Fonte la Repubblica
Zappadu: "Mai violata la privacy. Così tentarono di incastrarmi"
"Poi - racconta il professionista - si miseri in mezzo Belpietro e Ghedini
La Simonetto mi chiese di fare il prezzo. Cercavano di accusarmi di estorsione"
di CARLO BONINI
ROMA - Accompagnato da uno dei suoi avvocati, il fotografo sardo Antonello Zappadu arriva a Roma per difendersi, tornare a definire il perimetro della partita che lo oppone al presidente del Consiglio, rispondere alla domanda che da venerdì fibrilla i palazzi della politica: a quando nuove foto di Villa Certosa?
Zappadu sembra tutt'altro che a disagio, né mostra di volersi sottrarre. Si muove sul filo. Rimane per due ore abbondanti negli uffici di Francesco Pizzetti, Garante per la privacy. E, una volta fuori, riprende il suo racconto, seduto ai tavolini di un bar alle spalle di piazza Colonna. "Me lo ha chiesto il Garante e non ho difficoltà a ripeterlo - dice - Io posso dire che, personalmente, quelle foto non le farò uscire. Ma ho ceduto tutto il mio archivio fotografico alla Eco Prensa, agenzia colombiana con sede a Bogotà. Dunque, non sono io che decido se, quando e a chi quelle foto verranno vendute". E del resto - aggiunge - per convincere il Garante, "per rompere un po' la tensione", ha pensato che valesse la pena anche improvvisare una gag. "Ho messo su la faccia da monello e ho fatto come quei bambini presi con le mani nella marmellata. "Prometto che non lo farò più"".
Ride di cuore, Zappadu. Perché sa che quell'archivio colombiano, su cui ha comunque l'ultima parola, è al riparo dalla giurisdizione italiana. "Perché - dice il suo avvocato Cristian Mazzetto - sfido qualunque magistrato a dar corso a una richiesta di sequestro generica, e per giunta all'estero, che riguardi l'attività di un fotoreporter". Perché da quando questa storia è cominciata la notorietà ha portato qualche buona notizia, come "la richiesta di un importante editore di scrivere un libro sul mio lavoro, e dunque anche sui miei giorni fuori da Villa Certosa". Perché - a sentire lui - esistono "buoni argomenti" per ridurre gli effetti del contenzioso giudiziario che lo oppone a Berlusconi. "Sapete come è finita in sede civile la causa per le mie foto pubblicate da Oggi nel 2007? L'agenzia fotografica che le aveva acquistate è stata condannata a un risarcimento di diecimila euro".
A ben vedere, la sicurezza con cui Zappadu guarda a quel che potrebbe accadere domani non è solo nella consapevolezza di avere in mano le carte importanti del mazzo, ma anche nella scelta di difendersi attaccando. "Non ho violato la privacy di nessuno - dice - Perché non ho spiato proprio nessuno. Semmai ho documentato quel che accadeva nella villa del presidente del Consiglio. L'ho detto al Garante. Non è colpa mia se il parco della Certosa è grande 100 ettari ed è visibile dall'esterno. Per altro, nelle mie foto, i volti di tutti gli ospiti, uomini e donne, erano "pixelati", resi irriconoscibili. Non sono stato io a svelarne le identità. Né ho tentato di truffare o estorcere nulla a nessuno. Semmai, sono stati "loro" a tentare di chiudermi in una trappola".
"Loro" - a sentire Zappadu - sono Niccolò Ghedini, avvocato del Presidente del Consiglio, il direttore di "Panorama" Maurizio Belpietro, Miti Simonetto, da vent'anni consulente per l'immagine di Berlusconi. Ribaltando la ricostruzione proposta nel suo esposto dal presidente del Consiglio, Zappadu sostiene infatti che non fu lui a cercare "Panorama", ma il contrario. Non fu lui a fare un prezzo (1 milione e mezzo di euro), vantando una trattativa avanzata con "Gente" e il gruppo "Hachette", ma "loro a chiedermelo con insistenza".
Dice il fotografo: "Non sono uno scemo e Panorama era l'ultimo giornale a cui avevo pensato di vendere le foto. Ma conosco da una vita uno dei suoi giornalisti: Giacomo Amadori. Ci lega un rapporto che va oltre il lavoro. Per dirne una, mi ha fatto conoscere quella che sarebbe diventata mia moglie. Per farla breve, Amadori mi convinse a consegnargli il famoso dischetto con una quarantina di foto, sostenendo che magari "Panorama" ne avrebbe pubblicate solo alcune e messe in un cassetto le altre. Dopodiché si sa come sono andate le cose. Il dischetto passa da Belpietro a Ghedini e da Ghedini a Berlusconi. E qui, decidono di incastrarmi".
La prova, a dire del fotografo, è in un colloquio con Miti Simonetto. "Non si era parlato di soldi, finché non mi telefona questa signora Simonetto e mi chiede quanto voglio. Io rispondo che tratto solo con la Mondadori. Lei dice che trattare con lei o con la Mondadori è la stessa cosa e aggiunge: mandami il prezzo con un sms sul mio cellulare. Per fortuna non l'ho fatto". L'avvocato Mazzetto annuisce: "Se avesse mandato quel sms, lo avrebbero accusato di estorsione, lo avrebbero arrestato e oggi non staremmo qui a parlare".
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