará mucho, quizá, a la hora de renegociar su contrato. Pero tampoco esas consideraciones son prioritarias para Messi. Como explica Juanjo Brau, "es un chico sencillo, familiar, al que le incomodaría tener un Ferrari. Usa un Audi que le da el club, y en Argentina, un Jeep. No es ostentoso, no se vanagloria".

Cristiano Ronaldo tiene un Ferrari (o tenía, hasta hace poco, uno rojo que chocó) y es ostentoso. Cuando marca un gol se para en el campo, posa para las fotos, como una estrella de rock. Es demagogo: besa el escudo, cosa que no se le pasaría por la cabeza a Messi, y le encanta exhibir su musculoso torso desnudo al finalizar un partido.

Ésa es la otra gran diferencia con el rival que tendrá Messi esta semana, con el que todos lo van a comparar, en la final de la Champions entre el Barcelona y el Manchester United: Cristiano Ronaldo es, por naturaleza, un atleta alto, fuerte y guapo. Messi no tiene la fuerza para pegar a la pelota como Cristiano; por eso la coloca. No es alto, pese a los años de inyecciones hormonales, y cuando anda por la calle lo hace cabizbajo, como si quisiera pasar inadvertido. Cristiano sale del campo cuando gana, y especialmente cuando sabe que ha jugado bien, con la cabeza en alza, como un emperador que acaba de conquistar nuevas tierras.

Pero el valiente de verdad es Messi. Porque tuvo que luchar mucho más para llegar donde llegó, tuvo que combatir las deficiencias de su anatomía para poder exprimir todo su talento, pero también porque, a diferencia de Cristiano, cuando las cosas no van bien no se esconde en el campo. "No es sólo porque cuantas más patadas le dan, más se motiva", dice Robinson. Habla de una valentía mucho más admirable, y más sutil. "Siempre pide la pelota. Aunque esté rodeado por tres defensas, aunque el riesgo de fallar es grande, no tiene miedo. No teme hacer el ridículo. Yo sé cómo es eso. Yo fui futbolista. Veo a Messi y veo que juega sin miedo, y sin ego. Juega para el equipo y siempre está ahí. Eso, frente a 90.000 personas, y con cientos de millones escrutando todo lo que haces, juzgándote, poniéndote a prueba permanentemente, siguiéndote por televisión en todo el mundo, ¡Eso es agallas! ¡Eso es cojones!".

Pero como en toda valentía, por ejemplo en la guerra, depende de un cierto grado de inconsciencia, de no haber profundizado en el peligro que se corre. Por eso dice Robinson que si va a llegar a ser tan grande como Pelé o Maradona, tendrá que permanecer dentro de su burbuja, cobijado por su familia, congelado en la niñez, como Peter Pan, sin asimilar del todo el cinismo del mundo adulto que le rodea, su obsesión por la fama y el dinero. Como reza Robinson: "Espero que nadie le despierte y se lo explique". Y, lo que es lo mismo, que siga dando malas entrevistas. Que siga tímido sin un balón a la vista y elocuente como nadie con él a los pies, dentro del campo, el lugar, como acierta Valdano, "donde se siente más feliz, donde es el rey del mundo".

Der Papi

Quelle: Tagespiegel

"Der beliebteste Regierungschef der Welt bin ich"
Die Beliebtheit des italienischen Regierungschefs Berlusconi hat unter der Affäre um die 18-jährige Noemi kaum gelitten. Nun gibt es sogar eine Unterschriftensammlung: Er solle den Friedensnobelpreis erhalten. Schließlich habe er den Dritten Weltkrieg verhindert.
VON DOMINIK STRAUB
Das verkündete ein fröhlicher Silvio Berlusconi wenige Tage vor dem Platzen der Affäre um die 18-jährige Schülerin Noemi und des Kragens seiner Frau Veronica. Der Cavaliere bezog sich dabei auf die über 70 Prozent Zustimmung, auf welche seine Amtsführung bei den Italienern stieß.

Unterdessen kann beim italienischen Regierungschef zwar von fröhlich keine Rede mehr sein, aber seine Beliebtheit hat wegen seiner Eheprobleme und seinem Umgang mit Minderjährigen zumindest in Italien nicht ernsthaft gelitten. Im Gegenteil: Am Dienstag wurde in Rom mit einer Unterschriftensammlung begonnen. Ziel der Aktion: Berlusconi soll den Friedensnobelpreis 2010 erhalten.

Ein Scherz? Im Gegenteil: Es sei Berlusconi gelungen, „in einem historischen Moment die reale Gefahr eines Dritten Weltkriegs zu bannen“, betont der Präsident des Unterstützungskomitees, Emanuele Verghini. Die Rettung der Welt vor dem nuklearen Holocaust erfolgte im vergangenen Sommer während des Krieges zwischen Russland und Georgien. Die Friedensverhandlungen führte zwar Frankreichs Staatspräsident Sarkozy, aber hinter den Kulissen spann zum Glück Silvio Berlusconi, der seine alte Freundschaft mit Wladimir Putin in die Waagschale warf, die entscheidenden Fäden. „Im Konflikt zwischen Russland und Georgien hat Silvio Berlusconi seine besten Gaben, die ihm im Ausland schon immer attestiert wurden, eingesetzt: seine Flexibilität, seine Fähigkeit, zuzuhören und zu vermitteln, seine Menschlichkeit“, heißt es in der Begründung der Nobel-Initianten.

Graue Eminenz des Unterstützungskomitees ist Berlusconis ergebener Staatssekretär Carlo Giovanardi. Aber natürlich ist der Gedanke, dass die Initiative vom Cavaliere selber inspiriert sein könnte, ganz und gar abwegig: Das Komitee handle „völlig autonom“, betont Verghini. Bereits über 130 000 Italiener hätten die Website des Komitees besucht, um die Initiative zu unterstützen.

Statt Häme und Kritik hätte Silvio also unser aller Dank verdient. Ehefrau Veronica soll es sich ruhig hinter die Ohren schreiben, und mit ihr die linken Medien: „Silvio Berlusconi war es, der Millionen Menschen vor dem sicheren Tod bewahrt hat“, betont Verghini. Angesichts dieses nicht ganz unbedeutenden Verdienstes könnte das kleinliche Genörgel wegen Noemi und den Damen auf den Wahllisten eigentlich allmählich wieder aufhören.

giovedì, maggio 28, 2009

Il Papino

Giornalisti alla frutta



Non volevo crederci, ma evidentemente con l'età si rincoglionisce. Pansa è stato uno dei più grandi giornalisti italiani. Ha scritto buoni libri e qualche boiata. Adesso, per vezzo, o semplicemente per panico di invecchiare e sparire dalla circolazione, scrive incredibili stupidaggini. È bilioso è sembra voler approfittare della sponda del Riformista per offendere o ripetere sciocchezze. Dov'è l'errore nel ricordare chi siano Rossella e Belpietro? Sembra la spiacevole tendenza di difendersi fra giornalisti. Una casta. Un'altra.

Dario, il Trinariciuto Bianco

di Giampaolo Pansa

Fonte: il riformista

Visto a Ballarò. Il segretario si ripete con Belpietro: ha il vizio di dare del servo a tutti


Biografia di Dario Franceschini. Dappertutto si scrive che il leader del Pd è cresciuto in parrocchia e sin dall’infanzia ha avuto nel cuore lo Scudo crociato della Balena democristiana. In più, quando ha iniziato a fare politica è stato discepolo di Benigno Zaccagnini, diventato segretario della Dc nel 1975.

Nel mio lavoro di cronista, ho conosciuto bene “Zac”. Era un vero signore, dai modi cortesi e con una spiccata eleganza intellettuale. Anche per questo si distingueva dalla casta partitica del tempo. Affollata pure allora di tipacci volgari, capaci di una violenza verbale senza limiti. Pronti a gridare le peggio cose nei confronti degli avversari. Chi lavorava con Zaccagnini era altrettanto gentile. La scuola di “Zac” respingeva chi si mostrava rozzo, i burini, la gentuccia e la gentaglia.

Dove sta il falso storico nelle note biografiche di Franceschini? Sta nel fatto che, ogni giorno di più, il suo modo di fare contrasta con lo stile del presunto maestro. Come apre bocca, si lascia andare a qualche volgarità nei confronti di chi osa contrastarlo.

Lo si è visto anche durante il Ballarò dell’altro ieri. Nel tentativo di annullare quel che stava dicendo Maurizio Belpietro, direttore di Panorama, Franceschini si è rivolto ai telespettatori ringhiando: «Vi avverto che questo signore è un dipendente di Berlusconi!».

Franceschini deve godere molto nello sparare quella parola. L’aveva già tirata in faccia a Carlo Rossella durante un Ballarò di qualche settimana fa. Quando il mio vecchio amico Carlo, presidente della Medusa Film, iniziò a parlare, il leader del Pd si mise a urlacchiare, sempre rivolto al pubblico: «Attenzione, questo è un dipendente di Berlusconi!». Rossella gli replicò come meritava. E lo stesso ha fatto Belpietro, ricordandogli di essere il direttore di un settimanale della Mondadori e non un famiglio di Arcore.

A questo punto, è giusto chiedersi se Franceschini sia davvero cresciuto nella Democrazia cristiana di Zaccagnini e non in una delle scuole di partito del vecchio Partito comunista di Ferrara. Sappiamo com’erano fatti i maestroni comunisti, soprattutto in aree integralmente rosse. Erano compagni che non andavano per il sottile. Se gli conveniva aggredire, aggredivano. Se dovevano offendere, lo facevano senza risparmio. E il loro primo passo consisteva nel dire che l’avversario era un dipendente di qualcuno più grande e più nefando di lui. Insomma un servo.

Il Pci di Togliatti non aveva riguardi per nessuno. Si comportò così persino nei confronti di un big del comunismo mondiale: il maresciallo Tito. Nel primo dopoguerra veniva osannato come il capo della guerra partigiana jugoslava, un grande combattente per la libertà dei popoli. Poi nel giugno 1948 Tito ruppe con Stalin e divenne subito uno sporco fascista, un servo degli Stati Uniti, al soldo dei banchieri di Wall Street, un capitalista tra i più odiosi. Sette anni dopo, Tito fece la pace con l’Urss, guidata da Nikita Krusciov. E ritornò un compagno, un capo socialista, un eroe rosso.

Molto più in piccolo, ho fatto anch’io l’esperienza di passare per servo di qualcuno. Alla fine del 1960, quando entrai alla Stampa diretta da Giulio De Benedetti, mi resi subito conto di una seccatura spiacevole. Per il Pci torinese, i redattori del giornale erano tutti servi della Fiat. E come tali andavano trattati. Anche gli intellettuali della rossa Einaudi ci guatavano con disprezzo. Considerandoci dipendenti di Vittorio Valletta, il dittatore che aveva sconfitto la Cgil e metteva i comunisti fuori dalla fabbrica.

Quando andai al Giorno, diventai subito un servitore dell’Eni. Arrivato al Corriere della Sera, venni classificato come servo dei Crespi, poi dell’avvocato Agnelli, quindi di Angelo Rizzoli. Evitai per un soffio di finire al servizio della Loggia P2 perché me ne andai in tempo da via Solferino. E il giorno che Carlo De Benedetti diventò il proprietario del gruppo Espresso-Repubblica, eccomi con la livrea di servente dell’Ingegnere.

Tutti i politici strillano che la democrazia ha bisogno di un’informazione libera. Ma non hanno rispetto dell’autonomia dei giornalisti. Arrivando così a conclusioni paradossali. Seguendo la logica distorta del segretario del Partito democratico, anche Giovanni Floris, il conduttore di Ballarò, dovrebbe essere ritenuto un dipendente prima di Walter Veltroni e poi dello stesso Franceschini. In quanto proprietari di fatto della Rete3 che la spartizione della Rai in lotti gli ha assegnato.

Non so come finirà la battaglia elettorale del 7-8 giugno. Sappiamo che il centrodestra vive giorni d’angoscia per l’affare Noemi. E che il presidente del Consiglio si sente inseguito come non mai dall’incubo di una vittoria dimezzata, molto somigliante a una sconfitta. Ma Franceschini si è già condannato da solo. Meritandosi la medaglia di Trinariciuto Bianco. Un bel guaio per un ex ragazzo tutto casa, famiglia e “Zac”.

Tutto relativo, anche lo sprezzo del ridicolo



Fonte:corrieredellasera

L’AMICO STORICO
Rossella: «Una minorenne? Se Silvio le ha telefonato non c’è niente di male»
L'ex direttore di Tg5 e Panorama: i costumi sono cambiati, comunque non risulta avessero una relazione

ROMA — «Tu mi stai chiedendo se ho voglia di parlar ne, giusto?».

Direttore, sei amico personale di Silvio Berlusconi, magari non...
«Non cosa? Scherzi? Parliamo pure di questa ragazzi na... ».

Anche ieri, Emilio Fede. Non vi ricordate mai il no me: Noemi.
«Sì, certo, Noemi... E anzi: non solo ne parliamo, ma che siano pure chiari i ruoli. Tu qui fai il tuo mestiere, che è quello del cronista; io, invece, faccio, farò l’amico del Cavaliere».
(Carlo Rossella, 66 anni, è un uomo leale. E sincero oltreché elegante, ma qui dovremmo aprire un capitolo troppo lungo e troppo controverso. A lungo inviato spe ciale, diventa in successione direttore di Stampa Sera, del Tg1, de La Stampa, di Panorama e quindi del Tg5; dal luglio del 2007 è presidente di Medusa Film, la socie tà di produzione e distribuzione cinematografica del gruppo Mediaset. Sul Foglio cura una rubrica molto let ta: Alta Società).

A voi amici cari del pre mier, Veronica Lario ha lanciato un appello: ha chiesto di stargli vicino...
«Preoccupazione inuti le. Io, che lo frequento, tro vo che Berlusconi sia in una forma strepitosa. Ma hai visto come ha affronta to l’emergenza del terremo to in Abruzzo?».

La preoccupazione del la signora Lario, forse, è però legata al fatto che il premier «frequenta ragaz ze minorenni»...
«Non mi risulta. E, co munque, non userei la parola 'minorenne' a vanvera...».

No? E perché?
«È un termine vecchio. Semmai, direi che la ragazza di cui si sparla aveva meno di 18 anni...».

E che cambia?
«Beh, i costumi non sono più quelli d’una volta...».

Scusa, direttore: ma da un punto di vista etico...
«Etico? Ma perché: Berlusconi ha avuto una relazione sentimentale con Noemi?».

A te non risulta.
«Esatto, a me non risulta proprio».

L’ex fidanzato di Noemi, Gino Flaminio, lascia inve ce intendere scenari diversi.
«Chissà quanti fidanzati verranno ancora fuori...».

Dai, direttore...
«Senti: ma cosa c’è di male se Berlusconi telefonava a Noemi per informarsi dei voti presi a scuola? È reato?».

L’ha pure invitata a Capodanno nel festone organiz zato a Villa Certosa, in Sardegna...
«E lei è andata, accompagnata da un’amica e autorizza ta, ne sono certo, dai genitori... che sono amici del pre mier ».

Il fidanzato dice che...
«Tutti i fidanzati che non passano il capodanno con la fidanzata si sentono scavalcati e nutrono, immagino, ran core... ».

Sei veramente molto amico di Berlusconi.
«Sono soprattutto uno a cui non piace l’uso politico del gossip. Siccome il Pd vede crescere il consenso nei confronti del Cavaliere, lo attaccano in modo sporco. Io, alle dieci domande che gli ha rivolto Repubblica, avrei risposto: fatti miei, fatti miei, fatti miei...».

Fabrizio Roncone

Aggiungo però che mi sembra un po' sgradevole questa specie di soffione del giornalista. Cosa c'entra nel contesto il fatto che Rossella sia uomo leale e molto elegante? Questa dovrebbe essere un'intervista. Alta società è poi una rubrica molto letta? Andiamo su, il Foglio ha una tiratura risicata, è pieno di debiti e le due righe di Rossella sarebbero una delle cose più lette? Roncone un po' di schiena diritta, su.

La folle Gelmini




Non era mai capitato che un ministro dell'Istruzione dicesse queste cose. Detto poi da una persona che ha un passato professionalmente chiacchierato fa quantomeno sorridere. Ma non succederà nulla e a pagarla per l'incompetenza di questo ministro saranno le prossime generazioni.

Gelmini attacca i presidi ribelli. "Chi non sa dirigere se ne vada". La replica di Maria Coscia (Pd): "E' fuori di senno, se ne vada lei"
di ANNA MARIA LIGUORI
Fonte: la Repubblica

ROMA - "Chi non sa dirigere cambi mestiere". Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, ha commentato così la vicenda dei presidi del Lazio che hanno denunciato, in una lettera inviata alle famiglie, la carenza di fondi degli istituti scolastici. Sono state oltre 41.739 le lettere spedite da circa 300 presidi del Lazio aderenti all'Asal (Associazione scuole autonome del Lazio) per dare le cifre della scuola al collasso a causa dei tagli inferti dal governo: non ci sono i soldi per i supplenti (fondi ridotti del 40 %) né per le visite fiscali obbligatorie; da settembre non saranno più garantiti i servizi previsti per legge, come la copertura dell'ora alternativa alla religione. Ma la sortita del ministro non è piaciuta all'opposizione: "Che sia la Gelmini a cambiare lavoro".

Il ministro però è stato chiaro: "A un dirigente scolastico - ha affermato la Gelmini - è richiesto di dirigere una scuola e io credo che debba assumersi oneri e onori. Deve finire l'abitudine a fare politica, a fare comunicazione, a scaricare sul ministero le responsabilità. Chi non sa dirigere, cambi mestiere. Chi lo sa fare vada avanti e risolva i problemi. Molte volte apprendiamo dai giornali i problemi che non ci vengono neppure segnalati. Io sono per la collaborazione ma anche per la corresponsabilità".

Parole che hanno subito sollevato pesanti repliche. Primo fra tutti il capogruppo del Pd in Commissione Istruzione, Antonio Rusconi: "Oggi tocca ai presidi. Dal 1 settembre saranno i genitori a constatare le conseguenze dei tagli del duo Gelmini-Tremonti".

Più duro il commento della collega di partito Maria Coscia secondo la quale il ministro Gelmini "è completamente fuori di senno e propone fantasiosi codici di condotta civica per cui ai presidi, differentemente dagli altri cittadini, sarebbero preclusi i diritti costituzionali di "impicciarsi della cosa pubblica"". E continua: "Su una cosa però la Gelmini ha ragione, chi non sa dirigere dovrebbe andare a casa. E allora, visto il disastro in cui il ministro ha gettato la scuola pubblica italiana, non sarebbe il caso che proprio lei cominciasse ad andarsene?".

D'accordo con la Coscia i presidi aderenti alla Flc-Cgil: "Per la prima volta nella storia della Repubblica le scuole hanno dovuto fare i bilanci senza fondi per l'ordinario funzionamento; sono costrette a inviare visite fiscali anche quando non servono (su decisione del ministro Brunetta, ndr) e poi le devono pagare coi propri bilanci; vengono tagliate le risorse per i recuperi dei debiti scolastici; le istituzioni avanzano dal ministero più di 1 miliardo di euro per supplenze conferite e pagate con fondi diversi da quelli specificamente dedicati. Per non parlare del depauperamento di personale che la sua riforma sta provocando nel sistema scolastico. E il Ministro cosa fa? Non trova niente di meglio che attaccare i dirigenti scolastici perché denunciano questo stato di cose".

La zia....



Voglio vedere che cosa s'inventeranno adesso Libero e i media vicini al premier. Magari riesce a trovare foto a seno scoperto di questa signora. O magari precedenti penali gravissimi come una multa per divieto di sosta. Definitivamente è sconcertante.


La zia di Noemi: "Così Berlusconi è entrato nella nostra famiglia". "Ho visto antiche amicizie nate dalla notte al giorno, eventi dolorosi usati per sostenere nuove versioni"

Fonte: la Repubblica


di CONCHITA SANNINO e GIUSEPPE D'AVANZO

NAPOLI - Signora Francesca D. F., che grado di parentela ha con i genitori di Noemi?
"Sono la zia, moglie del fratello di Anna Palumbo, la madre di Noemi".

Ha precedenti penali, signora? Sa, dobbiamo chiederglielo perché, per alcuni, il testimone non va valutato per quel che dice, ma per quel che è.
"Non ho precedenti penali".

Qualcuno nella sua famiglia ne ha?
"No".

Ha motivo di risentimento nei confronti di sua cognata o della sua famiglia, o della ragazza?
"Assolutamente no. Ho ottimi rapporti con Anna, con i genitori di Anna e con i suoi fratelli. Anzi, ho condiviso finora con altri membri della famiglia l'imbarazzo, il disagio e la sofferenza che questa situazione non del tutto limpida, sta provocando. Ci sono troppe bugie. Circostanze che contrastano con quello che abbiamo sentito e visto in famiglia".

Gino Flaminio fa parte delle bugie o della realtà vissuta in casa Letizia?
"Gino è stato il fidanzato di Noemi esattamente per il periodo da lui descritto al vostro giornale. Gino fa parte della realtà della famiglia Letizia e tutti noi lo abbiamo conosciuto e soprattutto apprezzato fino a quando i rapporti tra loro si sono deteriorati. È un bravo ragazzo. Amava davvero Noemi e Noemi gli era molto legata".

Vi incontravate anche con Gino?
"Certo, è accaduto più di una volta. Con l'andar del tempo, è nato un legame tra questo ragazzo e la nostra famiglia. Non mi pento di averlo avuto in casa".

Lei sa che il padre di Noemi ha minacciato querela per quello che Gino ha ricordato?
"Sì, purtroppo l'ho sentito ai tg, e ancora mi chiedo come sia stato possibile questo. Gino ha avuto parole di assoluto rispetto per tutti, per Noemi, per i suoi genitori, per noi. E anche per Berlusconi. Qual è la sua colpa? E perché accanirsi contro un ragazzo senza alcuna difesa?".

Lei sa che Gino nel 2005 è stato condannato per rapina?
"Quando lo abbiamo conosciuto era già un operaio. Ma sapevamo che c'era una macchia nel suo passato. E in ogni caso, il suo errore, quale che sia stato, non ha mai costituito un ostacolo al loro affetto, né all'amicizia che il ragazzo ha dimostrato ad Anna e ad Elio, peraltro venendone ricambiato".

Lei ha letto la testimonianza di Gino?
"Certo, e mi ha provocato una grande emozione. Perché ho visto per la prima volta, in questa storia di bugie, una persona dire le cose come stanno, con un coraggio che nessuno finora nella mia famiglia ha avuto".

E lei perché solo adesso ha deciso di offrire la sua testimonianza?
"E ancora avrei voluto tacere. Ma dopo aver visto la violenza della discussione a Ballarò, ho deciso di farmi viva. Ho visto troppe cose che non vanno. "Antiche amicizie" nate dalla notte al giorno. Fidanzati comparsi dal nulla. Dolorosi eventi che hanno afflitto la famiglia, utilizzati per sostenere nuove versioni dei fatti che hanno coinvolto mia nipote Noemi: come il riferimento a una lettera di cordoglio. E' con molto strazio che mi sono decisa ora a parlare. Mi sono tormentata in queste settimane".

Perché lo fa?
"Se devo dire la verità, lo faccio per i miei figli perché devono poter credere che esiste il vero e il falso, il buono e il cattivo. Voglio che sia chiaro che, per quanto mi riguarda, in questa storia non c'entra nulla la politica, nulla i complotti, ma solo la necessità di non vergognarsi quando ci si guarda allo specchio perché si è dovuto avallare una storia che, se non fosse così dolorosa, in famiglia sarebbe una barzelletta di cui ridere".

Lei, quando ha sentito per la prima volta di Berlusconi in famiglia?
"Alla fine del 2008, tra novembre e dicembre, ho visto per la prima volta durante un pranzo familiare Noemi alzarsi da tavolo allo squillo del suo cellulare, e l'ho ascoltata dire papi. Non avevo assolutamente idea, all'epoca, chi potesse essere. Ho pensato a un gioco tra ragazze. Notai soltanto che intorno a lei ci si dava da fare per evitare ogni curiosità".

Quando ha sentito per la prima volta indicare Berlusconi come una presenza familiare?
"Posso dirlo con certezza. L'11 gennaio 2009, il giorno del compleanno di mio figlio. Io organizzai una piccola festicciola. E seppi, quella sera, che si stavano preparando grandi festeggiamenti per i diciotto anni di Noemi. E che alla festa avrebbe partecipato, a meno di impegni improvvisi, anche Silvio Berlusconi".
Addirittura tre mesi prima, si contava sulle presenza a quel tavolo del presidente del Consiglio?
"A me fu detto che dovevamo "prepararci" per quello. La conferma della presenza del capo del governo sarebbe arrivata solo a Pasqua".

E poi?
"Mi fu detto che Berlusconi chiese espressamente a Noemi di essere invitato e pretese di ricevere dalle sue mani l'invito. Non so se poi Noemi lo abbia raggiunto a Roma e come siano andate le cose. In ogni caso, nella nostra riunione di famiglia al pranzo di Pasqua, ci fu confermato ancora di "prepararci" perché avremmo conosciuto il presidente il 26 aprile, alla festa organizzata nel ristorante di Casoria".

Che idea si è fatta della conoscenza tra Berlusconi e Noemi?
"So soltanto quel che mi ha raccontato Anna, mia cognata, la madre di Noemi. Anna sosteneva che il presidente del Consiglio aveva per mia nipote l'affetto di un padre. Ricordo l'espressione: "l'ha presa a cuore". Io non ne dubitai. Noemi è sempre stata una brava ragazza, dolce, buona. Con un grande sogno: fare la ballerina, l'attrice o la showgirl. Ricordo che in famiglia si diceva: "Magari così, Noemi entrerà dalla porta principale". Si intendeva dalla porta principale nel mondo dello spettacolo. E d'altronde la stessa Noemi - ho letto - lo ha già detto in un'intervista. Come peraltro Anna. Nelle primissime interviste, mia nipote e mia cognata sono state sincere e hanno raccontato in pubblico ciò che dicevano a noi in privato. E stato dopo che ho visto troppe cose confondersi".

Vuole darci la sua opinione su questa storia?
"Sono molto preoccupata per la mia famiglia. Se mi espongo così, lo faccio perché siamo una famiglia di gente semplice e per bene. Parlo dei fratelli di Anna, dei suoi genitori, degli altri cognati, dei nostri figli e nipoti, tutti ragazzi sani. Tutti trascinati, dalla mancanza di chiarezza e sincerità, in una situazione che ci imbarazza moltissimo".

Il cucciolo Berlusconi



Dopo la frase di Franceschini, le ovvie difese della PdL e la rabbiosa reazione dei figli di primo letto del cavaliere, arriva la dichiarazione di questo ragazzino di soli 20 anni. Del padre ho spesso detto cosa penso, ma questo "pischello" che ogni volta che apre bocca o fa sempre con garbo, facendo arrivare il messaggio, bé diciamo che mi impressiona favorevolmente. Vien voglia di dire: "si vede chi lo ha educato"....

Fonte: la Repubblica

E successivamente è arrivata anche la replica di Luigi Berlusconi, l'ultimogenito del Cavaliere, nato dal matrimonio con Veronica Lario: «Sono contento e orgoglioso dell'educazione che ho ricevuto e dei valori che mi sono stati trasmessi dalla mia famiglia. Non vedo perchè la politica si permetta di giudicare Silvio Berlusconi come padre. Si tratta di piani diversi che non dovrebbero essere mai sovrapposti». Luigi, in tarda serata, ha anche rilasciato una dichiarazione congiunta con Barbara, Eleonora, le altre due figlie del premier e di Veronica Lario. «Non tutto - sottolinea la nota- si può sottoporre ad un sondaggio. Alla domanda se un padre sia capace ad educare un figlio gli unici in grado di rispondere sono i figli stessi. La politica non dovrebbe sconfinare in giudizi relativi al ruolo di padre, che con la politica nulla hanno a che vedere. Riteniamo di essere stati cresciuti ed educati in un ambiente famigliare equilibrato e ricco di valori».

mercoledì, maggio 27, 2009

Cherie and the bandana

L'ex fidanzato

Call him daddy...




Source: the Independent

Could a teenage girl topple Berlusconi?

She calls him 'daddy'. He bought her a £6,000 necklace for her 18th. Silvio Berlusconi's relationship with Noemi Letizia has already seen his wife file for divorce. Now, could it cost him his grip on power?

By Peter Popham

Italians are always scornful about the obsession of the "Anglo-Saxon" media with the private lives of the rich and famous, but for the past month the Italian newspapers have been preoccupied with one subject and one subject only: the relationship between Prime Minister Silvio Berlusconi and a young woman from Naples called Noemi Letizia.

Mr Berlusconi has been caught out telling numerous lies about the relationship and refuses to explain them. And with important elections pending, his popularity, at an all-time high only six weeks ago, may be eroding.

The media cannot be accused of muck-raking on the issue because it was Mr Berlusconi himself who drew attention to the relationship in Tuesday when he took advantage of a trip to Naples to drop in on Noemi's 18th birthday party. There he posed for photographs and presented the pretty young blonde with a gold and diamond pendant worth €6,500 (£5,700). This unremarkable event was immortalised in a short news story the next day in La Repubblica.

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And there it would have ended, except that within four days it provided Mr Berlusconi's second wife, Veronica, with the casus belli for a divorce. Her husband, she said in a press release, was "consorting with minors"; he was "not well", she was worried about him, but in the meantime, after nearly 30 years together, she was in no doubt that the marriage was over.

Suddenly that innocuous-seeming social event assumed mysterious and sinister overtones. Noemi, it was learned, called Mr Berlusconi "papi", Italian for "daddy". He seemed on remarkably familiar terms with the girl. Pushed into a corner by Veronica, who opens her mouth about once every two years but with devastating effect, Berlusconi went on Porta-a-Porta, a late-night political chat show hosted by his most unctuous TV courtier and explained that Noemi's father Elio Letizia was an old political contact from his days when he was connected to Bettino Craxi and the Socialist party: Berlusconi needed to see him on urgent European election business. But soon afterwards Bobo Craxi, son of the late Bettino, popped up and said he had never heard of Noemi's father. Likewise Mr Berlusconi's unlikely claim about "election business" failed to pan out, and some weeks later was denied by Letizia himself.

The personal was personal no more: something about that birthday party, and Mr Berlusconi's presence at it, had tipped the long-suffering Veronica over the edge. One reason for her anger, as she explained in a bitter email to the Ansa news agency, was the fact that he had failed to turn up to the coming-of-age parties of any of the their own children, "even though he was invited". But that in itself could not be la goccia che ha fatto traboccare il vaso, (or as we would say, the straw that broke the camel's back). Could Berlusconi be the lover of Noemi, and thus perhaps guilty as Veronica suggested of "consorting with minors"? Or might she be his love child? Her plump cheeks and currant eyes, not that dissimilar to the Prime Minister's, allowed the world to guess at the latter possibility. But Mr Berlusconi flatly refused to shed any light on their relationship. He insisted that he had only met her "three or four times", and always in the company of her parents.

The irony is that never before has Berlusconi showed any coyness about exposing his colourful and chaotic private life to the public gaze. He fell in love with Veronica when she appeared topless in a play called The Magnificent Cuckold in Milan, and lived in sin with her for 10 years before marrying her in a civil ceremony; their children were born before the wedding. When he went into politics in 1994 his manifesto was a bowdlerised autobiography, Una Storia Italiana, depicting himself as the Italian everyman, the bank manager's son from nowhere who had grown immensely rich through hard work, a home-loving family man in touch with his common roots. Italians in their millions swallowed it, yet no-one doubted (you just had to look at his two wives) that he had an eye for the girls.

It was after his second and much more convincing election victory in 2001 that the rumours about Berlusconi's frenetic affairs began to circulate in earnest, with talk of a beautiful young intern being taken to his Sardinian villa for the summer as his "assistant" – and the rapid promotion of others who were similarly eye-catching through the ranks of his party, Forza Italia, by way of his commercial television channels. Berlusconi the ageing roué had found the perfect way to keep his libido engaged, despite the demands of politics. And this being Italy, nobody made a fuss. Veronica had been settled in a magnificent house a few kilometres from Berlusconi's main home, Villa Arcore, north of Milan. He was obviously a bad husband, but in Italy that was nobody's business but the family's.

Yet as the editor of La Repubblica, Ezio Mauro, pointed out yesterday: "Mr Berlusconi long ago destroyed the boundaries between the public and the private." He did it when he published his manifesto. And he continued to do it in a more chaotic, impulsive way when he allowed the paparazzi to snap him hanging out with busty showgirls 50 years his junior. It was the behaviour of a sultan, a monarch or a dictator, and the way Berlusconi was pushing the envelope was an indication of how he was steadily moving in that direction. His own newspapers and television channels would never cry foul. RAI, the national broadcaster, was increasingly under his thumb. Even the independent dailies were more and more reliant on his goodwill. Berlusconi's growing recklessness about his image became a barometer of his increasing sense of personal invulnerability.

But he was reckoning without Veronica. It was in January 2007 that she first told the world that he had gone too far, granting an interview to La Repubblica (one of the few really independent dailies), in which she demanded that he apologise for saying of Mara Carfagna, a glamour model turned MP (and now a cabinet minister), "I would marry her like a shot if I wasn't married already." Meekly Berlusconi consented. But he didn't reform. He carried on just as before, until Noemi's 18th birthday rolled around and it all went horribly wrong.

Today Italy is at an impasse: La Repubblica has insistently demanded that Berlusconi come clean about Noemi, for the last two weeks publishing a list of 10 questions it wants him to answer. Berlusconi has repeatedly refused. With European elections just 10 days away, there is a real risk that his silence will injure him in polls he was expected to win with ease – particularly now that respected figures in the Catholic church like the former Archbishop of Pisa Alessandor Plotti have begun to attack him. Berlusconi has said he may make a statement to parliament in response to what he calls the "vile reports" about his relationship with Noemi.

It is symptomatic of the trivialisation of Italian politics under Berlusconi that he is now being held to account, not for corruption, or mafia connections, but because of his relationship with a teenage girl. But the fight itself is not trivial. Living in Italy now is like being trapped in a field of lava slowly but irreversibly sliding down a mountainside. Far from leading to a revitalised "Second Republic", Italy's bribery scandals of the 1990s instead ushered in the Age of Silvio and the slow, steady degradation of the nation's democratic institutions. If the Prime Minister can get away with carrying on an adulterous, semi-public love affair with a teenage girl (and then lying so brazenly about it that any fool can see he is not telling the truth) and still he is not brought to account – then the nation is in danger.

Communists everywhere. Even at the FT.




Source: FT

Baleful influence of Burlesque cronies

Published: May 26 2009 20:12

Fascism is not a likely future for Italy. That is worth saying, because it is being forecast. Many assume that the financial crisis plus Silvio Berlusconi equals a return to fascism. It did, after all, start there.

But that is an unlikely outcome now. Italy in the early 1920s, when Benito Mussolini rose to power, was reeling from a brutally Pyrrhic victory over the Austrians in 1918, the degradation of the political class and a rising threat from leftwing totalitarianism. Mr Berlusconi is clearly no Mussolini: he has squads of starlets, not of Blackshirts.

The real dangers lie elsewhere. Over the 15 years of his political career – always as prime minister, or as leader of the opposition – he has had a largely untrammelled opportunity to shift the national mood rightwards. This he has done not by crude propaganda but by a steady concentration on glitz, glitter and girls and a hyperbolic style of media-geared rhetoric that sees all opposition as communist and himself as a victim.

Now, as hard questions are posed on his relationship with a teenage would-be starlet – first raised by his wife – he has turned on the most obstinate questioner, the left-of-centre daily La Repubblica, issued a veiled threat through an associate and sought to render the questions invalid because politically tainted.

He has shown equal belligerence towards magistrates who judged he had bribed the British lawyer David Mills (to avoid corruption charges) – calling them “leftwing activists” – even though parliament has made him immune from prosecution.

Still dissatisfied even with such a useful parliament, he has called it “useless” and said it should be drastically reduced to 100 members, while his powers increase. He has sought to rouse the masses in his favour, by encouraging a “popular initiative” to collect the required 500,000 signatures for the measure.

But the danger of Berlusconi is of a different order to that of Mussolini. It is that of media sapping the serious content of politics, and replacing it with entertainment. It is of a ruthless demonisation of enemies and refusal to grant an independent basis to competing powers. It is to place a fortune at the service of the creation of a massive image, composed of assertions of endless success and popular support.

That he is so dominant is partly the fault of a faltering left; of weak and sometimes politicised institutions; of journalism which has too often accepted a subaltern status. Most of all it is the fault of a very wealthy, very powerful and increasingly ruthless man. No fascist, but a danger, in the first place to Italy, and a malign example to all.

Copyright The Financial Times Limited 2009

martedì, maggio 26, 2009

lunedì, maggio 25, 2009

Raining czechs

Bridges in China

Le minacce di Letizia




Ormai è un rito. L'avvertimento mafioso viene continuamente ripetuto come si legge in Repubblica.

"Ovvio - conclude Letizia - che il signor Flaminio, nonché il quotidiano la Repubblica, dovranno rispondere di tutto in tribunale. Abbiamo già chiesto, infatti, ai nostri legali di redigere e sporgere querela. Naturalmente saranno chiamati a rispondere anche tutti coloro che dovessero riprendere in tutto o in parte questa incredibile narrazione".

La minaccia secondo questo tizio è ai blog, alla rete, a tutti coloro che hanno il sacrosanto diritto di riprendere articoli che esistono in rete citandone la fonte, come fa questo blog. Se il signor Flaminio ha mentito sia condannato, ma queste minacce fanno solo sorridere. Perché esistono regole, a livello comunitario, che sono valide persino in Italia. Il diritto di cronaca e quello di rassegna stampa sono due di questi. Il buon Letizia se ne faccia una ragione. E nell'intervista di Flaminio non c'era nulla di offensivo. L'italiano non è una opinione.

domenica, maggio 24, 2009

All hail mister B!

All hail Berlusconi
He's the gaffe-plagued populist who thrives on controversy. A self-made plutocrat with a taste for La Dolce Vita, pancake make-up and the grandest of gestures. He's been called a clown and a buffoon; but he's Italy's richest and most influential public figure and is well on his way to becoming the country's longest-serving head of state since Mussolini. John Carlin profiles Silvio Berlusconi, a Roman emperor for the 21st century

John Carlin
The Observer, Sunday 18 January 2004


There's always a tingle of anticipation when Silvio Berlusconi enters the stage, a sense that something shockingly out of the ordinary will happen. Italy's accidental prime minister - the fabulously rich businessman turned astonishingly successful politician - has a knack for disrupting the earnest protocols of office. Kissing the bride at an Islamic wedding in Turkey; insinuating to the prime minister of Denmark that he should have sex with his (Berlusconi's) wife; calling a German parliamentarian a Nazi: it has all been part of the burlesque repertoire of the man that Italians have come to know - some in jest, some with admiration - as il Cavaliere, the knight.
A press conference in Rome last month with Russian president Vladimir Putin presented a further opportunity for outrage or - depending on your point of view - delight. The surprise was that for the first few minutes of the ceremony it seemed as if this was an opportunity he had resolved to pass up. Possibly out of respect for the man he likes to call his 'caro amico Vladimiro', he was on his best behaviour, nodding ponderously, lips pursed with almost comical solemnity, as Putin trotted out the pieties habitual on these occasions.

When the mood changed, when the dour Russian ventured a dull pleasantry, Berlusconi released a sunny smile - then held the smile on his copper-coloured face, dense with make-up, for a good half minute, before allowing it gently, sagely to recede. To the relief of Berlusconi's anxious aides, and to the disappointment of the large journalistic contingent, it was all going very smoothly indeed. Until a reporter from Le Monde thought to ask Putin a double-barrelled beast of a question about human rights in Chechnya and the political motivations behind a decision by the Russian judiciary to jail the country's richest tycoon. The former KGB man, unaccustomed to this sort of bolshiness from reporters, stiffened. Berlusconi adopted the guise of a man who had suffered a dreadful personal affront. 'What! Insult a guest in my house? How dare you?' his face seemed to say.

So he did what any good cavaliere would do in the circumstances. He leapt to Putin's defence, interposing himself between the Russian and his French assailant. Reaching out a hand and grabbing Putin by the arm, as if to say, 'Leave this to me, Vladimiro', he fixed his eyes defiantly on the rude interrogator and declared, 'I would like to say something first, if I may.' Introducing himself to the assembled company as Putin's 'defence lawyer, 'even if he has not asked me', Berlusconi proceeded to clear his bemused client on all counts. First, all these stories of Russian human rights abuses in Chechnya were 'legends' fabricated by the press. He knew all about this, he said, forced to endure, as he had been, the hostility of 85 per cent of the Italian press. As for the notion, similarly disseminated by the 'false' press, that Putin had anything at all to do with the decision to jail the oil billionaire, Mikhail Khodorkovsky, Berlusconi knew the Russian president well enough to offer 'a guarantee' that he respected the division between the executive power and the judiciary.

The gaffe was not Berlusconi's most ludicrous, but it was one of the most serious - because he was speaking in his capacity as president of the European Union's Council of Ministers and it is a well-known fact that the EU disapproves of what it considers to be brutal human rights abuses in Chechnya by the Russians, and that it has grave reservations about what many Kremlin observers have taken to be a Putin-inspired decision to go after Russia's richest man.

Foreign ministries up and down Europe immediately disowned Berlusconi's remarks, making it plain he was not speaking on their behalf. Such, indeed, was the outrage Berlusconi generated that his remarks have been taken by foreign ministries across the continent as a reason seriously to re-examine the validity of the principle of a rotating EU presidency. Berlusconi's six-month incumbency, which ended last month, failed in its central task of drawing up a new European constitution and has been roundly condemned as a fiasco in the European parliament. Graham Watson, leader of Britain's Liberal Democrat contingent in the parliament, told Berlusconi his presidency had been 'a personal failure'. 'In six short months the presidency... has shown contempt for the European Union's policy toward Russia and has offended Canada,' said Watson, referring to Berlusconi's unilateral decision to cancel an annual Canada-EU summit. 'You set your presidency a target of a constitution by Christmas and by your own standards you failed.'

Maybe. But in the Berlusconi universe interests - concrete things that you can see and hold - count for a lot more than vague notions of 'standards'. Il Cavaliere's perception of what lies in his, and maybe even Italy's, self-interest includes forging closer ties with Russia, which means - to hell with what the Liberal Democrats or the Canadians might think - being good friends with Putin. As one of his economic advisers admiringly explained, Berlusconi has had 'the vision' to see that a close strategic alliance with Russia is good for Italian business. And he has accordingly invested a good deal of time in cementing that alliance. He has met with Putin four times in the past year; once, in the summer, at his holiday residence in Sardinia, where he invited the Russian leader's wife and two daughters and filled nine of his own villas with the impressive Russian retinue. (He had to buy two new ones at the last minute in order to accommodate a larger than expected bodyguard contingent.)

Putin is a cold fish, but Berlusconi's opulence and personal warmth have charmed him. A KGB apparatchik most of his adult life, who would have sampled little in the way of la dolce vita during his years as a spy in East Germany, Putin is a sucker for Berlusconi's Mediterranean largesse. The Italian's gallant intervention on his behalf in the face of French journalistic perfidy was the consummation of a most unlikely marriage. As Berlusconi raved, Putin glowed. Why unlikely? Because Berlusconi is the very incarnation of the thing that, in his own country, Putin most detests. The view of most independent analysts of the Russian political scene is that the reason Khodorkovsky was jailed is because he and other Russian tycoons had made an unspoken deal with the Kremlin, whereby they would be allowed to set about their tax-dodging, filthy rich ways so long as they never, ever crossed the line into politics. Khodorkovsky did, funding political parties opposed to Putin, and that was the end of him.

To say that Berlusconi, who is the richest man in Italy (far richer than Khodorkovsky), has crossed the line between big business and politics would be a ludicrous understatement. Never in history - at least not in the history of western democracy - has anything like it ever been seen. It's as if Rupert Murdoch were president of the US, but in addition to owning Fox he also owned CBS and NBC. But Berlusconi, in the Italian context, is actually more than that. He is a mix of Murdoch and Bill Gates, laced with a generous measure of Mohamed Al Fayed. Berlusconi - or, in some cases, his wife and children - owns virtually all of Italy's commercial TV networks, the country's biggest advertising company, the biggest publishing house, the biggest film distribution business, two national newspapers, 50 magazines and internet service providers. He is a big player in the construction business and insurance, and he is president of Italy's most glamorous football club, current European champions AC Milan. On top of all that, as head of a political party that he - or rather his advertising company, Publitalia - created in two months in 1994, he has been elected prime minister of Italy twice. His current tenure has stretched to two and a half years, the second-longest run of a head of government since Mussolini. If he makes it through to Christmas 2004, and the betting is that he will, the record will be all his own.

There are two ways to respond to these breathtaking facts. The first, and most habitual in the Protestant cultures of the north, is moral outrage. Scandinavian - not to mention German - politicians are always getting terribly exercised over what quite obviously are his stupefying conflicts of interest. The Economist, joined with sporadic vehemence by the big American newspapers, has led the charge in the English-speaking media against what many unsurprisingly perceive to be the rampant manner in which he has traduced the tenets of capitalist democracy.

The second way to respond to Berlusconi (and it does not necessarily have to be at odds with the first - one may bury and praise him at the same time) is with plain admiration. 'L'tat c'est moi,' declared Louis XIV, and no doubt he was pretty pleased with himself when he said it. But it's one thing to be a hereditary Sun King 100 years before the French revolution; quite another to be Sun King (Berlusconi does, incidentally, describe himself as 'the anointed one' from time to time) at the beginning of the 21st century. And not, with respect, in Equatorial Guinea, but in Italy, the world's sixth largest economy. Though that's the least of it. We are talking about a quite magnificent country here, whose contribution to humanity, whose history, is awe-inspiring. The list of great Italians is, simply, unbeatable. Leonardo da Vinci, Galileo, Christopher Columbus, Dante, Puccini, Michelangelo, Vivaldi, Thomas Aquinas, Marconi, Virgil, Cicero, Julius Caesar. And now, following in the great tradition, Silvio Berlusconi. A buffoon, maybe, who is on record as describing himself as the greatest Italian of the 20th century; corrupt, quite possibly, as he has spent much of his life fending off sundry charges of bribery and illegal enrichment - charges which he says are politically motivated. But, say what you like about him, the one thing you cannot deny is that he is also a genius. He has to be, otherwise how could he have amassed and retained such an extraordinary concentration of wealth and power? Everything he touches turns to gold, even if, as one Italian journalist suggested, he then takes it.

The Roman emperors knew that the secret to exercising peaceful rule over the people was to provide them with bread and circus. Well, Berlusconi owns the circus, pretty much all of it - the TV, the football, the magazines, the books. And as a head of government, who also happens to own Italy's biggest supermarket chain, he also controls, in the widest sense of the word, the bread.

Just in case anyone entertained any doubts as to his all-pervasive ubiquity, he posted his personal biography, the magnificently bound An Italian Story, to every single family in Italy during the 2001 election campaign. Replete with glossy colour photographs of a relentlessly grinning Silvio, the 128-page book (12m copies were made) describes Berlusconi as 'the perfect personification of the Italian dream'. Rather more accurately, Italy being a country where people rarely imagine they will ever rise out of the social stratum into which they were born, he might be described as a perfect Italian imitation of the American Dream.

He was born in 1936 in Milan, to ordinary middle-class parents: his father, Luigi, was a bank employee; his mother, Rosella, was a secretary at a Pirelli factory. A bright lad at school, he displayed his entrepreneurial bent early on by charging his schoolmates for help with their Latin and Greek. He then paid his way through university working as a piano-playing crooner on cruise ships. Singing remains a passion to this day. Further evidence, if evidence were needed, of the man's genius is that - in between running his business empire, Italy and the European Union - he has found time to compose the lyrics for an album of love songs sung by a guitar-playing balladeer called Mariano Apicella. The album, released on CD the week before Putin's visit to Rome, is called Better a Song. Among the immortal lyrics the album contains, composed perhaps with the Russian president in mind, are these: 'With my heart in my mouth/ Because your love is everything to me/I know you may make me suffer/But I'll never let you go/Even if I have to fight/I will love you until the end'.

Italy's 21st-century Renaissance Man made his first serious bundle, and acquired his first private jet, in his mid-thirties, following the completion of his first construction project. A short man who thinks big, Berlusconi did not limit himself to your regular residential complex, or run-of-the-mill skyscraper. He built a town of 4,000 units on a swamp outside Milan, which, with characteristically brash immodesty, he christened Milano Due - Milan Two. He conceived the plan at the tender age of 27. He raised the money, well, no one quite seems to know where he raised the money, although inevitably in Italy there are unproved suspicions that the Mafia played an important part in kick-starting the Berlusconi business empire.

The profits from Milano Due went into starting his advertising agency, Publitalia, an entirely natural move for a man whose quintessential attribute, all observers agree, is that he is a brilliant salesman. Publitalia, the most successful selling machine in Italy, has remained from the beginning the beating heart of his sensationally successful commercial and political operations. Starting with television, and his company Mediaset, which today owns three of Italy's four terrestrial private TV channels; and ending with his political party, Forza Italia, whose image and message were created by Publitalia and subtly tailored to the requirements of each part of the country by the company's network of regional offices, located in every significantly sized town in Italy. Thanks to the miracle of advertising, Forza Italia was founded in January 1994 and by March the party was in power, with Berlusconi as prime minister - 50 of the Forza Italia deputies elected to parliament in that election were employees of Publitalia.

Renato Brunetta, one of Berlusconi's chief political strategists and economic advisers at Forza Italia, says that the way Berlusconi built his TV empire offers a large clue to the secret of his success. 'Berlusconi arrived in private TV after all the historically big entrepreneurs of Italy had tried to make a go of it and failed,' says Brunetta, speaking in his office at Forza Italia headquarters on Humility Street (Via dell'Umilta') in central Rome. Among the companies that had failed to cut it in the TV world were Fiat, whose late chairman Gianni Agnelli used to describe Berlusconi as 'the man with the pancake make-up'. Pancake or not, Brunetta continues, 'what Berlusconi did was what he always does. He cut to the core. He is not a "refinatto" analyser, not a man who turns things over in his head round and round. He goes straight to basic principles. So he asked himself the question, "What is the point of the TV business?" The point is, he said, to sell advertising at a national level.'

Berlusconi's problem was that at that time, in the Seventies, private TV was only allowed to operate in Italy at local level. 'So what he did next, having identified the core objective,' Brunetta says, 'was to invest all his energy and imagination in achieving it. His solution was to create a virtual national TV station.' What he did was broadcast the same programmes on local TV stations he owned all over the country at exactly the same times. 'The idea was pure genius. Through synchronising countless local stations nationwide he was able to compete in advertising revenue with the state broadcaster, RAI.'

In the Eighties, Berlusconi expanded into publishing. Again, he arrived late; again, his company, Mondadori, swiftly became the country's biggest publisher. So promiscuously extensive is the business that Mondadori actually publishes the majority of books critical of Berlusconi himself.

'It's not masochism, it's the market!' enthuses Brunetta, an economics academic whom Berlusconi defers to as 'professore' in their weekly meetings. 'Berlusconi is a pure businessman. For him, the free market is king.'

Just how pure is, of course, a moot point. Too pure, at one level, in the eyes of his most savage Italian critic, the magnificently named editor of the left-wing newspaper l'Unit, Furio Colombo. 'A normal person who goes into the television business does so with the dream of improving the content of the programming, but this was the very last thing in Berlusconi's mind,' says Colombo. 'For him, TV is exclusively a medium to make money, a large advertising mine to be tapped. Programmes are space to fill in between ads. We have maybe the worst TV in Europe. It is utterly vulgar. But no problem, because for Berlusconi it is a money-making formula.'

Berlusconi's TV channels very possibly are the worst in Europe, especially for a man of taste such as Colombo, a silver-haired sophisticate who spent a good part of his life as Gianni Agnelli's New York-based chief representative in the United States. Indeed, if diligently researched news documentaries or well-scripted costume dramas are what you are after, then don't waste your time channel-surfing Mediaset. What Mediaset did provide from the start were popular American soaps such as Dallas, which Italian viewers, raised on RAI's relentless stodge, gleefully embraced, as well as some spectacularly successful home-grown innovations such as quiz shows in which the attractive young female competitors who lost ended up on stage naked.

A well-known public figure in Italy who asked to remain anonymous says that while she was no friend of Berlusconi, one had to acknowledge that he had the popular touch, which she identifies as the key factor in his volcanic political rise. 'His vulgarity is the nation's vulgarity,' she says. 'The left rages against him, but in large measure out of frustration, because the terrible truth of which Berlusconi reminds them is that they have lost touch with the people, they have become elitist. Berlusconi knows much better than any left-wing intellectual what ordinary Italians want to see on television. He knows that what they really want to see is naked women.' In fact, Berlusconi spotted his second wife, Veronica in 1990, performing in a play described at the time by an Italian newspaper (perhaps one of Berlusconi's) as 'a topless classic'.

Others in the media world may be accused of dumbing down. Berlusconi does not need to dumb down. He does not patronise the masses; he does not talk down to them. He is, for better or for worse, one of them. As a pure-hearted journalist of the left lamented: 'When Berlusconi makes what many of us take to be disgusting, outrageous comments he is really giving voice to the views of the 20m Italians who voted for him. When he says - as he did after 11 September - that Muslims are an inferior culture; when he says Mussolini was not so bad; when he says Europe should be declared a Christian area; when he makes jokes comparing German politicians to Nazi prison-camp commanders - when he says all of these things he is simply expressing the ignorant, superficial, narrow, incurious about the outside world views of many, many Italians.'

And not just Italians, the journalist - a much-travelled man - might well have added. Berlusconi, unlike other politicians who paint pictures of the world as they would like it to be, relates to the world as it is. Specifically to his Italian world. 'He is a delinquent,' says the well-known public figure who does not want to be quoted by name. 'But then, so are the people who vote for him. They all cheat on their taxes, they all flout the rules and defraud the system in one way or another.'

The various charges brought against Berlusconi, courtesy of a chart published in The Economist, are these: illegal financing of political parties, tax fraud, false accounting, bribing financial police and bribing judges. One way or another, despite nine separate trials, he has managed to wriggle his way out of trouble. Either he has found succour in the statute of limitations or in amendments to laws that he himself, as prime minister, has championed. Only one case is pending. It concerns the alleged bribery of judges in a matter involving the sale of a state-owned biscuit company.

'Berlusconi is a man with a lot of skeletons in his cupboard,' says Giuliano Ferrara, a minister in Berlusconi's first government and, to this day, one of his closest confidants. 'But it is also true that the public prosecutors are very biased against him.' They were biased against him, or legitimately gunning for him (depending on your point of view) in part because of his close friendship with former Socialist Party prime minister Bettino Craxi, a man identified by a sort of moral revolution that swept the Italian judiciary in the early Nineties - Mani Pulite, or Clean Hands, they called it - as the epitome of the corruption at the heart of the Italian political system.

Craxi, who was godfather to one of Berlusconi's daughters, is credited with having whipped a decree through the Italian parliament in 1984 that allowed Berlusconi's Mediaset to go fully national. When Mani Pulite struck - indicting 900 politicians, civil servants and businessmen - Craxi, the judges' most treasured prize, fled to Tunisia, where he died in exile.

Craxi was Berlusconi's most valued political patron. Indeed, it was Craxi who bestowed on Berlusconi the honorific title of 'Cavaliere', Italy's republican equivalent of a knighthood. It was the least of the favours Craxi did him. No one would try to pretend that Craxi did not contribute significantly to building the Berlusconi fortune. Certainly not Ferrara, who meets with Berlusconi at least once a week and is today the editor of Il Foglio, a newspaper owned by the Berlusconi family. 'We all know we live in a country where fortunes can only be built on political grounds, on the back of alliances,' Ferrara says. 'Berlusconi, as a very successful TV businessman, was very well connected politically, and friends with Craxi. When Craxi was made the great scapegoat, Berlusconi felt he was next. And that is initially why he got into power. He had to do it to save himself.'

Until the legal waters started rising up to his neck, going into politics was the last thing on Berlusconi's mind. As Brunetta, Berlusconi's 'professore' at Forza Italia says, 'When I first met him in the early Nineties it was clear that he was a businessman through and through, with no interest in politics whatsoever.' It is, once again, a tribute to Berlusconi's talent that he identified the problem - 'I am in legal trouble because I have no more political patrons left' - then identified the solution - 'The only thing for it is for me to become my own political patron' - and then set about with extraordinary vigour and single-mindedness to found a political party, lead it and, in barely two months, become prime minister of Italy.

The coalition on which his first government was built fell apart after eight months, but while he had to wait until May 2001 to resume the prime ministership, his power as head of what remained during this time - Italy's biggest parliamentary party - remained considerable, allowing him, for example, to protect himself against attempts to encroach on his virtual monopoly of private TV. But his primary purpose in holding political power, as Ferrara points out, was to shield himself from the law. Whereupon he set about decriminalising several of the offences of which he was accused. Most spectacularly, last year his government passed a law that provided Berlusconi and five other high-ranking members of government with immunity against prosecution so long as they held office.

'Similar immunity laws are in place in France and Spain,' Ferrara shrugs. 'As for some of the other laws, they helped him, but they were valid for all.' The abolition of inheritance tax, one of his first measures on coming to office, was a case in point. It pleased all those who voted for him, but, Berlusconi being the richest man in Italy, it pleased his family best of all. He has passed laws that have given his companies huge tax write-offs. Last month, the Italian president, Carlo Azeglio Ciampi, shocked Berlusconi by refusing to sign a bill that would have further relaxed limits on media ownership as well as protect one of his family's TV stations, which under the present law is threatened by closure.

A setback, this, but not a disaster. A few days later Berlusconi's cabinet issued a decree providing Mediaset channel Rete 4 with the cover required to continue operating. As for the controversial bill, which would allow Berlusconi not only to consolidate his TV interests but expand his interests in print, the president will be obliged to sign it if the Italian parliament approves it a second time. Berlusconi's deputy prime minister, Gianfranco Fini, said he was convinced the bill would be returned to Ciampi for rubber stamping; whereupon - at least, this is the word in journalistic circles - Berlusconi will be free to pursue his ultimate aim, to acquire Italy's most respected and venerable newspaper, Corriere della Sera.

All of which suggests that if Italy were not already a member of the European Union it would struggle, so long as Berlusconi were in power, to meet the democratic criteria necessary to be admitted. Indeed, the European parliament, alarmed by Berlusconi's conflicts of interest, ordered an inquiry in October into freedom of expression in Italy. Furio Colombo has no doubt as to what the inquiry's findings should be. 'Berlusconi being prime minister represents an immense act of intimidation against all journalists, most of whom in Italy want eventually to go into television, because everybody knows that what you write and say may impact on your career.' Just in case anyone should have failed to get the message, Berlusconi has seen to it that examples are made of journalists who go beyond what he considers to be the boundaries of acceptable criticism.

The most celebrated case was that of Enzo Biagi, the most respected of Italian TV journalists. On the eve of the 2001 election, Biagi interviewed Roberto Benigni, the great Italian comic actor, star of the Oscar-winning film Life is Beautiful. As Colombo remembers it, Biagi asked Benigni what he thought of Berlusconi, whereupon Benigni started laughing, and laughing, and laughing in a manner so madly infectious that Biagi could not help but join in. Nor could Biagi restrain himself when Benigni set off on one of his trademark stream-of-consciousness monologues.

'Who is Berlusconi?' began Benigni. 'He is someone who always wants to be in on the act. He wants to be everywhere. He wants to be the star. There's a meeting, he talks. He goes to a wedding, he wants to be the bridegroom. He goes to a funeral, he wants to be the deceased.'

Biagi cracked up. The programme he was presenting, a five-minute interview and commentary programme called Il Fatto (The Event), had been broadcast since 1995. Despite Benigni's jokes, Berlusconi won the election, but he never forgave Biagi, claiming he had deliberately sought to turn voters against him. A year later, in April 2002, while on an official visit to Bulgaria, Berlusconi took his revenge. Publicly accusing Biagi and another RAI journalist of putting public television 'to criminal use', he urged RAI's management to take measures to prevent such abuses from happening again. Within two months Biagi and Il Fatto had been taken off the air, and were never to reappear on RAI again.

Even Berlusconi's best friends thought that this was too much. Ferrara wrote a column in his paper accusing him of abusing his power. Colombo goes a lot further. Claiming that RAI's subservience to Berlusconi effectively gives him control of 90 per cent of Italian TV, Colombo says Berlusconi exercises the most sinister influence over Italians' thought processes. 'He controls information so that people think what he wants them to think. Mussolini used tanks. Berlusconi uses his control of the media.'

You have to wonder, though. While there may be much truth in the contention that in the Italian media arena Berlusconi fills the role both of player and referee, is it also true to say that Italians are so easily manipulated, so gullible? After all, if there is one group of people in the world who were most definitely not born yesterday, it is the Italians. The really interesting thing, surely, is not that people vote for Berlusconi in such huge numbers because they have been reduced to sheep, but that they do so in the full possession of their faculties. It is not as if the opposition parties made some sort of a perverse pact to remain silent on Berlusconi's sins during the election campaign. On the contrary. 'He won the elections,' says Ferrara, 'despite the Italian public knowing everything about his conflicts of interest and his judicial problems.'

They know, as Benigni reminded them, and as Ferrara cheerfully admits, that Berlusconi is a 'megalomaniac' (though, as Ferrara maintains, a pleasingly self-deprecating one in private). They know he is - again, in Ferrara's term - a 'gaffeur'. They know, from his cheesy love songs, that he is something of a clown. They know he is corrupt, because they know you cannot make that much money in business in Italy without being corrupt. They know, to borrow John Dryden's description of a contemporary 17th-century politician, that 'in the course of one revolving moon, he was chymist [sic], fiddler, statesman and buffoon'. And yet 20m Italians have voted for him - twice. And may do so again. For all the belly-aching of the Italian left, and of The Economist, and of right-thinking politicians in Germany, Finland and Sweden, there is nothing resembling a national clamour for his removal from office. No riots, no street demonstrations. And while half of Italy may be against him, as half of America is against George Bush, there is no reason to believe he will not be elected again next time, should he still feel the legal pressure to stand.

So what is it all about? Could it be that Berlusconi has some redeeming features? Those who know him, like Brunetta, say that he is cheerfully egalitarian in his treatment of people, be they his chefs, secretaries or cabinet ministers. They say he works hard, that he exudes an all-American optimism in everything he does, that he is not the paranoid tycoon type, rather he is a team man who likes to make people around him rich, so long as they work for the furtherance of his glory. He is also, his advisers insist, a remarkably good listener, who takes notes as they talk. And, obviously, he is a mightily astute self-made man.

One of Berlusconi's greatest attributes, as far as the general public is concerned, may be his bare-faced honesty. As Ferrara says, no one will ever accuse him of being a natural-born politician, a man who chooses his words carefully, who knows how to be economical with the truth.

Tana de Zulueta, a senator of the Democratic Left party and one of Berlusconi's most vociferous critics, says that his gaffes in the Rome press conference with Putin provided further evidence of 'his diabolical mixture of ignorance - he does not read the dossiers because he is simply not interested in the business of government - and his slightly demented exhibitionist streak.' And, yes indeed, he may be a mildly bonkers egomaniac, he may be the single most corrupt politician in Europe, but he has never purported to be a whiter-than-white Tony Blair type. During the day of that famous session at the European parliament when he compared the German politician to a Nazi, he let slip a quite remarkable little nugget. Pressed by a critic who suggested that back home he was passing laws that served his own interests, Berlusconi indignantly replied that out of 350 laws his government had proposed, 'only three' had been 'in a certain sense' for his own benefit. Terribly shocking, this, to Protestant European sensibilities, of course, but is it really much worse than President Bush passing laws that cut taxes for his rich election campaign donors, that do favours to his old buddies in the oil industry?

Take another example, Berlusconi's response to the question why his government supported the war in Iraq. None of the convoluted arguments employed by Mr Blair; no sexing up of dossiers; no claims that Italy was under imminent threat of nuclear attack. As Brunetta says of him, he is a simplifier who cuts straight to the point. I supported the war in Iraq because that is what the Americans wanted me to do, is what he says. More specifically, this is what he told The Spectator in an interview in the summer: 'If a brother goes into a certain business and for three months I say, "I beg you not to do it", and when he does it - well, he is my brother, and I support him, even if not to the point of paying for all his losses! And I have done the same thing with the US. We are alive today because of the US and it was the US who liberated us from Nazism and Communism and supported our economic growth.'

In other words, Berlusconi is America's poodle. Unlike others, he does not pretend that he isn't. Whatever else you may say about him, he is not a hypocrite. He does mention the war; he says what he really thinks about Muslims and Christians (one wonders if Bush does). He is so sensationally uninhibited, in fact, that he makes no bones about repeating the widespread rumour that his topless actress wife, Veronica Lario, is having an affair with Massimo Cacciari, a Marxist philosopher and former mayor of Venice. Thus it was that a year ago he introduced the Danish prime minister, who was visiting Rome, as 'Anders Rasmussen, the best-looking prime minister in Europe', remarking that he and Veronica really ought to meet. Rasmussen, after all, was so much better looking than Cacciari.

If Italians vote for him it must be, in the end, because they like him. Because they see much of themselves in him. His disregard for the rules; the importance he attaches to cutting a bella figura; his unabashed cynicism (as per his relationship with the transparently amoral Putin); and a sense, detectable too from a distance that, like most Italians, he sucked in an understanding of life's comic futility with his mother's milk.

If every day on your way to work you drive - or in previous centuries, rode or walked - past the Colosseum, past that monumental ruin of an empire that once bestrode the known world, then it is impossible not to be possessed of a keen sense of irony; of an understanding that everything passes, nothing lasts and there is nothing new under the sun. A point Ferrara makes is that Italians have nothing remotely equivalent to the veneration Americans feel for the White House, the British (or at least a good number of them) for the monarchy, the Spanish for the hidalgo concept of nobility. Nothing beyond the inner circle of family and close friends is sacred.

Foreigners visiting Italy can sense it in the languid condescension with which they are regarded by the natives, the world-weary amusement. Which is hardly surprising if, never mind the rise and fall of the Roman empire, your country has been subjected to pillage, slaughter and rape for one generation after the next for 16 centuries. The inevitable outcome is that you attach no faith to your country's rulers. They have never protected you from the barbarian hordes. You try, in fact, to keep government as far removed from your life as possible, because insofar as they have been able to, they have pillaged you, too. 'Piove; governo ladro,' the Italians say. 'It rains; the government steals.' So what else is new? At least Berlusconi does not seriously try to make out that he is somehow different, that he is possessed of a superior virtue. To play the fool: that is OK. We all get the joke. And even if sometimes it is not very funny, if there is something a little operatically embarrassing about him, what does it matter, really?

Central government in Italy feels far away. If Berlusconi makes a fool of himself, it is his business; it is not as if anyone imagines he is the incarnation of the Italian people. People vote for him - insofar as they think about it very much, which most Italians do not - because they admire his success and because he is like many of them, only more so. He is not just Italian, he is Italianissimo. Some may think, as he does of the Muslims, that the Berlusconi phenomenon reveals Italy to be an inferior civilisation. Some will say the precise opposite. Either way, don't expect the man on the Colosseum omnibus to be particularly fussed.