venerdì, novembre 04, 2005

Un presidente un po' cosi

Si lo so, anche a me piace il cazzeggio, ma quanto affermato dal presidente iraniano Ahmdainejad su Israele è talmente idiota, è talmente abominevole da meritare un post. Questo signore, che non credo conti molto in un paese dove il "corrrotto" regime degli ayatollah è riuscito perfino a far passare per rivoluzionario un personagggio insignificante come Khatami, ha un curriculum che avrebbe dovuto terminare col sole a scacchi, non con la presidenza di una nazione importante come l'Iran. Nel tentativo di superare a destra perfino bin Laden il nostro si è esibito in dichiarazioni che non fanno certo il bene dell'Iran. Questo signore però, del bene del suo paese se ne frega. Non venitemi a dire che è stato eletto in modo regolare, sappiamo come vengono controllate le elezioni in Persia. Purtroppo il regime montato da Khomeini (indovinate con l'aiuto di chi?) non avrebbe mai potuto permettere elezioni regolari. Troppi i rischi, primo fra tutti una popolazione giovane che ne ha le scatole piene di questi mafiosi pseudo religiosi che dettano il modo di vivere (ma che poi, personalmente fanno come gli pare). Il regime aveva bisogno di un pupazzo. Un pupazzo a cui far dire stupidaggini. Il paese negli ultimi anni si stava risollevando. Il giro di vite, l'ennesimo, dato dagli ayatollah ha ripiombato l'Iran nella crisi economica. La gente è arcistufa (provate a chattare con qualcuno su internet) e quindi cosa c'è di meglio di ritirar fuori un nuovo/vecchio nemico: l'occidente e il complotto sionista? (vedi foto)
- il presidente Ahmadinejad mentre si addestra con un suo simile nel ruolo di fiero difensore dell'Iran -

Chi mi legge in giro sui giornali sa come la penso. Sa chi sono i politici che non mi piacciono anche e soprattutto sul piano internazionale, ma queste stupidaggini fanno davvero cascare le braccia. Allego un paio di articoli che spiegano un paio di cose sul buon presidente iraniano enjoy, (se ci riuscite)

Iran, nuove accuse al presidente: giustiziava i detenuti
Il Giornale 2 Luglio - Di Gian Micalessin
Se Washington si lamenta, Teheran non ride. I primi a mettere in discussione l'immagine di Mahmoud Ahmadinejad, il discusso ex ufficiale dei pasdaran nuovo presidente della Repubblica Islamica, sono stati i servizi segreti del suo Paese. Prima ancora che sei ex ostaggi americani incominciassero a riconoscere il loro aguzzino i funzionari dell'intelligence iraniana avevano inviato al ministro Alì Younessi una serie di veline in cui si segnalava l'inopportunità della candidatura di Ahmadinejad. E l'informatissimo sito Baztab, controllato dal potente ex capo dei pasdaran Mohsen Rezai, da una settimana cita uno scottante dossier attribuito agli uomini del presidente uscente Khatami.
Il documento, ripreso da Baztab senza confermarlo, accusa Ahmadinejad d'aver guidato i plotoni d'esecuzione all'interno del carcere d'Evin e d'essersi guadagnato il soprannome di «terminator» per il vezzo di infliggere personalmente il colpo di grazia ai condannati a morte. Ora l'allarme dei servizi segreti iraniani e le insinuazioni messe in rete dal «rivale» conservatore Moshen Rezai sembrano trovare una sponda sul fronte internazionale.
Dopo i riconoscimenti degli ostaggi americani arrivano anche le accuse di Hossein Yazdan Panah, un rappresentante dell'opposizione curda in esilio in Irak pubblicate dal quotidiano di Praga Pravo. Secondo le dichiarazioni rese al giornale, Ahmadinejad sarebbe coinvolto nell'assassinio del leader dell'opposizione curda Abdel Rahman Ghassemlou, ucciso assieme ad altri due compagni nel luglio 1989 a Vienna. «Ahmadinejad, un comandante dei pasdaran responsabile delle operazioni contro i dissidenti all'estero, andò a Vienna - secondo Panah - per consegnare le armi provenienti dall'ambasciata iraniana al commando».
L'eliminazione di Ghassemlou, leader di una fazione sospettata di lavorare nel Kurdistan iraniano per conto del «nemico» Saddam Hussein, sarebbe stato pianificato dallo stesso Ahmadinejad ed eseguito materialmente da un secondo commando. L'oppositore, giunto a Vienna per trattative segrete con rappresentanti del governo iraniano, fu assassinato a colpi di pistola il 13 luglio '89 in un appartamento della capitale austriaca assieme al suo vice Abdullah Ghaderi-Azar e al cittadino austriaco di origine curda, Fadel Rasoul.
Il cruciale e imbarazzante ruolo svolto da Ahmadinejad emerge anche nell'allarmato rapporto «interno» indirizzato al ministro dei servizi dei sicurezza iraniani Alì Younessi. «Ahmadinejad - notava la velina - fu uno dei primi volontari ad aderire ai Comitati Islamici Rivoluzionari e a lavorare nell'ufficio del procuratore della Rivoluzione Islamica installato nel carcere di Evin mettendo in atto la prima ondata di esecuzioni dei funzionari dello scia e distinguendosi nella repressione delle forze controrivoluzionarie». Sulla base di queste rivelazioni il ministro dell'intelligence Alì Younessi, aveva consigliato al Consiglio dei Guardiani di non accettare la candidatura del neo eletto presidente. Il veto era stato scavalcato dal capo dei Guardiani, ayatollah Ahmadi Jannati, protettore e mentore di Ahmadinejad.
La vicenda degli ostaggi americani verrà intanto riproposta lunedì e martedì mattina nel documentario «Teheran 444 giorni» trasmesso su Rai Tre da «La Storia siamo noi». Tra gli intervistati del documentario anche l'ex colonnello dell'esercito Usa Charles Scott che per primo ha accusato Ahmadinejad.
«L'ho riconosciuto subito. Con noi si comportò da bastardo», ha detto Scott ricordando finte esecuzioni lunghe 20-30 minuti e violenti interrogatori. «Mi picchiarono, mi appesero per i polsi, mi sbatterono contro gli alberi tenendomi bendato. Ero legato così stretto che non riuscivo a respirare: quando non mi interrogavano, qualcuno mi assestava qualche calcio, mi rimetteva in piedi». Il ruolo di Ahmadinejad nell'interminabile detenzione viene però smentito da Abbas Abdi, Mohsen Mirdamadi e Hamid Reza Jalaeipour. I tre ex leader della Linea dell'Imam, il gruppo studentesco che organizzò l'assalto all'ambasciata americana, militano oggi nelle file dell'opposizione riformista. Il giornalista Abbas Abdi, uscito di recente dal carcere, fu il primo nel '99 a voler incontrare una delle sue vittime americane. Oggi tutti e tre negano però la presenza di Ahmadinejad all'interno dell'ambasciata.

Ahmadinejad, il vero volto del regime iraniano
di Emanuele Ottolenghi - Il Foglio
Il nuovo presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è il vero volto del regime che è stato eletto a rappresentare. La sua elezione è quindi una salutare svolta nei rapporti tra Iran e occidente: non ci sono più scuse dietro alle quali nascondersi e pretendere che con l’Iran il dialogo sia possibile. Da due anni ormai l’Iran gioca con l’Europa sulla questione delle sue ambizioni nucleari e della minaccia che esse pongono all’occidente, come il gatto gioca con il topo. L’illusione di Mohammad Khatami, un presidente “riformista” e ritenuto “moderato” lascia ora il posto alla realtà di Ahmadinejad, l’autentica espressione della rivoluzione iraniana. Ahmedinejad combina populismo e radicalismo, estremismo e nazionalismo in un colpo solo. E’ stato maldestramente caratterizzato come un laico solo perché, a differenza di chi lo precede, non emerge dal clero sciita. Ma Ahmadinejad è laico soltanto nel senso di non essere clero. Il suo zelo religioso non dovrebbe comunque lasciar dubbi.
Contrariamente ai suoi due predecessori, Khatami e Hashemi Rafsanjani, Ahmadinejad non pretende infatti di presentarsi come il volto rispettabile, modernizzatore e moderato della Repubblica islamica. Il suo pedigree non lascia spazio al dubbio. Ahmadinejad ha cominciato la sua carriera organizzando e partecipando alla presa degli ostaggi americani poco dopo la rivoluzione iraniana, nel 1979 (vedi box). Come ricorda il Wall Street Journal di martedì, il neopresidente da allora ha collezionato una lunga lista di rimarchevoli successi nel suo curriculum da estremista.
Prima come partecipante alla rivoluzione culturale che seguì inevitabilmente l’ascesa al potere del totalitarismo Khomeinista.
Poi come aguzzino, quando negli anni 80 interrogava prigionieri in un carcere noto per la tortura e poi come membro di un’unità delle guardie rivoluzionarie responsabile per operazioni all’estero: principalmente atti di terrorismo e assassinio di dissidenti. Fervente nelle sue convinzioni, lo ritroviamo impegnato a organizzare negli anni 90 quegli squadroni di vigilantes (la versione iraniana della camicia nera del ventennio) che tanto si sono prodigati a menare in piazza e a far sparire studenti durante le manifestazioni anti regime del 1999. La sua lunga militanza nella Guardia rivoluzionaria e il suo ruolo nei vigilantes gli hanno assicurato una fedele armata di convincenti propagandisti le cui persuasive argomentazioni durante le elezioni hanno di sicuro aiutato molti a scegliere “liberamente” Ahmadinejad.
I numerosi brogli riportati e la scarsa affluenza alle urne testimoniata da molti bloggers iraniani gli ha spianato la strada. L’esclusione di qualsiasi serio candidato dalle elezioni imposta dal suo protettore e confidente, il leader supremo ayatollah Ali Khamenei, ha fatto il resto. Altro che elezioni libere e via iraniana alla democrazia. Qui si tratta di una dittatura, i cui grotteschi burattinai si sentono ormai abbastanza forti da potersi permettere di mettere un estremista alla presidenza, carica largamente simbolica in materia di sicurezza e politica estera, ma comunque forte grazie alla sua visibilità.

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