sabato, settembre 11, 2010

11/09



Fonte: PG Odifreddi, blog


Deutsches requiem è un conturbante racconto di Borges, in  cui un gerarca tedesco in attesa di esecuzione dichiara che morirà felice perchè il nazismo ha trionfato, nonostante le apparenze. L’ideologia era infatti cosí diabolicamente congegnata, che la si poteva sconfiggere sono convertendosi e abbracciandola.
Sembra un paradosso, ma lo è soltanto nel senso letterale: di cozzare,cioè, contro l’opinione comune. Noi possiamo illuderci, infatti, che nella Seconda Guerra Mondiale il Bene abbia avuto il sopravvento sul Male, soltando dimenticando (o fingendo di dimenticare) che gli Alleati hanno più che pareggiato il conto infernale con l’Asse: se i «cattivi» hanno gasato un milione di persone in cinque anni ad Auschwitz, e ne hanno sgozzate trecentomila in sei settimane nello stupro di Nanchino, i «buoni» ne hanno incenerite duecentomila in due giorni con le tempeste di fuoco su Dresda e Tokyo, e altrettante in un minuto con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. 
Queste amare riflessioni sugli squilibri della memoria sono generate dall’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 a New York. Un evento che Giovanni Paolo II ha descritto come «uno dei momenti più bui della storia dell’umanità». Storiche, in realtà, sono soltanto le proporzioni di questa gaffecolossale, con la quale il Papa ha rimosso non soltanto le gesta dei suoi predecessori, più o meno lontani, ma anche le immani tragedie del vicino Novecento.
 Più precisamente, i 185 milioni di morti per guerre, rivoluzioni, massacri, genocidi, oppressioni e dittature dettagliati nelle cifre dell’agghiacciante Atlante Storico del Ventesimo Secolo di Matthew White, ed equamente distribuiti fra capitalismo e comunismo. Che intensità di tenebre dovremmo assegnare a questi eventi, se chiamiamo l’attentato di New York uno dei momenti più bui della storia dell’umanità?
 Purtroppo, la dichiarazione del Papa è soltanto un sintomo dell’isteria collettiva che ha colpito la totalità dei governanti e dei media occidentali, facendo perdere loro completamente i sensi della proporzione e della prospettiva di fronte a un attacco che stupisce soltanto perchè si è consumato, per la prima volta dal 1812, sul suolo degli Stati Uniti.
 A parte Pearl Harbor, che però non conta. Anzitutto, perchè le Hawaii erano e rimangono, a tutti gli effetti, soltanto una remota colonia. E poi, perchè l’attacco fu e rimane la più «intelligente» di tutte le azioni belliche moderne, nel senso che oggi viene dato all’aggettivo (di massima efficacia militare e minima distruzione civile).
 Certo, in una nazione che le aveva sempre date e mai prese, la sorpresa e l’incredulità sono state le reazioni dominanti. E hanno fatto immediatamente dimenticare che se l’America parla inglese, spagnolo e portoghese, è perchè nel solo secolo XVI gli europei hanno sterminato con guerre e malattie tra i settantacinque e i cento milioni di indigeni: il venticinque per cento dell’intera popolazione mondiale di allora, come si legge ne La conquista dell’America di Tzvetan Todorov e in Olocausto americano di David Stannard. Non tremila persone su diciotto milioni, cioè meno dell’un per mille degli abitanti di una città!
 Ciò nonostante il presidente Bush ha immediatamente perso la testa, dichiarando che l’attentato era un atto di guerra: benchè le guerre le combattano gli eserciti con gli armamenti, non gli individui con i tagliacarte. E i media americani l’hanno seguito, gridando alla viltà: anche se, in realtà, è molto più vile mandare missili teleguidati a distanza che guidare un attacco suicida e morire con le proprie vittime. 
Una volta ricevuta l’anonima sfida, con la forte valenza simbolica del World Trade Center crollato e del Pentagono in fiamme, prima di accoglierla gli statunitensi dovevano trovare gli sfidanti. Li hanno individuati immediatamente in Osama Bin Laden e nei taleban: nelle stesse persone, cioè, che Ronald Reagan e George Bush I chiamavano «guerrieri della libertà» quando combattevano gli invasori russi in Afganistan, e che Bill Clinton e George Bush II chiamano «terroristi» da quando combattono gli invasori americani in Arabia Saudita. 
 L’individuazione dei colpevoli è stata effettuata nel giro di ore da servizi segreti che non si erano accorti di nulla per anni. La cosa è sospetta, per almeno due motivi. Anzitutto, perchè non sarebbe la prima volta che gli Stati Uniti si inventano un pretesto per attaccare una nazione: basterà ricordare il famigerato incidente del Golfo del Tonchino, che oggi sappiamo non essere mai avvenuto, ma che nell’estate del 1964 permise a Lyndon Johnson di ricevere dal Congresso un plebiscito per l’entrata in guerra col Vietnam.
Inoltre, perchè gli Stati Uniti sono soliti inventarsi ogni paio d’anni un «nemico pubblico numero uno» sul quale scaricare le proprie paranoie: ad esempio, per limitarci agli ultimi decenni, Castro a Cuba, Ho Chi Min in Vietnam, Khomeini in Iran, Gheddafi in Libia, Ortega in Nicaragua, Noriega a Panama, Saddam in Iraq, Milosevich in Yugoslavia, …
A seconda dei casi, questi paesi hanno dovuto subire attacchi, invasioni e guerre. Che si fanno, ovviamente, con migliaia di bombe e di missili. Ciascunodei quali provoca esattamente gli stessi effetti che gli aerei suicidi hanno provocato a New York, lasciando sul campo la stessa quantità di morti e distruzioni. Dopo settimane di servizi giornalistici e televisivi su questi effetti, gli Stati Uniti non possono più fare i finti tonti: hanno vissuto sulla loro pelle, per una volta, una minima parte di ciò che hanno fatto agli altri. E poichè ora sanno che cosa questo significa, e si dichiarano cristiani, questo sarebbe il momento buono per incominciare a praticare il precetto evangelico: «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te».
 E sarebbe stato il momento buono, per Bush, di mostrare la veridicità delle favole elettorali sulla sua conversione dalla bottiglia a Cristo. Invece, i suoi proclami l’hanno tradito: il presidente statunitense si ispira non al Vangelo ma al Far West, che ha citato espressamente chiedendo Bin Laden «vivo o morto». Con «Giustizia Infinita» egli intende, dunque, «Vendetta Sommaria». E mostra di credere che, come il nazismo nel racconto di Borges, anche il terrorismo si possa sconfiggere solo adottandone i metodi.
 A proposito di nazismo, possiamo notare che anche Bush figlio, secondo un’abitudine ereditata (o suggerita) dal padre ha paragonato il proprio personale nemico ad Adolf Hitler. Un paragone pericoloso, per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza: se Saddam o Bin Laden sono come Hitler, Hitler era come Saddam o Bin Laden. Dunque, un dittatorucolo di quart’ordine, in grado soltanto di dar fastidio agli sceicchi del cortile di casa. O un terrorista, in grado al più di dirottare un paio d’aerei.
 La realtà è, ovviamente, ben diversa. Hitler era un fanatico che aveva come obiettivo non l’invasione di una provincia limitrofa o il caos di una città, ma il dominio dell’intero mondo. Gli unici che oggi siano in grado di realizzare militarmente questo progetto, abbiano la volontà politica di farlo e lo stiano effettivamente facendo, con le buone e con le cattive, sono proprio gli Stati Uniti: ieri l’Iraq, oggi l’Afganistan, und Morgen die ganze Welt.

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