martedì, giugno 30, 2009

Il sederino arrossato de "il Giornale"


Il Giornale della famiglia Berlusconi sempre in prima linea incurante del ridicolo. Con un premier deriso in tutto il mondo, tranne che in un paese dove l'informazione fa schifo (al pari di un'opposizione incapace, collusa e corrotta), il timore che il papino possa doversi togliere di mezzo provoca articoli ridicoli come il seguente. Aria fritta e il tentativo di mettere in ridicolo una semplice dichiarazione: esiste un premier squalificato e senza più alcuna credibilità internazionale che dovrebbe farsi da parte per il bene della sua stessa coalizione. Ed ecco che gli stipendiati del gruppo si scagliano contro chi osa ventilare un'ipotesi che è semplicemente buonsenso. E poi si chiedono perché il giornalismo è morto in Italia?

Letta chiede la carità politica: «Il Pdl rinunci a Berlusconi»

di Francesco Cramer

da ilGiornale.it

È un po’ come se gli avversari del Brasile di Didì e Vavà avessero implorato la Seleção: «Per favore, giocate senza Pelè». La spolmonata squadra del Pd ha il fiato talmente corto che un suo big, quell’Enrico Letta già sottosegretario del governo Prodi, arriva a chiedere a mezzo stampa un «aiutino» da niente al Pdl. In un’intervista alla Stampa dice papale: «Penso sarebbe molto utile se il centrodestra tentasse di terminare la legislatura con un altro premier senza far nascere governi tecnici. Questo consentirebbe la fine dell’anomalia Berlusconi, stabilizzando la maggioranza su una linea “normale” e a noi di costruire un’alleanza con l’Udc e altre forze». Davvero rivoluzionaria la proposta del centrosinistra per risorgere. «Letta continua».
In soldoni: per non finire la partita sommersi di gol, togliete di mezzo il vostro bomber; soltanto così potremo vincere o, meglio, smettere di straperdere. Ora, se dall’altra parte ci fosse Madre Teresa di Calcutta e soprattutto se si giocasse a Monopoli, uno sarebbe anche disposto a dare una mano all’avversario così nelle pesti. «Toh, ti regalo parco della Vittoria, vicolo Corto e vicolo Stretto e ti abbono due alberghi», si concedeva a chi era sull’orlo della bancarotta, perché sennò sai che noia stravincere. Ma trattandosi delle sorti del Paese, l’idea di Letta ha un che di paradossale: siccome non siamo capaci di fare bene l’opposizione, aiutateci voi suicidandovi. Cosicché il Pd ha l’acqua talmente alla gola che, invece di nuotare, chiede i braccioli ai rivali. Togliete Pelé dal campo e vedrete che il Pd sarà visto come «alternativa di governo».
A Letta in versione Paperino, in ginocchio e a mani giunte a chiedere la fine delle sfighe elettorali, va dato atto di aver reso un mea culpa che più esplicito non si può: «Troppe volte abbiamo tentato di battere Berlusconi con scorciatoie e se rifacessimo questo errore lo pagheremmo caro». Una candida ammissione: in passato s’è giocato duro, si è entrati in tackle sulle ginocchia e non sul pallone per fare quel gol che resta un miraggio.
Così, invece di riorganizzare la squadra, giocare, capire il perché alle urne gli italiani preferiscono dare il consenso ad altri, i piddini si perdono nello scontato gioco di vedere quando e se inciamperà il Cavaliere. Tifano per le Noemi, le Veroniche, le Patrizie, i Mills di turno. Auspicano «scosse» e si aggrappano alle inchieste di Bari e ai voli di Stato, planando sempre lì: Berlusconi metterà un piede in fallo oppure no? Prenderà una storta o continuerà imperterrito a correre? Spettatori, più che protagonisti, per di più divisi e confusi. Perché all’analisi dell’uno viene sempre contrapposta quella dell’altro: apposta opposta. «Credo sia cominciato il declino finale del premier», discetta Letta. «Comincia il declino del Cavaliere», strombazza Franceschini. «Berlusconi è declino», fa l’eco D’Alema. «Siamo illusi se pensiamo che Berlusconi sia in fase di declino», contesta Penati. Che pure spiega: «Se domani ci fossero le Politiche, dove andrebbero i voti di chi ha disertato le urne alle amministrative? A loro. Perché noi in tutti questi anni non siamo riusciti a costruire un’alternativa credibile». Certo, se però il Brasile lasciasse Pelé in tribuna...

Vergogna leghista

La Lussana col marito deputato PdL e calabrese (ah, l'amore delle prodi leghiste). A completamento dell'informazione il consorte Giuseppe Galati è indagato sia in Why Not che in Poseidone (la sua posizione è stata archiviata).



L'ennesima dimostrazione come anche la Lega ormai sia totalmente squalificata. Peccato era un bel sogno. Ora solo un covo di mascalzoni.

Il 23 giugno il DDL Lussana è passato all’esame della II Commissione Giustizia. La proposta di legge prevede nuove disposizioni in materia della tutela della privacy su Internet, in particolare sul cosiddetto "Diritto all’oblio".

I politici ci hanno già provato con l’emendamento D’Alia e con la legge Carlucci. Ora ci riprovano con un nuovo emendamento: diritto all’oblio su Internet. La proposta è stata presentata il 20 maggio scorso, ma soltanto alcuni giorni fa il testo è passato all’esame della II Commissione Giustizia. Il politico di turno a cui spetta difendere nuovamente la Casta è stavolta Carolina Lussana, eletta tra le file della Lega Nord. Sua infatti la proposta che è passata al vaglio della commissione, di cui la Lussana è la vicepresidente.

Il Diritto all’oblio è stato recepito da tempo dalla legislazione italiana. In pratica la legge prevede che un individuo che abbia commesso un reato, una volta che l’opinione pubblica ne sia stata correttamente informata e il reo abbia scontato la pena, al fine di favorirne il reinserimento nella società, si obbligano gli organi di stampa o chiunque voglia tentare di rievocarne i reati commessi a non renderli più noti.

La baldanzosa leghista ha presentato un DDL diviso in più articoli.
L’art. 1 recita così: Salvo che risulti il consenso scritto dell’interessato, non possono essere diffusi o mantenuti immagini e dati, anche giudiziari, che consentono, direttamente o indirettamente, l’identificazione della persona già indagata o imputata nell’ambito di un processo penale, sulle pagine internet liberamente accessibili dagli utenti o attraverso i motori di ricerca esterni al sito in cui tali immagini o dati sono contenuti. E in base alla gravità dei delitti commessi, si decide per quanto tempo la fedina penale del reo può essere consultabile su Internet.

L’art. 2 stabilisce le sanzioni in caso di inottemperanza alla legge. Se dalla denuncia dell’interessato trascorrono tre mesi senza che i dati personali riguardanti vecchi reati vengano rimossi, il Garante della Privacy può applicare nei confronti dei soggetti responsabili un’ammenda che va dai 5.000 ai 100.000 euro e disporre la rimozione dei dati personali trattati illecitamente.

L’art. 3 è una sorta di "contentino", in quanto stabilisce una serie di tutele in cui tale legge non si può applicare, ovvero in caso di condanna all’ergastolo, di reato di terrorismo, di genocidio o di strage. Inoltre il DDL non si applica al trattamento dei dati per ragioni di giustizia da parte degli organi giudiziari, del CSM e del Ministero della Giustizia o per ragioni di ricostruzione storica e giornalistica.

L’art. 4 riconosce all’interessato il diritto al risarcimento del danno.

L’art. 5 compie delle modifiche sostanziali al decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, applicando la stringa "su Internet" alle disposizioni vigenti in materia di tutela di diritto all’oblio.

Premesso che politici ovviamente non interessa un fico secco della tutela dei cittadini, il DDL è semplicemente l’ennesimo provvedimento governativo volto a limitare sempre più la libertà su Internet. Una sorta di lottizzazione che, dopo aver intaccato televisione e giornali, mira anche ad Internet. Anche perchè la semplice minaccia pecuniaria di 100.000 euro indurrà automaticamente i provider ad oscurare quelle pagine che riportano dei dati sensibili.

Ci chiediamo ora: è giusto che un diritto sacrosanto come quello all’oblio venga strumentalizzato per fini politici? Perchè poi mirare direttamente alla Rete? Il forte rischio è che i reati commessi da politici ed industriali vengano per legge cancellati e dunque dimenticati dall’opinione pubblica.

Simpsons' tribute to Michael Jackson

lunedì, giugno 29, 2009

Iulènza!




Protagonista un uomo di 68 anni a Cavasso Nuovo (Pordenone)

(ANSA) - CAVASSO NUOVO (PORDENONE), 29 GIU - Il computer va in tilt e lui gli spara. E' accaduto a Cavasso Nuovo (Pn), protagonista un pensionato di 68 anni. Evidentemente esasperato dalle 'lentezze' e dalle 'bizze' del suo pc, l'uomo, secondo il racconto dei Carabinieri intervenuti per sequestrare l'arma, ha atteso invano lunghissimi minuti, sperando che la situazione si sbloccasse. Poi, spazientito, ha sparato 5 colpi al pc con la sua calibro 22 regolarmente
denunciata. L'arma è stata sequestrata.

New town old habits




L'Aquila, le amicizie pericolose all'ombra della prima new town

Fonte la Repubblica

dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI

L'AQUILA - Nel primo cantiere aperto per ricostruire L'Aquila c'è un'impronta siciliana. L'ha lasciata un socio di soci poco rispettabili, uno che era in affari con personaggi finiti in indagini di alta mafia.

I primi lavori del dopo terremoto sono andati a un imprenditore abruzzese in collegamento con prestanome che riciclavano, qui a Tagliacozzo, il "tesoro" di Vito Ciancimino.

Comincia da questa traccia e con questa ombra la "rinascita" dell'Abruzzo devastato dalla grande scossa del 6 aprile 2009. Comincia ufficialmente con un caso da manuale, una vicenda di subappalti e di movimento terra, di incastri societari sospetti. Tutto quello che leggerete di seguito è diventato da qualche giorno "materia d'indagine" - un'informativa è stata trasmessa dalla polizia giudiziaria alla procura nazionale antimafia - ma l'intreccio era già rivelato in ogni suo dettaglio da carte e atti di pubblico accesso.

Partiamo dall'inizio. Dai fatti, dai luoghi e dai nomi di tutti i protagonisti e dei comprimari di questo primo lavoro per il terremoto d'Abruzzo. Partiamo dalla statale 17, la strada tortuosa e alberata che dall'Aquila passa per Onna, il paese che non c'è più, il paese spazzato via alle 3,32 di quasi ottanta notti fa. È qui, sotto la collina di Bazzano, dove sorgerà la prima delle venti "piccole città" promesse da Berlusconi agli aquilani per la fine di novembre - sono le famose casette, i 4500 alloggi per ospitare fra i 13 mila e i 15 mila sfollati - che è stato dato il via in pompa magna alla grande ricostruzione. È qui che sarà costruita la prima "new town". È qui che hanno alzato il primo cartello: "Lavori relativi agli scavi e ai movimenti di terra lotto Ts". Ed è qui che l'imprenditore Dante Di Marco, alla fine di maggio, ha cominciato a spianare la collina con le sue ruspe e i suoi bulldozer. Così si chiama l'amico degli amici siciliani che nascondevano in Abruzzo i soldi di don Vito, l'ex sindaco mafioso di Palermo.

Dante Di Marco ha 70 anni, ha amicizie importanti in tutto l'Abruzzo, è residente a Carsoli che è un piccolo paese fra l'Aquila e Roma. L'appalto per rosicchiare la collina di Bazzano e sistemare una grande piattaforma di cemento - è là sopra che costruiranno quelle casette sostenute dai pilastri antisismici - è stato aggiudicato da un'"associazione temporanea di imprese". La capogruppo era la "Prs, produzione e servizi srl" di Avezzano, la seconda ditta era la "Idio Ridolfi e figli srl" (anch'essa di Avezzano, sta partecipando anche ai lavori per la ristrutturazione per il G 8 dell'aeroporto di Preturo), la terza era la "Codisab" di Carsoli, la quarta era l'impresa "Ing. Emilio e Paolo Salsiccia srl" di Tagliacozzo e la quinta l'"Impresa Di Marco srl" con sede a Carsoli, in via Tiburtina Valeria km 70.

L'impresa Di Marco è stata costituita nel 1993, ha una ventina di dipendenti e un capitale sociale di 130 mila euro, l'amministratore unico è Dante Di Marco (gli altri soci sono il figlio Gennarino e la figlia Eleana), la ditta non è mai stata coinvolta direttamente in indagini antimafia ma il suo amministratore unico - Dante - risulta come socio fondatore della "Marsica Plastica srl" con sede a Carsoli, sempre in via Tiburtina Valeria km 70. È questo il punto centrale della storia sul primo appalto del terremoto: un socio della "Marsica Plastica srl" ha praticamente inaugurato la ricostruzione.

Quest'impresa, la "Marsica Plastica srl", è molto nota agli investigatori dell'Aquila e anche a quelli di Palermo. È nata il 22 settembre del 2006 nello studio del notaio Filippo Rauccio di Avezzano. Tra i soci di Dante Di Marco c'era l'abruzzese Achille Ricci, arrestato tre settimane prima del terremoto per avere occultato i soldi di Vito Ciancimino in un villaggio turistico a Tagliacozzo. C'era Giuseppe Italiano (il nome di suo fratello Luigi è stato trovato in uno dei "pizzini" del boss Antonino Giuffrè quando era ancora latitante), che è un ingegnere palermitano in affari di gas con Massimo Ciancimino. C'era anche Ermelinda Di Stefano, la moglie del commercialista siciliano Gianni Lapis, il regista degli investimenti del "tesoro" di Ciancimino fuori dalla Sicilia.

Il 22 settembre del 2006, nello studio dello stesso notaio di Avezzano Filippo Rauccio, era stata costituita anche un'altra società, l'"Ecologica Abruzzi srl". Fra i suoi soci ci sono ancora alcuni della "Marsica Plastica srl" (la moglie di Lapis e il palermitano Giuseppe Italiano per esempio) e poi anche Nino Zangari, un altro imprenditore abruzzese arrestato il 16 marzo del 2009 per il riciclaggio del famigerato "tesoro" di don Vito. Erano due società, la "Marsica Plastica" e l'"Ecologica Abruzzo", che con la "Ricci e Zangari srl" - se non ci fosse stata un'inchiesta del Gico della finanza e i successivi arresti - avrebbero dovuto operare per la produzione di energia, lo smaltimento rifiuti, nel settore della metanizzazione. Un labirinto di sigle, patti, commerci, incroci. Tutto era stata pianificato qualche anno fa. E tutto alla luce del sole.

Ecco come ricostruisce le cose Dante Di Marco, l'imprenditore che ha vinto il primo sub appalto per la ricostrizione dell'Aquila: "Ho presentato una regolare domanda per accreditarmi ai lavori di Bazzano e sono entrato nel consorzio di imprese, che cosa c'è di tanto strano?". A proposito dei suoi vecchi soci siciliani ricorda: "Quella gente io nemmeno la conoscevo, mi ci sono ritrovato in società così, per fare il mio lavoro di movimento terra". E consiglia: "Chiedete in giro chi è Dante Di Marco, tutti diranno la stessa cosa: uno che pensa solo a lavorare con tutti quelli che vogliono lavorare con lui".

Proprio con tutti. Dante Di Marco ha una piccola impresa, tanti lavori e tantissimi amici in Abruzzo. È entrato in società non soltanto con i siciliani amici di Ciancimino ma anche con Ermanno Piccone, padre di Filippo, senatore della repubblica e coordinatore regionale del Pdl. Sono insieme dal 2006 - e con loro c'è pure il parlamentare del Pdl Sabatino Aracu, sotto inchiesta a Pescara, accusato di avere intascato tangenti per appalti sanitari - nella "Rivalutazione Trara srl", quella ha comprato alla periferia di Avezzano 26 ettari di terreno e un antico zuccherificio per trasformarlo in un termovalorizzatore. Fili che si mescolano, finanziamenti, compartecipazioni, una ragnatela. E appalti. Come quello di Bazzano, l'opera prima della ricostruzione. Per il governo Berlusconi è la splendente vetrina del dopo terremoto in Abruzzo. Per Dante Di Marco da Carsoli, socio dei soci dei Ciancimino, era un'occasione da non perdere.

Pausa

Travaglio cambiato con questo?


Travaglio può non piacere, ma è un giornalista. Cambiarlo con Paolo Vilaggio che dimostra con questa ennesima intervista "controcorrente" di non starci più con la testa è una cazzata. Avanti così compagna direttora! Senza paura verso il fallimento. Così farete incazzare i cattolici antiberlusconiani e anche quelli di sinistra. Siete geniali. Non ci sono altre parole!

Barbaro Romano per Libero

Appese al chiodo le braghe ascellari, il ragionier Fantozzi Ugo se ne sta appollaiato in camicia da notte nel gazebo del suo giardino a due passi da Villa Ada. Piantonato da due cagnoni e da un ventilatore a palla, studia il suo nuovo copione: un taccuino zeppo di appunti da rovesciare nelle colonne dell'Unità, da dove, secondo il direttore Concita De Gregorio, dovrà dettare la linea al Pd in agonia.

Che c'azzecca Paolo Villaggio con il giornale fondato da Antonio Gramsci?
«Avevo già collaborato con l'Unità per cinque anni, ai tempi di Veltroni. L'altro giorno è venuta Concita De Gregorio, che tra l'altro è una bella donna, a dirmi: "Sarei felice se scrivesse per noi", e io ho accettato.

Da buon genovese, chissà quanto avrà chiesto...
«No, il vero taccagno è il piccolo impiegato statale romano».

Che lei ha incarnato per anni. Spari: quanto la pagherà l'Unità?
«Giuro. Ho accettato senza sapere il compenso».

Fantozzi prenderà il posto di Marco Travaglio. La pensano allo stesso modo? Il ragionier Ugo è giustizialista e forcaiolo?
«E chi è 'sto Travaglio? Io non l'ho mai letto. È stato deificato da per anni sull'Unità, ma non lo conosco. E poi io non sono giustizialista, né forcaiolo».

Ma lei si considera di sinistra o di destra?
«Nessuno dei due. Io voglio fare il progressista, l'illuminato. Io mi schiero con il movimento che punta a migliorare la felicità degli uomini».

La vecchia promessa del comunismo. Che giudizio dà oggi della sinistra?
«Tragico. Il Pd è una massa di politicanti in perenne rissa. Alla direttora dell'Unità ho chiesto la libertà assoluta di dire: con questi qua siamo già morti. La libertà di bastonare questa sinistra che cerca di risorgere dicendo che Berlusconi si porta Apicella nell'aereo di Stato. Questi avanzi del Pci vanno rinnovati tutti. D'Alema è bravo come velista, no?».

Dario Franceschini?
«Non lo conosco, ma mi sembra della stessa classe».

E Veltroni?
«Potrebbe fare l'aiuto regista. Gli animali politici nascono così: cercano prima di fare i registi, come lui, che però era scarso, glielo posso garantire, io l'ho conosciuto all'Unità. Non avendo avuto successo nello spettacolo ha ripiegato sul partito».

E Berlusconi che animale politico è?
«Non è un animale politico. Lui è un grande imprenditore che è sceso in campo proprio per battersi contro la cultura politica che impera in Italia. Berlusconi è un uomo straordinario perché in trent'anni è diventato l'uomo più ricco d'Europa e il più potente d'Italia. Ed è sceso in politica per autodifesa».

Crede anche lei che sia in atto un complotto?
«Certo. Repubblica ha scatenato contro di lui una campagna mediatica di livello a dir poco mediocre. Le dieci domande: ma suvvia...».

L'Unità ha fatto la stessa campagna. Sicuro di voler scrivere su un giornale così?
«Non mi pongo il problema, anche perché è l'unico giornale che mi ha scritturato».

Avrebbe accettato anche l'offerta di altri giornali?
«Certo. Dica a Vittorio Feltri che se mi propone una collaborazione di prestigio, io per lui scrivo subito. Anche gratis».

Intanto chi sarà a scrivere sull'Unità, Villaggio o Fantozzi?
«Le svelo il tranello: io fingo di essere la voce della Lega e cerco di difendere a spada tratta la filosofia leghista, la banalità della cultura televisiva, il celentanismo, il qualunquismo, il grillismo».

Finge? Ma non aveva detto che votava Lega?
«Ho detto che il ragionier Fantozzi oggi voterebbe Lega, perché è l'unica che risponde alle paure di un piccolo impiegato intimorito dalla società multietnica. Noi non ci siamo resi conto che la Santa Lega ha terrorizzato chi votava Pci».

Anche lei votava Pci?
«Sì».

Le hanno mai proposto di candidarsi?
«Una sola volta. Mi chiesero di fare una kermesse per il Partito di unità proletaria. Dissi di sì e mi sbatterono fuori da Domenica in, dove prese il mio posto Lino Banfi. Ma fu una fortuna».

Le piacque fare il testimonial di un partito?
«No, perché scoprii che Capanna & co erano degli animali politici: scemi, mediocri, disonesti. Come la Bonino e Pannella, quelli con la stella di David appuntata al petto».

Perché accettò la candidatura del Pdup?
«Solo perché me lo aveva chiesto un mio caro amico d'università, Franco Tibì, che poi si uccise perché si sentì tradito da questi stronzi».

Cos'ha votato alle ultime elezioni?
«Pd. Ho sempre votato a sinistra».

Tanti di sinistra oggi votano Bossi. Perché?
«Perché si sono imborghesiti e hanno il terrore che i rumeni rubano e i negri gli fottono le fidanzate».

Ma esiste o no un problema criminalità correlato all'immigrazione clandestina?
«Certo, è un problema enorme. È una conseguenza dell'accrescimento del numero e dell'invenzione ripugnante delle megalopoli. Il problema vero è questo: che il mondo alla fine del secolo avrà 100 miliardi di abitanti».

E come si risolve?
«Visto che la Chiesa impedisce la distribuzione dei preservativi e il controllo delle nascite, bisognerebbe ricorrere alla castrazione».

Quali altri consigli darà ai lettori dell'Unità?
«Suggerirò a tutti di ripescare i valori cristiani e l'amore per il prossimo. Era questa l'idea vincente di Cristo su un impero in decadenza: l'uguaglianza».

E come la coniugherà al presente?
«Parlerò dei pericoli dei poveracci, di fatto mandati a morire, noi cattolici ci dimentichiamo di essere cristiani». Ha già pensato al primo articolo?elle megalopoli, dei 150 miliardi di affamati. Dirò che rispedendo in Libia tutti quei poveracci, di fatto mandati a morire, noi cattolici ci dimentichiamo di essere cristiani».

Ha già pensato al primo articolo?
«Sarà una serie di suggerimenti al Papa. Gli dirò: "Togliti le scarpine di Prada e mettiti i sandali e il saio". Questo Papa vestito da francescano o da Gandhi deve andare a Gaza, nel cuore della guerra tra religioni, e fare un conclave tra islamici, induisti, buddisti, socialisti reali, atei, cristiani cattolici e protestanti».

Per dire cosa?
«Signori e signori, omosessuali e mignotte, musulmani, ebrei e ortodossi, noi stiamo facendo una cazzata. Stiamo per scatenare una guerra planetaria. Molti di voi hanno già i missili puntati. Cosa facciamo, ci ammazziamo tutti? Abbiate pietà, cerchiamo di metterci d'accordo».

Nell'universo di Paolo Villaggio c'è posto per Dio?
«È inutile prendere per il culo il futuro: Dio è un'invenzione».

A 77 anni non si pone il problema dell'aldilà?
«Certo. Ma non c'è niente. Niente alla portata dell'intelligenza dell'uomo. Mi piacerebbe vivere nel 34.000 dopo Cristo. Allora sì che ci avvicineremo all'idea del Creatore, a capire se c'è o non c'è. Ma non è giusto dire "sono ateo", come fa Margherita Hack».

Ha paura della morte?
«No. Mi dispiace solo lasciare un'esperienza straordinaria, che mi ha reso così felice, come la vita. Se lei mi chiede, come fanno spesso: "Ha un sogno nel cassetto?", domanda che non sopporto».

Se l'è fatta lei...
«Il mio sogno è tornare giovane. Il futuro è la cosa che mi affascina di più».

Come immagina il suo futuro?
«Io ho esaurito ogni tipo di programmazione. Quando viene a mancare la sessualità, sei costretto a fingerla, come Berlusconi...».

Provi a guardare con gli occhi di Fantozzi la vagonata di ragazze che sbarcano a Villa Certosa. Cosa vede?
«Il paradiso islamico. La promessa fatta ai kamikaze è che se muoiono per la guerra santa non aspettano il giorno del giudizio, ma vanno subito in paradiso: non più il deserto, ma una vegetazione meravigliosa come c'era a Cordova, nella Spagna moresca, fontane che versano vino gelato, colombe bianche. E ogni povero ha diritto ad avere delle uri, vergini belle sette volte più delle donne del suo paese: è Villa Certosa».

Fantozzi ci si sarebbe tuffato a occhi chiusi?
«Anche Paolo Villaggio adesso».

Ci racconti la giornata tipo di Fantozzi a Villa Certosa.
«Si parte da Arcore alle 7. Elicottero. Il Dottore decide che si va a Linate, dove ci aspetta un aereo Grumman. Dentro c'è Apicella: "Come prima, più di prima, ti amerò...". E Marinella, la segretaria: una donna... Che dolcezza! Ha una certa età, ma è un computer mentale».

Dove si va?
«Passiamo da Ciampino a raccogliere le veline. Si atterra ad Olbia. Il profumo della Sardegna. Ri-elicottero. Villa Certosa. La piscina. E lì ci sono già le veline che sguazzano. "Fantozzi, lei cosa vuol mangiare?", chiede il Dottore, "vogliamo andare tutti all'isola di Cavallo, in Corsica, a fare il bagno?". Ma io non ho il costume... "Ma quale costume", dice il Cavaliere, "nudo, no? Le veline sono tutte nude...". Poi, a una certa ora: "Fantozzi, si svegli!".

Sua moglie.
«Già...».

Sembra che lei ci sia stato sul serio a Villa Certosa...
«No. Sono stato ad Arcore, un'altra villa meravigliosa».

Quando?
«Metà anni Ottanta, quando il Cavaliere mi scritturò per fare un programma. Mi portò lì Sandro Parenzo. C'era anche Fedele Confalonieri. Cenammo. Poi Berlusconi mi fece vedere il giardino, degli alberi meravigliosi. Appena entrato ad Arcore, gli dissi: "Mi dai subito 200 milioni?"».

E lui?
«Si alzò, prese il telefono e disse: "Dai subito 200 milioni a Paolo Villaggio. Com'è il tuo conto corrente?", chiese rivolto a me».

Per quale programma aveva chiesto tutti quei soldi?
«Io gli avevo proposto di fare la satira del talk-show con Renzo Arbore».

Ma non l'avete mai fatto...
«No, perché Berlusconi in queste cose non è uno di parola. Di sottobanco poi ho saputo da una mia amica che lavorava a Canale 5 che Berlusconi voleva farmi fare "Risatissima". Mi riconvocò ad Arcore. Io andai con mia moglie. Ma il giorno dopo, all'alba, chiamammo un taxi e ce ne andammo. Gli diedi buca. Arrivati a Nizza, la sera, accesi la tv e vidi che c'era Banfi a condurre "Risatissima". Berlusconi si incazzò al punto che mi voleva mangiare vivo e mi scatenò contro i suoi avvocati. Ma quando lo rividi, mi disse "Tu sei il più grande comico con Sordi e con Totò"».

Il Cavaliere conosceva il suo talento dai tempi in cui facevate assieme gli animatori sulle navi da crociera...
«Tutte cazzate».


Ma come, l'ha raccontato lei nel suo libro "Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda"...
«L'ho scritto per vendere più copie. Berlusconi non c'era. C'era solo Fabrizio De André».

Lei ha fatto film con Medusa.
«Parecchi».

Quanti soldi ha preso complessivamente da Berlusconi?
«Pochi. Soldi io ne ho presi soprattutto da Cecchi Gori».

Quanti?
«Guadagnavo due miliardi e mezzo di lire a film».


Col successo arrivarono anche le donne?
«Il successo ti cambia la vita».

Approfittò della notorietà per rimorchiare?
«Non ne approfittai, perché mia madre era così gelosa che ha fatto di me e di mio fratello gemello Piero due castrati».

Addirittura.
«Era gelosa in modo patologico. Buttava giù il telefono appena sentiva una voce di donna. Lei si era laureata a Lipsia e insegnava Glottologia alla Cà Foscari di Venezia, mentre mio padre era un genio del cemento armato. Si vedevano poco, lui si rifugiava nel lavoro, anche perché, con una moglie di marmo come mia madre, totalmente frigida, si era preso una cotta pazzesca per la segretaria che si chiamava Flora e aveva delle tette meravigliose. Una notte l'ho sentito bisbigliarle al telefono: "Io vorrei portarla sul bagnasciuga e leggerle le Memorie del sottosuolo di Dostoevskij"».

Lei ha avuto tante donne?
«Tantissime».

Il suo primo amore?
«Mia moglie Maura».

La sua prima volta?
«Con mia moglie! Ci siamo conosciuti ai Bagni Lido di Genova. Lei aveva 15 anni, io 22».

Come l'ha conquistata?
«Non l'ho conquistata. Dopo una settimana di uscite, lei mi ha detto: "Ti prego, mi sono rotta i coglioni, dammi un bacio". Io ho cercato di mangiarla viva. Un'emozione... Sa cosa mi ha dato la felicità più intensa nella vita?».

Cosa?
«L'odore che aveva mia moglie a 15 anni. Se avessi potuto, l'avrei conservato in una boccetta sigillata».

È stato un marito fedele?
«Non esistono uomini fedeli, ma neanche donne. Dopo il matrimonio sono stato fedele una quindicina d'anni, sempre però corteggiando le mogli degli amici, e cercando anche di farlo capire, per vanità, perché ero uno con la patente di sfigato».

Come Fantozzi. Ma queste mogli erano tutte come la Mazzamauro?
«Un po' sì... Con la tv però sono arrivate le fighe vere»

Ha tradito molte volte sua moglie?
«Tutte le volte che ne ho avuto la possibilità».

Ma siete ancora sposati...
«Se potessi dare un consiglio a tutti gli adulteri: non cambiate mai moglie, fate una stronzata. Io ho avuto molti amici che lo hanno fatto: Tognazzi sei mogli, Gassman cinque. Non migliora la vita. Castagna ha cambiato moglie, poi è andato a morire con la prima. Io sono felice solo con mia moglie, dormo con lei, ho i figli, i nipoti, i cani con lei. È la solo donna che ho amato».

Le altre sono state scappatelle?
«Beh, no».

Quante donne importanti ci sono state nella sua vita?
«Prima di mia moglie, due o tre non dichiarate. Poi una compagna di classe dichiarata, ma senza mai toccarla. Dopo il matrimonio, due cotte. Vuole sapere quante scopate?».

Se proprio insiste...
«Dopo l'arrivo in tv, ho perso il conto. Ma io e Maura siamo sposati da 52 anni, perché io sono un uomo molto saggio».


E sua moglie una santa.
«Al contrario. Anche lei ha fatto quello che cazzo ha voluto. Io lo sapevo. Di notte, tormentato dalle corna di mia moglie, rimuginavo: "Che faccio? La lascio, non lascio, la lascio...". Quando arrivavo al bivio, mio fratello gemello, che fingeva di dormire a un metro da me, mi diceva: "Continua, non mollare", anche se non gli avevo confidato nulla. Tra noi c'è un rapporto telepatico. Da bambini non abbiamo mai litigato. Abbiamo dormito assieme per vent'anni. Ci completiamo».


Com'è il gemello di Fantozzi?
«Lui ha sempre avuto un atteggiamento protettivo nei miei riguardi, perché era più forte fisicamente, tenace e intelligente».

Chi era lo sfigato tra i due?
«Tutti e due. La domenica andavamo alle feste pomeridiane a casa di Paolo Fresco, futuro presidente della Fiat. Io e mio fratello eravamo faccia alla parete per la vergogna».

E come facevate a rimorchiare?
«Che rimorchiare! La speranza era sentirsi picchiettare alla spalla da una ragazza che ci invitava a ballare».

Ci provavano spesso con lei?
«Mai. Un insuccesso sensazionale, quasi affascinante. Niente!».

Qual è stato il periodo più bello della sua vita?
«Rimpiango molto il liceo classico e quella gente straordinaria che purtroppo non c'è più: Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Marco Ferreri, Luciano Salce. Gli anni più straordinari della mia vita sono stati quelli lì. La mia generazione credeva ciecamente nei valori della cultura nella quale era cresciuta: il nozionismo nelle scuole, la maturità classica, la meritocrazia».

Nella vita lei si è sentito uno sfigato o un vincente?
«Un pigro. Uno che se avesse avuto qualche qualità in più, come la tenacia di mio fratello o di Berlusconi, sarebbe diventato un grand'uomo. Invece mi sono fermato. Anche se oggi, alla fin fine, mi sento un vincente. Fantozzi è una grande invenzione, perché è stato una critica assoluta della possibilità di essere tutti felici. No, ci sono anche gli sfigati».

domenica, giugno 28, 2009

Let's party!




Source: the Observer
How to be ...Berlusconi's party planner
Eva Wiseman
The Observer, Sunday 28 June 2009

We all love a party with a happy atmosphere, one which starts with a documentary about the achievements of an Italian leader and ends upstairs in a bedroom, atmosphere everywhere. You are an entertainment acrobat, performing a complicated balancing act of blondes and brunettes; of Eastern Europeans and ribboned trinkets; of antipasto, puppies and concealed camera phones. You are in charge of distributing envelopes of travel expenses to the more accommodating guests, the ones who followed your strict dress code and have political ambitions. Since puberty, your hormones have been nagging you to plan parties like this, parties heavy with the scent of duty-free perfume and male menopause. Dawn will break on a long table of regret, a stereo playing Berlusconi's ballads on repeat, shivering teenagers making no eye contact as they wait for their taxis. You will hum to yourself as you clear the glasses, as you launder the boss's manscara from a satin pillowcase.

Mal che vada mi butto in politica



Fonte: la Repubblica

Le tre fan del premier bisticciano sulla foto."Io non ci sono". "No, a Olbia c'eri pure tu"
"Andammo in Sardegna qualche settimana dopo che lo incontrammo in un hotel ai Parioli"
di CONCHITA SANNINO

BARI - Prima erano solo Virna, Emanuela e Francesca. Quando partivano per Villa Certosa, nel 2006, portavano in dono a Berlusconi "un barattolino con l'aria di Napoli, gadget che gli piacque molto". Ora qualcuna non ricorda più.

"Io sono stata a Villa Certosa, è vero. Ma mi pare che non vi ho dormito. Forse quella stessa sera l'aereo privato ci riaccompagnò a Napoli. Ma non c'è niente di male, no?", mormora la prima, l'esuberante Virna Bello. "Io non c'ero. Non conosco lo scalo di Olbia, forse era Vicenza", nega la seconda, Emanuela Romano, che arriva a non riconoscersi nella foto, insieme con le (ex) amiche. Mentre la terza ragazza ritratta nel servizio de L'espresso, l'imprevedibile Francesca Pascale, lo rivendica. "Ma scherziamo? Come faccio a dimenticare, come fa Emanuela a dire che non c'era? Siamo state ovunque, noi tre, a Olbia, a Vicenza, ovunque al seguito del presidente, anche quando non era premier".

Francesca parla, con entusiasmo, quasi per tutte e tre. "Noi siamo quelle che si inventarono il comitato "Silvio ci manchi" e la cosa colpì molto Berlusconi. Io lo conobbi proprio con Emanuela e con Virna: ci dissero che lui avrebbe volentieri incontrato i giovani attivisti del partito e andammo tutte e tre all'hotel Duke, ai Parioli. Ad ottobre ci presentammo, e appena qualche settimana dopo partimmo per Villa Certosa - prosegue Francesca - La prima volta nella sua residenza di Porto Cervo è stata bellissima. Io dico che non c'è niente di cui vergognarsi, era una convention politica. Ricordo tutto molto bene. Chiamavo a casa per dire "Sapeste che cos'è questa villa!". Ho ancora in mente la visita al parco, i dettagli. E poi i miei palleggi con il presidente. Sì, con il pallone. Io sono malata di calcio, tifosa del Napoli, e mi calmo solo così. Per il resto ho un carattere vulcanico e possessivo. Berlusconi stesso scherzando dice che, per il mio carattere, sono una fascista".

Eccolo il terzetto vesuviano immortalato in quella foto dell'autunno 2006, altre tre ragazze scese dall'aereo privato di Berlusconi e diretto nel cuore verde della residenza sarda. Un trio prediletto dal Cavaliere anche nelle trasferte napoletane: dagli incontri in Prefettura alle cene corali all'hotel Vesuvio. Uno scatto emblematico, in fondo, della politica e della selezione della classe dirigente ai tempi di re Silvio: già prima che il Noemigate e poi l'inchiesta di Bari rivelasse il giro di pericolose relazioni del presidente del Consiglio.

La svolta della loro vita era dietro l'angolo di Villa Certosa. Oggi Virna è assessore comunale all'Istruzione, nel comune di Torre del Greco per il Pdl. E conferma, con un largo sorriso, che a una delle prime interviste ufficiali si presentò come "braciolona. Così in effetti mi chiamano per gioco gli amici. D'altro canto non sono mai stata filiforme. E poi anche con il linguaggio si possono avvicinare i giovani alla politica".

Emanuela Romano frequenta un master in Publitalia come manager in gestione delle "risorse umane": ma, già delusa da una mancata candidatura alle politiche, è stata depennata anche dalle liste europee, dopo il noto j'accuse di Veronica Lario. Al punto che suo padre con un gesto inconsulto, il 28 aprile, tentò di darsi fuoco dinanzi a Palazzo Grazioli.

E infine ecco l'eclettica Francesca, appena eletta consigliere della Provincia di Napoli. In poco tempo è passata dagli 88 voti raggranellati alla municipalità Posillipo di Napoli ai 7600 consensi di oggi.

Prima, erano solo Virna, Emanuela e Francesca, ragazze con lavoretti precari, cliché delle sveglie & belle napoletane. Oggi discutono con i vertici Pdl. Due su tre siedono su poltrone pubbliche. Alle spalle, lo snodo di Villa Certosa.

King Silvio

Source: the Independent

The last days of the court of King Silvio
Berlusconi always seemed immune to scandal, but lurid reports of the sexual carousel of parties, models and money are taking their toll. Now the Catholic Church has turned on him. Peter Popham reports

There is a sudden stench of decay coming off the court of King Silvio.

The faithful retainers who have stood by him for decades, and grown immensely rich as a result, are still at his side: the pianist who tinkled along behind his singing on the cruise ships, the Sicilian lawyer fighting a long sentence for mafia crimes, the lawyer who did time for bribing Roman judges on Mr Berlusconi's account; none of them has dropped even a hint of dissidence or doubt in their padrone. But on the fringes of the circle, the unstoppable gusher of revelation and innuendo about the dozens of beautiful young women who flocked to his homes for all-night parties is beginning to do him palpable damage.

It is no longer only his political enemies in the media who are drawing attention to the grotesque spectacle of a 72-year-old Prime Minister cavorting with bimbos young enough to be his granddaughters. This week, after a long, pregnant silence, powerful forces in the Catholic Church have begun to speak out against his excesses. First it was L'Avvenire (The Future), the daily paper of the Italian bishops, which asked the Prime Minister to give Italy "clarification" about what had been going on. Then an important Catholic weekly, La Famiglia Cristiana, published stern comments about "moral decadence". And now three senior churchmen have criticised him publicly. One of them, the Bishop of Mazara del Vallo in Sicily, called on him to consider resigning. And one of the most powerful church figures in the country, Cardinal Angelo Bagnasco, head of the Italian Bishops Conference, warned, without mentioning Mr Berlusconi by name, of "men drunk on a delirium of their own greatness, who touch the illusion of omnipotence and distort moral values".

Mr Berlusconi's court has no soothsayers to warn him of the Ides of March, but the sudden emergence of hostile noises from the Catholic Church is the modern Italian equivalent of that – especially as the Catholic Church continues to hold immense sway over public opinion.

So far, Mr Berlusconi has given no indication that the Church's opprobrium is having any effect on him, let alone that he is minded to heed calls to resign. On the contrary, at a press conference in the city of L'Aquila this week, where world leaders will be his guests for next month's G8 summit, he was in buoyant, defiant form.

"This is the way I'm made," he told journalists who asked if he was planning on changing his ways in the face of weeks of bad publicity, "and I don't change. People take me as they find me. And the Italians want me: I have the support of 61 per cent. They want me because they feel that I am good, generous, sincere, loyal, that I keep my promises."

Should the Prime Minister not adopt behaviour more becoming to a head of government, another reporter pursued, avoiding "dangerous situations" in future? "But why?" retorted Mr Berlusconi indignantly. "Life is so beautiful ... It's much better to live life normally, taking things as they come. Besides, at my age change is out of the question..." The campaign against him, he insisted, was nothing but "lies and rubbish".

It was another bravura performance by a man whose self-confidence is legendary. But the danger signs are accumulating. If the core of intimates around him remain solid, others formerly very close are beginning to peel away. One of the few intellectuals in his circle, an obese, red-bearded former Communist and CIA agent called Giuliano Ferrara who edits a slim but influential daily called Il Foglio, recently drew a dire analogy between Mr Berlusconi's present situation and that of Mussolini on 24 July 1943, the day before he was dismissed as Duce by the king and slunk up to Lake Garda to run the puppet statelet of Salo.

Mr Ferrara, whose political chat show was for years one of the liveliest and most unpredictable forums of debate on Italian television, was a minister in Mr Berlusconi's first government, and has remained loyal to his cause through thick and thin ever since. His defection is part of the collateral effect of Veronica Lario's divorce suit: Il Foglio is partly owned by Mr Berlusconi's estranged wife. Mr Ferrara admitted he was embarrassed when the rift between the two became open war, and it is now clear that his loyalties are split.

Mr Berlusconi, on the other hand, gives every indication of believing that the best is yet to come: the life force still flowing through him almost luminously, his ambition is still phosphorescent. Left-wing critics may jeer that "the swan has turned out to be a lame duck", but he has nearly four years of his term left to run, has a

large parliamentary majority, and his coalition allies, massaged by his money and favours, are giving him far less trouble than they did in his last term.

But it is the new sense of estrangement emerging from the Church and its friends which is shaping up to be his real problem. One of his loyalists, Claudio Scajola, a long-serving minister, remarked recently that "more prudence" might be good for him. Relations with the Catholic Church have long been ambivalent. He was unfaithful to his first wife and had three children outside his marriage before divorcing and marrying Veronica Lario in a civil ceremony. Like many other Italians he pays lip service to the Church, taking care not to cross it or defy it; as an arch anti-Communist, he has been regarded by the Church hierarchy as their worst enemy's enemy, even if not exactly their friend. Earlier this year that rather lukewarm relationship suddenly began heating up. Without warning he embraced a church-backed campaign to prevent a woman called Eulana Englaro, who had been in an irreversible coma for 17 years, from being taken off life support – a first step, the Church protested, towards legalising euthanasia. Mr Berlusconi had shown little interest in the subject before, but now he pulled out all the stops to keep Ms Englaro alive, in defiance of the Supreme Court. In the event she died before the emergency law he tried to rush through could be passed. But his campaign was an indication that he had grasped the vital importance of having the Church on his side as he attempted the boldest move of his extraordinary career: changing the constitution to give the President – today a ceremonial figure – enormous powers. It was an open secret that Mr Berlusconi was looking forward to moving up to the presidency at the end of his current term.

All that seems a long time ago. Mr Berlusconi insists now that nothing could be further from his mind than becoming President. And as the sleazy revelations about the "harem parties" in Sardinia and Rome continue to pour out, the Church is quietly putting him at arm's length.

Almost since the beginning of what the Italian press have begun to call "Sexgate", Mr Berlusconi has been claiming that there was a complotto, a conspiracy to bring him down, orchestrated by the usual suspects, the Italian left. We've heard it all before: Mr Berlusconi has always been quick to spot reds under the bed, even when disguised as journalists of the Financial Times or The Economist. But the relentless nature of the coverage of "Sexgate", when nothing of a criminal nature pertaining directly to Mr Berlusconi has yet emerged, suggests one of two things: either Italy's usually rather staid papers, suffering from steep circulation losses in recent months, have decided that British-style tabloid tales are the way to claw back their readers; or alternatively (or additionally), they really are out to get the Prime Minister, whatever it takes.

Last week the affair shifted up a gear as prosecutors in Bari, capital of the southern region of Puglia, became involved, investigating claims that anti-prostitution laws were violated when girls were allegedly paid to attend the Sardinian parties. As a result the scandal has now entered the realm of the judiciary. All eyes are now fixed on the second week of July, when the leaders of G8, including Barack Obama and Gordon Brown, fly to Italy for the summit in the earthquake-hit city of L'Aquila.

It is not inconceivable that the prosecutors of Bari are preparing a nasty surprise for the Prime Minister. In November 1994, a few months into his first term in office, Mr Berlusconi fatally lost face when he was served with notice that he was under investigation for corruption during a summit in Naples. It may be that something equally embarrassing – before the leaders and cameras of the world – will happen in L'Aquila. And given the importance of face in the Italian context, the consequences of that would be unpredictable. Even the most devoted Berlusconi courtiers are now beginning to think the unthinkable.

Friends turned foe: The models, the politicians, the wife and the priest

BARBARA MONTEREALE

She was invited to dinner at Mr Berlusconi's apartment in Rome with dozens of other women, then went on to join him at his villa in Sardinia, for which a man from Bari in southern Italy, Gianpaolo Tarantini, who is under investigation by anti-prostitution police, paid her €1,000. Montereale, 23, said that Mr Berlusconi gave her "rings and necklaces that he said he designed" and a CD of Neapolitan love songs. At the end of her stay he gave her a bag with "a very generous sum of money". This week, after her revelations became public, she said her car had been set alight and destroyed outside her home.

PATRIZIA D'ADDARIO

The 42-year-old prostitute from Bari in southern Italy claims the businessman Gianpaolo Tarantini paid her €2,000 to attend a party in Mr Berlusconi's Rome apartment. "I went down a long corridor that opened into a room where I found there were already many girls ... In total we were around 20." She said that the Prime Minister said: "How lovely you are!" She added: "He wanted me to sit next to him ... they put on a really long video of his meetings with international leaders ..." Barbara Montereale said she believed that Ms D'Addario spent the night with Berlusconi.

VERONICA LARIO

She was a busty young actress when Berlusconi saw her performing topless on stage and fell for her 30 years ago. The estrangement from her husband has been an open secret for more than a decade. In April she described Berlusconi's decision to put up showgirls as candidates for the European Parliament as "shameless rubbish", forcing him to drop the idea. Days later she sued for divorce.

GIULIANO FERRARA

A brilliant journalist and politician who served as the minister for relations with parliament in Berlusconi's short-lived first government, he has defended his ex-boss through thick and thin ever since. But his closeness to Berlusconi's estranged wife, a major investor in the paper he edits, now seems to be dragging him away from his original padrone.

ANGELO BAGNASCO

The president of the Italian Bishops' Conference and one of the most important clerics in the country. Attacked recently by a priest in his diocese for "treating Berlusconi too well", his oblique criticism of the Prime Minister this week may be a sign that he and the Conference are preparing to take a more robust stand.

CLAUDIO SCAJOLA

The Minister for Economic Development has served loyally at his master's side since throwing in his lot with him in 1995. But Scajola's roots are in the Christian Democrat party, and this week he became the first close political ally to issue a warning about behaviour and the need for the premier to be "more prudent" about his private life.

Asshole



This guy is an asshole. Michael's father shows a disgusting behavior in front of the villa where his son just died....

sabato, giugno 27, 2009

Neverland




A surreal journey into Michael Jackson's Neverland

Chris Ayres
Neverland was deserted. After crossing a wooden stile, we reached a railway station with an elderly couple sitting on a bench. At first I thought they were real; then I noticed their yellowing, milky eyes, and their dead, waxwork stares. They were waiting an eternity for a train they would never board. A pink flamingo tiptoed by. I could hear an elephant, then a tiger.

It was already clear that Neverland’s owner was the victim of a rare and possibly celebrity-induced psychosis. There were waxworks everywhere: more elderly couples; a clown holding out a cooler full of ice cream; a grandfather in Dickensian costume brandishing a platter of English toffees. Their faces were all set in the same zombie glare. I began to wonder if there were recording devices in the waxworks’ eye sockets. Where had Jackson managed to find all this crap? Above, cameras gleamed in the treetops. A Walt Disney soundtrack played through loudspeakers disguised as rocks.

The only real people we could see were Jackson’s radio-wired henchmen, buzzing around on the horizon in golf buggies. I felt as if we were on a private island owned by some whacked-out Third World dictator. Perhaps this was all a trap, I thought; perhaps we were about to be imprisoned, nipple-clamped, and forced to listen to Earth Song for the rest of our lives.

Adding to the general sense of unease were the statues of children everywhere: some of them partly clothed, others completely naked. Given Jackson’s legal history, and the fuss over the documentary in which he talked about sleeping with other people’s kids, you would have thought he might have replaced them with something less provocative by now – bearded gnomes, perhaps. Then again, Jackson probably thought the Peter Pan theme justified it all.

With nothing better to do, we continued our odyssey through Jackson’s ranch, eventually reaching the other side. A collection of rustic-looking bungalows sat next to a little bridge and a flamingo pond. In one direction was an even larger train terminal (and, I assumed, Jackson’s private residence), outside which was a giant outdoor clock, dug into the side of the hill. Above was the word “Neverland”, spelt out in yellow blooms. In the other direction was a paved driveway and the ranch’s main entrance, at which stood a pair of huge gold-leafed gates featuring Jackson’s fake royal crest and a silhouette of Peter Pan, gazing down from a painted moon. In a nearby bush was another statue of a naked boy, his little foot raised above a plastic slug.

I wondered if Jackson had always been this unhinged, or if it was just fame, mass adulation, an authoritarian father, unlimited wealth, and a staff of nodding flunkies that had driven him to it. I once read that Jackson had always loved to shock people, loved to pull stunts and confuse the press or lie to them. But at some point he became the stunt, and by then he’d forgotten how to even pretend to be normal. That’s the trick, I suppose – knowing when normal is no longer normal.

We were disturbed by clattering metal and the shriek of a whistle. And then, as if from another dimension, a little red steam train appeared. It scared the hell out of me. I didn’t even realize we had been standing on train tracks. The train’s miniature carriages were all empty. “All aboard!” shouted the conductor, in a sickly tenor. He was some kind of circus midget, and he was dressed like the waxworks in Victorian costume.

To another shriek of the whistle, we boarded. The train began to shudder forward. As the carriages bucked and rattled, we passed the by now familiar sight of more nude children. Then came a stone bridge, a swimming pool, a video-games arcade, another flamingo pond, an Indian village complete with wigwams and a waxwork chief, a wooden fort, and then, finally, a fairground with a Ferris wheel, carousel, dodgems and other rides. Everything looked slightly dilapidated, as though the machines hadn’t been oiled or painted since the Eighties, when Jackson was still earning more than he could spend. No doubt some fairground contractor was ripping him off, along with everyone else.

We got off the train near the zoo, petted one of Jackson’s elephants for a while, explored a dank outhouse in which a snake the width of tree hissed and squirmed in a filthy tank, then ducked into Neverland’s cinema, near a basketball court. There was a glass window in the cinema’s lobby, behind which was a wooden model of Jackson moonwalking. It reminded me of a Christmas window display on Fifth Avenue — only a cheap, Chinese-made, imitation. Perhaps Jackson had bought the wooden moonwalking doll from the same place he bought the waxworks.

We allowed ourselves to be carried by the swell of the crowd into a marquee, by the merry-go-round. It was packed. Young girls were sobbing with joy. Grown men were dancing to Kylie Minogue. The marquee darkened when the music ended.

Lasers swooped. Fake thunder boomed. And then Jackson emerged, Jesus-like, on a steel platform 10ft above the crowd. Was this as close to him as we were going to get? I was struck by his tiny figure; it was that of a teenage girl, not a middle-aged man. He wore a black sequined suit. But no amount of sequins could distract from his terrible, broken face. From somewhere behind his flame-retardant hairpiece — or perhaps it was real — Jackson squeaked out a thank you and riffed with merciful brevity on the themes of children, hope and the future. Then he hung back as Mike Tyson joined him on the platform and began to cut his birthday cake. It seemed like as good a time as any to leave.

Somewhere out in the gloom of the estate we found a shuttle to take us back to the car park. I sat next to a man in a leather jacket. He said he was Michael’s dermatol- ogist, and started to tell me all about Bubbles, Jackson’s chimpanzee. It turned out that Bubbles had been evicted from Neverland after turning inexplicably violent. I knew exactly how the poor chimp felt.

Reunited with the Jeep, we wobbled our way back down Neverland’s driveway, then headed southwest, back to the San Marcos Pass and the relative sanity of LA.

Chris Ayres 2008. Edited extract from Death by Leisure: A Cautionary Tale, published by John Murray in July 2008 at £12.99

A strategy (of sorts) for Silvio Berlusconi: keep calm and carry on



Source: The Times

Richard Owen

Two months after Silvio Berlusconi set off the worst crisis in his political career by attending the 18th birthday party of an aspiring model in a Naples suburb, his team has finally come up with a defence strategy.

This week Mr Berlusconi, instead of losing his temper and attacking “the press, plotters and Communists”, appeared serene and jaunty. He claimed that Italians “like me the way I am”. If “the wrong kind of guests” had attended his parties, it was because they took advantage of his generosity as a host.

The other tactic is to muddy the waters by claiming that the Left is also guilty of sleazy behaviour. Yesterday Il Giornale, owned by Mr Berlusconi’s brother Paolo, devoted pages to allegations that aides to Massimo D’Alema, the former centre-left Prime Minister, were supplied with prostitutes in exchange for favours in the award of public contracts when he was in office a decade ago.

The publication’s other target was Lorenzo Cesa, a Christian Democratic leader, who it claimed had past links to a “madam” who had organised “red-light parties” involving drugs.

Will it work? Mr Berlusconi seems to think so: on Monday he is to put forward his programme for the forthcoming G8 summit at a press conference in — of all places — Naples, where the scandal surrounding him was triggered after the Letizia birthday party.

But he has left it too late: failure to do more than react helplessly to a daily barrage of revelations has left his team in state of siege. “We are reaching the point where it is no longer possible to go on like this,” said La Stampa.

The economy continues to decline, with Mario Draghi, head of the Bank of Italy, mooted by some as a possible caretaker prime minister, accusing the Government this week of having no “credible exit strategy” from recession.

A Bill laying down fines for the clients of prostitutes — devised by Mara Carfagna, the former topless model who is Minister for Equal Opportunities — has been postponed because of embarrassment over a remark by Mr Berlusconi’s lawyer that to be the “end user” of prostitutes was not a crime.

Even the right-wing newspaper Libero yesterday described this as an “own goal”.

Mr Berlusconi increasingly leaves Gianni Letta, his chief lieutenant, to stand in for him publicly, blaming crippling arthritis of the neck, for which he has cortisone injections.

Health could be an excuse to bow out — but Mr Berlusconi is not the resigning kind. He will preside at the G8, hoping that it will restore his image as a statesman. But the headlines will be as much about him as the world agenda, and the pressure on him to step down is likely to continue into the autumn.

“From the start Berlusconi has been incapable of distinguishing between public and private,” says Beppe Severgnini, author of La Bella Figura: A Field Guide to the Italian Mind. “He is now paying the price.”

Tutto normale



Fonte: l'espressonline
Consulta, la cena segreta

di Peter Gomez
Un incontro carbonaro tra il premier, Alfano, Ghedini e due giudici della Corte Costituzionale. Per parlare di giustizia. Ma sullo sfondo c'è anche l'immunità di Berlusconi


Le auto con le scorte erano arrivate una dopo l'altra poco prima di cena. Silenziose, con i motori al minimo, avevano imboccato una tortuosa traversa di via Cortina d'Ampezzo a Roma dove, dopo aver percorso qualche tornante, si erano infilate nella ripida discesa che portava alla piazzola di sosta di un'elegante palazzina immersa nel verde. Era stato così che in una tiepida sera di maggio i vicini di casa del giudice della Corte costituzionale Luigi Mazzella, avevano potuto assistere al preludio di una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzanti riunioni, organizzate dal governo Berlusconi. Un incontro privato tra il premier e due alti magistrati della Consulta, ovvero l'organismo che tra poche settimane dovrà finalmente decidere se bocciare o meno il Lodo Alfano: la legge che rende Silvio Berlusconi improcessabile fino alla fine del suo mandato.

Del resto che quello fosse un appuntamento particolare, gli inquilini della palazzina lo avevano capito da qualche giorno. Ilva, la moglie di Mazzella, aveva chiesto loro con anticipo di non posteggiare autovetture davanti ai garage. "Non stupitevi se vedrete delle body-guard e se ci sarà un po' di traffico, abbiamo ospiti importanti...", aveva detto la signora Mazzella alle amiche. Così, stando a quanto 'L'espresso' è in grado ricostruire, a casa del giudice si presentano Berlusconi, il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini. Con loro arriva anche un altro collega di Mazzella, la toga Paolo Maria Napolitano, eletto alla Consulta nel 2006, dopo essere stato capo dell'ufficio del personale del Senato, capo gabinetto di Gianfranco Fini nel secondo governo Berlusconi e consigliere di Stato.


Più fonti concordano nel riferire che uno degli argomenti al centro della riunione è quello delle riforme costituzionali in materia di giustizia. Sul punto infatti Berlusconi e Mazzella la vedono allo stesso modo. Non per niente il giudice padrone di casa è stato, per scelta del Cavaliere, prima avvocato generale dello Stato e poi, nel 2003, ministro della Funzione pubblica, in sostituzione di Franco Frattini, volato a Bruxelles come commissario europeo. Infine l'elezione alla Consulta a coronamento di una carriera di successo, iniziata negli anni Ottanta, quando il giurista campano militava in un partito non certo tenero con i magistrati, come il Psi di Bettino Craxi (ma lui ricorda di aver mosso i primi passi al fianco dell'avversario di Craxi, Francesco De Martino), diventando quindi collaboratore e capo di gabinetto di vari ministri, tra cui il suo amico liberale Francesco De Lorenzo (all'epoca all'Ambiente), poi condannato e incarcerato per le mazzette incassate quando reggeva il dicastero della Sanità.

La cena dura a lungo. E a tenere banco è il presidente del Consiglio. Berlusconi sembra un fiume in piena e ripropone, tra l'altro, ai presenti una sua vecchia ossessione: quella di riuscire finalmente a riformare la giustizia abolendo di fatto i pubblici ministeri e trasformandoli in "avvocati dell'accusa".

L'idea, con Mazzella e Napolitano, sembra trovare un terreno particolarmente fertile. Il giudice padrone di casa non ha mai nascosto il suo pensiero su come dovrebbero funzionare i tribunali. Più volte Mazzella, come hanno in passato scritto i giornali, ha ipotizzato che la funzione di pm fosse svolta dall'avvocatura dello Stato. Solo che durante l'incontro carbonaro l'alto magistrato si trova a confrontarsi con uno che, in materia, è ancora più estremista di lui: il plurimputato e pluriprescritto presidente del Consiglio. E il risultato della discussione, a cui Vizzini, Alfano e Letta assistono in sostanziale silenzio, sta lì a dimostrarlo.

'L'espresso' ha infatti potuto leggere una bozza di riforma costituzionale consegnata a Palazzo Chigi un paio di giorni dopo il vertice. Una bozza che adesso circola nei palazzi del potere ed è anche arrivata negli uffici del Senato in attesa di essere trasformata in un articolato e discussa. Si tratta di quattro cartelle, preparate da uno dei due giudici, in cui viene anche rivisto il titolo quarto della carta fondamentale, quello che riguarda l'ordinamento della magistratura. Nove articoli che spazzano via una volta per tutte gli 'odiati' pubblici ministeri che dovrebbero essere sostituiti da funzionari reclutati anche tra gli avvocati e i professori universitari.

Per questo è previsto che nasca un nuovo Consiglio superiore della magistratura (Csm) aperto solo ai giudici, presieduto sempre dal presidente della Repubblica, ma nel quale entrerà di diritto il primo presidente della Corte di cassazione, escludendo invece il procuratore generale degli ermellini.

L'obiettivo è evidente. Impedire indagini sui potenti e sulla classe politica senza il placet, almeno indiretto, dell'esecutivo. Del resto il progetto di Berlusconi di incrementare l'influenza della politica in tutti i campi riguardanti direttamente o indirettamente la giustizia trova conferma anche in altri particolari. Per il premier va rivisto infatti pure il modo con cui vengono scelti i giudici della Corte costituzionale aumentando il peso del voto del parlamento. Anche la riforma della Consulta è un vecchio pallino di Mazzella.

Nei primissimi anni '90 il giurista, quando era capogabinetto del ministro delle Aree urbane Carmelo Conte, aveva tentato di sponsorizzare con un articolo pubblicato da 'L'Avanti' l'elezione a presidente della Corte dell'ex ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e aveva lanciato l'idea di modificare la Carta per affidare direttamente al capo dello Stato il compito di sceglierne in futuro il presidente.

Allora i giudici non l'avevano presa bene. Da una parte, il pur stimatissimo Vassali, era appena entrato a far parte della Consulta e se ne fosse diventato il numero uno per legge avrebbe ricoperto quell'incarico per nove anni. Dall'altra una modifica dell'articolo 138 della Costituzione avrebbe finito per far aumentare di troppo il peso del presidente della Repubblica che già nomina cinque giudici. Per questo era stato ricordato polemicamente proprio dagli alti magistrati che stabilire una continuità tra Quirinale e Consulta era pericoloso. Perché la Corte costituzionale è l'unico giudice sia dei reati commessi dal capo dello Stato (alto tradimento e attentato alla Costituzione), sia dei conflitti che possono sorgere tra i poteri dello Stato, presidenza della Repubblica compresa. Altri tempi. Un'altra Repubblica. E un'altra Corte costituzionale.

Oggi, negli anni dell'impero Berlusconi, un imputato che fonda buona parte del proprio futuro politico sulle decisioni della Corte, che dovrà pronunciarsi sul Lodo Alfano, può persino trovare due dei suoi componenti disposti a discutere segretamente a cena con lui delle fondamenta dello Stato. E lo fa sapendo che non gli può accadere nulla. Al contrario di quelli dei tribunali, le toghe della Consulta, non possono ovviamente essere ricusate. E dalla loro decisione passerà la possibilità o meno di giudicare il premier nei processi presenti e futuri. A partire dal caso Mills e dal procedimento per i fondi neri Mediaset.

LA RISPOSTA

Manzella scrive all'Espresso e con l'Ansa rivendica il diritto di cenare con chi gli pare: "Stiamo scherzando? Allora dovrei astenermi da tutti i lavori della Corte. A cena invito chi voglio. A casa mia vengono tutti, dall'estrema sinistra alla destra, sono amico personale di Bertinotti e di tante altre persone che vivono nel mondo della politica".

Ma non è scorretto che chi deve decidere sul lodo Alfano vada a cena con lo stesso Alfano e con Berlusconi? Replica secca: "Non credo che io, da individuo privato, debba dar conto delle cene che faccio". Neppure se in ballo c'è una decisione delicata? "In casa mia invito chi voglio e parlo di quello che voglio".

Adesso, in paesi seri (Inghilterra, Stati Uniti, Germania) una dichiarazione fuori dal mondo come questa costituirebbe l'atto di morte di una persona pubblica. Ormai è purtroppo passato in Italia il principio per cui "tutto" è normale. No caro Mazzella. Lei non può "invitare chi vuole" nel suo ruolo. È poco serio. Punto.

Corrispondenza




Non ho postato, perché mi sembrava sciocco e noioso farlo, l'intervista ad Angelo Rizzoli, un signore che è stato sottomesso a quintalate di processi. Dice lui che ne è uscito pulito e che chiederà risarcimenti. Vedremo cosa dirà la magistratura. Posto invece la, a mio parere sacrosanta, lettera di risposta di Veronica Lario a uno che dispensa consigli (non richiesti), e offese. È però un po' ridicolo questo vezzo della Lario di mandare lettere. Dia un'intervista in esclusiva a qualcuno e finiamola. Non è cosa "loro" la stampa, né di Berlusconi, né di Veronica Lario. Ci sarà un giornale popolare a cui parlare? E non faccia che va a dare un'altra intervista a Micromega. In questo momento non sarebbe intelligente.

Fonte corsera

Egregio Direttore,

Evidentemente il fermo proposito mio e del mio avvocato, di mantenere la vicenda della separazione da mio marito sul piano della compostezza, infastidisce (non capisco perché) persone che non dovrebbero avere alcun interesse per la questione, e che certamente non hanno alcun titolo per esprimere pubblicamente giudizi al riguardo.
Constato, leggendo il Corriere della Sera del 25 giugno (pagina 15), che questo è ora il caso del signor Angelo Rizzoli, persona che non ho mai conosciuto, la cui moglie Melania, che pure non ho mai conosciuto, era già stata prodiga nei miei confronti, qualche tempo fa, di consigli non richiesti né graditi (Corriere della Sera del 23 maggio). Che queste persone—non si sa da quale cattedra o pulpito — insultino quattro mie «amiche milanesi», non meglio identificate, tacciandole di crassa ignoranza, è increscioso ma anche ridicolo. È grave e intollerabile, invece, che il signor Rizzoli mi accusi, dalle colonne del Suo giornale, di «destabilizzare» i miei figli, e in particolare «il più piccolo, Luigi, che andrebbe invece sostenuto: a volte ci si ritira nella religione come fuga dal mondo»: così mostrando, oltre a tutto, di considerare i sentimenti religiosi di mio figlio, che riguardano solo lui e che non sono certo nati in queste settimane, come un fenomeno anomalo e patologico; cosa forse naturale, purtroppo, per chi non riesce nemmeno a immaginare che possano esistere valori diversi da quelli materiali. Per buona fortuna, Luigi non è affatto in fuga dal mondo, e ha sufficiente forza morale per valutare lo squallore di quelle parole. Ma vorrei ugualmente che venisse lasciato in pace, come me e le mie figlie. E possibilmente anche le mie amiche.
Grata per l’attenzione Le invio i miei saluti.

Veronica Berlusconi

Parole all'aria



Il corsera sta coprendo bene l'evento anche se il povero De Bortoli è costretto a nascondere i pezzi sul sexy gate nelle pagine interne e a non dargli il risalto principale sulla pagina web. C'è da dire però che non è che si possano pubblicare o riportare bugie del genere proprie del Tarantini. Che lo facciano Libero o il Giornale, che hanno deciso di sposare le tesi difensive del presidente del Consiglio, si può capire. Che lo faccia il corrierone un po' meno. E continuare con questa stronzata della stampa "di sinistra" è un'offesa di cui il Tarantini dovrebbe rispondere. E piantiamola con questa storia che delle ragazze giovani possano correre dietro a un vecchio (perché questo è Berlusconi) di oltre 70 anni. Se vogliamo ridurre tutto a meretricio questa sarà l'Italia del Tarantini. In tanti però non siamo d'accordo.

Tarantini e le cene a Palazzo Grazioli: «Le ragazze? Per fare bella figura»
L'imprenditore al centro dell'inchiesta barese: «Che cavolata che ho fatto, il premier mi scusi»


ROMA - Le ragazze invitate da Gianpaolo Tarantini alle feste del premier Silvio Berlusconi erano pagate «solo per rimborsare le spese che dovevano sostenere per gli spostamenti». Lo afferma l’imprenditore al centro dell’inchiesta di Bari in un’intervista al Giornale che sarà in edicola sabato, sottolineando che il presidente Berlusconi «non poteva neppure lontanamente immaginare che io - ammette -, per fare bella figura con lui, rimborsassi a delle ragazze le spese che dovevano sostenere per venire a Roma e soggiornare in albergo. La stampa di sinistra poi ha avanzato la tesi che addirittura le pagassi per una loro prestazione "intima". Figuriamoci».

«D'ADDARIO? NON SAPEVO FOSSE UNA ESCORT» - Nelle dichiarazioni rilasciate al Giornale, l'imprenditore parla anche di Patrizia D'Addario: «Se avessi saputo che faceva la escort non l’avrei mai frequentata e tantomeno l’avrei portata ad una cena col presidente», assicura Tarantini. «Lei - aggiunge - si era presentata come figlia di un imprenditore del settore edile. Ho letto che avrebbe chiesto a me e al presidente di intervenire su una pratica edilizia. Ma vi rendete conto? Ma come si può pensare che il presidente potesse fare qualcosa in un Comune, in una Provincia, in una Regione, tutte amministrate dalla sinistra? Una vera assurdità. Ne viene fuori che questo è stato soltanto un alibi per coprire la vera "missione", ovvero che qualcuno avesse progettato con lei di tendere un’imboscata al presidente a fini politici e che tutto fosse stato progettato con cura. Il registratore, le testimonianze delle amiche e infine quella dichiarazione davvero incredibile: "Io sono una escort e costo mille euro a prestazione". Quanto deve farsi dare una persona per una patente di questo tipo che le segnerà la vita? La risposta di tutti è: molti, molti soldi».

«STANCO DI QUESTO GIOCO AL MASSACRO» - «Sono stanco di questo gioco al massacro, stanco di leggere tante falsità, stanco di essere definito un procacciatore di escort», aggiunge Tarantini. «Che cavolata che ho fatto, che stupido sono stato...». «Quando ho avuto la possibilità di conoscere Berlusconi - racconta l'imprenditore -, ho toccato il cielo con un dito. Non mi sembrava vero. Poi l'ho conosciuto sul piano personale, con la sua simpatia, il suo calore umano, il suo rispetto per gli altri, la sua genialità. Davvero irresistibile. E ho creduto che sarebbe stato più facile frequentarlo facendomi accompagnare da bellissime ragazze. Da qui è venuta fuori la storia che ha occupato i giornali e che è nella realtà molto diversa da come è stata raccontata». L'imprenditore chiede scusa a Berlusconi «per aver dato il pretesto a Repubblica, all'Espresso e agli altri organi della sinistra di coinvolgerlo in questo tipo di storie. Spero che mi perdoni perché so che è un uomo che non sa portare rancore».

«LE DONNE PAGHEREBBERO PER UNA STORIA COL PRESIDENTE» - Nell'intervista Tarantini torna sulla cena a Palazzo Grazioli del 4 novembre. Racconta che si è trattato di «una cena del tutto normale, durante la quale, e data anche la ricorrenza delle elezioni Usa, si è prevalentemente parlato di politica. Quanto ho letto sui giornali in merito a quella sera è fuori dalla realtà. Non risponde a verità». Molte donne «pagherebbero per una storia con il presidente» Silvio Berlusconi, dice ancora l'imprenditore al Giornale. ««'è la fila per incontrare e frequentare» il premier, spiega Tarantini. «Quanto alle ragazze, alle donne in generale - aggiunge -, sono loro che corrono dietro a lui, e non viceversa. Molte signore mi hanno detto che dopo aver conosciuto lui tutti gli altri sembrano incolori e inesistenti. Pagherebbero loro per una storia col presidente!».

venerdì, giugno 26, 2009

Un intervento scarsino




Bagnasco deve mantenere equidistanza. Lo capisco, ma l'italiano non è una opinione. "Italia aliena da derive ed eccessi" vuol dire che derive ed eccessi non sono proprie dell'Italia. Ciò è falso ed esponenti politici come il nostro premier ne sono un triste esempio (vedi video). Non è possibile in nome di alcuni favoritismi immediati chiudere tutti e due gli occhi. Forse, visto lo stato delle cose, bisognerebbe avere un po' più di coraggio. Il rischio è perdere ben più di un Governo amico con cui teoricamente si può discutere. E nemmeno la Cei può permettersi di perdere la faccia di fronte al mondo.

Fonte: la Repubblica

Il giudizio di Bagnasco sulla politica. "Italia aliena da derive ed eccessi"
"I giovani hanno diritto di vedersi presentare ideali alti e nobili e modelli di comportamento coerenti"

CITTA' DEL VATICANO - Gli italiani e specie i giovani, chiedono alla politica "comportamenti coerenti" e lontani dal "clamore e dai riflettori", perché l'Italia "è aliena da derive e eccessi di qualunque tipo siano". E' quanto ha detto il presidente dell'episcopato italiano, cardinal Angelo Bagnasco, intervenuto ad un convegno della Cei sulla preparazione al matrimonio.

Il suo intervento è stato rilanciato anche dall'Osservatore Romano. Sotto il titolo "I giovani chiedono alla politica comportamenti coerenti", il giornale del papa pubblica ampi stralci dell'intervento pronunciato ieri da Bagnasco in un convegno della Cei in corso a Crotone.

Le parole del porporato sembrano, se pur indirettamente, riferirsi all'appello lanciato tre giorni fa dal direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Sciortino, che rispondendo alle lettere dei lettori aveva definito "indifendibile" il comportamento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "E' stato superato il limite della decenza", aveva detto don Sciortino, aggiungendo che la Chiesa italiana "non può ignorare l'emergenza morale" di fronte allo scandalo-escort.

Bagnasco non cita in alcun passaggio le vicende personali del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Il cardinale parla del degrado del clima morale in Italia sul significato della famiglia e dell'amore di coppia e chiede alla politica di dare il buon esempio. "Il contesto socioculturale - ha spiegato il presidente della Conferenza episcopale italiana - dovrebbe accompagnare i giovani in generale nei loro progetti di vita. Le responsabilità sono di ciascuno ma conosciamo l'influsso che la cultura diffusa, gli stili di vita, i comportamenti conclamati hanno sul modo di pensare e di agire di tutti, in particolare dei più giovani che hanno diritto di vedersi presentare ideali alti e nobili, come di vedere modelli di comportamento coerenti".

Il cardinal Bagnasco domanda dunque alla politica di "onorare quella moltitudine silenziosa che questi ideali umani ed evangelici vive ogni giorno con umiltà e concretezza, senza clamore e riflettori". Moltitudine - ha concluso - che esprime "il vero ethos di fondo del nostro popolo e che è aliena da derive ed eccessi di qualunque tipo siano".

Simpatia colpisce ancora

il piccolo Silvio colpisce ancora....

Sono passati 32 anni

magari Bassolino può prendere spunti...

R.I.P.

Ricordarlo così: un bel ragazzo nero e non la macchietta che era diventato




Fonte: Ansa

ADDIO A MICHAEL JACKSON, RE DEL POP
di Cristiano Del Riccio

WASHINGTON - Michael Jackson, il ragazzo prodigio diventato Re del Pop ma poi coinvolto in umilianti vicende giudiziarie, e' morto a Los Angeles all'eta' di 50 anni per arresto cardiaco. La notizia della morte del cantante e' stata confermata da fonti dell'ospedale di Los Angeles dove era stato portato d'urgenza dopo che dalla sua abitazione era giunta la richiesta di un'ambulanza.

Il dramma era cominciato giovedì poco dopo mezzogiorno, ora di Los Angeles, con una telefonata dalla villa del cantante, nel quartiere di Holmby Hills, ai servizi di emergenza. Il personale paramedico aveva trovato Jackson in condizioni gravissime. Avevano cercato di rianimarlo durante il tragitto dalla abitazione all'ospedale Ucla di Los Angeles. Le sue condizioni erano apparse disperate. All'ospedale avevano cominciato a giungere i suoi familiari mentre all'esterno si affollavano i media e i fans che avevano cominciato ad apprendere dalle Tv le condizioni disperate di Michael Jackson.

Il cantante avrebbe dovuto cominciare dal prossimo mese a Londra un tour mondiale che avrebbe segnato il suo ritorno al mondo dello spettacolo dopo le vicende giudiziarie che lo avevano portato alla ribalta della cronaca per l'accusa di molestie sessuali a minorenni, . Ma il ritorno sul palcoscenico dell'ex Re del Pop appariva una corsa ad ostacoli e alcuni di coloro che l'avevano visto impegnato nelle prove dello spettacolo avevano espresso l'opinione che il cantante non fosse ancora pronto, fisicamente, all'impegnativo compito. Timori che erano stati confermati dalla decisione degli organizzatori di ritardare l'inizio dell'atteso tour mondiale che avrebbe potuto fruttargli oltre 50 milioni di dollari ponendo denaro sul suo conto di cui aveva assoluto bisogno a causa delle spese sfrenate sostenute negli ultimi anni che lo avevano portato ad indebitarsi pesantemente. Nonostante la vendita in tutto il mondo di milioni di copie dei suoi dischi - l'album 'Thriller' aveva battuto tutti i primati in materia - il suo stile di vita eccentrico e costoso lo aveva messo in cattive acque finanziarie.

Rovinoso per la sua carriera era stato il processo del 2005 in California per rispondere della accusa di molestie sessuali verso un minorenne ospitato nel suo ranch Neverland: il cantante era stato assolto ma la vicenda giudiziaria aveva distrutto per molti anni la sua attivita' artistica e l'aveva provato anche in modo pesante sul piano fisico riducendolo all'ombra del personaggio pieno di energia e vitalita' su cui aveva basato la sua carriera.

FRATELLO JERMAINE, SUO MEDICO ERA IN CASA
Il medico personale di Michael Jackson ha tentato di prestare soccorso al cantante, nella sua abitazione, ancora prima dell'arrivo della ambulanza. Lo ha rivelato il fratello del cantante, Jermaine, nella prima dichiarazione fatta ai media da un familiare dell' ex Re del pop. Ai tentativi del medico di Jackson si erano poi uniti i paramedici dell'ambulanza chiamata via telefono. Il cantante era stato poi trasferito nel veicolo per essere portato al pronto soccorso. ''L'ambulanza e' giunta all'UCLA Medical Center alle 13.14 - ha detto Jermaine - per oltre un'ora i medici dell'ospedale hanno cercato di rianimare Michael. Ma non ci sono riusciti''. ''La nostra famiglia chiede ai media di rispettare la nostra privacy in questo difficile momento - ha aggiunto il fratello del cantante - Il nostro amore sia con te, Michael, per sempre''.

LA DRAMMATICA CHIAMATA, 'NON RESPIRA'
''E' un uomo di 50 anni. Non respira piu'''. Questo il messaggio giunto ai servizi di emergenza dalla abitazione di Michael Jackson alle 12.21 locali (ora di Los Angeles). La prima squadra di soccorso ad arrivare nella abitazione di Bel Air affittata dal cantante era a bordo di un camion rosso dei vigili del fuoco. I paramedici hanno tentato di rianimare Jackson, che non mostrava piu' segni di vita, mentre lo trasportavano all'UCLA Medical Center. All'ospedale, mentre il cantante veniva trasportato freneticamente su una barella all'interno dell'edificio medico, qualcuno che accompagnava Jackson ha cominciato ad urlare ''Dovete salvarlo, dovete salvarlo!'', hanno riferito alcuni testimoni.

L'ULTIMA IMMAGINE, ESANIME SU UNA BARELLA
L'ultima foto di Michael Jackson mostra l'ex re del Pop sdraiato su una barella mentre viene portato d'urgenza al pronto soccorso dell'Ucla Medical Center di Los Angeles. Gli occhi del cantante sono chiusi, alla bocca e' stata applicata una maschera ed un medico comprime un palloncino collegato con un tubo alla mascherina. L'immagine e' stata diffusa, in esclusiva, dal programma Entertainment Tonight. Quando i mezzi di emergenza sono giunti alla abitazione del cantante, riferiscono testimoni, Michael Jackson aveva gia' smesso di respirare. I medici hanno tentato per 42 minuti di rianimarlo ma non c'e' stato niente da fare.

CORPO TRASFERITO IN ELICOTTERO
Il corpo di Michael Jackson e' stato trasferito in elicottero dall'UCLA Medical Center, dove il cantante e' deceduto giovedi', all'ufficio del medico legale della Contea di Los Angeles. Il breve volo dell'elicottero e' stato seguito in diretta dalle Tv americane. Dopo l'atterraggio dell'elicottero il corpo del cantante, avvolto in una protezione bianca, e' stato trasferito su una ambulanza per essere trasferito nei laboratori del coroner.

CORONER, AUTOPSIA ACCERTERA' CAUSE MORTE
Il coroner di Los Angeles ha annunciato una autopsia sara' effettuata per accertare le cause esatte della morte. Il medico legale Fred Corral ha detto che la morte di Michael Jackson e' avvenuta alle 14.26 ora locale di Los Angeles.

POLIZIA LOS ANGELES APRE INDAGINE
La polizia di Los Angeles ha aperto una indagine sulla morte di Michael Jackson, anche se niente per il momento lascia pensare ad una componente criminale. La inchiesta e' stata avviata dalla squadra omicidi di Los Angeles. Gli agenti parleranno nelle prossime ore con i familiari, gli amici ed i medici di Michael Jackson per cercare di capire quali eventi hanno portato alla morte del celebre cantante. Il luogotenente Gregg Strenk, parlando all'esterno della abitazione di Los Angeles dove viveva Michael Jackson, ha esortato a ''non leggere troppe cose'' nel fatto che la polizia abbia aperto una indagine. ''E' un fatto normale nel caso di una morte di questo tipo - ha detto Strenk in una breve conferenza stampa - Michael Jackson era una celebrita' e questo spiega l'intervento della squadra omicidi''. Il luogotenente ha aggiunto che adesso la polizia e' in attesa di ricevere dal medico legale un rapporto sulla autopsia che sara' effettuata nelle prossime ore.

Sarebbe il mio segretario



... e lo dico da terrone orgoglioso

Fonte: l'espressonline

Siamo la compagnia degli sconfitti

di Paolo Forcellini

Dirigenti che da anni sbagliano tutto. E che vanno sostituiti. Un partito che non sa più leggere la realtà. Specie quella del Lombardo-Veneto. Il j'accuse del sindaco di Venezia e la sua ricetta per il congresso. Colloquio con Massimo Cacciari

All'ultimo tratto del suo terzo mandato come sindaco di Venezia, Massimo Cacciari è ormai una mosca rossa: dopo le elezioni dei giorni scorsi, al Nord i primi cittadini del centrosinistra in città importanti si contano sulle dita di una mano, lo smottamento è stato assai significativo. C'è la possibilità di risalire la china? In che modo? Cosa ci si può attendere dal prossimo congresso del Pd? Ne abbiamo parlato con il sindaco-filosofo.

Ci si può consolare col fatto che l'"azzeramento del Pd al Nord", che molti auspicavano o paventavano, non ci sia stato?
"Beh, comunque ci siamo andati vicino. C'è una valanga che dilaga ben oltre il Nord, basta vedere i risultati della Lega in Emilia Romagna, quelli di Firenze al primo turno, la sconfitta di Prato. Quanto al 'problema Nord', la considero una categoria fasulla. Un rischio sradicamento, più che smottamento, minaccia soprattutto quel territorio assolutamente specifico, anche rispetto alle altre aree del settentrione, che è il Lombardo-Veneto. Pd e centrosinistra hanno confermato di non essere in grado di offrire alternative politiche in questa zona dove il duo fondamentale dell'attuale Repubblica, Berlusconi-Bossi, esercita un'egemonia indiscussa".

Quali le peculiarità del Lombardo-Veneto rispetto ad altre aree del Nord?
"È insensato parlare di un Nord general-generico. Il Pd ha tenuto in due capitali dell'ex triangolo industriale, Torino e Genova, perché lì c'è una composizione sociale ancora fortemente centrata sulla grande industria spesso a partecipazione statale o comunque strettamente ammanigliata con le politiche statali, vedi la Fiat. Invece nel Lombardo-Veneto, che ha conosciuto la più radicale trasformazione degli ultimi 30-40 anni, cioè l'esplosione del capitalismo personale, della fabbrica diffusa, insomma nella Terza Italia vera e propria, siamo di fronte a fenomeni di sradicamento del centrosinistra".


Insomma, da sindaco del Pd nel Lombardo-Veneto si sente come una foca monaca: chiederà soccorso al Wwf?
"Non credo. In realtà i risultati per le amministrazioni comunali anche nel Veneziano o nel Vicentino non sono del tutto negativi. Abbiamo vinto in città importanti come Valdagno, Schio, Bassano, Portogruaro. C'è stata una nettissima differenza tra voto provinciale, molto più negativo, e comunale: in quest'ultimo caso abbiamo ancora qualcosa da dire. Certo, durerà poco se il Pd non capisce la lezione".

Sembra che i maggiorenti del Pd non si rendano conto della drammaticità della situazione. Si pensi alle dichiarazioni ottimistiche, all'indomani del voto, di un Dario Franceschini ("Comincia il declino della destra") ma anche di alcuni suoi oppositori interni, ad esempio Livia Turco: "Il risultato positivo è frutto di un grande gioco di squadra". Che ne pensa?
"Ci si può anche tirare su il morale, per carità. Ma il Pd sta diventando sempre più un partito appenninico con qualche appendice. Ormai c'è una concentrazione del voto per il Pd nelle regioni tradizionalmente forti, dove però le perdite percentuali sono talvolta spaventose: il margine di vantaggio era però tale da consentire ancora una tenuta. Mi pare che la leadership del Pd non riesca a leggere la realtà. Io non ho più fiato. E credo neppure studiosi come Ilvo Diamanti o Aldo Bonomi, che da decenni analizzano il Nordest, cercando di trarne alcune conseguenze pratiche-politiche. Ancora nei mesi della fondazione del Pd e dopo la sconfitta del 2008 abbiamo cercato di spingere il nascente partito ad articolarsi territorialmente, in modo da poter risultare nel Lombardo-Veneto una credibile forza alternativa al centrodestra. Questi tentativi sono stati respinti e anche l'odierno verdetto delle urne ne è una conseguenza".

A ottobre ci sarà il congresso Pd. Dopo questi risultati è auspicabile un nuovo cambio di leadership?
"Vedremo i programmi. Ma certo uno degli elementi su cui valutare i candidati sarà la dimostrazione di una piena consapevolezza del dramma che si sta vivendo in generale al Nord e in particolare nel Nordest. Bisogna capire se i candidati hanno metabolizzato la lezione e quindi si presentano con un'analisi corretta di queste realtà e con proposte che vi rendano praticabile una presenza del centrosinistra".


Piena autonomia al Pd del Nordest: cos'altro prevede la sua ricetta?
"Al di là di questo fattore, che potrebbe sembrare soltanto organizzativo, formale, ma non lo è affatto, vi sono numerosi temi strategici da approfondire".

Faccia qualche esempio.
"In primo luogo il Pd deve decidere la propria linea in materia di riforme istituzionali e costituzionali. Inoltre deve impostare una dura battaglia sul tema del federalismo fiscale che scavalchi, per coerenza e radicalità, anche le proposte di un Calderoli che sono 'sine die'. Più in generale, sui temi delle riforme elettorali, cassati i quesiti referendari, cosa si vuol fare? E, sul piano dei rapporti sociali, si dovrà vedere quali analisi, e con quali differenze tra loro, i candidati formulano sulla situazione economica e se si intendono avanzare proposte ad esse coerenti. Il che significa definire precise priorità su scuola, formazione, ricerca, innovazione. Se si tratterà ancora una volta di aria fritta, come spessissimo è stato in passato, la frana proseguirà".

Il centrosinistra l'ha spuntata in alcune città solo grazie all'apporto dell'Udc nei ballottaggi. Una strada su cui proseguire?
"Sì, se non altro per senso della realtà. È assai improbabile che l'Udc possa tornare sui suoi passi, anche se probabilmente il grembo del Cavaliere è sempre aperto. Penso proprio che Casini abbia tutt'altre intenzioni, l'Udc senz'altro si sfascerebbe se ci fosse una maggioranza che proponesse il ritorno a Palazzo Grazioli insieme alle 'signorine'. Nel Pd deve però emergere una posizione molto chiara: non si può essere costantemente in bilico tra nostalgie uliviste, di unione larga, e la costruzione di relazioni organiche e politiche con l'Udc. Anche questo sarà un tema che il congresso dovrà affrontare".

Sembra realpolitik. Ma non è altrettanto realistico constatare che il centrosinistra, in passato, ha vinto grazie ai consensi della sinistra detta radicale?
"Vittorie di Pirro. Come quando si vince una battaglia entrando nel territorio nemico e trovandovi terra bruciata. Poi diventa difficile tornare indietro senza perdere tutto. Il centrosinistra ha vinto nel 2006 e poi si è ritrovato in un'agonia lunga molti mesi".

Condivide l'idea che alla direzione del Pd ci voglia un cambio generazionale?
"Non c'è dubbio. Quella che oggi guida il Pd è una generazione sconfitta. Se ne dovrebbero rendere conto tutti con grande disincanto e anche una certa dose di generosità. Gli attuali leader avevano in mano il pallino vent'anni fa: hanno perso la loro partita e ora dovrebbero cercare immediatamente di promuovere i 30-40 enni. Gli 'anziani' sono stati protagonisti di una serie clamorosa di cazzate tattiche inserite in una marcata indigenza strategico-politica. Cito solo alcuni degli errori più madornali, dal modo in cui Achille Ochetto ha gestito la trasformazione del Pci invece di fondare un nuovo partito, facendosi condizionare esclusivamente da chi se ne sarebbe comunque uscito, dai Cossutta e dagli Ingrao, per arrivare alla gioiosa macchina da guerra. E poi sbagli strategici come quello di non capire che chi si era salvato da Tangentopoli aveva in realtà perso la guerra e avrebbe dovuto aprirsi immediatamente a un rapporto per salvare il salvabile del ceto politico della prima Repubblica. Ancora: si doveva mettere un cuneo possente fra Berlusconi e Bossi dopo il fallimento della loro la prima esperienza di governo; si doveva praticare con coraggio una politica federalista invece di credere al Berlusconi della Bicamerale e aspettare quindi che il Cavaliere e Bossi facessero pace. Potrei continuare a lungo. Non si può pensare che si possa sbagliere praticamente tutto per vent'anni senza pagarne lo scotto. Insomma questa generazione, me compreso, ha finito. Se hanno un mestiere tornino a farlo, altrimenti vadano in pensione".