lunedì, febbraio 25, 2008

Kamikaze a Bari



Giovani kamikaze per la mafia - A Bari smantellato il clan Telegrafo
Dalle intercettazioni telefoniche la prova della presenza di ragazzini pronti a fare qualsiasi cosa per difendere e valorizzare l'attività del clan.

da Repubblica.it
BARI - Un clan mafioso che disponeva di giovani 'kamikaze', cioè di killer di 20 anni pronti a fare "qualsiasi cosa" e a "sacrificarsi" per il bene dell'organizzazione è stato smantellato con 24 arresti dai carabinieri del comando provinciale nel rione san Paolo di Bari. Agli indagati, affiliati all'agguerrito clan Telegrafo, vengono contestati i reati di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione di armi ed estorsioni.

L'operazione, denominata "Manhattan", è stata eseguita all'alba con l'impiego di oltre 300 carabinieri, supportati da elicotteri ed unità cinofile. E' stata coordinata dal comandante provinciale dei carabinieri di Bari, colonnello Gianfranco Cavallo. Nel corso dell'indagine, in cui sono indagate 61 persone, sono state sequestrate nove pistole, un fucile a canne mozze, circa 900 munizioni, 700 grammi di cocaina e sette chili di hascisc.

Il clan Telegrafo è uno dei più vecchi e temuti gruppi criminali baresi. E' capeggiato - secondo l'accusa - dal quarantenne Lorenzo Valerio e dal suo luogotenente Carlo Iacobbe, di 38 anni, ed è già stato duramente colpito con 46 arresti nell'ottobre del 2003.

La presenza dei 'kamikaze' ventenni è provata anche da intercettazioni telefoniche. In una conversazione tra due indagati uno dice all'altro, parlando sottovoce e consapevole di rivelare un segreto: "Qualche giorno...ti devo portare...ti devo portare a vedere i... i kamikaze; ragazzini di 20 anni!... di 20 anni...kamikaze!... ti dico kamikaze... che non... non ci pensano".

All'inizio i militari quasi non credevano al contenuto di questo colloquio intercettato, ma la prova la raccolsero nel corso di controlli compiuti il 25 novembre del 2004 in via Riccardo Ciusa, al San Paolo. Per impedire la scoperta di una 'cupa' (un nascondiglio di armi), i vertici del clan decisero di mandare i kamikaze a sparare ai militari. L'agguato fu evitato solo perché i carabinieri avevano in corso un'attività di intercettazione e riuscirono ad anticipare per tempo le mosse del clan bloccando i responsabili di zona che non riuscirono più ad impartire i loro ordini ai kamikaze.

Dall'esame dei tre assetti del gruppo mafioso, emerge che i ruoli e le competenze sono definiti nel dettaglio. Al livello più basso, il primo, ci sono quelli che i militari chiamano i 'kamikaze', ragazzini di 20 anni pronti a fare qualsiasi cosa per difendere e valorizzare l'attività del clan. Al secondo gli addetti allo spaccio della droga e alla riscossione dei pizzo. Al terzo i responsabili di zona, addetti alla gestione dei kamikaze e dei pusher e responsabili degli introiti, a diretto contatto con Carlo Iacobbe, con compiti di gestione e direttamente dipendente dal boss detenuto, Lorenzo Valerio.

La scalata ai gradi più alti avveniva in base alla capacità di massimizzare i guadagni, all'omertà in caso di arresto e alla disponibilità nei confronti del clan, anche a costo di sacrificare gli affetti familiari. Se queste regole venivano rispettate si poteva accedere all'affiliazione di sangue, la cosiddetta 'terza', che sanciva l' ascesa dell'affiliato al vertice della gerarchia mafiosa. Il conferimento della 'terza' - secondo le indagini dei carabinieri - avveniva durante una cerimonia di affiliazione con giuramento di fedeltà al padrino, Carlo Iacobbe. Per suggellare l'evento, durante la festa, l'affiliato portava un anello con un solitario di brillante al boss. L'anello non era altro che il simbolo di un legame indissolubile, come un matrimonio. In caso di contrasti con il capo, l'anello non poteva essere più indossato a simboleggiare il momentaneo allontanamento dal clan.

Il clan, secondo i carabinieri, teneva sotto stretto controllo tutti i commercianti, gli imprenditori edili e gli ambulanti del mercato rionale del quartiere san Paolo. Tutti erano tenuti a versare il 'pizzo', che arrivava fino a 1000 euro al mese. L'importo dell'estorsione era commisurata al volume d'affari delle vittime e doveva essere corrisposta puntualmente il giorno 5 di ogni mese. Chi ritardava veniva avvicinato da esponenti dell'organizzazione e minacciato.

Anche le minacce sono state documentate - secondo le indagini dei carabinieri - da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali. Una di queste riguarda il boss Carlo Iacobbe e il suo consigliere Raffaele Caputo. Uno dice all'altro: "Che sta facendo lo scemo!... ora passiamo.. devo dirgli: '... lo lasciasti il coso... che qua il pensiero devi mettere... che qua non stiamo a giocare... te lo dovessimo far vedere...!'".

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