mercoledì, marzo 10, 2010

Le barzellette del Tronchetto

E certo, adesso le divisioni dei grandi gruppi lavorano per conto loro senza avvisare nessuno. Bum!



Fonte corriere


Tronchetti Provera al giudice:
«La security agiva da sola»

L’imprenditore testimone: mai ordinato i dossier illeciti

MILANO
 - Le divisioni Security di Telecom e Pirelli guidate da Giuliano Tavaroli erano una entità autonoma e autoreferenziale — sostiene Marco Tronchetti Provera —, Tavaroli utilizzava il mio nome che nelle dinamiche aziendali è un buon alibi per far passare come urgenti cose che non lo sono, io l’ho visto solo 1 o 2 volte al mese per un totale di 55 volte in 4 anni, mai ho ordinato o saputo di dossier illeciti formati dalla struttura e dai fornitori privati di Tavaroli (come il detective Emanuele Cipriani) con soldi dell’azienda, e laddove sembra che ciò sia accaduto io non so il perché. Nelle prime tre ore di deposizione, richiesta dall’imputato Cipriani e ammessa dal giudice Mariolina Panasiti nell’udienza preliminare sul dossieraggio illegale Telecom-Pirelli, il teste Tronchetti, presidente di Pirelli ed ex azionista di controllo di Telecom, non muta posizione rispetto a quanto affermò ai pm già il 27 giugno 2008. Su nessun tema.
Il dossier Oak Fund: «Tavaroli venne a dirmi che, se volevamo, poteva avere informazioni su un fondo che faceva capo a D’Alema e altri. Io gli dissi che non mi interessava. E comunque, qualora le trovasse rilevanti, di portarle in Procura». L’indagine sull’arbitro di calcio De Santis: «Sarà stata una iniziativa autonoma, di cui non sono a conoscenza. Sicuramente non fu una iniziativa di Moratti, perché il presidente dell’Inter, se ci fosse stato qualche sospetto, sarebbe subito corso in Procura dal pm Boccassini». Gli accertamenti sull’intestazione di una casa (già del primo marito di Afef) comprata a Parigi: «Non ho idea nell’interesse di chi siano stati fatti». Quelli sul politico pdl Brancher prima di un incontro con Tronchetti: «Non ne ho idea, non li ho ordinati io». La fattura da 30 mila euro che l’agenzia d’investigazioni Polis d’Istinto di Cipriani (che Tronchetti ribadisce di non aver mai conosciuto) recapita a casa di Tronchetti per i propri servizi di sicurezza il giorno del matrimonio della figlia Giada: «L’avrò data alla mia segreteria da pagare con soldi personali, non è che conosco tutte le persone dalle quali ricevo fatture. E ne ricevo talmente tante che, se dovessi vederle una a una, passerei la giornata a farlo».
L’attacco informatico sferrato dal Tiger Team della Security di Tavaroli ai pc dell’allora amministratore di Rcs Colao e del giornalista del Corriere Mucchetti: «Non avevo alcun interesse, il giornalista non perdeva occasione per screditarmi, ma glielo avevo contestato direttamente, non ho ordinato indagini su di lui e non ne ero al corrente. Fu il presidente Rcs Marchetti a dirmi che c’era stato un attacco informatico e che esistevano voci che lo attribuivano a Telecom. Io chiesi un rapporto a Tavaroli, che mi mandò un memo sintetico con allegato un appunto di Ghioni, di cui vedevo per la prima volta il nome».
Il cosiddetto «fondo del Presidente »: «Non c’era un conto, non era una cassa, ma una appostazione contabile». Margherita Fancello, la consulente della Security che incassa circa 1 milione di euro, asseritamente per opera di accreditamento nella Roma politica: «Mai conosciuta. Come presidente di Telecom non avevo certo bisogno di farmi accreditare da lei: soldi per introdurre Tronchetti? Sarà stato un altro Tronchetti» (riferimento forse a un cugino che lavorava nell’azienda di Fancello). Il sospetto che i tabulati telefonici che la Security estraeva dal sistema Radar fossero anche nell’interesse di Tronchetti: «È il contrario, Radar l’abbiamo trovato e denunciato noi in Procura».
Dopo Cipriani e Ghioni, gli altri imputati e le parti civili dei dossieraggi interrogheranno il teste Tronchetti martedì 16.Quello sin qui riportato è il senso delle sue risposte ieri, almeno per quanto si è potuto ricostruire incrociando decine di versioni all’uscita dell’udienza preliminare, tenutasi come tutte in camera di consiglio, cioè a porte chiuse, sebbene il 12 febbraio il giudice abbia anticipato un pezzo di processo con l’esame di 6 testimoni chiesti da Cipriani. Il rischio di errori e incompletezze, insito nei racconti riferiti fuori dalla porta chiusa, con danno per i lettori e per le parti, si era già palesato il 2 marzo all’audizione dei primi due testi, sicché ieri il cronista presentava in cancelleria un’istanza affinché il giudice, sulla scia di quanto abbozzato dalla norma che regola invece il giudizio abbreviato in camera di consiglio, all’inizio chiedesse se tutte le parti prestavano consenso alla presenza in aula di giornalisti. Persino le contrapposte difese di Cipriani e di Telecom- Pirelli assentivano alla richiesta, pur priva di precedenti. Ma in un secondo giro, sollecitato dal giudice consultatasi «con il mio capo» (o dei gip o dell’intero Tribunale), l’avvocato Vincenzo Carosi per l’imputato Marco Bernardini (ex Sisde) si è opposto, seguito a quel punto dal pm Piacente, e con ciò ha stoppato l’istanza.

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