lunedì, dicembre 26, 2005

Soldo di cacio


Ecco Tilly Smith, la ragazzina inglese che, grazie a una lezione di geografia, salvò la vita a molti turisti, è tornata a Phuket per le commemorazioni a un anno dal disastro dello tsunami. Il 26 dicembre dello scorso anno Tilly, che oggi ha undici anni, dai segnali del mare intuì il sopraggiungere dello tsunami: osservando l'oceano indiano, le era tornato alla mente un documentario visto a scuola sui maremoti delle isole Hawaii. "Ho capito che stava succedendo qualcosa quando ho visto che il mare stava facendo schiuma", aveva raccontato. La ragazzina persuase quindi i suoi genitori, la sua sorella maggiore di 17 anni, e tutti gli altri turisti presenti, circa un centinaio, a lasciare subito la spiaggia.

sabato, dicembre 24, 2005

Il cibo è buono....

....è il servizio che lascia un po' a desiderare...

Adesso io mio chiedo, ma è possibile che nei fast food di Baghdad le cose vadano talmente male che siano costretti ad assumere Rumsfeld in cucina?




Scherzi a parte. Ogni volta che credo che la propaganda abbia raggiunto il massimo dell'abominio, c'è sempre qualcosa o qualcuno pronto a smentirmi... Buon Natale

martedì, dicembre 20, 2005

Ho visto cose che voi umani....

- Il professor Rutger Hauer, Governatore della Banca Centrale di Y21, nella galassia di Sgùrz, mentre ammette i fatti contestati dal magistrato -


Quando ho aperto questo blog ero convinto di postare (in italiano) molte cose SULL'estero. In realtà, DALL'estero, dove vivo da anni, quando guardo il mio paese mi chiedo davvero come sia possibile che non sia ancora diventato l'Argentina dei cacerolazos. Adesso questa storia di Fazio, il governatore (qui raccontata da Repubblica), mi fa pensare a Blade Runner e alla nota frase di un Rutger Hauer morente che dice: "ho visto cose che voi umani....". Per gli italiani che leggono questo blog è cosa scontata. Per alcuni amici che invece vivono altrove, ma amano la cultura del mio paese (anche se io la P ce la metto maiuscola), no.
Ecco, io mai avrei pensato che un governatore di una banca centrale sarebbe finito così.

MARTEDÌ, 20 DICEMBRE 2005

La caduta di Antonio da Alvito Governatore senza qualità
Lanciato da Tangentopoli, ora affondato dalle inchieste
Non appartiene all´élite economica, come i suoi predecessori. Senza il loro montante etico
Per Guido Carli era solo "un giovane economista", ma era allievo di Modigliani
Il paradosso di un governatore democristiano che è nominato alla fine dell´era democristiana. Ora paga la legge del contrappasso
Nel gennaio ´93 la guerra in Bankitalia. Ciampi non lo gradisce come successore. Ma Fazio è aiutato dalla Dc
Due anni fa uomo di punta dell´oligarchia apartitica: se scendeva in politica gli accreditavano 4 milioni di voti
Una fine annunciata: forse plagiato da affaristi, ribaldi e truffaldini, confuso tra affari di Stato e affari della sua famiglia

ALBERTO STATERA
Uomini come Stringher, Azzolini, Einaudi, Menichella, Carli, Baffi, Ciampi. Non aveva passato, l´uomo di Alvito, problemi con il test del chiodo, quello che Bonaldo Stringher infliggeva ai candidati ai grandi destini di palazzo Koch. I chiodi intrecciati li sciolse - questo era il test - Menichella e poi, via via, con le nuove procedure di un´élite forte, prestigiosa e autoreferenziale, tutti i governatori.
Antonio Fazio, l´uomo che Carli considerava soltanto «il giovane economista che aveva elaborato quello che sarebbe diventato il modello econometrico della Banca d´Italia», allievo di Franco Modigliani, ma a digiuno di grandi principi, se non quelli religiosi coltivati nella parrocchia del suo paese, fu incoronato governatore ai tempi di Tangentopoli.
Era il 31 maggio 1993. In un salone della Banca d´Italia presidiato da stuoli di carabinieri e con una platea piuttosto rarefatta, perché in buona parte ospite delle patrie galere, il neogovernatore parla di «Etica ed economia», tema che gli resterà caro per tutto il mandato, fino, paradossalmente, all´incedere dei neo - miliardari «furbetti» da lui stesso vezzeggiati e sdoganati, come in odio al vecchio establishment del capitalismo rattrappito.
Racconta il neogovernatore che la corruzione ha gonfiato la spesa pubblica, inceppato il mercato e «ostacolato la selezione dei fornitori e dei prodotti migliori», costituendo una vera «tassazione impropria» che è ricaduta sulla collettività. Ma aggiunge che «la rimozione delle pratiche consociative e tangentiste può avere un immediato effetto di freno sull´attività economica».
Un vero capolavoro politico: vuol dire che l´economia tangentara va condannata, ma senza dimenticare che è servita anche allo sviluppo. Ora non si può più. Fazio dipinge così una sorta di «keynesismo delinquenziale» che, tutto sommato, ha favorito lo sviluppo del paese nel mezzo secolo democristiano. Perché, allora, sanzionare Gianpiero Fiorani, il banchiere di riferimento timorato, ma un po´ lazzarone, se è lui che serve a difendere l´ «italianità» delle nostre banche, insidiate dai massoni calvinisti del Nord Europa?
Il profilo di Fazio è quello perfetto di un governatore democristiano alla fine dell´era democristiana, la scelta meno sediziosa rispetto al potere politico allora apparentemente morente.
Gennaio 1993, anno centenario della Banca d´Italia.
«Famiglia Cristiana» apre le danze. In un articolo intitolato «La Loggia mette il veto», ipotizza ingerenze laico-massoniche e racconta che il governatore Carlo Azeglio Ciampi, che vuol lasciare a fine anno l´incarico e sotto accusa per non aver avvertito in tempo che il cambio della lira non è più sostenibile, sarebbe intervenuto contro la nomina a suo successore del cattolico Lamberto Dini e, men che meno, di Antonio Fazio. Paolo Cirino Pomicino e Umberto Bossi sparano ad alzo zero su Ciampi.
Ma Scalfaro lo incarica di formare il nuovo governo. Così, in un crescendo di retroscena veri o presunti, nell´evocazione di poteri laico-massonici e di pressioni d´Oltretevere, si arriva alla successione di Ciampi. Non Tommaso Padoa Schioppa, che Ciampi preferiva, non Mario Monti, candidato di Andreatta, un democristiano più laico dei laici, ma Antonio Fazio, sponsorizzato da una parte della Dc in disfatta e dalle gerarchie ecclesiastiche, che lo conoscono come superbo cultore di San Tommaso, oltreché sostenitore dei Legionari di Cristo e, se non suprannumerario, autorevole simpatizzante dell´Opus Dei di Escrivà de Balaguer.
Ma tutto questo non basta a spiegare l´epilogo alquanto inglorioso di un personaggio che fino a un paio d´anni fa era l´uomo di punta dell´oligarchia cattolica e apartitica, un´autorità morale indiscutibile, gradita sia al Centrosinistra che al Centrodestra. Era il personaggio che, secondo diversi tecnici elettorali, avrebbe potuto raccogliere quattro milioni di voti, sia a destra che a sinistra. Poi gli scandali Cirio, Parmalat, bond argentini, gli scontri con Giulio Tremonti, l´arroccamento in una supplenza pervasiva della politica, le Opa bancarie, gli improbabili immobiliaristi, l´azzimato banchierino di Lodi «amico di famiglia» e dispensatore di costosi regalini, la rinuncia al ruolo di arbitro imparziale che ci ha esposti agli occhi dell´Europa e del mondo come il paese dell´irritualità, delle regole capitalistiche piegate all´incontrollabile potere personale, persino della perenne «pochade» italica.
Le condanne generalizzate, le sconfitte su tutti i fronti, anche internazionali, giustificate dalla gravità dei fatti, non sono servite fino all´estrema, generale condanna a piegare l´orso marsicano, nutrito di dottrina e fede, ma di pochi argomenti accettabili. E qui la fenomenologia di Antonio da Alvito fa acqua. Perché è difficile capire come il detentore di uno dei poteri tra i più cospicui del paese possa impaniarsi in una palude familista che a un certo punto non gli consente più di decifrare tra gli affari di Stato e gli affetti suoi e della signora Maria Cristina, figlia di un falegname di Alvito, delle quattro figlie, del figliolo, giovanotto mondano che corre la Millemiglia col raider «Chicco» Gnutti, condannato per insider trading. Un grande regolatore del capitalismo che affida il suo «lobbying» a vecchi arnesi democristiani, come l´esimio senatore Luigi Grillo, che sul conticino della Banca popolare di Lodi fa speculazioncelle da salumiere.
Quest´uomo, stretto tra l´ossessione di definire a suo modo l´assetto del sistema bancario italiano e l´affetto per quel «tesoro» di piccolo banchiere di Lodi, è l´autore di un golpe finanziario che voleva ridisegnare gli assetti del capitalismo italiano con l´assalto al cielo delle banche e della Rizzoli-Corriere della sera? Viste le mosse, è difficile crederlo, anche se, come dice sempre il saggio Andreotti, guardando quello che abbiamo intorno, cresce per forza la nostra autostima. Difficile crederlo, compulsando di nuovo le intercettazioni telefoniche dell´estate, nelle quali il pio Fazio appare un uomo tirato per la giacca dai furbetti che, da come ne parlano, sembrano considerare «Tonino», l´ex icona intoccabile della Banca d´Italia, come un vecchio zio un po´ grullo. Uno zio che, dopo cent´anni di storia, lascia purtroppo a palazzo Koch, la Banda d´Italia.

lunedì, dicembre 19, 2005

Tav si, Tav no



A me la storia della Tav, onestamente, non è chiara. Certo, ci sono molti che VOGLIONO il passaggio dei camion perché è un indotto e vada in mona l'ambiente. Poi però mi hanno mandato questo articolo di Gian Antonio Stella. Mi scuso. È vecchiotto. Embé, dà da pensare....

Aperta ieri con cinque anni di ritardo la prima delle «sue» due gallerie sull'Autosole di Nazzano, che doveva esser pronta nell'ottobre 2000 per il Giubileo, il ministro Pietro Lunardi ha accelerato nell'alta velocità prediletta: quella di parola. E facendo invelenire Beppe Pisanu, che ha subito fatto sapere d'essere «fortemente irritato» con lui, ha liquidato lo scontro sociale, politico e culturale sulla Tav in Val di Susa nello stile di un colonnello sudamericano: «È ormai un problema di ordine pubblico, non riguarda il mio dicastero».

Parole incaute in bocca a ogni ministro d'un governo occidentale che sia conscio delle difficoltà di ammanettare, insieme coi no-global, anarchici e attaccabrighe, anche sindaci e commercianti, artigiani e casalinghe. Ma ancora di più in bocca a lui, invischiato nella controversa faccenda non solo come responsabile delle Infrastrutture ma anche come ingegnere, fondatore, progettista e uomo simbolo della «Rocksoil», la maggiore delle società italiane specializzate nei tunnel, che come è noto ha ceduto a moglie e figli per aggirare la grana del conflitto d'interessi.

Proprio perché, come ha ricordato Carlo Azeglio Ciampi, non è ammissibile che i campanilismi di una contrada, gli umori dei «signornò» o le beghe di bottega blocchino grandi opere di interesse collettivo, queste opere devono essere progettate, spiegate, appaltate e fatte nella massima trasparenza. Senza il minimo sospetto di qualche dettaglio occultato e men che meno di qualche interesse personale. Ed è qui che i conti lunardiani non tornano.


Passi l'abolizione, decisa appena dopo aver giurato in Quirinale, del divieto firmato dal predecessore Nerio Nesi (in linea con le scelte europee) di costruire ancora tunnel a una canna e due sensi di marcia, divieto che toccava anche un suo progetto abolito (e da lui ripristinato) in Val Trompia.

Passi l'assunzione come capo della segreteria di Giuseppe Calcerano, cioè del dirigente delle Autostrade che, come denunciò Alessandro Sortino de «Le Iene», era addetto alla supervisione di quelle gallerie di Nazzano il cui progetto firmato nel 1997 da Lunardi nelle vesti di ingegnere era stato rifatto dopo la scoperta di una falda che, stando alla bacchettata, «si sarebbe dovuta prevedere nella fase progettuale».

Passi l'appalto, smascherato da MF, ottenuto dall'azienda di famiglia (nonostante avesse giurato davanti alle telecamere: «I miei figli lavoreranno solo all'estero») per «la progettazione esecutiva e costruttiva registrate nel bilancio 2004 di una galleria del collegamento ferroviario Milano-Malpensa», collegamento gestito dalle Ferrovie Nord, controllate dalla Regione Lombardia.

Fin qui siamo dentro il cattivo gusto, l'indifferenza al senso di opportunità, la violazione di quei codici etici, scritti o non scritti, che spingono i cittadini a rispettare uno Stato serio.


In Val di Susa c'è di più. I pareri sulla bontà o meno della scelta di bucar le montagne esattamente lì, come è noto, sono discordi. Succede, che gli specialisti litighino dando più peso a questo o a quel punto. E succede spesso. Da una parte all'altra del pianeta.

Nel caso specifico, però, c'è una storia che val la pena di raccontare. Quella di due tunnel paralleli per l'acqua, 4,75 metri di diametro esterno e una decina di chilometri di lunghezza, iniziati una decina di anni fa, proprio in quella zona, per conto dell'Aem, l'azienda municipale di Torino.

Nel patto dei costruttori erano in quattro: l'Astaldi (capofila), la francese Eiffage, un'impresa del Mezzogiorno poi finita nei guai finanziari, e la Selmer (Nocon), una grossa società norvegese con diecimila dipendenti (allora: oggi ha capitali svedesi e i dipendenti sono saliti a quindicimila) che lavora spesso in coppia con la Norconsult, specializzata in gallerie.

Un patto destinato a durare poco: a metà galleria, la Selmer decise infatti di sfilarsi. Ed è qui che si affacciano un mucchio di domande. È vero che la società scandinava prese la decisione di uscire dopo l'ennesimo incidente, che aveva visto una frana seppellire una costosissima talpa americana di marca Robbins? È vero che i norvegesi si lamentarono degli studi che accompagnavano il progetto dicendo che i calcoli geologici erano inesatti? È vero che la montagna venne allora definita «una gran brutta montagna» segnata da fenomeni carsici, fiumi sotterranei, temperature qua e là molto alte e presenza di amianto? È vero che la faccenda finì in mano agli avvocati finché la Selmer-Nocon non se ne andò dopo avere ottenuto una buonuscita?

Domande non secondarie. Perché, se fosse vero («Mai saputo niente: a noi dissero solo che c'erano stati dei problemini», dice il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano), le perplessità di chi si oppone non sarebbero ancor più «solo un problema di ordine pubblico».


Tanto più che, a leggere le cronache di questi giorni, anche la francese Eiffage si ritirò per «difficoltà» nel 2004 da un altro cantiere, sul versante francese. Quello che prevedeva la costruzione di una galleria di 2 chilometri che doveva servire a saggiare le condizioni di scavo. Galleria che vedeva impegnata, fra gli altri, anche la Rocksoil di Pietro Lunardi.

La quale, come spiegava una dettagliata interrogazione dei senatori verdi Anna Donati e Giampaolo Zancan sulla base del bilancio 2002, era stata incaricata della progettazione del tunnel «attraverso una cascata di sub-incarichi e consulenze». La committente era la società francese Ltf, controllata alla pari dalla francese Rff e dall'italiana Rfi, che gestiscono le reti ferroviarie francese e italiana.

Col risultato che a pagare una parte dei lavori, stando al cartello filmato ancora da Alessandro Sortino, c'erano il governo italiano e le nostre Ferrovie dello Stato.

Gian Antonio Stella
dal Corriere della Sera, 8 dicembre 2005

Siccome

Siccome in Italia è considerato normale fare il saluto romano alla fine di una partita da parte di un vecchio giocatore che si avvia malamente a fine carriera. Siccome in Italia è considerato normale che un gruppetto di facinorosi "sequestri" un'intera tifoseria con simboli di cui probabilmente non conoscono neppure il significato. Siccome un presidente e un allenatore che hanno allle spalle una riconosciuta professionalità trovano normale difendere l'indifendibile idiozia, allora io posto questo articolo del Pais. Molto bello.

La otra cara del Lazio
ENRIC GONZÁLEZ
EL PAÍS - Deportes - 19-12-2005

Un gruppo di onorati calciatori e di cittadini esecrabili ha fatto un partitone contro la Juve.
Conviene giudicare la gente da quello che fa, non da quello che dice o che pensa. D'altro canto è assurdo ritenere che i nostri avversari politici non abbiano virtù. È anche ovvio che, come accade nell'arte, le qualità estetiche e morali del calcio possano essere aliene alle qualità estetiche e morali di chi lo pratica. Leggiamo Céline nonostrante Céline e ammiriamo Picasso nonostante Picasso.

Questo ci permette di parlare di una squadra audace e orgogliosa che indossa una maglia celeste in onore della Grecia olimpica e che in campo s'impegna con grande nobiltà. Stiamo parlando della Lazio, la stessa squadra del fascista Di Canio La Lazio dei tifosi che alzano il braccio e delle croci uncinate. La lazio i cui presidente e allenatore considerano "normale e sportivo" il saluto romano. La Lazio che sta schifando il mondo intero.

Il vecchio Di Canio sabato scorso è tornato a salutare col braccio alzato e promette di farlo a tutte le partite. Ad assecondarlo Dabo, un giocatore di colore che, secondo la stampa francese, solo qualche giorno fa aveva dichiarato di essere stufo delle intemperanze del suo compagno fascista. Arroccato nell'errore. Non c'è modo di dimenticare cose del genere.
Eppure, nonostante tutto, che cosa strana è la vita. Sabato guardando la Lazio dannarsi l'anima contro la potente "vecchia Signora" chiunque non fosse juventino si sarà sentito certamente un poco laziale. Nella sua mezz'ora scarsa di gioco Di Canio si è ammazzato per la sua squadra, dalla sua positzione ha fatto di tutto per cercare di smontare il muro juventino. Dabo ha dominato il centrocampo e Liverani ha creato gioco. Di gran classe. La Lazio è stata soprattutto una grande squadra, compatta e generosa come ha fatto spesso in questa stagione. Come non provare simpatia per Delio Rossi, un tecnico operaio che ha portato questo entusisamo nello spogliatoio. E perfino per Claudio Lotito, un presidente logorroico e un po' ruspante che è riuscito, almeno per ora, a salvare dal fallimento una società in crisi finaziaria da quando, nel 2003, è fallito il suo vecchio proprietario: la Cirio. Come non fare il tifo per una delle squadre meno fallose del campionato. Come non applaudire gente che ha fatto debuttare un ragazzino danese di 20 anni perché in panchina non c'era nessun altro.

Il sabato si sono tolte una soddisfazione quelle migliaia di tifosi che non sopportano l'ideologia fascista e neppure la fama indesiderata che la squadra si è fatta. La Lazio, come la Roma, controlla certe aree geografiche. In alcune zone della periferia di Roma o i9n alcune località della regione uno nasce laziale per forza. Di Canio e i suoi 300 fanatici invece possono far dimenticare che nella Lazio, come dovunque, c'è di tutto.

Il fatto è che la Lazio, con un pareggio che avrebbe potuto anche finire meglio, ha fermato la Juve e tenuto in vita il campionato. L'Inter, seconda, resta a otto punti dalla capolista. Il Milan, con tutta la sua malinconia difensiva, è rimasto a nove. La Fiorentina senza riserve non riesce a restare sul treno delle tre grandi. Le distanze restano enormi però la gara non è finita. E tutto questo grazie a un gruppo di calciatori onorati e di cittadini esecrabili che hanno fatto un partitone.

- la curva della Lazio come dovrebbe essere -

domenica, dicembre 18, 2005

Credere, obbedire... e giocare?

da Repubblica:
"Hanno voluto creare il mostro ma non rinuncio alla mia identità"

Di Canio, un altro saluto a braccio alzato e comizio in tv


EMILIO MARRESE
ROMA - Da Benito Mussolini a Massimo Ranieri, ché tanto alla fine è tutto un festival: rose rosse per te ho portato stasera, ha scritto la Nord passando dalle svastiche del Mein Kampf al Cantagiro del ‘69 in onore del condottiero laziale che alle 19.50 era andato a raccogliere l´omaggio floreale e una sciarpetta piena di celtiche sotto la curva al grido della folla di "duce duce".
Poi si strologherà se all´uscita dal campo, dopo 54´ di gioco, quel braccio teso dell´irriducibile Paolo Di Canio dalla panchina verso le sue sturmtruppen tramutatosi - prima che i fotografi potessero prendere bene la mira - in uno ciao ciao, con la manina aperta e senza battere i tacchetti, fosse un saluto romano o un saluto ternano (vive là). Certo che il gesto pareva molto equivoco e a lui il braccio scappa sempre un po´ troppo. A sentirlo dopo in un improvvisato comizio tv, viene da proprio da pensare che l´abbia rifatto, come promesso, senza bisogno di stare a cronometrare i secondi di quella mano aperta: «Non credo di offendere la memoria di nessuno - ha detto - , per me è un saluto normale, non è razzista. Io ho la mia identità, credo in delle cose, si sa, e si sa anche cosa porto addosso (i tatuaggi ndr). Le manifesterò sempre da persona libera. A Livorno sono stato strumentalizzato perché era una piazza rossa e i politici devono farsi un esame di coscienza perché si buttano nel calcio per farsi uno spottino a sei mesi dalle elezioni. Sono schifato dall´opinione pubblica. Hanno creato il mostro. Io mi sento una vittima. Quello che ho subìto a Livorno è stato vergognoso e patetico, mi hanno massacrato verbalmente e fisicamente. Io saluto così, mi condannino ad ogni partita. Indaghino anche Dabo e Rossi allora che hanno salutato così stasera». E Delio Rossi l´ha difeso ancora: «La Lazio non è razzista ma di chi gli vuole bene, quando c´è di mezzo di Di Canio si monta sempre un caso». E il giocatore certo non aiuta a smontarlo.
La partita sul campo dell´uomo nero del calcio mondiale (senza fascia da capitano: istanza popolare respinta) si riduce a due giocate nel primo quarto d´ora, entrambe a ridicolizzare quel Thuram che alla vigilia ne aveva criticato le «esuberanze» politiche: prima un dribbling che ha costretto il francese al fallo sulla soglia dell´area e poi, soprattutto, la palla scippata sulla linea di fondo che è diventata (con la collaborazione di Manfredini) il gol di Rocchi dell´1-0. Delio Rossi l´ha levato all´inizio della ripresa, senza neanche incassare un regolare vaffa («Alla mia età mi accontento dei minuti che ho»). Sul campo Di Canio, che è fascista e anche fanatico ma mica fesso, s´è comportato come un´orsolina anche quando volavano brutti calcioni (l´aratro di Cannavaro ha tracciato il solco sulle gambe di Behrami, fuori in barella) e i suoi colleghi provavano anche a strozzarsi le giugulari (vedi Nedved e Liverani fine primo tempo).
Ma un conto sono i suoi piedi e un altro le braccia. Dopo l´uscita di scena a mano tesa di Di Canio sono comparse grosse scritte contro i laziali anti-dicanisti Del Turco e Curzi, contro il cardinale Angelini che non s´è fatto gli affari suoi, più una promessa agli amici toscani: «Diecimila braccia tese ti aspettano infame livornese». Non solo Massimo Ranieri. La curva biancoceleste è ricorsa anche al latino di Cicerone per vedere di farsi intendere meglio da Lotito: «Egredere aliquando ex urbe patent portae: proficiscere!».
Il presidente avrà sicuramente colto il brano dalle Catilinarie che lo invita ad aprofittare delle porte aperte e levarsi di torno. Nonostante la difesa spassionata quanto acrobatica di Di Canio, il n.1 della Lazio ha raccolto i soliti insulti gridati e scritti, più o meno irripetibili. «Tutto per la Lazio niente per Lotito» diceva un enorme striscione all´inizio del match, sotto una spettacolare coreografia. E infine qualche sporadico "buu" equosolidale sia ai pallidi Nedved e Ibrahimovic che a Thuram e Vieira.
Sul fronte bianconero da segnalare un «No a Euro 2012» che non sarà garbato a Giraudo e Moggi. A proposito di Moggi, prima della partita intervistato da Sky tra serio e faceto sulla vicenda Di Canio, aveva detto «dalle nostre parti (quelle della Juve ndr) un gesto si può fare una volta ma la seconda non lo fanno più». Ancora più esplicito Capello: «Quando la politica entra nel pallone è un´entrata da cartellino rosso». L´unico braccio teso che il popolo laziale all´unanimità avrebbe voluto vedere ieri sera sarebbe stato quello di Angelo Peruzzi sul cross di Nedved, e invece il pallone è finito sulla testa di Trezeguet per l´1-1.


- Il simpatico calciatore Paolo di Canio in una buffa immagine subdolamente interpretata. Il giocatore stava dicendo "aspettami, aspettami" a un tizio in tribuna. La serenità del suo sguardo non può tuttavia essere fonte di dubbio. Qui la politica non c'entra -

giovedì, dicembre 15, 2005

Zitti, l'Iraq vota



Questa foto è splendida e questo post forse non ha senso, ma se abbiamo creduto alle armi di distruzione di massa possiamo anche credere al fatto che questo post abbia un significato....

mercoledì, dicembre 14, 2005

Un bravo al compagno Schröder


Da el Pais

L’ex cancelliere federale tedesco Gerhard Schröder ha governato per sette anni con un bilancio che senza essere brillante può comunque essere considerato dignitoso. Persino i suoi rivali, come il suo successore Angela Merkel, gli hanno riconosciuto il merito di aver sviluppato proposte importanti per il paese. Per questo è incomprensibile e triste che Schröder metta tutto in gioco, il rispetto e il riconoscimento generale acquisiti durante una lunga carriera politica per assumere un incarico nell’industria privata che ha suscitato uno scandalo.
Non c’è bisogno di rifarsi ai codici di condotta e sobrietà di Federico il Grande di Prussia per capire che appena due settimane dopo aver lasciato l’incarico di cancelliere tedesco non sarebbe opportuno ad esempio assumere un ruolo molto ben remunerato in una casa editrice svizzera che gioca un ruolo importante nel panorama mediatico tedesco. Altri hanno avuto simili atteggiamenti in passato, ma quello che ha davvero sconvolto i tedeschi, ivi compreso il suo ex partito è stato che l’ex cancelliere è stato nominato presidente del consiglio di vigilanza del consorzio russo-tedesco NEGP, che sta costruendo e sfrutterà il gasdotto che collega i due paesi. Detto gasdotto è di proprietà di Gaszprom (51%) e in esso vi partecipano due compagnie tedesche il 24,5% sono di (Eon e BASF), questo è il risultato di un accordo molto criticato qualche tempo fa fra Schröder allora cancelliere e il presidente russo, Vladimir Putin. L’installazione que inizialmente avrebbe dovuto essere terrestre e passare attraverso paesi baltici e Polonia, diventò per iniziativa dei due politici, sottomarinaper marginalizzare il ruolo che avrebbero avuto questi stati un fatto che è stato considerato pregiudizievole per paesi baltici e Polonia.
Il fatto che non sia nemmeno passato un mese da quando, in qualità di cancelliere (ruolo che aveva permesso la realizzazione di questo megaprogetto) Schröder annunci di assumere la presidenza del consorzio che questo megaprogetto contolla la dice lunga sulla sensibilità dell’ex capo di Governo. Nessuno si aspetta che Schröder faccia la fame, però nessuno crede in Germania e fuori che per evitarlo Schröder avrebbe dovuto convertirsi in un impiegato di lusso di un consorzio dominato da una impresa pubblica del molto poco trasparente stato di Vladimir Putin.

lunedì, dicembre 12, 2005

Quei bugiardi di rainews24



È un post un po' lungo, ma mi piacerebbe che qualcuno legggesse per vedere come si parla di guerra in Tv. In Italia....

da: www.diario.it

Da Falluja a Ferrara…
Come si parla di guerra in tv
Dicono che la televisione ha il merito di parlare chiaro e di far capire le cose a tutti. Ma sarà vero? Provate a leggere la trascrizione della puntata di Otto e mezzo sul fosforo bianco a Falluja, condotta da Giuliano Ferrara su La7 il 22 novembre 2005. In oltre un’ora di “dibattito”, di quel che è successo a Falluja nella battaglia del novembre 2004 si capisce davvero poco (e spesso quello che si capisce è falso). Appaiono invece chiarissime le ossessioni ideologiche e propagandistiche del conduttore (e non solo)
di mario.portanova


OTTO E MEZZO
Puntata sul fosforo bianco a Falluja

La7, 22 novembre 2005
Trascrizione integrale e commentata
a cura di Mario Portanova - Diario

In studio:
Giuliano Ferrara, conduttore
Ritanna Armeni, conduttrice
Sigfrido Ranucci, autore dell’inchiesta di Rainews 24 sull’uso del fosforo bianco a Falluja
Toni Capuozzo, inviato del Tg5
Carlo Jean, generale di Corpo d’armata in pensione e docente di studi strategici presso la facoltà di Scienze politiche della Luiss.

NOTA: I commenti tra parentesi in corsivo sono nostri.
I DOCUMENTI DI DIARIO
Papà, che cosa è successo a Falluja?, l'inchiesta che ha svelato la strage nella città sunnita
Diario, 3 giugno 2005.
Falluja, the day after, il video consegnato a Diario dal Centro studi per la democrazia e i diritti umani di Falluja
Falluja, non solo fosforo. Tre militari americani raccontano le torture inflitte, spesso per divertimento, ai prigionieri presi a Falluja prima della battaglia del
novembre 2004. Le testimonianze raccolte da Human Rights Watch in traduzione italiana integrale

OTTO E MEZZO, La7, 22 novembre 2005

ARMENI. Buonasera buonasera. L’8 novembre, alle 7 e 30 del mattino, Rainews 24 ha mandato in onda un servizio giornalistico su Falluja. Falluja è la città, a 70 chilometri da Baghdad, la roccaforte della resistenza sunnita e del terrorismo di al Qaeda
(Veramente su al Qaeda la questione è un po’ più controversa…).
Un lungo reportage in cui si parlava di una strage, una strage che ha colpito anche i civili, uomini, donne e bambini e che — questo lo scoop — era stata procurata dal fosforo bianco.
Il fosforo bianco è un agente chimico che brucia l’ossigeno e che quindi quando incontra il corpo umano lo disidrata e lo brucia immediatamente (…)
Il problema di cui dovremmo discutere stasera è: ci sono nelle guerre delle regole che vanno rispettate? (…)

Dopo "Il punto" di Lanfranco Pace, che riassume i contenuti del documentario "Falluja- La strage nascosta" di Sigfrido Ranucci per Rainews 24, comincia la discussione tra gli ospiti in studio.

FERRARA. Bene, Sigfrido Ranucci è un giornalista, diciamo responsabile, che ha fatto un gran lavoro nel campo della lotta alla mafia, nel campo del riciclaggio dei rifiuti, insomma ha fatto inchieste pesanti, difficili e scomode, è quello che un potente di passaggio definirebbe un rompicoglioni. Allora Ranucci, come è arrivato a questo scoop?
RANUCCI. Noi siamo andati…
FERRARA. Cioè la fonte
RANUCCI. La fonte…
FERRARA. Se possiamo saperlo, ha il diritto di non…
RANUCCI. La fonte… questo biologo, Mohamad Tareq al Deraji, di Falluja, lui è…
(La fonte sull’uso del fosforo a Falluja è in realtà il soldato americano Jeff Englehart, ma come vedrete Ranucci non potrà arrivare a citarlo. Mohamad Tareq al Deraji è invece la fonte di foto e filmati sui morti della battaglia).
FERRARA. Dunque questo è un signore iracheno, di Falluja
RANUCCI. Sì, è un signore iracheno di Falluja, lui ha fondato una ong nei momenti cruciali dei bombardamenti e ha raccolto del materiale, materiale che è stato girato e scattato dagli stessi americani…
FERRARA. Quindi lui è un attivista politico del movimento degli insorti.
RANUCCI. Non è un attivista politico, è un biologo…
FERRARA. Ah, è al di fuori di tutto.
RANUCCI. Al di fuori di tutto, ha fatto parte per un certo periodo…
FERRARA. Ma stava a Falluja quando è cominciata la battaglia?
RANUCCI. Stava a Falluja quando è cominciata la battaglia ed è stato a Falluja fino a novembre; ha vissuto il bombardamento di aprile e successivamente ha raccolto del materiale di Falluja…
FERRARA. Lui era lì quando si sono svolti gli eventi di cui poi avete parlato? No, a quel punto era andato via…
RANUCCI. La sua famiglia, parte della sua famiglia era rimasta a Falluja…
FERRARA. Parte della famiglia era rimasta, lui era a Baghdad…
RANUCCI. Lui no, era andato ad Amman e poi ha fatto…
FERRARA. In Giordania, con la sua organizzazione umanitaria
RANUCCI. No, sì, con la sua ong che adesso…
FERRARA. E questo signore iracheno che ha questi rapporti con Falluja e che ha questo ruolo sociale, che cosa ha fatto, vi ha telefonato, voi…
RANUCCI. No, assolutamente, lui è venuto prima a Roma, aveva annunciato una conferenza stampa attraverso un’altra ong, Un ponte per…, che ricordiamolo era stata coinvolta…
FERRARA. Sì, le due Simone.
RANUCCI. Le due Simone esatto, però è stata una conferenza stampa che è andata quasi deserta a Roma. Mi avevano annunciato che aveva del materiale interessante, del materiale — voglio sottolinearlo Giuliano — scattato dagli stessi americani. A un certo momento gli americani hanno scattato delle fotografie e messo dei numeri di matricola, chi ha visto il reportage avrà notato questi numeri, sono numeri importanti perché a noi hanno dato la certezza che quei corpi fossero di Falluja, perché quei numeri di identificazione ricorrono nei registri cimiteriali che sono stati redatti dalla supervisione…
FERRARA. Sì sì, va be’era la catalogazione delle vittime della battaglia. Però quello che voglio capire, allora— è straordinaria la storia — lui ha fatto una conferenza stampa perché, per denunciare questa cosa?
RANUCCI. Esatto, per denunciare questo e una serie di violazio…
FERRARA. Perché, come mai la cosa è nata un anno dopo, non subito?
RANUCCI. Ma, io penso, da quello che ho capito, la difficoltà di spostarsi da Falluja, di entrare e uscire, è stata la causa fondamentale del ritardo dell’informazione. Ancora oggi è difficile entrare a Falluja, praticamente impossibile.
FERRARA. Cioè lui avrebbe saputo da testimonianze orali che era stata usata questa arma a Falluja, il fosforo bianco, e gli sarebbe stata data la documentazione però c’è voluto del tempo perché era difficile ovviamente entrare e uscire da Falluja.
In verità, il primo rapporto inviato dall’organizzazione di al Deraji all’Onu è del 14 gennaio 2005, tre mesi dopo la battaglia. Conteneva numerose denunce e indicazioni sulle vittime civili, ma nessuno se l’è filato tranne Diario e Un ponte per... Come vedete si continua sull’equivoco che la fonte sull’uso del fosforo bianco sia al Deraji, che invece ha fornito le foto e i filmati dei cadaveri delle vittime della battaglia).
RANUCCI. Lui ha assistito personalmente al bombardamento di aprile 2004, è stato un bombardamento…
FERRARA. Qui parliamo del novembre, non di aprile.
RANUCCI. Si, ma determinate cose sono avvenute anche ad aprile, lui oggi l’ha detto anche nella conferenza stampa. Il problema è questo, che quando lui riesce ad avere sufficiente materiale da poter portare all’opinione pubblica…
FERRARA. Come se l’è procurato, ve l’ha spiegato?
RANUCCI. Si, ce l’ha spiegato. È materiale…
FERRARA. Chi gli ha dato questi filmati?
RANUCCI. Questi filmati e queste fotografie sono stati dati dagli americani stessi a un ospedale di Falluja perché venissero riconosciuti quei corpi, che avevano delle m…
FERRARA. Quindi le fotografie di questi corpi briuciati…
RANUCCI. Sono scattate dagli stessi americani.
FERRARA. Sono scattate dagli stessi americani…
RANUCCI. Sì
FERRARA. Che non le hanno quindi però nascoste, archiviate, le hanno date…
RANUCCI. Le hanno date a un ospedale momentaneamente, perché poi si sono ripresi questo cd, nel frattempo qualcuno ha fatto una copia di queste fotografie che sono poi entrate…
FERRARA. Perché le hanno date a questo ospedale, perché erano utili per il riconoscimento?
RANUCCI. Le hanno date a questo ospedale perché era diventato un punto di riferimento per i familiari che erano ancora a Falluja, i civili, per poter riconoscere le vittime, tant’è vero che molte sono rimaste non identificate...
FERRARA. Ma, voglio dire, a Falluja c’era una tensione straordinaria, la Sgrena è stata lì, poi nell’Università di Baghdad con i profughi di Falluja…
RANUCCI. Giuliana non è mai arrivata a Falluja…
FERRARA. No, è stata con i profughi…
RANUCCI. Eh, ha parlato con i profughi…
FERRARA. Voglio dire però, certamente era difficile informare su Falluja, straordinariamente difficile, e complimenti comunque per il fatto che avete… ma voglio dire, come mai un anno intero, come mai non… anche una testimonianza orale (Il secondo rapporto all’Onu del Centro studi per la democrazia e i diritti umani di Falluja è del 26 marzo 2005, e ha avuto la stessa sorte di quello di gennaio). Cioè se c’è una grande battaglia sotto l’attenzione internazionale, c’erano cento giornalisti embedded… allora embedded uno può dire…
RANUCCI. Però embedded sai che firmano un contratto...
FERRARA. Va be’, firmano un contratto, non parlano, c’è la censura militare, escludiamoli…
RANUCCI. Però qualcuno ha scritto, per esempio l’Independent ha scritto di queste cose già nel novembre. Al Jazeera…
FERRARA. Questo è interessante. Cioè nel novembre dell’altr’anno già… chi, Robert Fisk, il solito Robert Fisk?
(Ferrara spera che sia Fisk, giornalista notoriamente ostile alla guerra in Iraq).
RANUCCI. No...
FERRARA. Aveva detto sull’Independent che c’erano stati i bombardamenti al fosforo bianco...
RANUCCI. Bombardamenti al fosforo, al napalm, avevano usato ordigni incendiari…
FERRARA. Però siccome non c’era la televisione, l’immagine, il dramma, la tragedia visiva...
RANUCCI. Non c’erano le immagini dei morti, perché poi secondo me al di là del clamore che ha suscitato questa inchiesta, dal punto di vista giornalistico è che si sono visti i morti di Falluja.
FERRARA. Perché il..., be’ di morti iracheni se ne sono visti tanti e non è mai un bello spettacolo, perché il New York Times che pure è un giornale molto attento a fare critica, controinformazione, eccetera, perché vi ha fatto queste critiche, non le ho capite tanto bene…
RANUCCI. Diciamo che le ha fatte John Pike, è diverso, anzi diciamo che ha fatto anche un passo in avanti rispetto all’intervista che aveva fatto al Corriere della Sera…
FERRARA. E quali sarebbero le inesattezze di cui vi siete resi colpevoli, questa citata da Lanfranco Pace, cioè che il fosforo non è un’arma chimica ma un arma incendiaria?
RANUCCI. Allora, se mi fa parlare un attimo ricostruisco brevemente la vicenda. John Pike aveva rilasciato una settimana un’intervista al Corriere della Sera, dicendo che quelle che erano state dette da Rainews 24 erano delle sciocchezze perché col fosforo non si uccideva. John Pike è il responsabile di GlobalSecutity che è una delle società di strategia militare più importanti in America.
FERRARA. E lui non è uno scrittore del New York Times, cos’è?
RANUCCI. No no, è uno che è stato intervistato…
FERRARA. Ah, un esperto che è stato intervistato nell’articolo, va bene.
RANUCCI. Lui ha detto che col fosforo non si uccideva. Non ha fatto in tempo a chiudere la pagina del giornale che è arrivata la smentita del Pentagono, che ha ammesso di aver usato del fosforo per uccidere e bruciare degli insorti.
FERRARA. Credo che ci sia un’inesattezza, loro hanno detto stanare.
RANUCCI. No no, ha detto proprio bruciare gli insorti, noi abbiamo l’audio della Bbc, perché è stata la Bbc, questo poi è un altro problema, perché fino a che li abbiamo intervistati noi hanno smentito, quando poi li ha intervistati la Bbc hanno ammesso.
FERRARA. Non hanno detto stanare?
RANUCCI. No no, questo te lo garantisco.
FERRARA. Che naturalmente poi voglio dire, se uno stana col fosforo…
RANUCCI. È un’altra cosa, quella è un’altra tecnica, perché i bombardamenti che abbiamo visto noi sono dal cielo…
FERRARA. Quindi questo signore esperto, che ha parlato con il New York Times…
RANUCCI. Aveva detto prima che col fosforo non si uccide.
FERRARA. Ha fatto diciamo una gaffe, è stato smentito.
RANUCCI. Successivamente ha fatto un’intervista al New York Times e ha detto che il nostro documentario era pieno di inesattezze perché avevamo erroneamente definito il fosforo bianco come un’arma chimica. A parte che noi nel documentario non lo definiamo un’arma chimica ma un agente chimico, questo è un elemento abbastanza importante. Sono gli stessi Stati Uniti a definirli un’arma chimica. Se si va a vedere…
FERRARA. Va be’, quindi lei derubrica queste critiche del New York Times che oggi sono state riportate sui giornali italiani al suo scoop dicendo va be’, è un interlocutore come dire interessato, è membro di un’organizzazione di strategia militare che avendo tra l’altro subìto una smentita si è un po’ vendicato, diciamo così, no?
RANUCCI. Non so se si è vendicato, ha detto delle cose che poi è stato costretto a smentire…
FERRARA. Quindi non è la bibbia liberal, non è il New York Times che critica lo scoop, è questo signore attraverso l’intervista.
ARMENI. A me pare che il New York Times più che lo scoop critichi il Pentagono.
FERRARA. Critica il Pentagono per un’altra ragione.
ARMENI. Prima il Pentagono aveva detto che non c’era stato il fosforo, poi ha detto...
FERRARA. Sì, questo però non riguarda la vita la morte e i miracoli…
ARMENI. No, no…
FERRARA. Riguarda le pubbliche relazioni del Pentagono.
RANUCCI. Pensate…
FERRARA. Scusi, scusi, scusi, scusi Ranucci, un’altra cosa importante che vorrei capire… Lei come se la immagina la battaglia?
RANUCCI. E, come l’abbiamo vista. Non sono stato a Fallluja, non sono stato in Iraq…
FERRARA. La situazione, mi interessa capire come se la immagina, perché poi abbiamo qui Lilli Gruber che ha vissuto a Baghdad e ha vissuto la guerra, Carlo Jean che conosce la guerra professionalmente e Toni Capuozzo che è nella stessa condizione di Lilli. Lei, personalmente come se la immagina?
RANUCCI. Ma lei mi fa questa domanda perché vuole sapere se io giustifico un’azione di questo tipo?
FERRARA. No no no no, voglio soltanto capire…
RANUCCI. Ma penso che ai fini dell’inchiesta e anche ai fini della discussione non sia importante come me la immagino. Penso che questo servizio abbia un piccolo pregio, quello di mostrare un volto della guerra che noi in Occidente non abbiamo mai visto fino a adesso. Noi abbiamo la percezione della guerra come un gigantesco videogame perché ci è stato fatto passare questo ultimamente, l’immagine delle bombe intelligenti…
FERRARA. Mi scusi, questa è una valutazione un po’ personale. Io ho visto più bambini amputati, martirizzati, ospedali, corpi bruciati eccetera nel corso della guerra irachena che quasi non ho mai potuto immaginare di vederne nel corso di tutta la mia vita. Non è vero che si fanno vedere solo i videogiochi e gli aeroplanini.
RANUCCI. E ma noi fino a adesso non abbiamo mai visto questi morti in prima serata.
FERRARA. Questi qui no, questi qui specificamente… be’ in prima serata i telegiornali tutte le sere…
RANUCCI. I telegiornali sì ma non l’hanno mostrato…
FERRARA. Il Tg3 è stato praticamente per un anno, ma anche tutti gli altri telegiornali, il Tg3 con particolare insistenza, non si può dire… Non lo so, voi che dite? Ne abbiamo visti morti in televisione o no?
ARMENI. Poco nelle televisioni italiane, per esempio rispetto alle televisioni francesi pochissimo.
FERRARA. Si?
ARMENI. Oh, sì. Le inchieste che facevano le televisioni francesi durante la guerra in Iraq non erano paragonabili…
FERRARA. Ma posso appellarmi al senso comune? Perché io non ho visto altro durante la guerra irachena.
CAPUOZZO. Ricordo la prima guerra del golfo si disse non si vede nulla, quasi con disappunto, e di questa qui s’è detto si vede fin troppo.
FERRARA. La prima non si vedeva nulla perché c’era il deserto, Desert Shield, c’era tutta quell’area...
GRUBER. Ma, possiamo dire che secondo me bisogna distinguere perché durante la guerra ci sono stati due fronti che hanno illuminato il conflitto. Uno quello dei giornalisti embedded al seguito delle truppe, l’altro quello dei giornalisti che si trovavano a Baghdad che cercavano di filmare, di raccontare quello che potevano vedere da lì. Un’altra questione è Falluja. Falluja è molto dopo la fine ufficiale della guerra.
FERRARA. Ah, Falluja sì…
GRUBER. Allora io penso che al di là adesso del fatto — adesso forse il generale Jean ci spiegherà se possono essere considerate armi chimiche o armi convenzionali sottoposte invece a un regime di regolamentazione speciale e proibite contro i civili - c’è da ricordare che a Falluja in quei mesi non si poteva entrare e non si poteva uscire. Prima di lanciare questa operazione gli americani hanno detto alla popolazione di andarsene.
(Dopo 18 minuti e 50 secondi qualcuno comincia a parlare di com’è andata a Falluja…)
Ovviamente, essendo una città di almeno 200-250 mila abitanti era molto complicato farli andare via tutti, questo è evidente. In base a dati ufficiali delle forze militari americane e dei responsabili della ricostruzione in Iraq, su 50 mila case 35 mila sono state distrutte, 65 moschee sono state distrutte, 60 scuole sono state rase al suolo. Oggi, dai dati di oggi su Falluja, sono andata a controllarmeli, sono che un terzo solo della popolazione è riuscita a rientrare in città. Io mi ricordo di un reportage…
FERRARA. Ma perché Gruber…
(Notare che appena si parla di fatti non contestabili, Ferrara cambia argomento. I dati citati da Lilli Gruber sono stati raccolti dalla commissione mista americana e irachena per la ricostruzione di Falluja, per stabilire gli indennizzi alla popolazione colpita, e assunti come definitivi dall’Onu).
GRUBER. No, questo vuol dire che è un disastro…
FERRARA. Sì, ma perché è stata fatta… cioè perché Falluja? Cosa c’era in quella fortezza…
CAPUOZZO. La verità è che i morti di Falluja si erano visti. Non è vero che non si fossero visti. Quegli agenti di sicurezza privati americani appesi a un ponte carbonizzati e fatto scempio si erano visti (sono i 4 contractor massacrati il 31 marzo 2004. La risposta americana, l’attacco del 3 aprile, provocò almeno 800 morti di cui - spiegò all’epoca Iraq Body Count - "tra 572 e 616 civili, dei quali 300 tra donne e bambini". Le vittime civili provocate dai soldati americani però non si vedono molto in tv…). Non è un mistero che molti dei video che raccontavano al mondo la ferocia delle decapitazioni venissero da Falluja. La Falluja libera era anche il bastione di resistenza.
ARMENI. Quando si dice roccaforte si dice una cosa precisa… anche politicamente.
CAPUOZZO. Anche il luogo dove sono stati decapitati… le immagini che non vedevamo… è vero che non venivano mostrate.
FERRARA. No scusate non era Dresda, adesso, lasciamo stare i giudizi storici su Dresda, era una città, ci passavano le ferrovie, c’erano i nodi strategici e quello che volete però insomma erano obiettivi puramente civili.
GRUBER. No, certo che era la roccaforrte della resistenza armata e ora anche del terrorismo, della resistenza armata sunnita e del terrorismo sunnita wahabita, qui chi più sa dica perché in realtà non è che sappiamo più di tanto.
FERRARA. Quindi partivano da lì le decapitazioni, tutte quelle cose lì…
(purtroppo anche da molti altri posti del triangolo sunnita...)
GRUBER. Una buona parte presumiamo di sì, quello che sappiamo…
FERRARA. I nostri rapiti dove sono stati liberati? Lì mi pare…
(Veramente manco uno…)
CAPUOZZO. No, probabilmente sono passati a Falluja, ma in un’area… evidentemente i covi e le prigioni erano al sicuro e Falluja era un posto, un porto franco per…
FERRARA. Questo non lo dico perché non ci siano preoccupazioni di tipo morale, non significa niente, noi stiamo cercando, noi stiamo cercando di capire il contesto, perché naturalmente una notizia è una notizia se ha un contesto. La notizia comunque resta, Ranucci, tra poco dobbiamo interrompere per gli avvisi commerciali, la notizia resta secondo lei questa: cioè sono stati usati questi agenti chimici, lei dice illegali, loro dicono no…
RANUCCI. Io sottolineo solo che è stato usato l’agente chimico fosforo bianco in maniera massiccia e indiscriminata, dopodiché ci sono delle convenzioni che parlano abbastanza chiaro su questo. Innanzitutto ci sono dei documenti americani, noi oggi ne abbiamo pubblicato uno, è un report dell’intelligence che risale alla guerra del Golfo del 1991 che informava Washington che Saddam Hussein aveva utilizzato il fosforo bianco come arma chimica contro i Curdi nel 1988 nella zona di Erbil. E poi c’è un altro documento americano, che il Cdc, quello a cui facevo riferimento prima, che è il Centro per la prevenzione e la malattia con base ad Atlanta, che dopo l’11 settembre ha redatto un elenco di agenti chimici che possono essere utilizzati come arma chimica e c’è dentro il fosforo bianco. Che sia tossico e velenoso addirittura gli Stati Uniti lo sanno da 104 anni, perché c’è stata una legge dello Stato, il 28 maggio del 1901, che ha vietato l’utilizzo del fosforo bianco addirittura nella produzione di fiammiferi. L’Europa si è adeguata subito nel 1906.
FERRARA. Be’, certo, è un’arma d’offesa, loro dicono arma incendiaria… non è che dicono…
RANUCCI. Il problema è come viene utilizzata. Noi abbiamo intervistato, e l’audio è sul sito di Rainews 24, Peter Keiser che è il portavoce dell’agenzia dell’Onu che si è fatta promotrice…
FERRARA. Che ha protestato…
RANUCCI. Sì, che si è fatta promotrice della convenzione sulle armi chimiche che hanno ratificato anche gli Sttai Uniti, quella del 1997. Lui dice chiaramente questo, che al di là di tutte le sostanze che sono chiaramente indicate come armi chimiche, ogni agente chimico che viene utilizzato contro l’uomo, contro l’animale, che ne provoca la morte o l’inabilità temporanea o permanente, è da considerarsi arma chimica.
FERRARA. Fuori del… E un’ultima domanda prima della pubblicità, risposta breve: lei ha avuto la ventura di avere del materiale scottante, che riguarda le responsabilità internazionali dell’esercito americano in una guerra in cui..., lo ha avuto qui in Italia, lo ha mandato sull’emittente cosiddetta di Stato, la Rai, in un’ora mattutina, in un canale diciamo parallelo, certo non è andato per le strade trionfali del prime time, della prima serata, dei telegiornali, però l’ha fatto e ci sono state poi reazioni internazionali. Si è fatto un’idea che queste notizie sono discriminate, attutite, che c’è una forma di censura e di ostracismo internazionale su queste realtà, perché ci sono state molte proteste, il quotidiano Liberazione ha convocato con Rifondazione comunista e altri partiti di sinistra manifestazioni davanti all’ambasciata americana, oppure lei riitiene, io ho fatto il mio mestiere, questo è stato il mio scoop, a questo punto la notizia è circolata liberamente in occidente… Qual è il suo giudizio politico, voglio dire, da giornalista.
RANUCCI. Noi siamo andati in onda, abbiamo fatto sicuramente il nostro dovere, dopodiché l’inchiesta è viaggiata sulla rete in una maniera incredibile, tanto da entrare nell’occhio dell’agenzia di John Negroponte che analizza l’informazione pubblica perché si sono resi conto che nei blog statunitensi stava cambiando l’opinione pubblica delle gente, e l’ha presa in considerazione. Dopodiché c’è stato un ritorno più dalla stampa internazionale che dalla stampa nazionale. Io mi sono reso conto di una cosa: la stampa italiana, non so se Rainews 24, è giudicata poco credibile all’estero. Quand’è che è arrivata la smentita, l’ammissione da parte del Pentagono di aver utilizzato il fosforo bianco? Quando sono stati intervistati dalla Bbc. Io penso che questo debba farci riflettere un po’ tutti.
FERRARA. Cioè invece quando erano intervistati da giornalisti italiani non…
RANUCCI. Hanno continuato a…
FERRARA. Hanno continuato a mentire, o cioè insomma a dare una versione ufficiale contraria alla verità dei fatti ammessa successivamente. Va be’, era interessante anche questo no, capire anche il senso di una… Bene, bene. La pubblicità e poi continuamo questa discussione scabrosa sul fosforo bianco, sui morti di Falluja, su come si fa e come non si fa la guerra.

ARMENI. Allora Toni Capuozzo, a me è sembrato di capire dai suoi articoli che lei su questa vicenda del fosforo è prudente e anche un po’ diffidente. Teme che la questione sia stata un po’ montata, che poi alla fine butti tutto in propaganda. Comunque io volevo soltanto dirle, abbandoniamo ogni sospetto di propaganda, quindi la domanda che le faccio molto semplicemente è questa: lei, quando ha visto quelle immagini, che cosa ha pensato lei? Che la guerra è guerra e che purtroppo quelle cose sono inevitabili oppure che… no no, glielo chiedo perché questo è il problema, oppure che forse soprattutto chi dice che deve fare una guerra per la democrazia deve stare un po’ attento, perché poi se c’è Abu Ghraib, se c’è una cosa del genere forse è anche dannoso per la democrazia. Mi interessava capire questo.
CAPUOZZO. Sì, tendo a pensare le ultime cose che ha detto. Credo che le guerre spesso non possano essere vinte con i soli strumenti militari, quanto più potenti e terrificanti, ma debbano essere vinte con la suasione, con la convinzione e quindi nei limiti di un conflitto che come tutti i conflitti è sporco ma più sporco di altri, vedevo passare delle immagini — non è la prima volta — poco fa sugli schermi, del Vietnam, dove vennero impiegati come tutti sappiamo armi devastanti, e però nel Vietnam si combattevano due idologie, chiamiamole con parole grosse, due civiltà. La guerriglia vietcong era una guerriglia che aveva un suo progetto sociale, il suicidio in Vietnam era suicidio dei bonzi, non era suicidio dei terroristi che uccidendo se stessi uccidono centinaia di donne, di bambini, di persone che stanno pre… Il paragone con il Vietnam è un paragone improprio a meno che non si voglia accendere impropriamente i riflettori sull’America. Il mio timore è che non faccia del… tutto il mio apprezzamento per il lavoro del collega… che si passi velocemente dall’appurare i fatti, cercando di far sì che l’occidente si presenti al mondo e agli iracheni non con i suoi inevitabili errori ed orrori, ma anche con la forza di correggerli, di condannarli, così come è stato sulle torture di Abu Ghraib, che sono una vergogna dell’occidente in Iraq, anche se non paragonabili a quello che era Abu Ghreib sotto Saddam. La moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto. Anzi io vedo che molto presto si è passati alle manifestazioni, molto presto si è passati alle conclusioni, che molto presto si è usata questa vicenda, prima ancora di appurare se davvero fosse stato così, si è usata questa vicenda per confortare delle proprie convinzioni, per confortare un teorema. Ad esempio, io trovo che Ranucci e il mio amico Torrealta siano stati persino troppo prudenti perché Mohamad Tareq al Deraji, che ci viene presentato come un biologo (sorride scettico: al Deraji è precisamente un biotecnologo agrario. Le università in Iraq c’erano anche prima che arrivassero i "nostri"...) innocente del Centro studi per i diritti umani di Falluja, intevistato dice — anche questo sta sui blog, su internet, su questo florilegio di libertà — dice: "Si vedono a Falluja solo i segni del nucleare". Addirittura non denuncia solo l’uso del fosforo bianco, ma del nucleare. E perché non se ne è parlato? Perché forse è una sparata… (Diario ha parlato spesso di Falluja con al Deraji, che non ha mai fatto cenno al nucleare. Così ci siamo incuriositi. Capuozzo cita un’intervista pubblicata dall’Osservatorio Iraq di Un ponte per, il 18 novembre 2005. Ecco il brano incriminato: "Quindi se si entra dentro la città, è possibile vedere gli effetti del nucleare sugli edifici e sulle case. Ma inoltre, adesso, quando si entra dentro la città, si può vedere che non c’è nessun miglioramento in più in questi edifici e in queste case". Abbiamo chiesto spiegazioni ai responsabili dell’Osservatorio. Ci hanno risposto che si è trattato di un errore di traduzione dalla registrazione di un’intervista telefonica ad al Deraji. Interrogato in proposito dopo la puntata di Otto e mezzo, Al Deraji ha specificato di aver detto "new clear", intendendo "nuova pittura", espressione coerente con il resto della frase. Del resto è un po’ strano che uno accenni all’uso del nucleare in mezza riga soltanto e poi parli di tutt’altro, senza neppure suscitare una reazione dell’intervistatore. Naturalmente Capuozzo non ha colpa, non poteva sapere di questo equivoco. Caso mai, di tutte le denunce fatte da al Deraji, ha trovato quella che gli faceva un po’ più gioco...)
RANUCCI. Abbiamo la prova Toni. Cioè noi di tutto…
CAPUOZZO. Va be’ ma correttezza e coraggio civile avrebbe voluto che se Tareq al Deraji dice delle cose confortate da prove per quanto riguarda il fosforo bianco, le prove ricordiamolo sono delle fotografie che gli esperti ci dicono non testimoniare se non il fatto che ci sono dei cadaveri, che poi i cadaveri… (Tenete presente, a parte quanto già detto, che al momento della trasmissione l’uso del fosforo bianco era già stato confermato dal Pentagono ed era già noto, come si vede tra poco, l’articolo della rivista militare americana Field Artillery che ne descrive l’uso a Falluja anche per "missioni letali"). Non sta scritto da nessuna parte che il fosforo bianco bruci le carni e non invece anche i vestiti. Allora perché una sparata come questa, hanno impiegato addirittura il nucelare, non il fosforo bianco, una cosa da bambini a questo punto il fosforo bianco, perché il nucleare che vogliamo impedire all’Iran…
FERRARA. Secondo lei al Deraji è credibile o no? Secondo lei come personalità, come testimone…
CAPUOZZO. Be’, sicuramente non è un non militante, l’ultima frase di questa intervista gli chiedono che cosa pensi dell’incontro del Cairo, dove anche forze diciamo fortemente contrapposte alla presenza militare americana sono convenute al dibattito, dice "nessuno della mia città, nessuno da Falluja parteciperà alla conferenza del Cairo domani". Sicuramente sarà un biologo, è impegnato…
(Certo, non sei indipendente tu che fai il giornalista, figurati lui che gli hanno bombardato la casa... Esistono pochissime fonti indipendenti su Falluja, a meno che Capuozzo non reputi tale il Pentagono, che il 18 novembre 2004, per bocca del generale John Sattler, ha detto di non sapere neppure di una singola vittima civile della battaglia. Allora, o uno come giornalista se ne frega di Falluja, oppure raccoglie e verifica le poche testimonianze disponibili).
GRUBER. Non vi sembra un dibattito un po’ irreale…
FERRARA. Be’, accertare la bontà del testimone d’accusa è importante…
GRUBER. No no no, gli americani…
CAPUOZZO. Se la fonte principale di questa inchiesta dice che è stato impiegato il nucleare…
GRUBER. Vorrei dire che su questa questione, nella migliore delle ipotesi ci vuole un chiarimento di fondo. Che poi sia un’arma chimica o non lo sia, il Pentagono ha ammesso di averle usate, vorremmo saperne qualcosa di più. Vorremmo capire che cosa è davvero successo, visto che non lo sappiamo se tu pensi… vogliamo sapere la fonte ufficiale che cosa ci dice. E poi credo che bisogna tener conto di quello che ci dicono gli esperti su Falluja, che un anno dopo questa operazione di cui voi avete ottenuto delle fotografie gli attacchi degli insorti, così come vengono chiamati dagli americani, the insurgents, sono aulmentati, quindi comunque non ha funzionato. Quella battaglia che ha fatto comunque morire civili, bambini, donne, vecchi, questo lo sappiamo, ce l’ha detto la Croce rossa araba, la Croce rossa internazionale, quando finalmente hanno avuto acccesso. Il fatto è che è un disastro, che è persa quella partita lì. Cito solo l’ultimo sondaggio che voi sicuramente conoscete perché è stato commissionato dalla coalizione dei volenterosi, come si chiama la coalizione anglo-americana insieme agli altri…
FERRARA. Come facciamo a dirgli che non ha funzionato? Cioè quando c’è una guerra e un’insurrezione…
(I dati della Brooking Institution di Washington, a cui probabilmente Lilli Gruber si riferisce, dicono che i morti americani e civili in Iraq non sono diminuiti dopo la vittoria di Falluja, anzi. Gli attacchi contro le Forze della coalizione sono stati 2.400 a ottobre 2004 (prima della battaglia), 3.000 a novembre (durante), 2.300 a dicembre (dopo). Il numero dei soldati americani uccisi ogni mese si è mantenuto costante tra i 70 e i 100 prima e dopo l’attacco. I civili iracheni uccisi dal terrorismo sono stati 109 nell’ottobre 2004 e 226 a dicembre... L’obiettivo dichiarato degli americani era di prendere Falluja per "spezzare la spina dorsale" dell’insorgenza. La cronaca quotidiana dell’Iraq di oggi ci conferma quanto poco sia stato raggiunto).
GRUBER. Be’, intanto perché dopo un anno le case non sono state ricostruite, un terzo degli abitanti solo è tornato e gli attacchi…
FERRARA. Be’ ma questo non è il terremoto di San Giuliano, non ha funzionato la ricostruzione, è un’altra cosa…
GRUBER. Gli attacchi degli insorti sono aumentati, non sono diminuiti.
FERRARA. Ma dove, a Falluja o in tutto il paese?
GRUBER. A Falluja e in tutto il paese, e questi sono dati…
CAPUOZZO. Si ma questo fa parte del bilancio politico-militare, che non possiamo rimproverare agli Stati Uniti…
FERRARA. No, voglio dire, una fortezza terrorista, un esercito andato in Iraq per garantire, oltre alla caduta di Saddam, poi la necessaria sicurezza per costruire una democrazia e una costituzione, la deve espugnare penso, o no…
GRUBER. Sì, ma siamo d’accordo, prima non c’era e adesso c’è e dobbiamo espugnarla…
CAPUOZZO. Possibilmente senza crimini di guerra, anche questo va detto…
GRUBER. Allora, mi fate dire, questo è un dato non indifferente. Siccome noi siamo sempre con i grandi discorsi, le grandi elucubrazioni, allora: l’unico dato certo che abbiamo finora, e oggettivo, è il sondaggio commissionato dalla coalizione angloamericana, più tutti gli altri che ci sono andati compresi gli italiani, che hanno appurato che oggi solo il 6 per cento della popolazione irachena appoggia gli americani e il contingente straniero presente in Iraq. Il 6 per cento vuol dire che se volevamo esportare la democrazia…
FERRARA. No, scusate, quando faremo un dibattito sull’Iraq, faremo un dibattito su questo…
CAPUOZZO. Se solo il 6 per cento fosse favorevole alla costituzione sarebbe un problema, qui non si tratta di votare il gradimento personale di Bush o degli americani…
FERRARA. E certo…
GRUBER. Ma scusa tu hai citato prima il Cairo, al Cairo le fazioni irachene per la prima volta unite hanno chiesto alle forze della coalizione di avere un calendario di ritiro delle truppe, tutte unite…
FERRARA. Non c’entra niente…
GRUBER. No, c’entra…
FERRARA. No, c’entra ma è un’altra cosa…
GRUBER. È che le bombe al fosforo non ci hanno aiutato nella costruzione della democrazia in Iraq, almeno questo lo vogliamo dire!
FERRARA. Chiedo scusa, prima delle bombe al fosforo ci sono state le cluster bomb, poi ci sono state le bombe cosiddette intelligenti…
GRUBER. Infatti anche quelle non hanno aiutato…
FERRARA. Poi mezza Baghdad è stata colpita… No, non hanno aiutato, Gruber, diventa una discussione surreale, che vuol dire non hanno aiutato? C’era Saddam al potere, il fosforo veniva erogato con una certa generosità ai curdi e agli sciiti, il mondo era appeso a una situazione diciamo di illegalità nei confronti dell’Onu… A un certo punto è stato deciso…
GRUBER. Giuliano non vogliamo mica tornare alle origini della guerra che tutti sanno si è basata su delle menzogne…
FERRARA. Sto parlando di un problema logico, non si può dire le armi non ci aiutano a costruire la democrazia…
GRUBER. Eh, la logica è questa, che oggi non abbiamo nessuna credibilità né in Iraq e neanche nel Medio Oriente.
FERRARA. Gruber, il dialogo è importante solo se ci si ascolta…Sto dicendo, non si può dire che le armi non aiutano la nascita della democrazia in Iraq, è assurdo, ve ne rendete conto che è assurdo. Forse non nascerà mai la democrazia in Iraq e allora diremo è fallito il progetto di portare dall’esterno la democrazia in Iraq con le armi. Ma, o con le armi o niente, perché prima c’era…
GRUBER. Siete rimasti pochissimi a porsi questo quesito perché in America oltre il 65 peer cento degli americani non crede più a Bush, è fallita l’operazione…
FERRARA. Ma questi sono però, voglio dire, comizietti…
GRUBER. Va be’, i sondaggi quando ci piacciono valgono, se non ci piacciono…
FERRARA. No, a me piace l’elezione di Bush, che ha preso più voti di qualunque altro presidente americano prima di lui…
GRUBER. E adesso non lo voterebbe più il 65 per cento…
FERRARA. Eh, adesso secondo te non lo voterebbe più… Vediamo, ci sono le elezioni a novembre…
GRUBER. E, lo dicono gli americani…
FERRARA. Ma che vuol dire lo dicono gli americani, ma va be’, ragazzi, sembra l’asilo infantile. Generale Jean, scusi…
GRUBER. Sono dati questi…
FERRARA. Ma che c’entrano i sondaggi, stiamo parlando di una tragedia, di un crimine contro l’umanità forse, c’è uno scoop, il fosforo bianco, stamo a parla’ dei sondaggi a Baghdad… Gruber, è assurdo…
GRUBER. Vi ho dato dei dati anche su Falluja…
FERRARA. No, ma che dati, dei sondaggi… insomma
GRUBER. 36 mila case distrutte su 50 mila…
ARMENI. A…
FERRARA. Stai zitta un momento, vogliamo tornare al nostro argomento…
ARMENI. Sì, sto zitta, ma parli solo tu!
FERRARA. Ma no, sta zitta se no qui ricominciamo coi sondaggi.
ARMENI. Ma…
FERRARA. Generale Jean, la presa di Falluja, tecnicamente, come è avvenuta?
JEAN. Ma…
FERRARA. Il fosforo può essere stato utilizzato per risparmiare perdite agli attaccanti e usare quel fosforo era una cosa che violava le convenzioni internazionali o no secondo il suo parere? Abbiamo sentito Ranucci all’inizio.
JEAN. Usare il fosforo non viola le convenzioni internazionali tant’è che tutti gli eserciti hanno le bombe al fosforo tranquillamente. Evidentemente quello che è violato nelle convenzioni internazionali è se ci sono state concentrazioni di fosforo su determinati gruppi di civili o determinati insediamenti anche di terroristi. Se il fosforo non è stato impiegato…
FERRARA. Scusi, tutti gli eserciti hanno le bombe al fosforo? Che vuol dire, anche noi abbiamo le bombe al fosforo?
JEAN. Come no.
FERRARA. Sì?
JEAN. Una volta che uno esce da una trincea crea una cortina nebbiogena davanti per non farsi vedere e non farsi sparare contro.
GRUBER. Però è regolamentato l’uso, giusto?
ARMENI. Ah, ecco…
JEAN. In che senso è regolamentato? Gli americani, basta leggere — adesso, a parte l’interesse dell’inchiesta che è stata fatta — sulla rivista del Field Artillery e la rivista dell’Infantry in cui descrivono la presa di Falluja e le cortine di white phosphorous per proteggere i marines che avanzavano (veramente Field Artillery parla di fosforo bianco anche per "lethal missions"...). Adesso che siano stati impiegati in maniera massiccia, in maniera impropria, qullo lì è una cosa. Che il fosforo, in se stesso, non sia inteso come un aggressivo chimico, inteso come aggressivo chimico perché tutti gli esplosivi sono chimici, no, anche il tritolo è chimico, questo qui è un’altra cosa. Quelli che sono più significativi a parer mio sono i dati che prima aveva detto Lilli Gruber, cioè la quantità di ediffici distrutti in una città. Generalmente quando si pacifica un territorio o si mantiene il controllo di un territorio, si fa come gli israeliani a Jenin. In cui Jenin è rimasta praticamente intatta. Non come i russi a Grozny o come gli americani a Falluja. Sicuramente lì c’è stato un uso eccessivo della forza, e come ogni uso eccessivo della forza finisce a essere controproducente. Che di per se stesso questo abbia corrisposto a decisioni dei comandi locali oppure da una volontà proprio di distruggere…
ARMENI. Ecco, lei parla di uso eccessivo della forza. Le pare possibile che questo uso eccessivo della forza sia stato fatto per iniziativa di quelli che erano lì e che l’uso del fosforo, non per creare la nebbia che nasconde le truppe ma perché vada proprio sulla città, non sia stato invece deciso dall’alto, che lo sapessero in qualche modo al Pentagono… Lei cosa pensa?
JEAN. Il combattimento era nella città, di conseguenza le cortine nebbiogene erano create nella città. Poi può darsi benissimo che ci fossero dei bunker, gente asserragliata nella cantina, allora hanno tirato le bombe al fosforo per farli uscire fuori…
ARMENI. No, mi scusi, noi abbiamo visto delle immagini che non erano una cortina di nebbia, erano delle cose che cadevano, era un bombardamento…
FERRARA. Be’, non è che si mettono come i petradi a Capodanno, sul bordo della… Vengono bombardati, vengono gettati…
ARMENI. Noooo…
FERRARA. Allora generale, la domanda era chiara.
ARMENI. Lo sapevano o no?
FERRARA. Questo fosforo secondo lei, secondo la rivista che ha citato, secondo le tecniche in uso, secondo i possibili errori o crimini o comportamenti eterodossi che si possono avere in guerra, queste bombe sono statre gettate per bruciare corpi…
JEAN. No, di terroristi per farli uscire fuori dalle cantine…
FERRARA. …di terroristi, soldati, insorti, civili che stavano lì oppure no?
JEAN. No, per farli uscire dalle cantine, no? Per farli uscire dalle cantine in cui verosimilmente erano asserragliati i guerriglieri. Gli sparavano contro e di conseguenza hanno impiegato bombe al fosforo, visto che con le bombe al tritolo non potevano farli fuori…
FERRARA. Quindi sarebbe stanarli, lui diceva di no…
RANUCCI. No, io dico di no anche perché abbiamo intervistato…
FERRARA. Lui ha una testimonianza americana…
RANUCCI. Esatto, noi abbiamo intervistato un embedded della Bbc che ha seguito le truppe americane a Nassiriya nell’aprile del 2003, e ha visto, ha assistito personalmente a un bombardamento al fosforo sulla popolazione civile e aveva intervistato anche le persone che erano andate negli ospedali, le aveva fotografate con la pelle a brandelli, e aveva visto anche 30 morti della popolazione civile. Questo è un embedded della Bbc, vive a Nairobi, l’abbiamo intervistato ieri e ci ha portato la sua testimonianza. E poi l’altra cosa, noi abbiamo delle immagini, abbiamo visto che non si tratta di creare una cortina fumogena, ma è un bombardamento massiccio e intensivo sulla città, probabilmente determinato direttamente dal fatto che si voleva veramente fare quella che è stata definita la risoluzione finale di Falluja…
FERRARA. Piano con le parole…
RANUCCI. Sì…
FERRARA. Be’, piano con le parole… Sono molto gentile, sono interessato a quello che dice ma….
JEAN. Be’, uno non impiegherà mai le bombe al fosforo per fare una simile cosa... impieghi il napalm, non il fosforo! Chiedo scusa, ma se uno deve fare una simile cosa non impiega il fosforo, anche un colpo da 155 al fosforo avrà dentro 20 chili di fosforo. Quindi, tirano invece le taniche di napalm, chiuso…
RANUCCI. L’Rtr, la tv di Stato russa, ha fatto vedere, dopo che noi siamo andati in onda con la nostra inchiesta, ha fatto vedere quello che poteva essere successo a Falluja ricreando con la grafica un bombardamento di bombe al fosforo dall’aviazione. Perché loro se ne intendono, se ne dovrebbero intendere di agenti chimici. E oltretutto la rivista a cui faceva riferimento il generale Jean è una rivista che fa riferimento a un settore delle forze impiegate a Falluja, cioè è quello dell’artiglieria. Ma noi sappiamo che sono state uste anche dall’aviazione, perché ce l’ha detto il militare che abbiamo intervistato. Quindi non si è trattato di un solo munizionamento impiegato a Falluja, che è stato descritto, proprio dal capitano James Scott…
FERRARA. Quindi lei è convinto che queste munizioni al fosforo sono state usate per distruggere, per uccidere…
RANUCCI. Per uccidere.
FERRARA. Perché il tritolo, le bombe normali, le cluster bomb non bastavano, era più efficiente…
RANUCCI. Più efficiente perché c’erano delle zone in cui c’erano dei cunicoli più difficilmente penetrabili attraverso i sistemi tradizionali…
FERRARA. Quindi lei è sicuro, insomma si è fatto questa convinzione…
JEAN. Io personalmente preferirei essere sotto un bombardamento di bombe al fosforo che sotto un bombardamento di bombe High Explosive…
(Tranquillo, sganciavano pure quelle, c’è scritto anche su Field Artilery…)
o shrapnel bomb, quelle che scoppiano per aria…
FERRARA. Lei preferirebbe essere sotto un bombardamento di bombe al fosforo perché, ce lo faccia capire.
JEAN. Per un semplice motivo, perché fa meno male, insomma…
ARMENI. Si muore più velocemente…
JEAN. No, non si muore più velocemente, fa meno male nel senso che l’effetto di un colpo d’artiglieria, a parità di colpo no, di 155…
FERRARA. Cioè quello che vuole dire, al di là della battuta, che se avessero voluto distruggere si sarebbero comportanti altrimenti…
(I dati ufficiali che descrivono la distruzione della città sono stati forniti pochi minuti prima da Lilli Gruber, eppure Ferrara è fermo al "se avessero voluto distruggere"). Il fosforo ha una fiunzione logistica, cioè deve…
JEAN. Sì, il fosforo può essere stato impiegato, che so, in una cantina per fare uscire fuori la gente, che sparava non so forse contro i marines oppure… Poi c’erano di mezzo i civili e indubbiamente purtroppo, in queste condizioni qua, nei combattimenti urbani…
GRUBER. Sì scusate, però vorrei ricordare che i militari americani, prima di lanciare questa loro offensiva su Falluja, hanno invitato per giorni e giorni la popolazione civile ad andarsene, quindi sapevano che sarebbero andati a bombardare una città e in parte anche a raderla al suolo e stanare i terroristi, i resistenti, gli insorti, tutti questi… Poi, perché il Pentagono non abbbia ammesso subito di aver utilizzato le bombe al fosforo e prima abbiano smentito…
FERRARA. Be’, qui fa parte della classica…
GRUBER. Be’, insomma, se erano così normali…
JEAN. Qui è un disastro comunicativo… testa di birillo il responsabile della stampa…
FERRARA. No la storia di Jenin mi interessa. No, perché lei ha detto gli americani, i russi, Grozny, Falluja, e ha citato Jenin. Siccome, adesso non lo voglio dire al mio amico Sigfrido Ranucci ma a Jenin ci furono molti scoop. Tutti dissero Jenin eeeehhh!... la strage di Jenin.
JEAN. "Mille morti a Jenin", poi si è scoperto che erano 53…
FERRARA. Nell’informazione di guerra, Ranucci, lo dico con simpatia per il tuo lavoro, poi hai scoperto una cosa importante, se ne discute, si vedrà… però spesso nell’informazione di guerra spesso si dicono delle puttanate di una pesantezza e di una violenza barbarica…
GRUBER. Però non è stata ammessa nessuna inchiesta dell’Onu a Jenin se ben ricordo, siccome noi come parlamento europeo molti abbiamo chiesto…
FERRARA. L’Onu è oggetto di inchieste, più che soggetto di inchieste, per fortuna… Comunque in che senso, gli israeliani cosa fanno di diverso?
JEAN. Hanno impiegato innanzitutto riservisti e non soldati di leva, quindi gente di 35-36 anni, quindi con la testa molto più sul collo che non si lasciavano impressionare. Poi sono andati avanti in maniera molto sistematica, senza utilizzare artiglieria, senza utilizzare aerei, talché per gli israeliani, per l’esercito israeliano perdere 37 uomini contro 53 palestinesi era un vero e proprio distastro. Ma hanno fatto l’operazione a Jenin proprio in maniera tale da riprendere il controllo del territorio senza fare delle stragi. Falluja, insisto sui dati che aveva riportato prima Lilli Gruber, 30 per cento delle case distrutte…
GRUBER. No, molte di più, 36 mila su 50 mila…
CAPUOZZO. Per la nostra fonte sono il 95 per cento…
RANUCCI. Per alcuni quartieri, Jolan e Askari…
FERRARA. La fonte dello scoop dice 95 per cento… ma chi è questo, Capuozzo possiamo sapere chi è questo biologo…
CAPUOZZO. Eeeeehhhhh….
FERRARA. No, che ha un titolo francamente strano… presidente del comitato diritti umani di Fallluja…
CAPUOZZO. Centro studi per i diritti umani di…
GRUBER. Ma questi dati non sono del biologo, sono degli americani… non so, questo biologo non lo conosco, i dati delle case non sono del biologo, sono degli americani…
ARMENI. No al di là del biologo ci sono delle immaagini che mostrano una certa distruzione….
FERRARA. No, le immagini che cosa mostrano? Vorrei sapere dalla Armeni che cosa mostrano le immagini?
ARMENI. Mostrano delle persone che sono morte, indubbiamente…
FERRARA. Morte, eh, allora…
ARMENI. No, sono morte in modo anche molto particolare, perché non hanno colpi di arma da fuoco…
FERRARA. Ma come si vede questo? Sono imagini chiare, ben precise?
ARMENI. Assolutamente sì… Guarda Giuliano, ti assicuro, io me le sono riviste tutte….
FERRARA. E come sono morti? E come sono morti?
ARMENI. E sono morte, la cosa che colpisce molto è che sono interamente bruciate e tutte vestite. Allora, vedere una persona che è totalmente carbonizzata, donna, bambino…
FERRARA. Questa può essere tecnicamente la dimostrazione…
JEAN. Quello lì no no no no no non… è una montatura
CAPUOZZO. È una discussione spiacevole…
FERRARA. È una montatura?
JEAN. Quello lì non può essere con il vestito intero e il corpo bruciato dentro…
ARMENI. Ma scusi ma l’abbiamo visto…
CAPUOZZO. Abbiamo visto delle fotografie…
RANUCCI. Lei prima citava il bombardamento di Dresda, non a caso, quello è stato un bombardamento al fosforo, e di fosforo non fa piacere parlare…
FERRARA. No, questo lo dico per dire alla Gruber che a volte i bombardamenti al fosforo portano alla caduta di Hitler, alla libertà…
GRUBER. Faremo un’altra trasmissione su questo…
RANUCCI. Ci fu una nota del Comando supremo in Europa che disse di non parlare di fosforo bianco perché si contravveniva alla Convenzione di Ginevra. Noi abbiamo trovato delle foto di quei morti di Dresda, le abbiamo pubblicate sul sito di Rainews 24…
FERRARA. E sono uguali?
RANUCCI. Sono impressionanti!
FERRARA. Perché sono uguali?
RANUCCI. Perché sono uguali. Corpi scarnificati e vesti ancora intatte… Perché si tratta di fosforo migliorato, eh…
FERRARA. Un momento…
JEAN. Scusate, il fosforo se si sparge, si sparge anche sui vestiti no, sui vestiti crea 500 gradi di temperatura… a contatto con l’aria quindi è difficile che un vestito resista…
RANUCCI. Vi invito a vedere queste foto, sono impressionanti…
FERRARA. No, ma, le foto voglio dire, adesso qui c’è…
RANUCCI. E son le foto dei morti di Dresda… al fosforo…
ARMENI. Lei che è un esperto, che cosa può essere una morte che appare… ahimé l’abbiamo visto…
FERRARA. Un cadavere ben vestito…
ARMENI. Un cadavere vestito… e bruciato. Che cos’è?
JEAN. Può essere anche una persona colpita da fuoco, da pallottole e così via, poi lasciata lì come succede sempre in battaglia qualche giorno e poi rimane con i vestiti e lui scarnificato…
CAPUOZZO. Nel fiume per esempio, un corpo che rimane per giorni impigliato nell’acqua è un corpo che conserva i vestiti che si asciugherannno una volta portati e che però ha l’aspetto diciamo, ha le carni…
RANUCCI. C’è il punto dove sono stati sepolti, dove sono stati trovati, c’è un registro cimiteriale, si può fare un’indagine, e se si vuole scoprire la verità…
CAPUOZZO. Son le foto che hanno fatto gli americani stessi…
JEAN. L’indagine è fatta molto semplicemente prendendo dei fiammiferi, mettendoli sul vestito, vedendo se il vestito brucia o brucia la carne solo… (ride).
FERRARA. Poi è curioso questo fatto delle foto. Parte dagli americani, e sono state date per uso sanitario…
CAPUOZZO. Per uso, diciamo così, umanitario, che anche le guerre peggiori portano con sé… Riconoscere, dare un nome a delle vittime.
GRUBER. Anche perché immagino che i familiari...
JEAN. I combattimenti sono durati diversi giorni, eh…
FERRARA. Possiamo dire Ranucci sulla base della vostra esperienza che può essere stato un comportamento eterodosso, contrario ai protocolli e alle convenzioni internazionali — sì un momento per la pubblicità, un secondo! — censurabile sotto ogni profilo, non solo genericamente morale come è censurabile qualunque atto di guerra, però possiamo dire che non è stata… non è chiaro che sia una decisione criminale…
RANUCCI. Questo non spetta a noi…
FERRARA. No no, per capire… Non spetta a voi però "Bush assassino" è il grido della folla davanti all’ambasciata americana, cioè voi avete con il vostro scoop — mica ve lo sto rimproverando — ma obiettivamente no, come responsabilità di giornalista, io che ho accertato… Cosa ha accertato?
RANUCCI. Io penso di aver acceso la telecamera su una zona di silenzio, e quello secondo me è la cosa importante. Forse è anche un po’ banale, però…
FERRARA. E ciò che in quel silenzio ha parlato, che ha rotto quel silenzio cos’è, lei come lo definirebbe?
RANUCCI. Per me è un utilizzo di armi chimiche. Io questo l’ho detto, lo dico sulla base della documentazione che ho trovato…
FERRARA. Quindi secondo lei è un uso criminale di armi chimiche, non convenzionali, proibite dalle convenzioni…
RANUCCI. Di armi chimiche…
FERRARA. Contro il nemico, e che quindi ha fatto vittime anche tra la popolazione civile in un’area urbana.
RANUCCI. Premesso che è difficile in quelle condizioni distinguere la popolazione civile da quella…
CAPUOZZO. No, c’è sicuramente… ci son dei bambini. Il problema è questo che forse, che siano stati uccisi con armi proprie o improrprie, il risultato devastante di una guerriglia, di una guerra combattuta in un ambiente urbano, è evidente purtroppo il risultato finale qual è… Il problema però è che se il silenzio sta nel fatto che si è taciuto su un uso massiccio, ponderato e devastante di armi chimiche da parte degli Stati Uniti, be’, allora questa è un’altra affermazione…
RANUCCI. Non so se si è taciuto, io penso…
CAPUOZZO. Che a Falluja si sia combattuta una guerra sporca, difficile, che ha visto morire molti civili, vuoi per la imprecisione degli americani, che pure avevano fatto l’appello a lasciare… vuoi perché i guerriglieri se ne fecero scudo, vuoi perché erano solidali con la sorte dei loro parenti ecc, il risultato è, che si siano impiegate o meno delle armi proibite dalle convenzioni e in misura determinante è tutt’altra cosa.
FERRARA. Dobbiamo purtroppo interrompere adesso.

ARMENI. Generale Jean, molto velocemente perché siamo in chiusura. Esiste, almeno formalmente, un diritto internazionale? Cioè abbiamo — che c’è, la convenzione di Ginevra, la convenzione di Parigi contro le armi chimiche eccetera. Ma queste funzionano in questo mondo? Perché la mia impressione è che non funzionino, che poi chi è forte è forte e chi non è forte non lo è.
JEAN. Ma guardi, generalmente il diritto jus in bello, quello che chiamano jus in bello, cioè il diritto umanitario belllico funziona. E viene rispettato. Non funziona quando ci sono grosse disparità di simmetria tra gli avversari, allora generalmente terroristi, guerriglieri e così via sono portati a non rispettare il diritto internazionale bellico che è fondato essenzialmente sull’esistenza di Stati ed eserciti regolari. Il combattere un esercito compretamente irregolare, una forza asimmetrica secondo le buone regole della Guerre d'antan per esempio non funziona, di conseguenza generalmente le tattiche che si usano e le forme che si usano sono molto più sciolte e rilasciate rispetto alle regole molto strette del diritto internazionale.
ARMENI. Quindi davanti al terrorismo in qualche modo anche il diritto internazionale ha subìto un colpo…
JEAN. Contro la guerriglie e il terrorismo, l’unico sistema che si conosce adesso per sconfiggere guerriglia e terrorismo è creare guerriglia nella guerriglia e terrore nel terrorismo. In questa maniera qua, attraverso le azioni covert, truppe speciali e quelle cose lì, le forze dei terroristi si concentrano sull’autodifesa, sulla sopravvivenza e non possono dedicarsi a attaccare obiettivi. Ed è quello che stanno facendo gli americani.
FERRARA. Lei accetta Gruber questa visione molto realistica della guerra asimmetrica e del meccanismo di necessità che porta alla massima sporcizia diciamo, tutte le guerre antiguerriglia e antiterrorismo…
GRUBER. Ma insomma diciamo che se la guerra è una partita senza esclusione di colpi nel senso che può essere usata qualsiasi arma senza alcun rispetto di alcuna convenzione, à la guerre comme à la guerre come si dice, be’ insomma bisogna anche decidere se le armi cattive sono solo quelle degli altri, quelle del nostro nemico… perché allora quando abbiamo avuto dittatori che hanno lanciato guerre in cui hanno utilizzato armi proibite, allora anche quelli avevano la scusa di difendersi. Voglio dire, il fatto di dividere il mondo in buoni e cattivi è molto rischioso, è molto pericoloso, perché alla fine non riusciamo più a capire da che parte dobbiamo costruire un tessuto di dialogo con loro, perché ormai è tutto noi e loro. Allora siamo noi e i terroristi, noi e gli islamici, l’occidente contro l’oriente, no, lo trovo molto pericoloso come approccio. Fermo restando che il terrorismo va combattutto ma come ricorda sempre Ciampi, il nostro presidente, il terrorismo va combattuto su tanti fronti diversi, non può esserci soltanto l’uso della forza. Perché poi ci deve essere un maggiore coordinamento delle polizie; dei magistrati, dei giudici, dell’intelligence… e poi bisogna capire da dove arriva, non è che abbiamo a che fare solo con un manipolo di pazzi…
FERRARA. Capuozzo, a Falluja ci sono stati 54 morti americani ed è stata una battaglia che è durata dieci giorni. Sono pochi, cioè loro hanno — mi rendo conto che è una domanda incredibile no — ma tanto dei morti americani in Europa non gliene frega niente a nessuno, siamo credo una mezza dozzina a pernsare che ci sono anche i morti americani (Capuozzo annuisce. Gurdate un qualunque telegiornale e vedete quanto si parla dei soldati americani morti e quanto dei civili uccisi dai soldati americani) e che questo costituisce un lutto, anzi forse il lutto principale perché sono i nostri morti. Ma, voglio dire, questo è un atteggiamento reazionario, bellicista… Quello che voglio capire è: secondo lei a Falluja l’hanno fatta tremenda o è stata una normale, tra virgolette, battaglia di una guerra straordinariamente anomala come quella irachena?
CAPUOZZO. E’ stato abbastanza normale, tant’è che si è ripetuto, si è ripetuto nella provincia di Al Anbar, attorno ad altri centri. C’è l’eterno problema della guerra al terrorismo quando non la si voglia fare solo con gli appelli, con la distribuzione di consigli, di buone parole, ma insommma si scenda sul terreno inevitabile, difficile e sporco, nel senso che è possibile anche che ci sporchi le mani, nella lotta al terrorismo in armi, a chi fa il terrorismo, a chi fa gli agguati davanti alle moschee sciite o dentro le moschee sciite. Il problema è che la vita di ogni — forse a noi la vita degli americani non interessa molto, ma interessa a volte da un punto di viista un po’ cinico a ogni presidente che abita la Casa bianca e interessa evidentemente l’opinione pubblica americana. E allora se a Jenin gli israeliani andarono casa per casa bucando i muri interni delle case, e perdendo un numero di uomini che abbiamo detto - con una pagina discussa insomma e infelice della loro brillante storia militare - gli americani probabilmente hanno gettato più fosforo nelle cantine per stanare chi si mescolava alla popolazione civile e in qualche modo se ne faceva scudo. La differenza, quando esistono i buoni e i cattivi, è che i buoni, quando si accorgono e scoprono, grazie a inchieste giornalistiche, ad ammissioni dei vertici militari, di aver compiuto qualcosa che tradisce i propri fini, che tradisce la propria natura, che tradisce gli ideali - per usare una parola pomposa — per i quali si sta battendo, hanno la capacità di fare delle inchieste, di licenziare dei generali, di mandare qualcuno… Ricordiamo, gli embedded, era un giornalista embedded americano quello che filmò quella tragica scena di un marine americano che uccide un nemico…
FERRARA. Ferito… a terra…
CAPUOZZO. … ridotto in condizioni di non offendere. Fu il giornalismo americano ad avere il coraggio di mandare in onda quelle immagini (Il riferimento è al cameramen della Nbc Kevin Sites. Il marine è stato prosciolto e Kevin Sites non lavora più per la Nbc...). Questa è la forza del…
FERRARA. Va bene, vi ringrazio molto. Grazie Capuozzo, grazie generale Jean, grazie a Lilli Gruber e grazie soprattutto a Sigfrido Ranucci che ci ha dato il tema, sia pure tremendo, della discussione di questa sera, ma insomma si doveva fare. Grazie eh, grazie al pubblico…

domenica, dicembre 04, 2005

Ma non eravamo l'ottavo paese al mondo?


da Repubblica Michele Serra

IL RACCONTO. In viaggio nel traffico in tilt. L'emergenza per 15 centimetri
di neve. Rally nei ghiacci, auto nei fossi: senza aiuti e informazioni
Io, prigioniero in auto
nella tundra lombarda
di MICHELE SERRA



NEVICA, si sa che in dicembre nevica. Specie al Nord, e specie in montagna. Ma le autostrade che dalla pianura padana scollinano in Liguria, valicando l'Appennino, ad ogni nevicata reagiscono come fossero la tangenziale di Haiti: paralizzate da un evento sbalorditivo e imprevisto. La notte tra il 2 e il 3 dicembre qualcuno è rimasto bloccato per quattordici ore, e non è la prima volta. A me è andata meglio: conoscendo la solfa, e presagendo il peggio, sono riuscito a scamparla uscendo a Ovada.

E rientrando a Milano (alle tre del mattino, dopo sei ore di rally dei ghiacci), procedendo a tentoni in una tundra di strade statali malamente segnalate e quasi mai spazzate, tra auto nel fosso e camion di traverso.
Non sono in grado di stabilire, per incompetenza tecnica, come e quanto gli spazzaneve e gli spargisale potrebbero ovviare, in parte o del tutto, a queste penose avventure, che diventano piccoli incubi nel caso si abbiano bambini o anziani o ammalati a bordo.

Il punto certo, però, è un altro. È lo stato indecoroso della comunicazione viaria. È la sensazione che non esista coordinamento, né logica pubblica, capace di orientare le migliaia di automobilisti in tilt, prima di tutto facendogli sapere in tempo utile (cioè SUBITO, non DOPO) che la strada davanti a loro è impraticabile, e poi, a danno avvenuto, almeno aiutandoli a trovare una via di scampo.

Nell'ordine: si digita istericamente sull'autoradio, cercando invano le frequenze di 103,3, informazioni sul traffico. È un servizio pubblico, ma al pari delle altre reti della Rai il segnale, in moltissime zone d'Italia, è letteralmente cancellato dall'allegro casino delle stazioni locali. Problema noto da anni, irrisolto da anni: una delle tante piccole e grandi soperchierie nazionali, i comodacci privati (e locali) che oscurano le necessità pubbliche (e nazionali). Sulla Milano-Tortona, per esempio, è impossibile sintonizzarsi con regolarità. Allora si prova, dal cellulare, a chiamare un numero verde (840-042121).


È libero, esultanza nell'abitacolo. Ma un disco fornisce, con voce sinistramente metallica, indicazioni gravemente lacunose, e nel mio caso sbagliate: dicono che il casello di Ovada è chiuso solo in direzione Sud, ma non è vero. Si arriva al casello, dopo un'ora di incolonnamento sulla statale, ed è chiuso in entrambi i sensi. Impossibile tornare indietro ridiscendendo l'autostrada.

Terza opzione. Si scende dall'auto e si cerca, affondando nella neve come Amudsen, qualche addetto in grado di dare indicazioni. Anche drastiche, tipo "si butti dal viadotto con la macchina, è meglio", purché diano un quadro attendibile della situazione. Il casellante allarga le braccia, nessuno ai caselli è autorizzato a dire se un chilometro più in là c'è una voragine, o uno sbarco marziano. Se mai vi capitasse di parlare con un casellante mentre il suo casello è avvolto dalle fiamme, provate a domandargli: "Scusi, c'è per caso un incendio, qua intorno?". Risponderebbe di non essere autorizzato a rispondere.

Allora si chiede a un signore dell'Anas, che presidia un mucchio di neve con molta autorevolezza, assediato da automobilisti appiedati, e ansiosi di notizie. Gentilmente risponde di non poter dire niente sulla viabilità due chilometri più a Sud, perché due chilometri più a Sud è Liguria, qui siamo in Piemonte, e le competenze sono regionali.

A quel punto, per disperazione, si consulta chiunque. Ho parlato a lungo con un alcolista dell'Ovadese che suggeriva di tornare a Tortona e provare a fare i Giovi (bloccati anche quelli, ma l'ho saputo la mattina dopo), con un benzinaio che mi suggeriva di pernottare a Ovada, con un pizzaiolo che mi ha detto che i due alberghi di Ovada, ogni volta che nevica, sono un bivacco di disperati che non riescono ad andare né avanti né indietro, e aspettano il disgelo nella hall. A duecento metri di altezza sul livello del mare. Impraticabile per neve, come la Nord del Cervino.

Ora: ammesso (e non concesso) che la rete autostradale di un paese soggetto a forti nevicate non sia in grado di pulire tempestivamente la carreggiata. Aggiungendo che il numero di automobilisti italiani sprovvisti di catene è tipico, appunto, della circonvallazione di Haiti. E dando per inevitabile un certo grado di disagio in caso di intemperie.

La domanda è: a che serve viaggiare con un'autoradio, un cellulare, magari un computer di bordo, se il livello di aggiornamento e soprattutto di coordinamento dei notiziari è questo? A che servono i caselli, i punti blu, i cartelloni luminosi (l'altra sera dicevano: nevica. Già che c'erano potevano aggiungere: fa freddo, ragazzi!)? A che servono l'Anas, le polizie locali, la società autostrade, la protezione civile e quant'altro se sono in grado di dare informazioni solo sul marciapiede di fronte, perché due chilometri più in là "è Liguria", perché le competenze sono sempre a cortissimo raggio?

Nessuno pretende che la neve cada senza mezzo disagio, che il ghiaccio smetta di essere pericoloso e collabori, che l'inverno receda dai suoi propositi ostili alla circolazione. Ma proprio per questo, proprio perché ci sono pezzi di viabilità normalmente soggetti a intasarsi, come è possibile che almeno l'informazione, con i mezzi di cui disponiamo, non sia all'altezza di queste così ordinarie emergenze? Che non si riesca a sentire "Onda verde", o che "Onda verde" non sia aggiornata (magari perché la Società Autostrade teme di perdere pedaggi), non è un accidente. È un'omissione. Quando la protezione civile porta un po' di coperte e di acqua minerale agli intrappolati, significa che la frittata è già fatta.

Gli intrappolati, in buona parte, non si troverebbero lì se le segnalazioni luminose o i notiziari li avessero avvertiti. Se i caselli d'ingresso fossero dotati di un filtro informativo e non fossero meri collettori di quattrini.

L'arcaicità di certi ingorghi appartiene alla vaga epoca nella quale non esisteva comunicazione. Un'epoca nella quale si viene retrocessi quando, per quindici centimetri di neve decembrina, ci si sente sperduti in un paese che ignora, a Ovada di sotto, che sta succedendo a Ovada di sopra.
(4 dicembre 2005)

- Nell'immagine Hannibal Lechter mentre si offre di aiutare un'automobilista in difficoltà -

venerdì, dicembre 02, 2005

Ciumbia!



Non lo dice nessuno in Italia, allora ve lo dico io postando, per chi capisce lo spagnolo la cronaca dell'incidente che ha visto coinvolti Mariano Rajoy (leader del PP iberico) e Esperanza Aguirre una specie di governatrice della comunità autonoma di Madrid. Erano saliti su di un elicottero atterrato nel mezzo di una plaza de toros. L'elicottero si solleva e a 10 metri di altezza rimane in posizione di stallo e cade come una pera.

Vi ci metto il link del video: mms://media.telecinco.es/telecinco/informativos/informativos_ba
/051202helicoptero.wmv

Jueves, 1 de diciembre. 18.56 h.
AGENCIAS. Madrid
El presidente del PP, Mariano Rajoy, y la presidenta de la Comunidad de Madrid, Esperanza Aguirre, salieron hoy ilesos de un accidente de helicóptero. El líder de la oposición permaneció varias horas ingresado en el Hospital de Móstoles, en observación por varias contusiones sin importancia. Los hechos tuvieron lugar cuando el aparato en el que viajaban salía de la plaza de toros de la localidad madrileña. El helicóptero, según salía del coso, perdió altura, golpeó la pared de la estructura, lo que le hizo perder las aspas que chocaron contra coches cercanos, y acabó cayendo al suelo de lado. Todos los ocupantes salieron por su propio pie y no hubo que lamentar heridas de consideración en ninguno de ellos.