domenica, giugno 21, 2009

Tarak Ben Ammar



Ai più il nome di Tarak Ben Ammar non dirà nulla, è un grande amico del Berlusconi e come tanti si scapicolla in difesa dell'amico, con balle che si possono raccontare solo in Italia. In Francia, caro Ben Ammar, uno come Berlusconi non sarebbe MAI diventato presidente del Consiglio. È una bugia anche il fatto che nell'esagono non si sarebbero interessati del fatto che Sarkozy andasse a puttane o con le ragazzine (due fra le accuse più sconvolgenti che vengano rivolte al premier). L'intervista è dignitosa, peccato solo che nessuno risponda per le rime alle balle del manager. Nemmeno Cazzullo

Fonte Corsera
«Silvio è solo, faccia come Sarkozy. Serve una first lady al suo fianco»
Da Gheddafi a Murdoch, parla il finanziere tunisino Ben Ammar: «Solo in Italia un leader viene trattato così»

Dal nostro inviato Aldo Cazzullo

PARIGI - Tarak Ben Ammar, rappresentante dei francesi in Mediobanca, socio e amico di Ber­lusconi e Murdoch, produttore di Spielberg e Mel Gibson, nipote di Bourghiba il liberatore della Tunisia - che nel ’57 introdusse il divor­zio per sposare sua zia Wassila -, è nella sua casa di Parigi, tra una Crocefissione di Bacon e il megaschermo che trasmette il talk-show della sua nuova tv del Maghreb, Nezma (Brezza): «Un progetto che è piaciuto subito molto al presiden­te Berlusconi». Ben Ammar è appena rientrato dall’Italia, dove ha incontrato sia Berlusconi sia Murdoch. «E posso confermare che tra i due non c’è nessuna guerra. C’è stato il malinteso sull’Iva, fino a quando prima io e il giorno dopo Tremonti abbiamo spiegato a Rupert che il go­verno fu costretto dall’Europa a equiparare l’im­posta sulle tv, e non poteva certo farlo abbassan­do l’Iva a Rai e Mediaset».

Se non c’è guerra, perché il Times di Murdo­ch attacca Berlusconi tutti i giorni?
«È quello che ho chiesto a Rupert. Lui mi ha risposto che quando ha preso il Times si è impe­gnato a non interferire sulla linea editoriale».

E lei ci crede?
«Sì. Murdoch sa benissimo che, se ha il mono­polio del satellite in Italia, lo deve a Berlusconi. Mario Monti e la Commissione europea erano contrari, come anche la stampa italiana, che so­spettava una fusione Sky-Mediaset. Anche i suoi collaboratori dissero a Berlusconi che si sta­va indebolendo. Lui rispose che era necessario aprire il mercato».

Non è che Murdoch si è seccato quando il Cavaliere stava per vendergli Mediaset e si è tirato indietro?
«Berlusconi non stava per vendere. Aveva praticamente venduto. Furono Marina e Piersil­vio a fargli cambiare idea. Infatti ora c’è una sa­na competizione tra i figli, Piersilvio e James. Di più: Murdoch è il tycoon che Berlusconi vorreb­be essere, se non fosse entrato in politica. Un tycoon 'globale'. E a Murdoch, che è ossessiona­to dalla politica, non dispiacerebbe essere lo sta­tista che è Berlusconi. La differenza è che Ru­pert è molto più a destra».

Berlusconi uscirà da questa crisi?
«La sua capacità di resistenza e di reazione è straordinaria, impressionante. In queste setti­mane ho avuto modo di incontrarlo spesso. L’ho visto superare attacchi che avrebbero mes­so in difficoltà chiunque».

Veronica ha scritto che il marito non sta be­ne.
«Io ho conosciuto il declino di un grande lea­der, invecchiato tra persone che non gli diceva­no la verità. Nell’84 andai da Bourghiba, con suo figlio Habibi junior, mia zia e mio padre, a dirgli che lui, padre della nazione, avrebbe dovu­to dimettersi ed entrare nella storia, come aveva fatto Senghor. Ci cacciò, e poco dopo si separò da mia zia. Ma la storia di Berlusconi è del tutto diversa. Silvio non è malato di certo. È un lavo­ratore instancabile, dorme quattro ore per not­te. Fa una vita terribile, che ha bisogno di pau­se. La sua 'malattia', caso mai, è il divertimen­to, la felicità, la compagnia. Che gli manca, per­ché da quando è finito il matrimonio con Vero­nica è un uomo solo».

Chissà cosa deve aver sopportato Veronica.
«Veronica non ha dovuto sopportare nulla, perché quando stava 'matrimonialmente' con lui, sino a qualche anno fa, era felicissima. Non ho mai visto una coppia così innamorata. Arriva­vo alla Certosa con mia moglie, e ci trovavamo quasi in imbarazzo: si baciavano, si cercavano, si carezzavano ogni momento. Quando ho cono­sciuto Silvio, nell’84...».

Ad Hammamet, a una festa con giovani don­ne, vero?
«Lo conobbi sulla spiaggia, con Craxi, e la sera dopo ci fu questa festa. Io stavo girando un film e portai modelle e attrici stupende. Silvio le ammirò, eccome. Ma parlava solo di Veronica. E quando nel '93 scese in campo, lo fece contro l’opinione di tutti noi, tranne due persone: sua madre e sua moglie. Peccato che Veronica non gli sia stata al fianco, eccetto che per la visita di Clinton. Una donna così bella, così elegante, co­sì intelligente è fondamentale per un leader. Guardi come Carla ha fatto bene a Sarkozy».

Che opinione ha di Sarkozy?
«Ottima. Sta facendo bene, ma all’inizio appa­riva nervoso, immaturo. Carla l’ha aiutato, gli ha portato gli intellettuali, l’ha avvicinato a un mondo che non era il suo. E regge il confronto con qualsiasi first-lady, compresa Michelle Oba­ma».

Berlusconi dovrebbe fare come Sarkozy?
«Silvio non ha certo bisogno dei miei consi­gli. Ma, certo, la solitudine non gli si addice e non gli giova. Spero che torni a innamorarsi pre­sto, di una donna che lo ami come lui ha amato Veronica e come Veronica l’ha amato. Avere una donna al proprio fianco sarebbe decisivo per un uomo così sensibile alla bellezza, all’eleganza, al talento».

Palazzo Grazioli e Villa Certosa non sono frequentate così bene, negli ultimi tempi.
«Io ci sono stato, e ho sempre trovato perso­ne di grande livello artistico e intellettuale. Non ho mai visto non dico una 'escort', ma una per­sona imbarazzante o volgare. Sono stato a cena di recente, c’erano anche Carlo Rossella, Emilio Fede e due coppie di amici francesi e americani, ed è stata una serata bellissima, con cantanti e artisti di qualità. Perché Silvio è un esteta. Ha il senso del bello, in ogni dettaglio. È incapace di volgarità».

Be', se sono autentiche le battute rivolte a Chirac e riferite dall'Express...
«Ma proprio oggi Chirac si è detto scioccato per le dichiarazioni che gli sono state attribuite e le ha smentite in modo pubblico e formale».

Ma voi amici non potevate metterlo in guar­dia dal fare entrare in casa certi personaggi?
«Silvio ama conoscere sempre anche persone nuove. Questa è la sua natura: la scoperta, l’ami­cizia, l’avventura. Senza questa curiosità, non sa­rebbe diventato quel che è. E poi nessuno, tra quanti lo criticano, ha lontanamente l’autorità per dargli una lezione morale».

Non si tratta dei comportamenti di un priva­to cittadino, ma del presidente del Consiglio.
«Ma il presidente del Consiglio non ha nulla di cui dover chiedere scusa. Solo in Italia un lea­der politico viene trattato in questa maniera. Qui in Francia non sarebbe assolutamente possi­bile. Nessuno ha scritto una riga sui mesi in cui Sarkozy era single. Nessuno ha scritto una riga negli anni in cui Mitterrand frequentava le sue amiche al piano di sotto e Danielle viveva al pia­no di sopra con il suo amico. Solo in Italia avete il gusto di criticare in modo così aspro, di scan­narvi tra voi. Ricordo bene la storia di Craxi, che patì una grave ingiustizia. Ma avevo dimentica­to il caso Leone. L’altra sera ho visto la trasmis­sione di Minoli che ricostruiva la demolizione di un presidente della Repubblica, e ho subito telefonato a suo figlio, Giancarlo Leone. Non si può consentire a certa stampa di demolire così un uomo che poi invece risulta innocente. Voi italiani dovreste ricordarvi della lezione di Agnelli, che nel '94 per amore dell’Italia rispose di brutto ai giornali stranieri che dicevano falsi­tà su Berlusconi».

Diranno che lei difende il Cavaliere con tan­ta energia proprio perché è davvero in difficol­tà.
«Non è in difficoltà. È oggetto di una precisa azione da parte di un gruppo editoriale che agi­sce in accordo con la sinistra. Ma è, oggi, il prin­cipale protagonista della politica internaziona­le. È lui che ha fatto superare le incomprensioni tra l’amministrazione americana e quella russa, è lui che ha convinto molti governi tra cui quel­lo americano a intervenire per salvare le ban­che, è lui che, con Sarkozy, ha fermato i carri armati russi a cinque chilometri da Tbilisi. Ber­lusconi non ha bisogno delle mie difese. Non so­no il suo portavoce. Questa storia tutta italiana passerà presto».

È stato anche a Villa Certosa?
«Ci sono stato nell’agosto scorso, per prepara­re l’incontro che avevo con Gheddafi il giorno dopo, e lui organizzò in mio onore una delle se­rate più memorabili della mia vita; e di serate memorabili ne ho vissute tante, a Cannes e a Hollywood. Berlusconi aveva predisposto nel te­atro all’aperto uno spettacolo straordinario. Un balletto russo a livello del Bolshoi. Musicisti bra­siliani. Cantanti d’opera. Un concertista straordi­nario. Lui era il regista, lo show-maker, come ai tempi di Canale 5. Io ero l’ospite d’onore e la giu­ria: alla fine premiai la migliore esibizione. Lui però aveva preparato regali per tutti: orologi per gli uomini e gioielli per le artiste».

Non è in discussione la generosità persona­le di Berlusconi, né la vostra amicizia. Pensa che la sua credibilità all'estero sia intatta?
«La percezione di Berlusconi tra i leader stra­nieri è esattamente l’opposto di quella che in Ita­lia volete far credere che sia. Uomini come Clin­ton, Blair, Schroeder lo guardavano con grandis­simo rispetto: il fatto che oltre ad essere un pro­tagonista della politica fosse anche un imprendi­tore di grande successo, creava, e crea, rispetto e ammirazione in persone che si erano occupate sempre e solo di politica. Berlusconi a giorni presiederà, unico leader nella storia, il G8 per la terza volta. Non penserà che queste cose non contino anche per Obama, per Sarkozy, per la Merkel?».

Berlusconi stesso lamenta che i giornali stranieri lo denigrino.
«Si riferisce a quei giornali che ripetono acriti­camente le notizie dei giornali italiani».

Cosa sarà del patrimonio di Berlusconi?
«Non vedo problemi di successione. E poi non è una questione di soldi. Di soldi ce ne so­no tanti da bastare per diverse generazioni. È una questione di sentimenti».

La visita di Gheddafi, in cui lei ha avuto un ruolo decisivo, ha suscitato parecchie ironie.
«Conosco Gheddafi dal '77. Lui non andava d’accordo con Bourghiba, ma adorava mia zia. È un originale. Molto intelligente, mai arrogante. È dolce, cordiale. Voi non capite Gheddafi. La tenda beduina per lui è come il kilt per gli scoz­zesi. Non è folklore, non è la tenda saudita con gli ori e l’aria condizionata. È il contatto con le sue radici: le pecore, i cammelli, il tè, il Sud del­la Libia dove cresceva il figlio unico di una fami­glia povera, che sognava di entrare nell’esercito per cambiare il suo paese».

Eni, Unicredit: qual è la strategia di Ghedda­fi in Italia?
«Un tempo i suoi erano semplici investimen­ti, come in Fiat. Ora qualcosa è cambiato. C’è ap­punto una strategia, un rapporto privilegiato. E tutto grazie a Berlusconi. Gheddafi gli ha persi­no offerto di diventare il suo successore in Libia...».

Potrebbe essere un'idea...
«E non troverebbe certo una stampa ostile. Berlusconi fir­mando l’accordo con la Libia ha compiuto un gesto storico. Non solo ha chiesto perdono per i crimini dei colonizzatori fascisti davanti a tutto il Parla­mento libico. Ha anche baciato la mano del figlio del martire Omar el Mukhtar. Un gesto che ha toccato anche me. Non avete idea dell’impatto che quel gesto ha avuto sugli ara­bi, che con Berlusconi in passa­to erano stati tiepidi. Ora lo adorano. E questo gli dà la cre­dibilità e l’autorevolezza per avvicinare i palestinesi a Netan­yahu, che vedrà la prossima settimana».

Parliamo di Generali. Bernheim ha fatto ca­pire che gradirebbe essere riconfermato alla presidenza.
«Lei conosce qualcuno che a quell’età gradi­rebbe dare le dimissioni, nelle aziende o nella politica? E lo dico per fare un complimento a Bernheim, che è talmente legato a Generali che vorrebbe 'morire' in Generali».

Detta così, pare che voi francesi pensiate a un altro candidato.
«No. Se aprissimo oggi il totonomine, da qui all’aprile 2010 spunterebbero 102 candidati. Non so chi riuscirebbe a mettere tutti d’accor­do. E se questo farebbe bene all’azienda».

Prima o poi Generali diventerà francese, magari grazie ad Axa?
«Questo no. Generali sarà sempre italiana».

Anche Telecom? O si fonderà con Telefoni­ca?
«Confermo che non c’è nessun progetto di fu­sione. L’ha detto Bernabé, lo hanno ripetuto gli spagnoli».

Gli investitori però c’hanno rimesso parec­chio.
«È il mondo che è crollato, non solo il titolo Telecom. Bernabé è lì da poco più di un anno. Aspettiamo a giudicarlo».

E Mediobanca?
«La sua indipendenza non è in discussione, così come l’armonia interna».

Finanza, grandi aziende. Lei conosce bene quelli che in Italia sono polemicamente defini­ti «poteri forti». Davvero qualcuno di loro vuo­le la fine di Berlusconi?
«Non mi piace l’espressione 'poteri forti'. In teoria, Berlusconi ha fatto tutte scelte ostili al­l’establishment. Ha fatto entrare in Italia Murdo­ch mentre la Francia ha bloccato il 'diavolo', lo 'squalo', quando Murdoch stava per comprare Canal Plus. Ha fatto entrare in Italia Gheddafi, chiedendo perdono a un 'beduino'. Berlusconi stesso è un 'diverso', un uomo che si è fatto da solo, uno che con l’establishment non aveva nul­la a che fare. Proprio come me. In Francia Chi­rac non l’ha voluto: il governo di Chirac fece pressioni sul suo amico Lagardère, pur di non lasciar prendere il controllo della Cinq a Berlu­sconi. Io invece ho portato in Italia un gruppo francese. L’establishment italiano ha lasciato che Murdoch avesse il monopolio della pay-tv; che il gruppo francese divenisse il socio chiave in Mediobanca; che gli spagnoli divenissero il gruppo chiave in Telecom; che le Generali aves­sero un presidente francese. La verità è che l’Ita­lia è il paese più aperto e con meno pregiudizi; altrimenti io, un tunisino, non sarei qui. Masso­neria? Lobby ebraica? Siamo seri. Ai complotti dell’establishment io non ci credo».

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