mercoledì, dicembre 27, 2006

Zitti tutti

da Repubblica

La moglie Mina: spero che la gente continui la sua battaglia il Parlamento da solo non è in grado di fare una legge


"Lasciarlo andare, il mio ultimo regalo so che adesso sarà finalmente felice"
Piero non aveva più sogni né desideri, andarsene senza dolore era l'unica cosa che voleva e potevo dargli

di CATERINA PASOLINI


ROMA - "Il mio regalo a Piero? Quello di morire, di smettere di soffrire. Non aveva più sogni e desideri, andarsene senza dolore era l'unica cosa che voleva e potevo dargli. Anche se questo per me ha significato sentirmi a lungo come nel braccio della morte". Con le ore, i giorni contati per rispettare, nonostante tutto, la volontà di chi amava. Mina Welby, "l'asburgica" come la chiamava Piero per il suo carattere di ferro e dolcezza, ha trascorso con amici a parenti il primo Natale senza il suo "Chicco". E senza lacrime, come gli aveva promesso.

Ieri era il compleanno di Piero.
"Sì, ed era con me. Me lo aveva promesso l'ultima notte che abbiamo vissuto insieme dopo 33 anni di vita in comune. Mi aveva giurato che non mi avrebbe lasciato, e io lo sento qui. È questo che mi dà forza e serenità. Ho fede, sono convinta che sia felice nella sua nuova vita, ma mi manca in maniera indescrivibile".

Fu un colpo di fulmine?
"Sì, avevo quasi quarant'anni, ma la dolcezza, la sua intelligenza e tenerezza, quel sapere ascoltare e volere condividere tutto fino in fondo mi hanno disarmata. Mi ha fatto sentire una regina, il suo amore è stato il regalo più bello. Condividevamo tutto: eravamo come un vitigno che si arrampica sul suo sostegno".

Però non voleva sposarla.
"Per amore, solo per amore. Diceva che mi avrebbe rovinato la vita con la sua malattia, ma io mi ero informata, sapevo tutto e lo volevo. Negli ultimi giorni mi chiedeva continuamente scusa, ma io non ho rimpianto un solo istante della nostra vita".

Sposati in chiesa?
"Sì, Piero era battezzato, aveva fatto la cresima. Aveva fede, magari diversa dalla mia ma l'aveva fino a quando gli hanno messo il respiratore, poi è cambiato, era arrabbiato con la vita. Non mi ha mai spiegato come era cambiato il suo rapporto con Dio".

Quando le ha chiesto di morire?
"Me lo hanno detto gli amici che lui lo aveva scritto sul sito, che voleva fossi io ad aiutarlo. Mi sono spaventata, pensavo che qualche amico gli avrebbe sparato col fucile da caccia per accontentarlo. Avevo paura".

Avete discusso?
"Sì, discusso e litigato".

Era contraria all'eutanasia?
"Io sono stata educata in modo cattolico molto rigido. Per me eutanasia voleva dire uccidere. Dopo notti di discussioni ho capito che non avevo il diritto di decidere per lui, che fare una legge non significa che sei costretto ad usarla".

E adesso?
"Spero che arrivi una legge frutto di una discussione popolare, da proposte discusse dalla base, altrimenti il parlamento non lavora".

L'ultimo giorno...
"L'abbiamo vissuto in pace, ne avevamo parlato tanto. Lui non sopportava che gli ricordassi i vecchi tempi, non voleva sentire le vecchie canzoni di quando andavamo a pesca nel canale dove un giorno voglio disperdere le sue ceneri".

Come ha salutato i suoi amici?
"Li ha chiamati uno per uno, aveva un sorriso per tutti. Ha preso in giro Pannella chiamandolo vecchio elefante. Poi ha detto: adesso uscite tutti, e sono rimasta solo io col medico".

Che cosa le ha detto?
"Negli ultimi giorni mi chiedeva sempre scusa, io mi sforzavo di non piangere e quando mi guardava gli occhi rossi dicevo che avevo tagliato una cipolla. Mi ha chiesto: stai qui fino alla fine, non mi lasciare solo. E io sono rimasta lì, gli ho tenuto la mano, gli ho chiuso gli occhi".

Perché hanno negato il funerale?
"Hanno deciso con il catechismo in mano e non con la pietà cristiana, ferendo inutilmente la mamma di Piero che ha più di ottant'anni. Eppure da tanti sacerdoti ho ricevuto lettere di affetto e c'erano molte suore al suo funerale. Anzi, domani alle 18 ci sarà una messa dalle suore di via Salinieri, l'ordine di cui faceva parte la zia di Piero".

Vorrebbe le scuse da Ruini?
"Non me le aspetto. Sono convinta che se lo incontrassi mi direbbe che ha pregato per lui, che Dio è misericordioso. Potevano far vedere la misericordia di Dio, in cui io credo, non sbarrando le porte della chiesa".

Piero le ha passato il testimone.
"Mi sento indegna, non ho mica la sua cultura, lui era un'enciclopedia ambulante. Per questo chiedo l'aiuto di tutti", dice mentre si rigira una grande fede al dito. "È di Chicco, ce la siamo regalati per i 25 anni di matrimonio, mi sta solo la sua in questi giorni, la mia non entra più". Come la vita che senza di lui le sta stretta.

(27 dicembre 2006) Torna su

sabato, novembre 04, 2006

Martedì, gnocche.

Rula «gnocca senza testa». Insulto in onda Durante l'ultima puntata della trasmissione di Michele Santoro una voce fuori campo fa un pesante apprezzamento sulla giornalista

ROMA - «Scandalo» ad «Annozero», anche se solo acustico. Durante l'ultima puntata della trasmissione condotta da Michele Santoro un ospite non identificato ha espresso un giudizio poco lusinghiero sulla giornalista Rula Jebreal mentre quest'ultima stava discutendo animatamente col ministro Antonio di Pietro: «È una gnocca senza testa» ha detto la voce fuori campo.
La frase incriminata, si può sentire abbastanza chiaramente in un video rilanciato da «tvblog.it» e che sta facendo il giro della rete
Il quesito ora, è: «Chi ha pronunciato le parole irriguardose nei confronti della giornalista». Qualcuno degli ospiti o una voce «fuori campo» presente in sala? Le ipotesi dei naviganti si concentrano sui tre ospiti della serata: i giornalisti Marco Travaglio e Filippo Facci, e l'eurodeputato di Forza Italia Renato Brunetta, già consigliere economico del governo Berlusconi. Un giallo che potrà essere chiarito, forse, solo dai diretti interessati.
04 novembre 2006

A me la giornalista non piace. Non credo faccia bene il suo mestiere. La collega fraintende l'aggressione con il giornalismo investigativo. Resta il fatto che la voce fuoricampo che in questa italietta alla ricerca dello scandalo fa scandalizzare i falsi benpensanti, ha detto qualcosa che pensano in tantissimi. Io mi limito a postare l'articolo del Corriere.

venerdì, novembre 03, 2006

Strane foto

Immagini prese da the Sun. I lettori hanno realizzato delle foto stravaganti, ma senza fotomontaggio.

mercoledì, novembre 01, 2006

Dove pascolano le bufale

Auto truccate - LA BUFALA DEI 280
Pubblicata il 27/10/2006
Può capitare che un giornale prenda un abbaglio. Ma quello che troviamo scritto su "La Gazzetta del Mezzogiorno" di martedì 24 ottobre 2006 a pagina 15 ha il sapore della bufala. E non della mozzarella, visto che ci troviamo in Puglia.

Secondo l'articolo, un inviato del quotidiano barese si sarebbe infiltrato in un giro di corse clandestine per raccontare una nottata di ordinaria follia, tra motori truccati ed euro che passano di mano, a 280 km/h. Ma il sapore dell'articolo ricorda più "Fast and Furious" e altri film della serie che la zona industriale del nord barese, dove a causa del pessimo stato del manto stradale andare a più di 100 km/h (ammesso che sia possibile) senza farsi saltare i denti dalla bocca è già un'impresa.

Un'impressione che si ricava anche dalla foto del tachimetro di un'auto a corredo del servizio: secondo la didascalia dovrebbe essere stata presa dall'inviato al momento di superare la folle velocità, ma basta fare una ricerca di immagini sul motore di ricerca Google per trovarla.

Dispiace vedere demonizzati i giovani automobilisti in maniera così gratuita, giusto per fare del sensazionalismo a buon mercato, in un periodo in cui anche assicurare un'utilitaria può per loro diventare un'impresa. E dispiace pure vedere per l'ennesima volta l'uso dell'equazione "auto truccata uguale corsa clandestina", come se gli appassionati di tuning fossero tutti "bad boys", cioè cattivi ragazzi.

- la foto incriminata, ma presa da internet -

sabato, ottobre 28, 2006

Son of a beach

...ma i Beach Boys stavolta non c'entrano...


Usa, la gaffe di Cheney sulla tortura
Poi dietrofront: "Non volevo difenderla"


Il vicepresidente Usa Dick Cheney
WASHINGTON - Fa marcia indietro il vicepresidente
americano. Dick Cheney tenta di arginare le polemiche sollevate da una sua frase che sembrava avallare la tecnica di interrogatorio del 'water boarding', in cui si fa credere al detenuto che stia per annegare. Di ritorno da un viaggio in Missouri e Carolina del sud, il vice di Bush ha negato di essersi riferito a quella o ad altre tecniche per interrogare i presunti terroristi quando ha definito una cosa "ovvia" lasciar "inzuppare un po' nell'acqua" un detenuto. "Non parlo di tecniche, non lo farei mai", ha puntualizzato, "ho detto che un certo programma di interrogatori per un numero ristretto di detenuti è molto importante ed è stata una delle nostre più preziose fonti di informazioni".

Le parole di Cheney avevano provocato la furiosa reazione delle organizzazioni per i diritti umani: il 'water boarding', è stato paragonato da più parti a una forma di tortura. Cheney è stato accusato di aver dato la propria approvazione a interrogatori che prevedono un finto affogamento, ma la Casa Bianca ha negato che si riferisse ad alcun metodo specifico.

E così, a pochi giorni dalle elezioni di medio termine negli Stati Uniti, con le quali saranno rinnovati tutti i 435 seggi della Camera dei Rappresentanti e 33 su cento al Senato, la vicenda ha finito per diventare il caso del giorno per i giornalisti della Casa Bianca, che hanno approfittato di un incontro tra il presidente George W.Bush e il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, per chiederne conto al presidente. "Questo Paese non tortura, non tortureremo - ha assicurato George W. Bush - interrogheremo le persone che catturiamo sul campo di battaglia per determinare se possiedano o meno informazioni che saranno utili a proteggere la nazione".

Intervistato dal conservatore Scott Hennen, Cheney è sembrato sostenere la necessità in casi estremi di ricorrere alla tecnica di interrogatorio che prevede di stimolare i sensi di un detenuto, in modo da dargli la sensazione di essere sul punto di affogare. Il metodo sarebbe stato utilizzato dalla Cia per ottenere informazioni da Khalid Sheikh Mohammed, il presunto stratega dell'attacco dell'11 settembre 2001. Gli interrogatori a Mohammed "ci hanno permesso di rendere più sicura la nazione - ha detto Cheney -, Mohammed ci ha fornito informazioni di enorme valore". Il vicepresidente non ha però apertamente confermato che il leader di al Qaeda sia stato sottoposto al 'water boarding'.

Il vicepresidente si è detto convinto che non ci sia molto da riflettere sul fatto di "inzuppare" un detenuto, se questo serve a salvare vite, ma ha aggiunto di essere stato "criticato più volte come 'vicepresidente per la tortura'. Noi non torturiamo - ha proseguito Cheney nell'intervista - non è ciò in cui siamo impegnati. Rispettiamo i nostri obblighi nei trattati internazionali di cui siamo parte e via dicendo. Ma il fatto è che si può avere un programma di interrogatori molto solido senza la tortura e abbiamo bisogno di essere in grado di attuarlo".

Human Rights Watch (Hrw) ha sostenuto che le affermazioni di Cheney sono in rotta di collisione con le nuove direttive del Pentagono sugli interrogatori militari e con una legge contro le torture, promossa dal senatore repubblicano John McCain e approvata dal Congresso. "Se l'Iran o la Siria catturassero un soldato americano - ha detto Tom Malinowski, un dirigente dell'organizzazione per i diritti umani - Cheney sta dicendo che sarebbe assolutamente accettabile per loro prendere il soldato e tenergli la testa sotto l'acqua fino a quando quasi affoga, se ciò è necessario a salvare vite iraniane o siriane".

Anche Amnesty International, per bocca del portavoce Larry Cox, ha sottolineato che nessun leader americano, "tanto meno un vicepresidente, dovrebbe promuovere la tortura".

Il 'water boarding' prevede di tenere un prigioniero in una posizione con i piedi rialzati rispetto alla testa, legato a una tavola, con il volto coperto da un pezzo di tessuto: in queste condizioni, viene fatta scorrere acqua su bocca e naso per dare la sensazione di essere sul punto di affogare. La tecnica è utilizzata da secoli in forme diverse e secondo Hrw era una di quelle preferite dai Khmer Rossi cambogiani nei loro interrogatori.

venerdì, ottobre 27, 2006

Fine pena mai




Attentati Madrid, dura requisitoria - Il pm chiede 14 anni per la 'mente'
Non usa mezzi termini la pubblica accusa nel processo a carico di Osman Rabei: "Ci troviamo di fronte a una cellula di assassini che ha già colpito e che ha intenzione di colpire ancora"


Milano, 27 ottobre 2007 - Quattordici anni di reclusione. È questa la pena chiesta nel pomeriggio dal pm Maurizio Romanelli nei confronti di Osman Rabei, l'egiziano accusato di terrorismo internazionale e indicato dagli inquirenti di mezza Europa come la 'mente strategica' della strage dll'11 marzo a Madrid nella quale morirono 192 persone. La richiesta è stata formulata dal magistrato al termine della sua requisitoria davanti ai giudici della prima corte d'Assise di Milano. Per il 'discepolo' di Rabei, Yahya, invece, l'accusa ha chiesto 7 anni.

"Ci troviamo di fronte a una cellula di assassini che ha già colpito in modo mortificante e che ha intenzione di colpire ancora ", aveva detto il Pm milanese Maurizio Romanelli all'inizio della sua requisitoria


Adesso, io magari sarò forcarolo, ma ad uno così il detto "fine pena mai" andrebbe bene. Ha fatto una scelta santa? Ne assuma le conseguenze. Una pena di 14 anni è ridicola. L'Italia non è un paese serio.

giovedì, ottobre 26, 2006

Lasciate che i bambini vadano a loro

Un fatto di cronaca

Un guasto improvviso blocca il treno sulla linea B tra Cavour e Calosseo
I passeggeri terrorizzati forzano le porte e scendono sulla banchina
Roma, metrò bloccato mezz'ora in galleria
Panico a borbo, insulti al macchinista


Un convoglio della metropolitana a Roma
ROMA - Ritorna il terrore sulla metropolitana di Roma. Un treno della linea B è rimasto bloccato in galleria trenta minitui per un guasto all'impianto frenante. I passeggeri si sono sentiti male, il caldo era asfissiante e nelle carozze si era sparso un inquietante odore di bruciato. La paura si è impadronita dei passeggeri che temevano potesse ripetersi la tragedia di dieci giorni fa, il drammatico tamponamento che ha provocato un morto e centinaia di feriti.

"Non ne potevamo più di sentire l'altoparlante che ripeteva di stare calmi, che era solo un guasto: abbiamo forzato le porte - spiega un passeggero - e siamo scesi sulla banchina. Abbiamo percorso tutta la galleria a piedi, fino alla stazione Cavour". Ma il macchinista ha dovuto richiudere le porte per consentire ai colleghi di rimorchiare il treno e allora è scoppiata la rabbia tra i passeggeri rimasti ancora a bordo.

"Mi hanno insultato - ha detto il macchinista - ma era mio dovere richiedere le porte". Dopo mezz'ora, il treno è stato sbloccato e riportato lentamente verso la stazione. "Il servizio è ripreso regolamente alle 14.55", come spiega la direzione della metropolitana. Ma la paura, questo pomeriggio, è stata tanta.

"La metropolitana si è fermata improvvisamente", ricorda un passeggero. "Eravamo tra la stazione Cavoure quella del Colosseo, in galleria. Eravamo lì, non sapevamo cos'era successo. Dopo dieci minuti si sono abbassate le luci; l'aria condizionata si è spenta e la gente ha iniziato a sentirsi male. Il caldo era insopportabile. Gli altoparlanti ripetevano che c'era un guasto e che dovevamo essere trainati, ma il treno stava ancora fermo e noi avevamo paura".

E' stato allora che i passeggeri hanno forzato le porte e si sono incamminati lungo la banchina verso la stazione di piazza Cavour distante circa duecento metri. Ma per rimorchiare il treno e trascinarlo in stazione, le porte dovevano essere richiuse: "Ho provato a farlo - spiega il macchinista - però la gente mi ha aggredito". Sono volati insulti, qualcuno voleva addirittura sputargli addosso. "Erano passeggeri presi dal panico", li giustifica la società Me.tro, ma precisa: "L'intervento del personale aziendale è stato reso oltremodo difficile e ostacolato dall'azionamento indebito del comando di apertura di emergenza delle porte e dall'uscita, lungo le banchine in galleria, dei passeggeri". E conclude: "Poco prima delle 15 il servizioè ripreso regolarmente in direzione Rebibbia, mentre il treno è stato avviato all'officina di Magliana per le necessarie verifiche".

mercoledì, ottobre 25, 2006

SILVIO PLAYBOY

Gian Antonio Stella per il Corriere della Sera

Non lo sapessimo concentratissimo sul Bene del Paese, avremmo il dubbio che il Cavalier Caliente abbia la testa altrove. Da due giorni va a parare sempre lì. Prima ha fatto l'occhiolino su Anna Falchi: «Macché povero Ricucci, ha una cosa che tutti gli invidiamo!». Poi, per fare amicizia col petroliere rosso Chávez, ha composto il numero di Aida Yespica, la mora venezuelana de «L’isola dei famosi», e ha allungato il cellulare: «Hugo, un'ammiratrice ti vuol parlare». Quindi ha riso con un gruppo di donne sulle tre «t» di Cremona: «torrazzo, tette, torrone». Per finire ha spiegato che votando contro le «quote rosa» elettorali i maschi hanno agito «per legittima difesa: alcuni deputati han fatto i calcoli: già rischiamo molto passando al proporzionale, se poi ogni tre di noi mettono una signora...».
Scherzava, si capisce. Sa che le sue belle glielo permettono. A un altro caverebbero la pelle. A lui perdonano tutto. D’aver fatto eleggere 13 donne su 168 deputati (7,7%), 5 su 75 senatori (6,6%) e 1 su 16 parlamentari a Strasburgo, percentuale umiliante rispetto alla media europea del 29,9%. Di averne portate al governo 8 su 98, pari a un 8,1%, ridicolo rispetto ai Paesi nordici o alla Spagna. Di non avere esercitato su questo tema quell’autorità che in certi casi, rogatorie o legge Cirami, ha fatto della destra italiana una falange compatta. Tutto perdonato.
Gabriella Carlucci, dopo la catastrofe sulle quote rosa, ha palpitato: «Ringrazio il presidente Berlusconi per l’appoggio morale con il quale ha sostenuto finora questa causa. Noi donne azzurre rimaniamo sue alleate fedeli». E la stessa Stefania Prestigiacomo, che pure era fuori dalla grazia di Dio per l’imboscata maschilista, ha sorvolato ieri sulla «legittima difesa» («legittima», sic) per dire: «Credo che le donne italiane abbiano il diritto di vedere riparata l’offesa subita alla Camera. Per questo ho chiesto che un istante dopo l’approvazione della legge elettorale venga avviato l’iter di un disegno di legge che introduca le quote. Berlusconi è d’accordo». Ha detto infatti: «A noi le signore, soprattutto belle, in Parlamento ci piacciono molto». Mal che vada, le manderà un immenso mazzo di rose. Una parure. O un anello d’oro con un gran diamante da posarci le labbra al prossimo baciamano. «Scusa, cara...».
Nessuno in Italia amoreggia e gioca con le donne come lui. Ogni occasione, le parole giuste. Ha davanti le casalinghe? «Anch’io sono stato un po’ donnina di casa, quando studiavo ed ero un ragazzo di famiglia, buttavo giù la polvere e ogni tanto facevo la spesa. So quanta fatica ci vuole per lavorare a casa, per creare un clima di serenità quando il marito torna...». Inaugura la Messina-Palermo? «Ah, la Sicilia! Avete la storia, il sole, un’ambiente straordinario, testimonianze di un passato glorioso... E poi, ragazze così belle!». Si lagna per la lentezza del Parlamento? I senatori tirano in lungo l’iter delle leggi perché devono dimostrare ai figli e alla moglie che non vanno a Roma solo perché hanno l’amante. Però sopra i 400 chilometri l’amante non conta. Come si dice a Napoli, «’A commare nun è peccato». Taglia il nastro al «Costa Smeralda»? «Ah, l’aereoporto di Olbia! Splendido! Rasenta il lusso. E poi, bellissime ragazze che fanno la felicità dei passeggeri maschi in arrivo e in partenza!».
E via così. Visita Alassio? «Penso ancora al "muretto" quando io, a quei tempi un vecchio playboy, vedevo tutte quelle belle ragazze... Parlando col sindaco gli ho chiesto se fossero ancora così belle, mi ha detto che oggi sono purtroppo tutte rifatte. Mah... Anch’io mi sono rifatto i capelli». Va al congresso di An? «Ma che belle gambe, che vedo nelle prime file!». Vuole spiegare perché il Polo si è incaponito sulla legge sul legittimo sospetto? «È un diritto dei cittadini rivolgersi alla Cassazione se l’atmosfera non fa presagire che ci sia un giudizio imparziale. Magari qualcuno ha fregato la fidanzata al presidente del tribunale. A noi succede: siamo tombeur de femmes . Mai di un amico. Però, di un magistrato, è decente...». Tira la volata alla Colli? «Votate l’Ombretta: è brava, l’è una bela tusa e canta bene». Prende la parola alla Fao sulla fame? «Un saluto a tutti voi, in particolare alle belle delegate!».
Quella volta, a dire il vero, alcune straniere si scandalizzarono: non era il caso, visto il tema. Lui ha tirato diritto. Offrendo il meglio nei rapporti internazionali. Va a Wall Street per incontrare i businessmen e ammicca: «Un altro motivo per investire in Italia è che oltre al bel tempo e alla bellezza del Paese, abbiamo anche bellissime segretarie». Va in Romania, spiega che ha avuto una fidanzata romena e sorride: «A me i capelli sono caduti per le troppe fidanzate». Parla delle relazioni con Parigi? «Non sono popolare tra i giornalisti e coloro che ne subiscono il fascino, ma tra i francesi sono popolarissimo: basta contare le fidanzate che ho avuto lì». Riceve Sali Berisha? «Sì, questa volta in Albania ci vengo. I socialisti di prima non mi avevano presentato mai una bella ragazza!». Riceve gli imprenditori turchi? «Sono con voi: da giovane ho avuto una meravigliosa fidanzata turca».
Ogni tanto, c’è chi sbarra gli occhi. Come fece con Tarja Halonen, quando lui se ne uscì: «Per portare l’authority alimentare a Parma ho rispolverato le mie doti di playboy col presidente finlandese». Helsinky s’indignò, convocò l’ambasciatore, piantò un casino. Lui sospirò: «C’è una generale mancanza di umorismo». Lo stesso mancante al cronista del Kommersant che descrisse la visita allo stabilimento Merloni di Lipetsk: «Il premier italiano era particolarmente attivo. Era chiaro che aveva un obiettivo. Ha detto a Putin: "Voglio baciare la lavoratrice più brava e più bella". Aveva già individuato la sua vittima. Si è avvicinato a una donna grande come la Sardegna e con tutto il corpo ha fatto il gesto tipico dei teppisti negli androni bui dei cortili, quando importunano una ragazza che rincasa. Lei s’è scansata ma Berlusconi in passato deve aver fatto esperienza con donne più rapide di questa: con due salti ha raggiunto la ragazza e ha iniziato spudoratamente a baciarla in faccia». Dura la vita, a tirar su il prestigio mondiale dell’Italia...

lunedì, ottobre 23, 2006

...noi in leggera controtendenza


Usa, scandalo Enron
24 anni all'ex amministratore
NEW YORK - L'ex amministratore delegato della Enron Jeffrey Skilling è stato condannato a 24 anni e quattro mesi di prigione per il suo ruolo in uno dei maggiori scandali della storia dell'industria americana.

Skilling è l'ultimo dei dirigenti al vertice del colosso energetico a essere punito per i trucchi e le frodi contabili costate migliaia di posti di lavoro e oltre due miliardi di dollari dei fondi pensione dei dipendenti. L'examministratore delegato, che ha 52 anni, ha ascoltato in silenzio la lettura della sentenza in un'aula di tribunale di Houston in Texas.

Il suo coimputato Kenneth Lay è morto lo scorso 5 luglio e la scorsa settimana la condanna nei suoi confronti è stata cancellata. L'ex direttore finanziario Andrew Fastow è stato condannato a sei anni di prigione dopo aver patteggiato con la magistratura una serie di confessioni che hanno portato alla condanna di Skilling.

mercoledì, ottobre 18, 2006

Cough, cough!



Pensando alla vicenda Saviano mi ritrovo a riflettere sulla vita di merda che fanno i latitanti. Qualcuno ha detto che "cummannari è megghiu 'cca futtiri", ma se questa è la vita di un capo, allora Saviano ha proprio ragione. Sono solo dei poveracci.

Camorra, arrestato latitante del clan 'Di Lauro'
Si era nascosto nel doppiofondo di un divano
Era in casa con moglie e figli. Tradito da un colpo di tosse

NAPOLI - Quando i carabinieri sono arrivati per arrestarlo Francesco Abbinante, 31 anni, ritenuto elemento di spicco del clan camorristico dei "Di Lauro", si è nascosto nel doppiofondo ricavato in un divano. Ma i carabinieri sono riusciti comunque a trovarlo e ad arrestarlo, ponendo fine a quattro anni di latitanza.

Abbinante, già condannato a 14 anni di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti, era ricercato per due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse su richiesta della Dda nel settembre 2002 e nel gennaio 2003.

L'uomo si nascondeva, insieme alla moglie e tre figli, a Marano, in provincia di Napoli, in un appartamento di un parco residenziale. Il doppiofondo del divano all'interno del quale l'hanno trovato i carabinieri poteva essere chiuso dall'interno con un chiavistello.

Ad Abbinante i carabinieri sono arrivati seguendo gli spostamenti della moglie. Francesco Abbinante è il figlio di Raffaele, detto 'Papele', in carcere da tempo, dall'epoca della faida tra i 'dilauriani' e gli 'scissionisti'. Ma, ci sono altri esponenti di questa famiglia, rinchiusi in cella: ad esempio, Guido Abbinante, zio di Francesco e sua moglie, Raffaella De Felice.

martedì, ottobre 17, 2006

Destino cinico e baro

Iraq: Usa, morto primo eschimese inviato nel deserto
Ucciso durante addestramento in base, sepolto nel ghiaccio
(ANSA) - WASHINGTON, 17 OTT - Gli eschimesi inviati in Iraq
hanno avuto la prima vittima: il loro capo è morto prima
ancora di raggiungere il fronte.
Il sergente Billy Brown, che aveva promesso di riportare in
patria i suoi ragazzi 'tutti sani e salvi', è stato il
primo a tornare in Alaska: è morto nella base di Camp
Shelby, nel Mississippi. Il suo corpo è stato sepolto nel
ghiaccio a Barrow, il villaggio a 600 km dal Circolo Artico
dove viveva.

lunedì, ottobre 16, 2006

Saviano

da: l'espressonline

Saviano? No, grazie
di Gianluca Di Feo
Le lettere minatorie. I messaggi trasversali dei boss. L'emarginazione. Per l'autore di 'Gomorra' il prefetto ora studia un piano di protezione. In edicola Inferno napoletano

(English version)
Da Scampia si vede Pechino

Cronache
FOTO: TRA OMICIDI E RIFIUTI

L'appelloIl quartiere ScampiaPrima le lettere minatorie, le telefonate mute in piena notte, camerieri che dicono "Lei qui non è gradito", o negozianti che con tono supplichevole sussurrano "Ma lei deve proprio continuare a comprare il pane qui...". Poi il disprezzo delle autorità campane, anche le più importanti come il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino. Infine i messaggi diffusi dai familiari dei boss: i padrini latitanti, quelli più feroci che sanno come fare arrivare sulla stampa locale i loro umori. Quanto basta a far scattare l'allarme e a trasformare il caso letterario dell'anno in una questione di sicurezza. Adesso per Roberto Saviano, 28 anni, autore del libro-inchiesta sulla camorra insediato da cinque mesi nelle classifiche di vendita, e collaboratore de 'L'espresso', saranno decise nuove misure di protezione: il prefetto di Caserta ha aperto un procedimento formale, che dovrà essere valutato dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza.

Il casus belli che ha alzato il livello di guardia, paradossalmente, è stato l'articolo di un piccolo quotidiano, sempre fin troppo attento a cogliere i gesti delle famiglie casertane. In ballo ci sono pezzi da novanta come Michele Zagari e Antonio Iovine, inclusi nella lista dei super-ricercati, o il più celebre Sandokan, al secolo Francesco Schiavone. Hanno mal tollerato il successo di 'Gomorra', il volume edito da Mondadori che ha imposto i loro traffici all'attenzione dei mass media. Si sono infuriati per la sfida che Saviano ha portato nel loro feudo, in quella Casal di Principe che negli anni Novanta aveva il record mondiale di omicidi. Il 23 settembre, a conclusione di quattro giornate di mobilitazione anticamorra aperta dal ministro Clemente Mastella, il giovane scrittore si è presentato sul palco assieme a Fausto Bertinotti. Nella piazza principale, davanti a tanti che non chinano la testa, il presidente della Camera si è lanciato contro le "cosche che non danno nulla ma tolgono e compromettono il futuro". Saviano invece ha chiamato i padrini per nome: "Iovine, Schiavone, Zagaria non valete nulla. Loro poggiano la loro potenza sulla vostra paura, se ne devono andare da questa terra".


Il 'Corriere di Caserta' ha prontamente registrato sia le assenze dei parlamentari eletti in città, sia la presenza del cugino di Sandokan che "inchiodava al muro un signore con uno sguardo feroce e si faceva dire, uno a uno, chi applaudiva troppo forte alle parole sui figli di Schiavone". Titolo: 'Un cugino di Schiavone origlia. Davanti al bar si fa raccontare tutto quello che è stato detto in piazza. E su chi c'era'. La stessa testata definiva 'spregiudicato' l'intervento dello scrittore e spiegava "che non tutti si sono lasciati impressionare dall'invettiva" di Saviano, descrivendo nei dettagli il dibattito su caldo e traffico che avveniva contemporaneamente nella sede dell'Udeur.

Potrebbero sembrare piccole beghe di campanile, ma a Casal di Principe non ci sono Pepponi mentre l'unico don Camillo è stato assassinato dai killer di camorra e - stando a una sentenza civile - diffamato dopo la morte proprio dal 'Corriere di Caserta'. Si chiamava don Peppino Diana ed è dal suo dramma che nasce il titolo di 'Gomorra'. Il libro edito da Mondadori ora marcia verso le 100 mila copie senza promozione, spinto dalla forza del tam tam dei lettori e dal lancio coraggioso della giuria che gli ha assegnato il premio Viareggio Repaci. Un risultato con pochi precedenti per l'opera prima di un autore giovanissimo, accolta dal consenso unanime della critica e che verrà stampata in Germania, Francia, Olanda, Gran Bretagna e Stati Uniti.

Il suo primo sponsor è stato Enzo Siciliano. A proposito di 'Gomorra', poco prima di morire disse: "Ricordiamoci che non è solo un bel libro; questo ragazzo rischia la vita". Sembrava una frase a metà tra il complimento e l'esagerazione, era una profezia. Saviano è riuscito a dare nuova energia a un genere che in Italia pareva dimenticato da quasi 15 anni, da quando opere come quelle di Corrado Stajano vennero sepolte da una slavina di instant book di ispirazione giudiziaria. 'Gomorra' invece ha il rigore di un saggio, l'anima di un romanzo e il ritmo del reportage reso più incisivo dal lessico che fonde dialetto e neologismo: è un tuffo nel vissuto della camorra, raccolto in prima persona e non attraverso il filtro dei rapporti di polizia. Saviano può vedere e può capire, perché è nato lì: in quel libro c'è la sua vita, il cuore della sua generazione costretta spesso a scegliere tra il crimine o l'emigrazione. E per quel libro ha già pagato un prezzo personale molto alto: i genitori gli hanno tolto il saluto, il fratello è stato costretto a trasferirsi al nord.

L'interesse di Schiavone, di Zagaria, di Iovine e degli altri padrini non sorprende. 'Gomorra' e gli articoli di Saviano su 'L'espresso' hanno costretto lo Stato a muoversi. Il Viminale sta mettendo a punto un piano per l'ordine pubblico in Campania e c'è un risveglio della mobilitazione civile. Mentre tutti guardano a Napoli e dintorni, il libro ha messo sotto gli occhi di tutti la potenza economica e militare dei clan casertani. Così forti e ramificati da avere colonizzato persino Aberdeen in Scozia. Chiaro che Sandokan & C. non potessero mandare giù un'opera nata nella memoria del sacrificio di don Diana, ucciso prima e delegittimato poi. Il segno dell'insidiosità della camorra, che sa trasformare la cronaca in strumento di pressione e sfruttare giornali con pochi scrupoli. Magari per fini economici, come è accaduto nel caso dell'ex editore del 'Corriere di Caserta', Maurizio Clemente, che il mese prossimo verrà processato per estorsione a mezzo stampa.

Se l'intimidazione dei clan era prevedibile, colpisce invece il disprezzo delle autorità locali, testimoniato dalle bordate di Rosa Russo Iervolino. Il sindaco partenopeo nel consegnare a Saviano il premio Siani lo ha definito "simbolo di quella Napoli che lui denuncia", offendendo sia l'autore, sia la memoria del giornalista ammazzato 21 anni fa. Di fronte alla denuncia de 'L'espresso' su Napoli perduta, poi, il primo cittadino ha commentato: "Quello è un fissato strabico".

Altri si stanno mobilitando. Un appello è stato improvvisato, raccogliendo firme di scrittori e lettori: tra i primi Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo. Poche righe che denunciano "un isolamento fatto da ciò che non ti fanno e che vogliono farti credere ti faranno. Ma intanto ti fermano, creano diffidenza intorno, screditano, insultano, allontanano tutti dalla tua vita perché mettendo paura ti creano attorno il deserto. A questo punto devono venire fuori altre voci...". E ancora: "Quando Saviano ha 'cacciato' con le sue parole i boss dalla piazza di Casal di Principe e dalle vie di Secondigliano, quando ha raccontato il loro potere con la letteratura, quando ha fatto i nomi, quando accompagna il suo libro non è solo la sua voce a parlare. Lui lo ha detto e noi con lui".

L'iniziativa è partita da Sandrone Dazieri. Lo scrittore, sceneggiatore e manager editoriale, divenuto famoso con il personaggio de 'Il gorilla' ha lanciato l'appello. Racconta Massimo Carlotto, uno dei maestri del noir italiano: "Appena ho ricevuto la mail di Sandrone ho firmato subito. Stiamo pensando di organizzare una manifestazione di autori proprio nelle terre di Saviano, nel cuore del Casertano". Sfida accettata, dunque, e rilanciata. In attesa di eventuali decisioni sulla protezione, Saviano ora si prenderà una pausa lontano dalla Campania. Ma sarà solo una sosta di poche settimane, per alleggerire la pressione e concentrarsi su un nuovo progetto. Solo una parentesi, prima di ricominciare a misurarsi con il suo lavoro. Perché se a Napoli scrivere 'Gomorra' dovesse costringere a emigrare e obbligarlo a una vita blindata, allora sarebbe perduta anche l'ultima speranza. n
© 1999-2006 Gruppo Editoriale L'Espresso S.p.A. - Partita IVA 00906801006 | Pubblicità

domenica, ottobre 08, 2006

Per quei figli di puttana


...per quei vigliacchi che l'hanno ammazzata per qualche rublo/dollaro e un paio di serate con una prostituta di Mosca un solo pensiero. L'avete crivellata di colpi a casa sua, nell'ascensore. Avete fatto di questa donna una martire. Non è stata una grande idea. Qualcun altro ne prenderà il testimone.

Assassinata a Mosca Anna Politkovskaya, giornalista russa famosa in tutto il mondo per i suoi reportage sugli orrori della guerra in Cecenia e gli abusi compiuti dalle truppe federali. La donna è stata trovata morta nell'atrio dell'edificio in cui viveva da una vicina. Sul luogo del delitto, la polizia ha trovato una pistola e quattro bossoli.

Nata nel 1958, la Politkovskaya aveva due figli. Scriveva per il quotidiano dell'opposizione Novaya Gazeta. Nel settembre del 2004, mentre si apprestava a recarsi a Beslan per seguire il sequestro e il massacro degli ostaggi nella scuola numero 1 del capoluogo dell'Ossezia del Nord, era rimasta vittima di un misterioso avvelenamento da lei attribuito ai servizi segreti russi. Alle vicende del conflitto ceceno si era appassionata alla fine degli anni '90, e non solo come cronista: nel dicembre del 1999 fu lei a organizzare, sotto una pioggia di bombe, l'evacuazione dell' ospizio di Grozny, mettendo in salvo 89 anziani.

Dimitri Muratov, direttore del quotidiano Novaia Gazeta, ha dichiarato che l'omicidio "sembra essere una punizione per i suoi articoli". Politkovskaia aveva fra l'altro lavorato a una rigorosa inchiesta sulla corruzione in seno al ministero della Difesa e del contingente russo in Cecenia. Nella sua lunga attività di paladina dei diritti umani nella piccola repubblica caucasica, si era fatta molti nemici, sia fra le forze russe che fra i guerriglieri.

Madre di due figli, la Politkovskaya in passato era stata arrestata e anche più volte minacciata per la sua opposizione al governo e per le sue denunce di violazioni dei diritti umani commesse in Cecenia. Nell'ottobre del 2002, durante l'assalto al teatro Dubrovka di Mosca da parte di un commando di una cinquantina di terroristi ceceni aveva tentato di fare da mediatrice, ma poi l'irruzione delle forze speciali russe aveva vanificato i suoi sforzi.


Intervistata spesso anche dagli organi di stampa italiani in qualità di preziosa fonte indipendente sulle vicende dell'ex repubblica sovietica, nel 2004 Anna Politkovskaya era stata insignita con il premio intitolato all'ex premier svedese Olaf Palme in quanto "simbolo della lunga battaglia per i diritti umani in Russia". Nel suo paese aveva vinto il "Penna d'oro", l'equivalente del Pulitzer.

- il libro edito da Fandango, leggetelo, compratelo, informatevi -


Tra i tanti messaggi di dolore per la morte di Anna Politkovskaya anche quella dell'ex presidente dell'Urss Mikhail Gorbaciov che ha definito l'omicidio "un crimine grave contro il Paese, un crimine contro tutti noi, è un colpo all'intera stampa democratica e indipendente".

Con l'omicidio della cronista russa sale a 56 il numero dei giornalisti uccisi quest'anno nel mondo. Le ultime due vittime, sempre oggi, erano state due reporter tedeschi uccisi in un'imboscata nel nord dell'Afghanistan. Secondo i dati, diffusi dall'organizzazione Reporters sans frontieres, il 2006 potrebbe rivelarsi più sanguinoso persino dell'anno precedente, quello più tragico per i cronisti di tutto il mondo.

da Repubblica.it

sabato, ottobre 07, 2006

Sul caso Betulla


Massimo Alberizzi dixit, o meglio, scrissit.

Caro Franco,

ti scrivo dal Sudan. Sono nel sud, in un posto devastato che si chiama Juba, dove la guerra è finita, e andrò nel Darfur, dove la guerra invece continua.

In Darfur un paio di mesi fa è stato arrestato un mio amico, Paul Salopek, del Chicago Tribune, due volte premio Pulitzer. Io e Paul abbiamo lavorato assieme in Eritrea e nel 2004 in Sudan, proprio in Darfur dove il conflitto era appena cominciato. Eravamo entrati clandestini, cioè senza visto, in Sudan assieme ai guerriglieri che combattevano e combattono in Darfur.

Paul ha ritentato la stessa strada quest’estate ed è stato arrestato. Ovviamente è stato accusato di spionaggio.

Invece non è una spia ma un giornalista. E’ stato rilasciato perché ha potuto convincere, anche attraverso i buoni uffici di un governatore suo amico che è andato a parlare con il presidente sudanese, che tra spionaggio e giornalismo c’è incompatibilità e antagonismo. E che non ci sono giornalisti americani nel libro paga della CIA. Il presidente sudanese gli ha creduto e ha rilasciato Paul.

La legge americana, come per altro quella italiana, vieta alle agenzie di spionaggio di reclutare giornalisti.

Ebbene se mi dovessero arrestare per spionaggio ora glielo vai a spiegare tu ai servizi di sicurezza sudanesi che da noi non ci sono giornalisti spie? Che non ci sono colleghi al soldo del SISMI. Per favore non dirgli che sì, ce n’era uno ma è stato sospeso per un anno e che una volta finita la pena potrà tornare a fare ancora il giornalista? Altrimenti quelli non mi lasceranno andare via mai più e saranno convinti che effettivamente io sono una spia.

Renato Farina si è macchiata di una colpa gravissima, molto più grave di quella per cui fu radiato Osvaldo de Paolini, accusato di insider traiding. (mi domando poi perché per Osvaldo de Paolini non valga “il diritto come tutti i cittadini a un trattamento improntato a umanità e tendente alla sua rieducazione”).

Con il suo comportamento scellerato Farina ha messo in pericolo la vita di decine di colleghi che ogni giorno, nello svolgimento del loro lavoro, rischiano di essere accusati di spionaggio. E il prestigio e l’autorevolezza di un’intera categoria.

Tu parli di gogna mediatica, ma, scusami, non è francamente nulla rispetto alle conseguenze nefaste provocate dal suo comportamento. Sono spiacente ma non mi convinci!

Nella organizzazione di cui tu sei presidente, l’Ordine, non c’e spazio per tutti e due: o me o lui!

Con un cordiale saluto sperando che ti renda conto del grosso guaio che è stato combinato

Massimo A. Alberizzi
Consigliere Nazionale FNSI
Senza Bavaglio


Io mi trovo d'accordo. Questo Alberizzi mi pare persona seria (non lo conosco), ma forse per capire la sua indignazione ogni tanto bisognerebbe alzare il culo dalla sedia e fare davvero i giornalisti (e per carità non dico che Farina non lo abbia, mai fatto) . Divertirsi a fare lo 007 de' noantri però mi sembra semplicemente ridicolo (anche Giuliano Ferrara fece outing tempo fa). Sono questi signori che poi ci sputtanano in giro per il mondo creandoci (magari senza saperlo) dei problemi.

giovedì, settembre 28, 2006

Proverbio




Maso Notarianni di PeaceReporter mi scuserà se gli ho rubato questo splendido proverbio dalla sua home page. Ci pensino quelli che credono di risolvere tutto con
la forza.

Quando gli elefanti combattono
sono i fili d'erba a soffrire
(proverbio dell'africa centrale)

mercoledì, settembre 27, 2006

A volte è dura...


non definirla una città di merda...

NAPOLI - Hanno arrestato un rapinatore e sono stati aggrediti da più di cinquanta persone, tutti amici e parenti del ladro. E' successo agli agenti del commissariato di Torre del Greco, vicino a Napoli. A fare da sfondo alla scena - che di recente si è ripetuta più volte - i quartieri spagnoli della città partenopea.

Gli agenti si sono recati in via Santa Maria Ognibene, ai Quartieri Spagnoli, dopo che un uomo questa mattina aveva denunciato un furto di 10 mila euro. Dopo aver ritirato il denaro presso una filiale della banca Intesa di Torre del Greco l'uomo ha detto di essere stato avvicinato da due persone a bordo di uno scooter. I due lo hanno minacciato con una pistola, hanno preso i suoi soldi e sono scappati. Per fortuna però la vittima è riuscita ad annotare la targa del motorino e ha presentato denuncia. Le forze dell'ordine hanno effettuato i controlli e hanno scoperto che lo scooter era intestato a una donna appunto residente ai Quartieri Spagnoli. Ed è scattata la retata.

I poliziotti, arrivati sul posto, si sono imbattuti nei due ladri. Uno è riuscito a scappare a piedi, l'altro, Giuseppe Saltamacchia, 27 anni, a bordo di un ciclomotore, è stato arrestato. L'uomo, con precedenti penali, era già noto alle forze dell'ordine.

Poi, improvvisamente, circa cinquanta persone, in gran parte donne, tutti amici dei due ladri, hanno cominciato a urlare contro i poliziotti, li hanno aggrediti con calci e pugni e spintonati. Nel mirino degli aggressori è finita anche una volante della polizia arrivata a sostegno dei colleghi. Nel caos i poliziotti sono comunque riusciti a difendersi e ad arrestare altre due persone: Elena Forte, 44 anni, che risultata imparentata con il malvivente che è riuscito a fuggire, e Maria Saltamacchia, 24 anni, sorella dei Giuseppe.

I tre sono accusati di resistenza, violenza, minacce, danneggiamento e lesioni. Accompagnati in questura hanno trovato anche lì amici e sostenitori. Una ventina di persone si erano infatte radunate sotto la sede per protestare ancora contro gli agenti e chiedere la liberazione dei tre arrestati.

Pirla... the award


World Champions of Stupidity Revealed

Winners for 4th Annual World Stupidity Awards Announced

US President Bush wins Award for Being "Most Out of touch with Reality"
Middle East takes Lifetime Achievement Award for Stupidity

STUPIDITY AWARDS CONTACT: 416-926-8886

The 4th Annual World Stupidity Awards has revealed this year's global champions of stupidity and ignorance, as decided by a worldwide Internet vote.

An American judge who presided over several murder trials while attached to a throbbing penis pump was voted Stupidest Man of the Year - edging out US Vice President Dick Cheney and Iranian President Mahmoud Ahmadinejad (neither men are not known to use the device while working). "I think this sends a clear warning to all the other penis pumping judges, airline pilots and heart surgeons," said World Stupidity Awards SpokesMoron Robert Spence, "turn off that penis pump now!


Although some are already calling this a humiliating defeat for Cheney, the Vice President took the award for having created the Stupidest Moment of the Year when he shot his friend in the face during a hunting trip instead of a bird. "Although Vice President Cheney had worthy adversaries," said Spence, "you must bear in mind, the Cheney shooting unleashed a series of stupid events, and helped create what would become this year's stupidest statement.


In the category of Stupidest Statement of the Year, a comment by Cheney's shooting victim Harry Whittington was the clear winner. After Cheney shot him, Whittington, a lawyer said: "My family and I are deeply sorry for all that Vice President Cheney and his family have had to go through this past week."


Always a contender, US President George W. Bush won the hotly contested new category, the Disinformation Stupidity Award for Being Most out of Touch with Reality. "I think the feeling from voters is that all the nominees, which included Michael Jackson, Tom Cruise and Hilary Clinton, were deserving," said Spence. "The award, however, went to the person most out of touch with reality, while having the most influence on it." President Bush was also awarded with his own category this year after voters complained that his presence in the Stupidest Statement category was unfair to other nominees.


The President's statement that won the Stupidest Statement by President George W. Bush was Bush's famous Katrina disaster line "Brownie, you're doing a heck of a job." It beat out "Wow, Brazil is big!" and even "I am the decider." Killing people for God won in the category of Stupidest Trend of the Year, followed closely by the media's tendency towards glibly an nouncing that World War 3 has already begun. The trend towards showing off Ass Cleavage brought up the rear. "Killing people for God was voted a clear victor in this category," said Spence. "And it probably serves as a reminder to check with your god before murdering innocent people, as most gods will send you directly to hell." The Middle East itself was awarded the prestigious Lifetime Achievement Award for Stupidity.

Betting on Stupidity

The World Stupidity Awards added a new twist this year with several major online betting sites taking wagers on the outcome.
"We think betting on stupidity is a rock solid proposition," said World Stupidity Awards founder, Albert Nerenberg. "The only thing in this world you can be 100 per cent sure of is that there will be more stupidity." The Awards are decided by online voting at www.stupidityawards.com. The World Stupidity Awards is governed by the Academy Recognizing Stupidity Everywhere (ARSE), which gathers a team of highly qualified experts in the field. "Basically they're a bunch of idiots," said SpokesMoron Spence. The World Stupidity Awards began in 2003, when researchers on the hit documentary Stupidity, discovered that achievement in stupidity and ignorance were rarely recognized.

giovedì, settembre 21, 2006

La Carfagna di sinistra

L’ex magistrato che negozia in minigonna
di Luca Telese
da Il Giornale.it
Il sottosegretario è sconosciuto anche all’interno del governo
Luca Telese

da Roma

La Melchiorre tratta. La Melchiorre dichiara. La Melchiorre si rammarica. La Melchiorre avverte che c’è una battuta d’arresto. Bene, ottimo, perfetto. Ma la Melchiorre chi è? La cosa bella di finire in un governo, è che prima poi qualcosa ti tocca. E così, nel bel mezzo della più delicata crisi internazionale, nel più delicato snodo di una trattativa impossibile fra affetti e leggi, tra bambini e Stati, Daniela Melchiorre, sottosegretario alla Giustizia, il suo impegno, la sua battaglia e persino il suo momento di gloria l’ha trovato.
Le agenzie si sono improvvisamente riempite di foto di una ragazza-sventola di 36 anni: gonne in pelle elettrochoc, scollature da apnea, viso incantevole, chioma nera e fluente. Insomma, lei. Nei corridoi di Montecitorio un boato: «Abbiamo la Carfagna di sinistra, tiè!» (professione di orgoglio all’indirizzo dei colleghi di centrodestra). D’accordo. Ma da dove viene la Melchiorre? Boh? Nessuno lo sa. La cosa meravigliosa della terza Repubblica è che si può arrivare anche così, paracadutati dal possibile alla prima linea. Il suo curriculum informa: «Magistrato militare presso la procura di Verona e Torino», poi «Sostituto procuratore militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Torino». Bene. Ma - per farsi la domanda che si è fatto Clemente Mastella (vecchia scuola) - quando se l’è trovata per la prima volta al ministero: «Scusate, ma questa di che cavolo di partito è?». Gli hanno risposto: «È un tecnico». Caspita. Il curriculum informa anche: «È madre di una bambina di due anni». La foto su Giustizia.it fa impallidire la Gregoraci e la Canalis. Ieri esibiva un body di raso avorio che ha fatto strabuzzare gli occhi agli agenti di Ps. Nel caso di Maria aveva esordito dicendo: «La bambina va restituita». Poi ha avvertito: «Il dialogo fra le parti non è facile». Ieri era costernata: «La trattativa è fallita». Si muore dalla voglia di saperne di più. Qualcuno ti dice: «È in quota Margherita». Alla Margherita rispondono: «Non la conosciamo». Possibile? No, ecco la spiegazione: «Forse viene dall’area diniana». Fantastico. Telefonata all’onorevole Italo Tanoni, luogotenente diniano, vecchia volpe di Palazzo: Il talent scout è lei? Sorriso: «Non mi faccia dire... ». Ma dica, dica... «Be’, insomma... io sono della teoria: una bella donna non guasta mai». E così è riuscito a piazzarla a governo? «Sa come sono quegli equilibri, no? Mancavano donne, Milano era scoperta... ». E a lei è venuta in mente la Melchiorre: «Conoscevo Daniela che è moglie di un architetto nostro simpatizzante, rispondeva a entrambi requisiti, è la splendida ragazza che lei sa, e questo aiuta... è stato un colpo di fortuna». Insomma, un sottosegretario tanoniano: «Eh, eh... Mi consente una espressione maschilista?». Prego, prego: «Daniela è una con le palle: vedrete, se qualcuno può risolvere il caso, quello è lei».

Vladimì, adesso hai stufato

Roma, Luxuria boccia Veltroni - "No alle telecamere anti-prostitute"

ROMA - Vladimir Luxuria boccia la soluzione anti-prostituzione avanzata ieri dal sindaco di Roma Walter Veltroni. "Il Comune di Roma ha scelto la via peggiore per affrontare il tema della prostituzione: fare la spia", spiega la deputata del Prc stroncando senza appello il progetto di ricorrere alle telecamere per scoraggiare il lavoro delle lucciole.

"L'idea delle telecamere nelle zone delle lavoratrici del sesso - obietta Luxuria - non è originale e si è già rivelata altrove inefficace, come a Ostia dove i clienti hanno preso le biciclette. La consegna delle multe a domicilio dei clienti è una grave violazione della privacy: costringerà migliaia di cittadini a dover rendere conto del luogo e dell'orario della multa a genitori o a consorte. Invece di risolvere i problemi della prostituzione minorile o involontaria, gli unici effetti che si avranno saranno liti in famiglia, separazioni e divorzi".

da Repubblica.it

Evidentemente il signor Vladimiro Guadagno ignora che sono sempre di più le minorenni che si prostituiscono e sarebbe anche ora che la maggioranza della popolazione avesse qualche diritto. Non solo le minoranze spesso, fin troppo rumorose. E stavolta non metto foto perché Luxuria si sta rivelando una terribile delusione come parlamentare.

Chi ha detto che gli gnomi non esistono?



Richards: «La droga? E' di pessima qualità» «Ecco perché non la prendo più. E io me ne intendo». Il chitarrista dei Rolling Stones ha detto di aver smesso con gli stupefacenti

da Corriere.it

LONDRA - Non è una scelta salutista quella di Keith Richards. Ha smesso con le droghe solo perché «la qualità di oggi è pessima». Il chitarrista dei Rolling Stones, che ha 62 anni, è stato dipendente dall'eroina. Ma le cose sono cambiate anche nel mondo della droga, e oggi Keith non vede nulla che valga la pena di ingerire, sniffare o iniettarsi. «Credo che la qualità sia veramente andata giù. Tutto quel che fanno (i chimici e gli spacciatori) è togliere il momento di massima forza da tutto. Non mi piace come hanno effetto sul cervello, invece che lavorare attraverso il sistema ircolatorio. Ecco perchè non le prendo più. E io sono uno che di droghe se ne intende», ha osservato Richards.
MORFINA IN OSPEDALE, «NE CHIEDEVO UN PO' DI PIU'» - Keith ha però ammesso di aver preso di nuovo della morfina quando era in ospedale nei mesi scorsi, in seguito a un'operazione al cervello resasi necessaria dopo la sua caduta di un albero alle isole Fiji. «Per due settimane sono stato sotto morfina. Ho sempre tentato di chiederne un pò di più all'infermiera di turno. E lei è stata piuttosto disponibile», ha detto Richards, aggiungendo: «Non prendo più droghe, a meno che non debba farlo, come in quel momento di grande sofferenza, con il cervello aperto».

martedì, settembre 19, 2006

A questi Buster Keaton gli fa una pippa

Figlio Gheddafi: "Il Papa si dimetta"
"Benedetto XVI si dovrebbe dimettere e convertire all'Islam". Lo ha detto Moamer Gheddafi, il figlio maggiore del leader libico, respingendo le "scuse" del Papa dopo le dichiarazioni fatte a Ratisbona. "Se questa persona fosse realmente ragionevole non dovrebbe restare un minuto di più al suo posto, ma dovrebbe convertirsi all'Islam", ha detto Moamer Gheddafi nel corso di una competizione internazionale di memorizzazione del Corano a Tripoli.


Turchia, autorità religiosa: "Arrestate il Papa"
Il Papa sia arrestato durante la sua visita in Turchia prevista per fine novembre. A chiederlo è il direttorato generale per gli affari religiosi di Ankara (Diyanet), un'istituzione governativa che sovrintende all'attività degli iman turchi e che ha inoltrato al ministero della Giustizia una petizione contro le frasi di Papa Benedetto XVI su Islam e guerra santa. Il Santo Padre, sostine la Diyanet, ha violato le leggi turche su libertà di credo e pensiero, "insultando" l'Islam a il profeta Maometto".

- Buster Keaton arrestato dopo aver proposto all'Ayatollah Khomeini di aprire un autogrill sulla Teheran - Reggio Calabria con specialità maiale alla griglia.

lunedì, settembre 18, 2006

Faccia di tolla



Si è vestito con un costume di terracotta e, immobile, si mimetizzato tra i celebri 3mila guerrieri dello stesso materiale custoditi a Xian, in Cina. Per diversi minuti, lo studente tedesco Pablo Wandel è riuscito a sfuggire alla polizia e a rimanere tra le statue, realizzate 2.200 anni fa. Alla fine, gli agenti lo hanno trovato e rispedito a Hangzhou, dove studia arte.

Che sia io a difendere il Papa...

Per l'Iran le scuse del Papa non bastano. I gruppi radicali sciiti legati all'Iran mostrano vivo un risentimento islamista per nulla placato dal "rammarico" del Papa. Le spiegazioni date ieri dal Papa sul suo discorso a Ratisbona, spiega l'Iran, erano "necessarie" ma non sufficienti. Il portavoce del governo di Teheran, Gholam Hossein Elham, ha detto che il Pontefice "deve dire chiaramente che quello che aveva affermato è sbagliato". Elham, pur giudicando "positive" le parole pronunciate ieri dal Pontefice durante l'Angelus, ha riaffermato che la Repubblica islamica ritiene indispensabile per Benedetto XVI, "chiarire le cose usando parole chiare e trasparenti. Deve dire che quello che aveva affermato a Ratisbona è sbagliato".


Già dire "l'Iran", mi sembra una cazzata. In Iran, come in Italia, esistono diversi gruppi. Uno ascolta nel belpaese Adel Smith e crede che tutti i musulmani (o presunti tali) siano come lui. Fortunatamente non è così. Il Pontefice a volte dice cosa opinabili, ma non è che adesso non si possa aprir bocca. Purtroppo alcuni vermi (non radicali, proprio vermi) amano incendiare gli animi. Benedetto XVI non ha detto nulla di offensivo. Adesso nemmeno più la Jihad si può criticare? Sarebbe opportuno che personaggi come il notissimo Gholam Hossein Elham (ho incontrato gente che lo conosceva in un Autogrill di Barletta) andassero a pescare invece di fare danni.

- un disegno del portavoce del governo iraniano mentre si prepara a discutere amichevolmente i concetti espressi dal Papa -

domenica, settembre 10, 2006

Una donna presa all'amo


Fine luglio, ristorante della Camera: la deputata Ds Pina Fasciani sta consumando un'insalata di polipi. All'improvviso, rimane a bocca spalancata, si alza e inizia a tossire. Ansimando, rossa in viso, l'onorevole inizia ad armeggiare tra i denti tirando fuori un appuntito amo da pesca nascosto tra i polipi. Terrore in sala: arrivano i camerieri, s'invoca l'intervento del medico, si decide alla fine un'antitetanica. Unica consolazione per la Fasciani: viene esentata dal pagamento del conto. Risparmia due euro, ma che paura.


PS non ho trovato in rete uno straccio d'immagine della Fasciani. Signora ecchediamine, si attivi un po'. Presenzi. Si vespizzi.

mercoledì, settembre 06, 2006

Io meno


"Condivido completamente le valutazioni del presidente Bush su Ahmadinejad, perchè è evidente che il successore, ammesso che l'interessato non sia già morto, di Osama Bin Laden non può che essere lui. Ma comunque, se fossi Bush, tenterei l'ultima azioni diplomatica: non so quando Ahmadinejad compie gli anni ma se è così appassionato del nucleare perchè gli Stati Uniti non gli mandano un'atomica per il suo compleanno? Magari innescata per posta aerea?". Lo afferma il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli. Mi fa sorridere quando qualcuno diceva che" la lega è una costola della sinistra". Un'affermazione quanto meno bizzarra.

Quando alle prossime elezioni questo simpatico caratterista (uomo di carattere) si ripresenterà, spero ardentemente venga trombato. Mi chiedo però se non sarebbe il caso di denunciare una persona che continua (assieme al suo partito) a provocare danni all'Italia. Nel caso l'Iran chiudesse i rubinetti del petrolio sarà la Lega Nord a pagare la differenza? Quando andranno a casa queste persone?

Avrebbe detto

Schumi: "Mi sento italiano"
Il tedesco non ha voluto parlare di ritiro e pensa a Monza: "La Ferrari va forte, sappiamo cosa fare. In questi 10 anni al Cavallino ormai non ho colleghi ma tanti amici".

Come dubitarne dopo aver sentito parlare perfettamente in italiano una persona che guadagna cento milioni di euro l'anno?

Un'immagine di Totò e Peppino che sarebbero stati i perfetti maestri d'Italiano per
il pilota della Ferrari. Si deve ammettere però che il livello linguistico dello Schumacher ricorda, effettivamente quel "noio volevòns savoir".....

martedì, settembre 05, 2006

Chiamatooooo...



Forse assomiglia a Lurch, il terribile cameriere della famiglia Addams, ma ho appena scoperto che Dirk Nowitzky, il campione tedesco di Dallas, continua a pagare di tasca propria la metà dell'assicurazione di 200.000 dollari che la sua compagine NBA lo ha costretto a sottoscrivere. Lo fa pur di continuare a giocare in nazionale. Tenuto conto che che in altri sport i giocatori bisogna andarli a pregare, credo che questo comportamento sia da elogiare.

lunedì, settembre 04, 2006

Messaggio ai fanatici

Questo articolo dall'Unità ha fatti incazzare come le bisce quelli di Informazione Corretta (ho già parlato di questi signori in un altro post). Ve lo posto. è un grande articolo di Robert Frisk. Ottima la traduzione.

Finita la guerra, assistiamo ora a un valzer di ipocrisie, falsità, minacce, impudenti menzogne.
Partiamo dall’uomo dagli occhi di fuoco, Sayed Hassan Nasrallah, capo del movimento guerrigliero degli Hezbollah che ha inflitto a Israele una batosta non da poco in Libano – purtroppo a spese di quest’ultimo. Sono stati gli uomini di Nasrallah a varcare il confine israeliano lo scorso 12 luglio.
A catturare due militari israeliani, a ucciderne altri tre, scatenando la prevedibile furia delle forze israeliane di terra e di aria contro il Libano. Per essere precisi, prevalentemente contro la popolazione civile libanese.
Ora Sayed Nasrallah se ne esce con: «Se avessi saputo che la cattura di quei militari avrebbe scatenato un conflitto di queste proporzioni, se Hezbollah avesse immaginato soltanto l’uno percento di ciò che è successo, di certo non avremmo agito così». Non è vero, è una grossa bugia. Se Hezbollah non aveva idea di come avrebbe reagito Israele, – e vi assicuro che parliamo di gente acuta, disciplinata, che sapeva benissimo quale fosse al momento la posizione politica di Ehud Olmert (oggi è notevolmente peggiorata, grazie alla sconfitta registrata dall’esercito israeliano proprio in Libano) – perché mai ha costruito negli anni che hanno preceduto questa guerra tutti quei bunker in cemento armato nelle grotte, nelle rocce, nei fianchi delle alture libanesi? Come mai si erano predisposti a colpire una nave israeliana – cosa che peraltro hanno fatto, tant’è che la nave è quasi affondata – e avevano preparato con tanta cura quella piccola offensiva di terra che poi è servita da pretesto a Israele?
Dovremmo forse credere che hanno tenuto duro sotto le pesanti incursioni aeree israeliane che hanno fatto più di mille vittime tra la popolazione civile – particolare che non può essere loro sfuggito – senza che ciò rientrasse in un preciso piano? O che gli uomini di Hezbollah si sono alzati una mattina, hanno fatto colazione e poi si son detti: «Forza, andiamo a sparare a una nave da guerra israeliana!» No, davvero. Anche quell’attacco, perfettamente giustificabile alla luce dell’aggressione israeliana, era stato accuratamente pianificato.
A quanto sostiene Seymour Hersh sul The New Yorker, anche l’attacco da parte di Israele era stato studiato accuratamente e aveva ottenuto il placet dell’amministrazione Bush nel contesto della campagna mirata ad intimidire l’Iran. Penso che Hersh abbia ragione. Ma credo anche che il conflitto fosse nei piani di ambedue le parti in causa; e me lo confermerebbe un altro passaggio del discorso sorprendentemente ipocrita di Nasrallah.
«In ogni caso», ha sostenuto, «Israele avrebbe scatenato una guerra all’inizio dell’autunno, e ne sarebbe derivata una distruzione ancora maggiore». Beh, grazie per avercelo detto.
Questo ci fa capire come Hezbollah rigiri la frittata: non intendevano far soffrire i libanesi, i quali però avrebbero comunque sofferto più avanti. E poi, comunque Hezbollah aveva vinto la guerra. Ora la leadership hezbollah annuncia formalmente che intende attenersi alla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che esige il disarmo dell’organizzazione – ma noi sappiamo bene che, in concreto, il disarmo non avverrà.
Sospiro di sollievo... Così ora c’è pace, di nuovo... Fino alla prossima guerra.
Non meno losca e assolutamente falsa è la versione dei fatti che gli israeliani stanno elaborando con i loro sodali per poi proporla al mondo intero. Contiene le solite vecchie fandonie, come quella dell’antisemitismo dei giornalisti o del coinvolgimento della Croce Rossa nel terrorismo internazionale.
Prendiamo ad esempio un volgare articolo a firma di Shmuel Trigano, apparso giovedì scorso sul quotidiano francese Liberation e intitolato «Guerra, bugie e videotape». Vi si ritrovano tesi trite e ritrite, volutamente fuorvianti, di cui la più odiosa è quella secondo cui, mostrando le immagini dei bambini uccisi a Cana dai raid israeliani, la stampa avrebbe cercato di «riproporre un antico concetto di matrice antisemitica che vede gli ebrei come infanticidi. Nell’antichità, gli ebrei venivano accusati di cannibalismo; nel Medio Evo – e tuttora nei paesi arabi – di compiere delitti rituali».
Ovviamente, non mi sfugge il messaggio insito in queste parole: non avremmo dovuto mostrare le immagini di quegli innocenti lacerati dalle bombe israeliane (peggio ancora sarebbe stato se avessimo detto che quelle bombe erano “Made in USA”); avremmo dovuto tacere sul fatto che una decina di anni fa l’artiglieria israeliana aveva ammazzato, sempre a Cana, altri 106 innocenti di cui oltre la metà erano bambini. In effetti, se non vogliamo essere tacciati di antisemitismo medievale, non dovremmo mai far vedere immagini di bambini arabi uccisi.
Nel suo pezzo, Trigano cita poi un fatto avvenuto in passato e che ora mi viene riproposto da portavoce ufficiali di Israele: siccome in passato un reporter libanese aveva ritoccato la foto di un deposito di munizioni aggiungendovi due pennacchi di fumo, e l’aveva venduta alla Reuters ­– uno scherzo che giustamente lo ha tolto dal giro seduta stante – tutte le fotografie provenienti da Beirut sono con tutta probabilità ritoccate o false. Una vera assurdità. Tuttavia, sentendo ricordare quella foto fasulla, avevo predetto a un amico che i sodali di Israele avrebbero messe in dubbio tutte le immagini giunte dal Libano. Le falsità da essi diffuse sul conto dei giornalisti sono tanto prevedibili quanto ignobili.
E arriviamo all’accusa rivolta a noi reporter di aver operato nel sud del Libano tutti sotto il «controllo» degli Hezbollah, mentre i nostri colleghi a Gaza lavoravano sotto il «controllo» di Hamas. Stando a Trigano, «i giornalisti sanno benissimo che lavorano grazie all’autorizzazione dei poteri locali presso i quali sono accreditati e al cui vaglio sono soggette tutte le immagini». Perdonami, Shmuel, ma queste sono solenni str...ate. Non siamo affatto “autorizzati” da Hezbollah; tant’è che quando durante il conflitto avevamo cercato di intervistarne qualche esponente, non siamo riusciti a beccarne uno. Esattamente come non c’è riuscita l’aviazione israeliana.
Che dire poi del fatto che, sempre stando all’articolo in questione, noi giornalisti troveremmo «giusto» che i civili israeliani debbano soffrire, che ci occuperemmo soltanto delle «vittime» dei militari israeliani, che ci si troverebbe di fronte a un «antisemitismo di principio»?
Avendo una lunga esperienza in fatto di guerre sporche con il coinvolgimento del Libano, debbo dire che questa è la medesima menzogna che veniva propinata ai tempi del bombardamento israeliano del 1978, durante l’invasione del Libano del 1982, in occasione del bombardamento di civili nel 1993, e ancora del bombardamento di civili nel 1996. Oggi ci risiamo.
Spesso mi chiedo: forse che gli amici di Israele attaccano giornalisti seri e rispettabili accusandoli di antisemitismo, per dare in qualche modo rispettabilità all’antisemitismo? Come reagire di fronte a una tale disonestà: con un sospiro stomacato o con malcelata rabbia? Sapete che vi dico: quanto a disonestà, Nasrallah fa parte della cricca. Ma ha ancora molto da imparare dagli israeliani.

domenica, settembre 03, 2006

Ciao Andre



André Agassi lascia il tennis, sconfitto al terzo turno degli Us Open dal tedesco Benjamin Becker. Lo statunitense, 36 anni e oltre 20 di attività, aveva annunciato prima di Wimbledon l`intenzione di appendere le scarpette al chiodo dopo il suo ultimo torneo del Grande Slam. Ciao campione.

mercoledì, agosto 30, 2006

Vibratori per il popolo!!!

E' ancora protesta in una scuola media di Pordenone per la presenza, nel corpo insegnanti, della professoressa con la passione per le foto hard. La vicenda si trascina da un paio d'anni - anche con risvolti giudiziari - ma le proteste sono riprese recentemente quando, appunto, si è saputo che la docente era stata assegnata, per il secondo anno consecutivo, alla stessa scuola media.

I genitori dei ragazzi non si fanno una ragione del fatto che la professoressa di Lettere, assolutamente integerrima sul lavoro, quanto disinibita fuori, tornerà a insegnare ai loro figli. Le famiglie, già nel mese di giugno, avevano chiesto e - secondo quanto riferito da alcuni testimoni ottenuto dal dirigente scolastico - rassicurazioni sul fatto che la docente sarebbe stata trasferita in un altro istituto. Ciò non è avvenuto e ora a Pordenone si è scatenata una sorta di "caccia alla porno prof".

La professoressa non è nuova ai clamori suscitati dalle sue foto. Quattro anni fa, i suoi alunni avevano scoperto le immagini 'hard' su internet e, dopo averle stampate, le avevano appiccicate sui muri del bagno della scuola, con didascalie non proprio rispettose della loro insegnante.

Quest'ultima aveva presentato una denuncia contro ignoti per diffamazione e ingiurie, sostenendo fra l'altro di non essere il soggetto ritratto nelle foto. Nei mesi scorsi, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pordenone l'ha però condannata a cinque mesi di reclusione (pena sospesa) per simulazione di reato in quanto, durante il procedimento penale, è stato accertato che era effettivamente lei la donna ritratta senza veli. La vicenda è ora all'esame dei giudici di secondo grado ai quali la professoressa ha presentato ricorso.

Secondo il legale della donna, Sergio Gerin, "siamo di fronte a un tentativo bello e buono di discriminazione: è come se si lamentassero che un docente è gay o musulmano". Nell'annunciare che tutelerà in ogni sede la sua assistita, Gerin ha spiegato che, a suo parere, "non è possibile arrivare a dare giudizi sulla sfera personale dell'insegnante". "Qualora il dirigente scolastico o il Provveditore dovessero adottare dei provvedimenti contro la professoressa - ha anticipato - interpelleremo il giudice del Lavoro e, se servirà, anche il Tar".

articoli e notizie trovati in rete

domenica, agosto 20, 2006

Posta

Lettera di Marco Travaglio a l’Espresso

Caro Giampaolo, ti ringrazio per il garbo con cui, pur in parziale dissenso da me, hai ricostruito la buffa polemica intorno al "Beriatravaglio". Anch'io, come te, penso che sia meglio che i Ds siano "figli di Fassino che di Beriatravaglio". Dei Ds Fassino è il segretario, mentre io non sono nulla. Non faccio il politico, non pretendo di "dare la linea" a nessuno. Faccio semplicemente il giornalista, collaborando da free lance con i giornali che mi ospitano e cercando di raccontare fatti, possibilmente veri.

Sai quando sono diventato Beriatravaglio? Quando ho elencato sull' Unità i colletti bianchi (tutti fuori dal carcere) che l'avrebbero fatta franca grazie all'indulto gabellato per "svuota-carceri". E quando, l'indomani, su Repubblica, ho intervistato l'avvocato Sergio Bonetto, parte civile per le vittime dell'Eternit (3 mila morti da amianto) nel processo di Torino, preoccupato sia per l'indulto esteso alle "morti bianche" sul lavoro, sia per le voci di un'amnistia in autunno.

L'indulto, scontando preventivamente 3 anni di pena ai big boss dell'Eternit e dunque liberandoli dalla prospettiva di finire in carcere in caso di condanna, li avrebbe scoraggiati dal proposito di risarcire subito le vittime in cambio del patteggiamento: tant'è che la sola voce di un'amnistia aveva fatto saltare le trattative - ormai a buon punto - con i rappresentanti della multinazionale per un risarcimento immediato. I due articoli non hanno ricevuto smentite: era tutto vero. In compenso, sul "Foglio", Adriano Sofri mi ha dato dello "squadrista" e poi del "cretino".

L'avvocato Bonetto ha inviato una lettera al "Foglio" precisando che quanto avevo scritto è la pura verità, ma il "Foglio", molto democraticamente, non l'ha pubblicata. Un paio di giorni dopo Staino mi ha dipinto come un corvaccio, il "Berjatravaglio" appunto, accusandomi di indurre Bobo a pensar male dei dirigenti Ds. Come vedi, l'oziosa diatriba su giustizialismo, regime, estremismo e riformismo c'entra ben poco. C'entra molto la cronaca. Credo che se molti lettori apprezzano quello che scrivo non è perché siano "estremisti", "intolleranti", "sospettosi", "manichei", o perché io li spinga a "succhiare il chiodo del loro livore".

Ma è perché vogliono continuare a essere informati sui retroscena e sulle conseguenze di certe scelte del governo, anche se, anzi proprio perchè lo considerano il"loro"governo.Se s'incazzano,non è per "acidità", ma perché avvertono una certa distanza fra le promesse elettorali e gli esordi della nuova legislatura, fra un indulto salva-furbetti e una legge anti-intercettazioni. Forse è per questo che anche qualche elettore Ds mi legge con interesse: perchè sono abituato a scrivere quello che so e vedo, a chiamare porcate le porcate, sia quelle di Berlusconi, sia quelle dell'Unione, sia quelle di Berlusconi e Unione insieme.

Proprio come facemmo sull'Espresso negli anni della Bicamerale, quando tu e Claudio Rinaldi coniaste l'immortale "Dalemoni", raccontando gli effetti nefasti di quell'inciucio e di quella controriforma, poi fortunatamente naufragati. Anche allora gli elettori dell'Ulivo ci ringraziavano. Gli eletti molti meno: preferivano inciuciare al riparo da occhi e giornali indiscreti. Tant'è che tu fosti escluso dalle feste dell'Unità. Quest'anno hanno escluso me. Magari, se fossimo davvero i nipotini di Berija, ci farebbero ancora entrare.

Se piace a lui



A Las Vegas si festeggia il 40esimo anniversario di Star Trek. All'Hotel Hilton i 'trekkies', vestiti come i personaggi di una delle serie della saga tv, stanno celebrando il primo episodio della 'serie classica', andato in onda l'8 settembre 1966.

Selene!!! Perché non sei lì?

sabato, agosto 19, 2006

A very little man



A questo miserabile dedico un post. A questo piccolo uomo per cui le italiane sono tutte puttane e gli italiani (quando va bene) dei debosciati. A questo piccolo miserabile che si e' creato un Corano a suo personale uso e consumo. Certo, i delitti d'onore (aboliti in Italia nel 1981!!!) sono una cosa che conosciamo. Soprattutto io che sono meridionale. Ma quello che questo piccolo e miserabile uomo ha fatto non puo' essere giustificato. I leader religiosi della comunita' pachistana facciano qualcosa e dimostrino un po' di riconoscenza verso il paese che li ha accolti.

Secrets & Lies



Trascritto dal Corriere della Sera

«Si accaniscono su di me, mi accusano di assumere atteggiamenti da cristiana e non da musulmana. Mi dicono: sei una cretina, una stupida maledetta. Mia madre, come il resto della famiglia, si limita agli insulti e ai richiami. Mio padre invece ...». Il primo j'accuse di Hina viene raccolto nero su bianco nella caserma dei carabinieri di Villa Carcina. Sono le 11.50 del 4 marzo 2003. La ragazza ha 17 anni. È stata rintracciata dopo l’ennesima fuga da casa. Quando si rende conto che la vogliono riconsegnare alla famiglia, decide di raccontare ciò che prima aveva sussurrato solo alle amiche più intime: «Con i miei ho un rapporto conflittuale. Mi impediscono di vivere come una qualsiasi ragazza di cultura occidentale. Mi hanno ritirato dalla scuola, nonostante io studiassi con profitto e nonostante volessi continuare ad andare a scuola, perché un amico dei miei genitori li aveva avvertiti che io fumavo sigarette, e siccome alla donna, stando alle leggi coraniche, è vietato fumare, per potermi controllare meglio mi hanno impedito di continuare gli studi».
Allontanandosi dalla famiglia, Hina è fuggita dal presente ma anche dal futuro. E spiega: «Io sono promessa sposa a un mio cugino, figlio della sorella di mia madre, che neanche conosco e che attualmente vive in Pakistan e con il quale dovrei unirmi in matrimonio non so quando. I miei genitori mi contestano sempre il fatto che io assumo comportamenti e seguo i modi di vivere della cultura italiana anziché rispettare la tradizione pakistana e per questo vengo maltrattata sia moralmente che verbalmente e fisicamente. Questo sia da parte dei miei genitori che da parte delle mie sorelle, fratelli e anche di mio cognato Mahmood (il terzo uomo ricercato per il delitto, ndr), marito di mia sorella».
Arrivata in Italia con madre, sorelle e fratelli nel 1999, Hina si era ricongiunta al padre quando aveva quattordici anni. Ha subito imparato la lingua, stretto amicizie, insistito per andare a scuola. I primi, violenti litigi in famiglia, risalgono all’estate del 2002. «Era luglio, non ricordo la data esatta - racconta Hina - mio padre tornava dal lavoro intorno alle 18.30, mi picchiava davanti all’intera mia famiglia armato di un bastone di legno con il quale mi colpiva su tutte le parti del corpo, tra l’indifferenza totale dei miei familiari. Nonostante le ferite non sono mai stata portata all’ospedale». Poi ricorda di essere stata trasportata al pronto soccorso dell’ospedale di Gardone Valtrompia. Il bastone impugnato dal papà le aveva rotto il pollice della mano sinistra. «Mi hanno medicata e messo una stecca - racconta Hina - Il medico ha chiesto come avevo fatto a farmi male e la mamma ha risposto che ero caduta con la bicicletta ».
Dai pugni, al coltello. Era il mese successivo, agosto. «In casa non c’era nessuno - ricorda Hina - mia mamma si trovava in Pakistan. Uno zio che abita a Inzino aveva raccontato a mio padre che continuavo a fumare. Lui allora mi ha preso a schiaffi e rinchiuso in camera a chiave. Poi è tornato con un taglierino: mi ha preso il braccio sinistro ferendomi all’altezza dell’avambraccio e del polso. Io mi sono difesa dandogli uno schiaffo e un calcio nelle parti intime ».
Il rapporto con il padre si carica di tensioni. Hina «la ribelle» non solo osa fumare, addirittura reagisce con violenza alla violenza del genitore che «la vuole domare». Hina sta diventano un «problema» per l'intero gruppo parentale. Ed è sempre quando qualcuno «fa la spia» che si scatena la violenza tra le mura domestiche. «Tra novembre e dicembre dell’anno scorso - racconta ancora Hina ai carabinieri - qualcuno aveva raccontato a mio cugino, figlio della sorella di mia madre, che avevo fumato mentre ero in ospedale a Brescia per accudire il mio fratellino che era ricoverato. Quando sono tornata a casa sia mia madre sia mio cugino, alternandosi, mi hanno picchiato con schiaffi su tutto il corpo». Il racconto di Hina prosegue, e affonda nel dolore e nell’angoscia più intima. Emerge il profilo di un padre-padrone che arriva anche a sostituire la mano dispotica e violenta con quella incestuosa: «...Nell'allontanarmi gli dicevo: cosa stai facendo? - racconta Hina - sono tua figlia, lo dico alla mamma. E lui mi ha risposto: lo sa già». Hina non sa dire se è vero o falso. Sa solo che le attenzioni morbose del padre si moltiplicano. Ha paura. «Una settimana fa - racconta - mentre facevo i mestieri mi ha chiamato in salotto dicendomi che doveva farmi vedere una cosa che era sporca. L’ho raggiunto e mi ha afferrato per il polso sinistro, torcendomi il braccio dietro la schiena mentre con la mano destra mi tappava la bocca e con il piede destro socchiudeva la porta. Mi ha spinto sul divano-letto che si trova accanto alla porta. Dopo avermi messo supina mi ha imbavagliato la bocca con la sciarpa che avevo al collo per impedirmi di gridare». Lui sul suo corpo di ragazzina indifesa e terrorizzata. Il ricordo è recente, particolari pochi, ma inequivocabili. «Sono riuscita a liberarmi e a urlare - racconta Hina - sono arrivati nel salone i miei due fratellini: mio padre diceva che dovevano andar via, io li invitavo a restare con me. Allora è andato via lui».
Solo bugie, per il padre e la madre. Imbarazzanti bugie che aggiungono fango ad una famiglia già messa all'indice per la «figlia ribelle». Aveva diciassette anni, Hina, quando ha avuto il coraggio di mettere nero su bianco la sua prima denuncia, che poi smentirà a denti stretti. Di denunce contro il padre-padrone ne farà altre due. E ritirerà pure quelle.
Nunzia Vallini

Quando il cuore non batte a sinistra



Jurgen Klinsmann, ex c.t. della Germania, rifiuta accostamenti di tipo propagandistico. I fatti: la sezione berlinese del partito socialdemocratico (Spd) tedesco aveva sfruttato la sua immagine, utilizzando un sosia del biondo allenatore. L'idea era quella di accaparrarsi consensi grazie all'immagine dell'allenatore, capace di conquistare un positivo 3° posto al recente Mondiale casalingo, nonostante una squadra molto giovane.

venerdì, agosto 18, 2006

Mario & Pippo



Dopo le ultime dichiarazioni del fratello del lìder maximo Raul, Mario e Pippo Santonastaso hanno richiesto di entrare nel politburo all'Avana.

Ecco le sagge parole(e queste sono vere): "Fidel sta bene. Mobilitati migliaia di riservisti".

Ma perché quest uomo non si siede su di una panchina a dar da mangiare ai piccioni?

mercoledì, agosto 16, 2006

Rubato a Selene



È una copertina che trascende il giornalismo e fa un'incursione nell'arte. Parere personale.

Vesciche


A cadere nei tranelli del traduttore automatico questa volta è l'amministrazione delle strade del Galles. Un cartello bilingue (come impone la legge) a un incrocio molto trafficato invita i ciclisti a scendere dalla bicicletta nella versione inglese, ma in quella in gaelico dice più o meno: "Capovolgimento di vescica infiammata". I gruppi autonomisti insorgono: "Succede spesso, la nostra lingua è trascurata", l'amministrazione risponde che investigherà.

Dichiarazione furbissima

Napoli, scippi e aggressioni nonostante 'Ferragosto sicuro' (e meno male)
Ma la microcriminalità non si arresta: ieri 3 le vittime dei balordi
Il sindaco: "Sono fatti che disonorano, però a Catania è peggio".

Adesso che lo dica uncittadino incazzato, magari è comprensibile. Che lo affermi il sindaco, forse, è una scelta infelice. Ma in fondo non c'è sempre qualcuno più terrone di noi?

lunedì, agosto 14, 2006

Norimberga piccolina

Quando Fouad Siniora,il premier libanese, s'interruppe commosso ad una riunione della Lega Araba, molti, soprattutto in Italia, dissero che era stato architettato. Le stupidaggini che propagano alcuni sedicenti organi d'informazione favoriscono la confusione. Un esempio? Questa favola sul fatto che la tragedia di Qana sia stata "postuma": bombardamento all'una di notte e morti alle 8 del mattino. Adesso il ministro degli esteri D'Alema (meglio tardi che mai) se ne rende conto di persona. Io sono stato tre volte a Beirut nella mia vita e pensare che una città del genere sia stata ridotta a un cumulo di macerie mi fa uscire di senno. Semplicemente perché non è giusto. Se le bombe d'Israele fossero intelligenti come dicono come giustificare oltre 1000 morti civili. Spero che qualcuno abbia il coraggio, Human Rights Watch, ad esempio, di considerare Ehud Olmert un criminale di guerra. Se queste cose fossero successe negli Usa l'esecutivo Bush avrebbe scaricato l'atomica sul paese aggressore. Qui non succede nulla. Neppure una censura diplomatica. Questa non è giustizia.

Stralci di un pezzo su D'Alema.

"Questa guerra è stata una tragedia, una tragedia per tanti civili, una tragedia politica". Massimo D'Alema, visibilmente impressionato, commenta così mentre il ministro degli Esteri libanese Fauzi Sallukh lo porta in visita alle macerie dei quartieri di Beirut sud rasi al suolo dalle bombe israeliane che cercavano di snidare gli hezbollah. "Bisogna uscire rapidamente dal clima di odio e creare le condizioni per una pace durevole" dice D'Alema, da questa mattina a Beirut. Una visita con obiettivi precisi. Prima di tutto verificare le condizioni per il rilascio dei due soldati israeliani il cui sequestro è stato la causa di tutto e per uno scambio più ampio di prigionieri.

Ma altre questioni sono sull'agenda di D'Alema. Il responsabile della Farnesina dovrà anche spendere i buoni rapporti che l'Italia ha con tutti i protagonisti della crisi per smussare angoli e trovare strade per il rapido inserimento della forza internazionale di pace nei territori dove, fino a ieri, hezbollah e israeliani si sono scannati con ferocia.

Lo confermano le parole del portavoce del ministero degli esteri egiziano (D'Alema è atteso questa sera al Cairo): "La posizione assunta dall'Italia nella crisi libanese conferma il ruolo importante che il vostro paese è chiamato a svolgere nel Mediterraneo. I colloqui verteranno principalmente sulla crisi in Libano ma noi siamo dell'idea che tutta l'attuale situazione in Medio Oriente sia da riconsiderare, così come il rilancio del processo di pace per la Palestina, se vogliamo garantire alla regione stabilità ed equilibrio".

D'Alema è arrivato con un aereo militare proveniente da Roma sbarcando all'aeroporto internazionale di Beirut ancora chiuso al traffico commerciale. Il primo incontro, quello con Salloukh si è svolto, in gran parte tra le macerie di Beirut sud. Poi, il titolare della Farnesina ha visto il portavoce del Parlamento libanese Nabih Berri, cui e' stato chiesto dagli Hezbollah di rappresentare il movimento sciita. Con Berri, D'Alema dovrà affrontare la spinosissima questione dei prigionieri. Più tardi il ministro italiano dovrà incontrare anche il Primo Ministro Fuad Siniora.

D'Alema ha già fornito le sue prime impressioni sui colloqui con Sallukh e Berri: "Sin qui mi è stato ribaditodai miei interlocutori che il governo libanese intende rispettare la risoluzione 1701 dell'Onu. Il Libano intende operare affinchè al più presto le forze armate libanesi possano muovere verso il sud del paese".

D'Alema ha brevemente commentato la sua visita alla parte sud della città. "Vedere le distruzioni della guerra in tv è diverso dal trovarsi in mezzo alle macerie dei bombardamenti. Le guerre - ha detto - purtroppo non producono nulla di buono e anche questa non ha prodotto nulla di nuovo". Lo spettacolo delle macerie, si diceva, ha scosso D'Alema: "Aver constatato di persona che cosa la guerra ha fatto in termini di distruzione e vittime ci incoraggia a lavorare per la pace. In questo l'Italia vuole essere in prima fila".

domenica, agosto 13, 2006

Sucida

Questa lunga intervista mi sembra assai esaustiva. È stata pubblicata da una rivista conservatrice seria (non quelle ridicole che abbiamo in Italia). Dopo aver letto la sacrosanta stroncatura del libro di Christian Rocca da parte di quelli della fondazione Aspen mi fa sorridere il fatto che noi, nella provincia dell'Impero ci teniamo ad essere più papisti del Papa. Una cosa che Selene mi ha fatto notare quando mi ha inviato questo pezzo è il fatto che sia stata scritto oltre un anno fa.


July 18, 2005 Issue
from The American Conservative

The Logic of Suicide Terrorism

It’s the occupation, not the fundamentalism


Last month, Scott McConnell caught up with Associate Professor Robert Pape of the University of Chicago, whose book on suicide terrorism, Dying to Win, is beginning to receive wide notice. Pape has found that the most common American perceptions about who the terrorists are and what motivates them are off by a wide margin. In his office is the world’s largest database of information about suicide terrorists, rows and rows of manila folders containing articles and biographical snippets in dozens of languages compiled by Pape and teams of graduate students, a trove of data that has been sorted and analyzed and which underscores the great need for reappraising the Bush administration’s current strategy. Below are excerpts from a conversation with the man who knows more about suicide terrorists than any other American.



The American Conservative: Your new book, Dying to Win, has a subtitle: The Logic of Suicide Terrorism. Can you just tell us generally on what the book is based, what kind of research went into it, and what your findings were?

Robert Pape: Over the past two years, I have collected the first complete database of every suicide-terrorist attack around the world from 1980 to early 2004. This research is conducted not only in English but also in native-language sources—Arabic, Hebrew, Russian, and Tamil, and others—so that we can gather information not only from newspapers but also from products from the terrorist community. The terrorists are often quite proud of what they do in their local communities, and they produce albums and all kinds of other information that can be very helpful to understand suicide-terrorist attacks.

This wealth of information creates a new picture about what is motivating suicide terrorism. Islamic fundamentalism is not as closely associated with suicide terrorism as many people think. The world leader in suicide terrorism is a group that you may not be familiar with: the Tamil Tigers in Sri Lanka.

This is a Marxist group, a completely secular group that draws from the Hindu families of the Tamil regions of the country. They invented the famous suicide vest for their suicide assassination of Rajiv Ghandi in May 1991. The Palestinians got the idea of the suicide vest from the Tamil Tigers.

TAC: So if Islamic fundamentalism is not necessarily a key variable behind these groups, what is?

RP: The central fact is that overwhelmingly suicide-terrorist attacks are not driven by religion as much as they are by a clear strategic objective: to compel modern democracies to withdraw military forces from the territory that the terrorists view as their homeland. From Lebanon to Sri Lanka to Chechnya to Kashmir to the West Bank, every major suicide-terrorist campaign—over 95 percent of all the incidents—has had as its central objective to compel a democratic state to withdraw.

TAC: That would seem to run contrary to a view that one heard during the American election campaign, put forth by people who favor Bush’s policy. That is, we need to fight the terrorists over there, so we don’t have to fight them here.

RP: Since suicide terrorism is mainly a response to foreign occupation and not Islamic fundamentalism, the use of heavy military force to transform Muslim societies over there, if you would, is only likely to increase the number of suicide terrorists coming at us.

Since 1990, the United States has stationed tens of thousands of ground troops on the Arabian Peninsula, and that is the main mobilization appeal of Osama bin Laden and al-Qaeda. People who make the argument that it is a good thing to have them attacking us over there are missing that suicide terrorism is not a supply-limited phenomenon where there are just a few hundred around the world willing to do it because they are religious fanatics. It is a demand-driven phenomenon. That is, it is driven by the presence of foreign forces on the territory that the terrorists view as their homeland. The operation in Iraq has stimulated suicide terrorism and has given suicide terrorism a new lease on life.

TAC: If we were to back up a little bit before the invasion of Iraq to what happened before 9/11, what was the nature of the agitprop that Osama bin Laden and al-Qaeda were putting out to attract people?

RP: Osama bin Laden’s speeches and sermons run 40 and 50 pages long. They begin by calling tremendous attention to the presence of tens of thousands of American combat forces on the Arabian Peninsula.

In 1996, he went on to say that there was a grand plan by the United States—that the Americans were going to use combat forces to conquer Iraq, break it into three pieces, give a piece of it to Israel so that Israel could enlarge its country, and then do the same thing to Saudi Arabia. As you can see, we are fulfilling his prediction, which is of tremendous help in his mobilization appeals.

TAC: The fact that we had troops stationed on the Arabian Peninsula was not a very live issue in American debate at all. How many Saudis and other people in the Gulf were conscious of it?

RP: We would like to think that if we could keep a low profile with our troops that it would be okay to station them in foreign countries. The truth is, we did keep a fairly low profile. We did try to keep them away from Saudi society in general, but the key issue with American troops is their actual combat power. Tens of thousands of American combat troops, married with air power, is a tremendously powerful tool.

Now, of course, today we have 150,000 troops on the Arabian Peninsula, and we are more in control of the Arabian Peninsula than ever before.

TAC: If you were to break down causal factors, how much weight would you put on a cultural rejection of the West and how much weight on the presence of American troops on Muslim territory?

RP: The evidence shows that the presence of American troops is clearly the pivotal factor driving suicide terrorism.

If Islamic fundamentalism were the pivotal factor, then we should see some of the largest Islamic fundamentalist countries in the world, like Iran, which has 70 million people—three times the population of Iraq and three times the population of Saudi Arabia—with some of the most active groups in suicide terrorism against the United States. However, there has never been an al-Qaeda suicide terrorist from Iran, and we have no evidence that there are any suicide terrorists in Iraq from Iran.

Sudan is a country of 21 million people. Its government is extremely Islamic fundamentalist. The ideology of Sudan was so congenial to Osama bin Laden that he spent three years in Sudan in the 1990s. Yet there has never been an al-Qaeda suicide terrorist from Sudan.

I have the first complete set of data on every al-Qaeda suicide terrorist from 1995 to early 2004, and they are not from some of the largest Islamic fundamentalist countries in the world. Two thirds are from the countries where the United States has stationed heavy combat troops since 1990.

Another point in this regard is Iraq itself. Before our invasion, Iraq never had a suicide-terrorist attack in its history. Never. Since our invasion, suicide terrorism has been escalating rapidly with 20 attacks in 2003, 48 in 2004, and over 50 in just the first five months of 2005. Every year that the United States has stationed 150,000 combat troops in Iraq, suicide terrorism has doubled.

TAC: So your assessment is that there are more suicide terrorists or potential suicide terrorists today than there were in March 2003?

RP: I have collected demographic data from around the world on the 462 suicide terrorists since 1980 who completed the mission, actually killed themselves. This information tells us that most are walk-in volunteers. Very few are criminals. Few are actually longtime members of a terrorist group. For most suicide terrorists, their first experience with violence is their very own suicide-terrorist attack.

There is no evidence there were any suicide-terrorist organizations lying in wait in Iraq before our invasion. What is happening is that the suicide terrorists have been produced by the invasion.

TAC: Do we know who is committing suicide terrorism in Iraq? Are they primarily Iraqis or walk-ins from other countries in the region?

RP: Our best information at the moment is that the Iraqi suicide terrorists are coming from two groups—Iraqi Sunnis and Saudis—the two populations most vulnerable to transformation by the presence of large American combat troops on the Arabian Peninsula. This is perfectly consistent with the strategic logic of suicide terrorism.

TAC: Does al-Qaeda have the capacity to launch attacks on the United States, or are they too tied down in Iraq? Or have they made a strategic decision not to attack the United States, and if so, why?

RP: Al-Qaeda appears to have made a deliberate decision not to attack the United States in the short term. We know this not only from the pattern of their attacks but because we have an actual al-Qaeda planning document found by Norwegian intelligence. The document says that al-Qaeda should not try to attack the continent of the United States in the short term but instead should focus its energies on hitting America’s allies in order to try to split the coalition.

What the document then goes on to do is analyze whether they should hit Britain, Poland, or Spain. It concludes that they should hit Spain just before the March 2004 elections because, and I am quoting almost verbatim: Spain could not withstand two, maximum three, blows before withdrawing from the coalition, and then others would fall like dominoes.

That is exactly what happened. Six months after the document was produced, al-Qaeda attacked Spain in Madrid. That caused Spain to withdraw from the coalition. Others have followed. So al-Qaeda certainly has demonstrated the capacity to attack and in fact they have done over 15 suicide-terrorist attacks since 2002, more than all the years before 9/11 combined. Al-Qaeda is not weaker now. Al-Qaeda is stronger.

TAC: What would constitute a victory in the War on Terror or at least an improvement in the American situation?

RP: For us, victory means not sacrificing any of our vital interests while also not having Americans vulnerable to suicide-terrorist attacks. In the case of the Persian Gulf, that means we should pursue a strategy that secures our interest in oil but does not encourage the rise of a new generation of suicide terrorists.

In the 1970s and the 1980s, the United States secured its interest in oil without stationing a single combat soldier on the Arabian Peninsula. Instead, we formed an alliance with Iraq and Saudi Arabia, which we can now do again. We relied on numerous aircraft carriers off the coast of the Arabian Peninsula, and naval air power now is more effective not less. We also built numerous military bases so that we could move large numbers of ground forces to the region quickly if a crisis emerged.

That strategy, called “offshore balancing,” worked splendidly against Saddam Hussein in 1990 and is again our best strategy to secure our interest in oil while preventing the rise of more suicide terrorists.

TAC: Osama bin Laden and other al-Qaeda leaders also talked about the “Crusaders-Zionist alliance,” and I wonder if that, even if we weren’t in Iraq, would not foster suicide terrorism. Even if the policy had helped bring about a Palestinian state, I don’t think that would appease the more hardcore opponents of Israel.

RP: I not only study the patterns of where suicide terrorism has occurred but also where it hasn’t occurred. Not every foreign occupation has produced suicide terrorism. Why do some and not others? Here is where religion matters, but not quite in the way most people think. In virtually every instance where an occupation has produced a suicide-terrorist campaign, there has been a religious difference between the occupier and the occupied community. That is true not only in places such as Lebanon and in Iraq today but also in Sri Lanka, where it is the Sinhala Buddhists who are having a dispute with the Hindu Tamils.

When there is a religious difference between the occupier and the occupied, that enables terrorist leaders to demonize the occupier in especially vicious ways. Now, that still requires the occupier to be there. Absent the presence of foreign troops, Osama bin Laden could make his arguments but there wouldn’t be much reality behind them. The reason that it is so difficult for us to dispute those arguments is because we really do have tens of thousands of combat soldiers sitting on the Arabian Peninsula.

TAC: Has the next generation of anti-American suicide terrorists already been created? Is it too late to wind this down, even assuming your analysis is correct and we could de-occupy Iraq?

RP: Many people worry that once a large number of suicide terrorists have acted that it is impossible to wind it down. The history of the last 20 years, however, shows the opposite. Once the occupying forces withdraw from the homeland territory of the terrorists, they often stop—and often on a dime.

In Lebanon, for instance, there were 41 suicide-terrorist attacks from 1982 to 1986, and after the U.S. withdrew its forces, France withdrew its forces, and then Israel withdrew to just that six-mile buffer zone of Lebanon, they virtually ceased. They didn’t completely stop, but there was no campaign of suicide terrorism. Once Israel withdrew from the vast bulk of Lebanese territory, the suicide terrorists did not follow Israel to Tel Aviv.

This is also the pattern of the second Intifada with the Palestinians. As Israel is at least promising to withdraw from Palestinian-controlled territory (in addition to some other factors), there has been a decline of that ferocious suicide-terrorist campaign. This is just more evidence that withdrawal of military forces really does diminish the ability of the terrorist leaders to recruit more suicide terrorists.

That doesn’t mean that the existing suicide terrorists will not want to keep going. I am not saying that Osama bin Laden would turn over a new leaf and suddenly vote for George Bush. There will be a tiny number of people who are still committed to the cause, but the real issue is not whether Osama bin Laden exists. It is whether anybody listens to him. That is what needs to come to an end for Americans to be safe from suicide terrorism.

TAC: There have been many kinds of non-Islamic suicide terrorists, but have there been Christian suicide terrorists?

RP: Not from Christian groups per se, but in Lebanon in the 1980s, of those suicide attackers, only eight were Islamic fundamentalists. Twenty-seven were Communists and Socialists. Three were Christians.

TAC: Has the IRA used suicide terrorism?

RP: The IRA did not. There were IRA members willing to commit suicide—the famous hunger strike was in 1981. What is missing in the IRA case is not the willingness to commit suicide, to kill themselves, but the lack of a suicide-terrorist attack where they try to kill others.

If you look at the pattern of violence in the IRA, almost all of the killing is front-loaded to the 1970s and then trails off rather dramatically as you get through the mid-1980s through the 1990s. There is a good reason for that, which is that the British government, starting in the mid-1980s, began to make numerous concessions to the IRA on the basis of its ordinary violence. In fact, there were secret negotiations in the 1980s, which then led to public negotiations, which then led to the Good Friday Accords. If you look at the pattern of the IRA, this is a case where they actually got virtually everything that they wanted through ordinary violence.

The purpose of a suicide-terrorist attack is not to die. It is the kill, to inflict the maximum number of casualties on the target society in order to compel that target society to put pressure on its government to change policy. If the government is already changing policy, then the whole point of suicide terrorism, at least the way it has been used for the last 25 years, doesn’t come up.

TAC: Are you aware of any different strategic decision made by al-Qaeda to change from attacking American troops or ships stationed at or near the Gulf to attacking American civilians in the United States?

RP: I wish I could say yes because that would then make the people reading this a lot more comfortable.

The fact is not only in the case of al-Qaeda, but in suicide-terrorist campaigns in general, we don’t see much evidence that suicide-terrorist groups adhere to a norm of attacking military targets in some circumstances and civilians in others.

In fact, we often see that suicide-terrorist groups routinely attack both civilian and military targets, and often the military targets are off-duty policemen who are unsuspecting. They are not really prepared for battle.

The reasons for the target selection of suicide terrorists appear to be much more based on operational rather than normative criteria. They appear to be looking for the targets where they can maximize the number of casualties.

In the case of the West Bank, for instance, there is a pattern where Hamas and Islamic Jihad use ordinary guerrilla attacks, not suicide attacks, mainly to attack settlers. They use suicide attacks to penetrate into Israel proper. Over 75 percent of all the suicide attacks in the second Intifada were against Israel proper and only 25 percent on the West Bank itself.

TAC: What do you think the chances are of a weapon of mass destruction being used in an American city?

RP: I think it depends not exclusively, but heavily, on how long our combat forces remain in the Persian Gulf. The central motive for anti-American terrorism, suicide terrorism, and catastrophic terrorism is response to foreign occupation, the presence of our troops. The longer our forces stay on the ground in the Arabian Peninsula, the greater the risk of the next 9/11, whether that is a suicide attack, a nuclear attack, or a biological attack

July 18, 2005 Issue