sabato, settembre 11, 2010

I MANTRA DI BERLUSCONI di Enzo Palumbo





I MANTRA DI BERLUSCONI di Enzo Palumbo
Il “mantra”, secondo la tradizione indiana, consiste in una formula (composta da sillabe, lettere o frasi) che viene ripetuta per un certo numero di volte per ottenere un determinato effetto; si tratta di uno strumento per mezzo del quale si persegue lo scopo di ottenere il controllo della mente (generalmente la propria, ma anche l’altrui) cristallizzandovi una convinzione monodirezionale, tanto profonda da essere capace di autorealizzarsi.
Gli psicologi sono soliti dire che anche la più plateale delle bugie, se ripetuta ossessivamente, diviene verità per chi la sostiene, e finisce per trasmigrare in chi sia predisposto ad assorbirla, e comunque anche in chi non vi opponga un sufficiente filtro critico.
Si tratta, in sostanza, di una formula verbale che possiede l’intima capacità di trasformare la coscienza, propria ed altrui.
Berlusconi, se non fosse stato in passato il più abile e fortunato degli imprenditori italiani., e se oggi non fosse il più importante dei protagonisti della politica italiana, potrebbe ben aspirare ad essere un grande “guru” indiano, autore di alcuni tra i più diffusi ed efficaci “mantra” che ossessivamente si aggirano nella discussione pubblica del nostro strano Paese.
Quello di maggiore attualità, in questi giorni di infuocato dibattito politico, è che il secondo comma dell’art. 1 della Costituzione afferma solo che “La sovranità appartiene al popolo”, punto e basta; in chi si accontenta di ascoltare senza verificare, si ingenera quindi la convinzione che sia già intervenuta l’abrogazione della seconda parte di quella frase, secondo cui il popolo esercita la sovranità “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Quello che si tenta così di fare passare nell’opinione pubblica è una sorta di “mantra” costituzionale, basata su una approssimativa ed inattendibile opinione, che può essere facilmente contraddetta con la completa lettura dell’art. 1 Cost. e delle norme correlate, senza tuttavia che sia agevole scalfirne gli effetti, che perdurano ad onta di ogni più approfondita confutazione.
Non mi ci soffermerò più di tanto, avendolo già fatto, con scarso esito, in una mia precedente nota.
Ma di “mantra” ce ne sono tanti altri, e su questi vorrei invece indugiare ancora un po’, perché non si tratta di opinioni, ma di numeri, che, almeno essi, dovrebbero avere una loro oggettiva capacità di penetrazione nella mente di chi non si autopreclude la possibilità di capire qualcosa di più.
Il primo a venirmi in mente è quello per cui il gradimento di Berlusconi e del suo Governo nell’opinione pubblica italiana si collocherebbe a livelli altissimi, mai raggiunti da un qualsiasi leader di un paese di democrazia occidentale, ed in termini che sarebbero addirittura costanti nel tempo, e ciò anche a dispetto dei sacrifici ai quali gli italiani sono stati chiamati dalla più recente manovra economica.
A ben vedere, si tratta di un “mantra” assolutamente funzionale al precedente, l’uno e l’altro finalizzati ad attivare il seguente elementare sillogismo: “la sovranità appartiene al popolo;, Berlusconi lo rappresenta a larghissima maggioranza; ergo: la sovranità appartiene a Berlusconi”.
Devo riconoscere che, come metodo di indottrinamento mentale, non c’è male!
In fondo, si tratta di trasporre sul terreno politico la tecnica che consente la creazione artificiale dei bisogni, esaltata sino al parossismo dalla pubblicità televisiva, di cui, non per niente, il nostro Presidente del Consiglio è espertissimo produttore.
Quanto alla percentuale, di volta in volta collocata tra il 63 ed il 65 per cento e forse anche oltre, si tratta di dati che vengono ossessivamente ribaditi ad ogni pubblica occasione, senza tuttavia essere accompagnati dalla pur minima rilevazione statistica che abbia una qualche pretesa di scientificità, a garanzia della verosimiglianza, se non della veridicità, di quanto viene affermato.
Meri formalismi, direbbe il nostro diffusore ed utilizzatore finale; l’importante è la ripetizione ossessiva di quel dato, al quale finiscono per credere tutti i destinatari, pure quelli che dovrebbero essere i più refrattari al messaggio, e cioè i suoi avversari politici.
C’è tuttavia un piccolo ma non secondario particolare, ancora una volta, si fa per dire, un “formalismo”.
Infatti, in materia ci sarebbe da osservare una specifica norma di legge (art. 8 della Legge 22 febbraio 2000, n. 28), secondo cui il risultato di un sondaggio può essere diffuso soltanto se accompagnato da un certo numero di indicazioni, delle quali è responsabile il soggetto che l’ha realizzato, e che devono essere rese disponibili su apposito sito informatico istituito e curato dal Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
E’ in particolare stabilito per legge che chi diffonde il sondaggio deve farsi carico di specificare: a) il soggetto che l’ha realizzato; b) il committente e l’acquirente; c) i criteri seguiti per la formazione del campione; d) il metodo di raccolta delle informazioni e di elaborazione dei dati; e) il numero delle persone interpellate; f) le domande rivolte; g) la percentuale delle persone che hanno risposto a ciascuna domanda; h) la data in cui è stato realizzato il sondaggio.
Sulla base di questo quadro normativo, sono quindi andato a consultare il sito ufficiale dei sondaggi politici ed elettorali (www.sondaggipoliticoelettorali.it), gestito a cura dell’apposito Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pensando che vi avrei trovato la conferma di quel dato statistico eccezionale che Berlusconi va continuamente propinando all’opinione pubblica.
Consultato il sito web, non ho trovato alcuna traccia del risultato di cui mena vanto Berlusconi, il che dovrebbe fare concludere che si tratti di un sondaggio commissionato ed eseguito al di fuori di qualsiasi livello di ufficialità, e la cui diffusione sembra configurare una chiara violazione di legge.
Per la verità, in materia qualcosa su quel sito c’è.
Ho infatti potuto leggere l’ultimo specifico sondaggio realizzato per Repubblica.it da IPR Marketing nel periodo tra il 17 ed il 19 dello scorso mese di luglio, da quale si desume che alla domanda: “Quanta fiducia ha in Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio?”, solo il 39% del campione interpellato ha risposto molta/abbastanza, mentre il 55% ha risposto poca/nessuna, ed il 6% si è detto senza opinione; nella stessa tabella si dà anche atto che, nel corso del 2010, le risposte favorevoli sono andate via via decrescendo dal 56% del 15 gennaio al 41% del 15 giugno, e sino all’ultimo dato noto che è per l’appunto quello del 39%.
Al correlato quesito:”In generale, quanta fiducia ha complessivamente nel Governo guidato da Berlusconi?”, solo il 33% ha risposto di averne molta o abbastanza, il 62% poca o nessuna, ed il 5% si è detto senza opinione.
Qui non si tratta di opinioni, ma di numeri, sia pure statistici, su cui non è lecito imbastire difese basate su mere valutazioni dottrinarie, come tali sempre opinabili.
Mi chiedo a questo punto se il Presidente del Consiglio, prima di continuare a recitare con tanta ostentata sicumera la sua verità statistica, non abbia il dovere primario di osservare la legge e quindi di trasmettere al suo stesso Ufficio, quello deputato alla pubblicazione dei sondaggi, i dati raccolti dai suoi personali sondaggisti, in modo da consentire all’opinione pubblica di valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, e quindi la scientificità e, in definitiva, l’indice di affidabilità.
Se no, ne risulterebbe la conferma che di null’altro si tratta che dell’ennesimo “mantra”, che Berlusconi va da tempo instillando nell’opinione pubblica, nella speranza di ingenerarvi comportamenti conformi.
In fondo, secondo il noto aforisma di Ennio Flaiano, gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore, per cui un “mantra” del genere potrebbe anche finire per autorealizzarsi, com’è già avvenuto in passato, e Berlusconi, che gli italiani li conosce bene, sembra proprio che vi faccia grande affidamento.
Tocca invece a tutti gli altri, quale che sia la loro collocazione, di non cascarci ancora una volta.

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