Pentma vuol dire pietra, ma questo blog è solo un sassolino, come ce ne sono tanti. Forse solo un po' più striato.
venerdì, dicembre 31, 2010
Berlusconi: "Sconfiggerò il cancro"
Con la speranza che il 2011 si porti via, almeno politicamente) questo buffone...
Geni da legare
Dopo quanto affermato mesi fa da Lotito, adesso il superpresidente potrebbe andarsi a prendere quel Macheda che aveva accusato il Manchester United di avergli rubato. Cosi' l'operazione è compiuta. Ormai il campionato italiano puo' essere o un posto dove mandare cavalli bolsi come Adriano, o far fare esperienza a uno come Macheda (di Roma e che ha cominciato la carriera proprio nella Lazio). C'è poco da fare, sia nella politica, che nel calcio le posizioni di comando in Italia sono nelle mani di geni.
Lotito con maglietta Lazio. Forse un salame sarebbe stato piu' indicato come sponsor.
Qui il lancio di Repubblica
Reja ha chiesto un attaccante e Lotito non si è tirato indietro. Sfumato Almeyda, il Manchester City ha offerto Santa Cruz (che accetterebbe solo una cessione a titolo definitivo) e si è sondato il Bayern per Klose, poco propenso però a lasciare la Germania. Salgono così le quotazioni di Macheda, il gioiello che il Manchester United ha deciso di cedere in prestito. Altri nomi: l'esterno sinistro brasiliano Fabio Santos, Diego Contento (Bayern Monaco), Javier Pinola (Norimberga) e Matteo Contini (Saragozza).
Qui uno dei tanti pezzi di un anno e mezzo fa
ROMA, 6 aprile - Federico Macheda segna un gol da favola all’Aston Villa nel recupero, consentendo al Manchester United di vincere e riconquistare la vetta della Premier League ai danni del Liverpool, e subito diventa l’eroe dell’Old Trafford. A Roma, però, finisce sotto accusa il presidente della Lazio Claudio Lotito, che due anni fa si è fatto strappare il gioiellino dal vivaio biancoceleste. Ma il numero uno della società capitolina non ci sta a finire sul banco degli imputati e passa al contrattacco, accusando i Red Devils di essersi a suo tempo comportati in modo immorale.
«Noi sapevamo che era un grande giocatore - si difende il presidente a Sky -. Abbiamo fatto di tutto per trattenerlo, abbiamo addirittura diffidato più volte la società inglese, lo fece allora Sabatini, per impedire quello che è accaduto. Purtroppo le normative non consentono, e questa è una cosa vergognosa, sotto i 16 anni di poter contrattualizzare i giocatori, quindi tutti i giocatori vengono scippati normalmente da questa società che, fuori da qualsiasi rispetto di codice etico, si accaparra i genitori dandogli lauti compensi, offrendogli posizioni lavorative importanti, cosa che non dovrebbe accadere perché con un ragazzo di 15 anni non è pensabile che una società dia milioni di euro ai genitori, si compri i genitori, e questo è il vero problema, e poi i genitori firmano per conto del giocatore».
Lotito sottolinea poi perché i genitori si comportano in questo modo: «Normalmente questi sono ragazzi che provengono da famiglie non sicuramente agiate che, sulla scorta dell'interesse economico, sono mosse a trovare soluzioni alternative all'estero, sperando che poi il figlio sfondi nel calcio e dia loro una stabilità anche futura. Il problema è che il sottoscritto ha interloquito con i genitori, mettendoli nella condizione di poter accettare qualsiasi offerta, ma in realtà questa scelta era stata già consumata e sottoscritta, e noi non possiamo seguire comportamenti che ritengo siano immorali perché si tratta quasi di fare il cosiddetto allevamento, invece che del bestiame, dei giovani attraverso compensi. Questo non può accadere perché il calcio è uno sport che deve basarsi sui valori autentici del rispetto delle regole, dei valori fondanti che sono i valori olimpici. Non è pensabile che un ragazzo di 15 anni venga comprato come se fosse il mercato delle vacche, tanto per essere molto chiari».
giovedì, dicembre 30, 2010
Stavolta Travaglio è stato beccato
RAVAGLIO E L'NTERVISTA ALL'AMICO TONINO
Da "Il Riformista"
DI PIETRO SUL FATTO DEL 29 DICEMBREDa "Il Riformista"
Come un'ambulanza del 118, come un nucleo di interposizione Onu, come una pattuglia di pompieri che transenna l'edificio a rischio crollo, Marco Travaglio è sceso in campo sul "Fatto" per aiutare Tonino Di Pietro, vittima del fuoco amico di Luigi De Magistris e Paolo Flores d'Arcais dopo i casi Razzi e Scilipoti. Travaglio stima molto Di Pietro, l'unico politico al quale non ha mai riservato una critica, un buffetto, un rimbrottino, nemmeno quando la cronaca offriva ampio materiale. Ma stavolta il vicedirettore del "Fatto" è proprio incalzante, inflessibile, quasi cattivo.
L'intervista parte subito sul tema chiave, i problemi dell'Idv in Piemonte, al centro di numerosi editoriali anche sulla stampa internazionale. La domanda è aggressiva: «Com'è questa storia del Piemonte?».
Sulla querelle con De Magistris il quesito è veramente scomodo: «Lei ha fatto intendere che De Magistris vuole il suo posto». Dopo un piccolo cedimento («Per un riciclato che respingete ne imbarcate cento»), Travaglio riassume subito il volto inflessibile del Torquemada. A un certo punto dell'intervista ci scappa pure uno spietato «si spieghi meglio».
A Di Pietro non è concesso nulla, nemmeno di sbagliare un proverbio. Quando l'ex pm dice che è «facile cercare il capello nell'uovo e mai la trave che si ficca nell'occhio...», la replica di Travaglio è da giornalista killer: «Il detto non è proprio quello ma rende bene l'idea».
DI PIETRO SUL CORRIERE DELL'8 DICEMBREPoi l'implacabile tortura arriva al dunque: i casi Razzi e Scilipoti. Dice Di Pietro per giustificarsi: «Sono andati via perché non gli ho garantito la rielezione». Ma qui a Travaglio succede un incidente. Lui avrebbe proprio voluto ricordare a Tonino l'intervista rilasciata dal leader dell'Italia dei valori al Corriere della sera l'8 dicembre, quando ancora i «Giuda» non avevano saltato il fosso: «Sono orgoglioso di aver portato in Parlamento un operaio come Razzi e lo ricandiderò».
Oh quanto Travaglio avrebbe voluto contestargliela! Però aveva perso la carpetta con le "carte", quelle da cui non si separa mai. Le "carte". I fatti. Travaglio è così: se non ha con sé le "carte" non scrive. E non domanda.
Fonti varie piu' dagospia
Spinoza again....
Mariastalla
La riforma Gelmini è legge. Il che mi fa sperare che non venga mai rispettata.
(La riforma Gelmini è legge. Eppure ammetterà molta ignoranza)
I senatori della Lega insultano la Finocchiaro. Aveva oltrepassato la striscia di piscio.
Insulti leghisti alla Finocchiaro, Gasparri si scusa. A nome di tutta la specie.
* * *
Per molti studenti la riforma nasconde dei tagli devastanti all’istruzione. Nasconde?I Verdi propongono già una raccolta firme. Saranno contenti gli alberi.
Secondo l’opposizione ci sarebbero contraddizioni nella riforma del ministro Gelmini. Per esempio, tra ministro e Gelmini.
La riforma introduce i ricercatori a tempo: dopo sei anni esplodono.
Al massimo due contratti consecutivi di tre anni ciascuno. Ma basta arrivare a metà del primo e avranno pensione a vita. Ah, no, scusate.
Saranno gli studenti a valutare i professori. Un passo importante verso i delinquenti che giudicano i giudici.
Le risorse saranno assegnate agli atenei in base alla qualità della didattica e della ricerca. Se è buona, vuol dire che si può tagliare ancora un po’.
I bilanci dovranno rispondere a criteri di trasparenza. Una ferma risposta a chi accusa il governo di trattare le università come le aziende.
Nelle commissioni dei concorsi potranno esserci anche membri stranieri. Tipo gli osservatori Onu.
* * *
Maurizio Gasparri invoca un altro sette aprile. Io un altro Venticinque.Gasparri sulle proteste studentesche: “Servono arresti preventivi”. Panico negli asili.
(“Arresti preventivi”. E poi come governereste?)
Gasparri ai genitori: “Tenere a casa i vostri figli”. Che vigliacco, Padoa-Schioppa è ancora caldo.
Secondo La Russa, il pensiero di Gasparri è stato frainteso. Era peggio.
* * *
Ricercatori e precari per le strade e nelle piazze. Come previsto dalla riforma.Migliaia di giovani in piazza a Roma: si è parlato così tanto di ordine pubblico che non ho capito nemmeno di chi era il concerto.
“Auspico che la città non venga violentata” aveva dichiarato la Polverini, pronta al sacrificio.
Alemanno: “Il centro di Roma non si tocca”. L’ha già promesso al cugino.
La Gelmini ai manifestanti: “Milioni di studenti sono a casa a studiare”. Ne approfittano finché possono.
Gli studenti hanno manifestato distribuendo fiori ai poliziotti. Speravano nelle allergie.
I commercianti preoccupati per le manifestazioni. Con tutte quelle forze dell’ordine in giro, dovranno fare gli scontrini.
In molte città gli studenti prendono d’assalto le librerie Mondadori. Questa Saviano non gliela perdona.
Lanciata farina contro la sede Mediolanum. Per attirare l’attenzione del management.
Proteste anche a Isernia, a conferma del fatto che la contestazione assume contorni sempre più fantasiosi.
Cinque studenti in sciopero della fame. Ma i veri impavidi mangiano in mensa.
La violenta contestazione degli studenti finisce al Quirinale. Volevano a tutti i costi il morto.
* * *
La leghista Rosy Mauro perde le staffe. È stato quando le hanno detto che è di Brindisi.* * *
autori: van deer gaz, milingopapa, benze, venividiwc, misterdonnie, cityman, giuseps, il ras, hummer, santaroba, faberbros, smilzoide, mrbits e fdecollibus.Mozione di sfiducia: 314 “No” e 311 “Oh, cazzo”.
(Berlusconi è sceso così in basso che è riuscito a non cadere)
Il governo resiste per tre voti. Ora ci attende una nuova era di benessere.
Berlusconi ottiene la fiducia con 314 voti. Voi invece come spenderete la vostra tredicesima?
(Messaggio a tutte le minorenni: in questi giorni non uscite assolutamente. In qualche modo vorrà sicuramente festeggiare)
Dubbi fino all’ultimo sulle tre deputate partorienti. Ancora non si sa quale dei tre sia l’Anticristo.
Il premier era partito guadagnandosi la fiducia dei senatori. La base di tutte le truffe agli anziani.
(Questo voto di fiducia è stato talmente sconcio che i diplomatici americani riferiranno direttamente a Wikileaks)
Il Pd si presenta al gran completo e vota in modo compatto. Certe volte non li capisco proprio quelli lì.
Berlusconi aveva invitato i finiani a non rompere l’unità dei moderati. Che graziosa metafora!
(Il premier sperava di fare un patto coi moderati. Ma quelli all’inferno ci credono)
Di Pietro prende la parola e Berlusconi lascia l’aula. Voleva che il suo voto rimanesse una sorpresa.
Il premier: “Sono il leader più amato in Europa”. E vattene lì.
L’opposizione: “È una vittoria di Pirro”. Gasparri: “No no, di Berlusconi”.
Rutelli: “La giornata di oggi sancisce la nascita del terzo polo”. Guarda, anche noi l’abbiamo interpretata così.
Dopo il voto Berlusconi va da Napolitano. A versare la caparra.
Roma a ferro e fuoco. Berlusconi ottiene la fiducia, ma per errore lancia lo stesso il piano B.
Emilio Fede: “Roma invasa da criminali ben pagati”. Esagerato, erano solo 314.
(Il cesarismo, il regime fascista, i moti rivoluzionari, il ’68. Con la riforma Gelmini la storia si studia in piazza!)
Decine di macchine incendiate nel centro della città. Erano tutte della Polidori.
“Danni senza precedenti all’immagine della capitale” ha detto Alemanno riassumendo il suo mandato.
Berlusconi: “Il paese non ha bisogno di personalismi. Lasciate fare a me”.
Da Vespa il plastico di Montecitorio. Si potrà analizzare la traiettoria delle mazzette.
Dopo la fiducia, il premier pranza con Napolitano. È bello, nei giorni di festa, sedersi a tavola con la servitù.
“Sono fiero dei miei deputati” ha dichiarato Casini, tastandoseli.
Delusione delle deputate in dolce attesa presenti in aula. Berlusconi per ora non intende reincarnarsi.
Letame a palazzo Grazioli. La maggioranza si ricompatta.
Calderoli: “Il governo mangerà il panettone, ma non la colomba”. E che cazzo l’avete comprata a fare?
“L’unica igiene è il voto” ha detto Bossi, chiedendo con urgenza una scheda.
“Elezioni? Meglio risparmiare quei soldi e darli agli italiani” ha dichiarato Scilipoti, nella sua veste di rappresentante degli italiani.
(Poco prima Scilipoti aveva confessato la sua indecisione a Veltroni. Voleva far colpo su di lui)
Scilipoti: “Annozero ha importunato mia madre”. Però anche lei, andare in giro in quel modo.
Gasparri alza il dito medio verso Fini. Se lo era segnato col pennarello.
Bersani: “Non cambia nulla”. È questo il problema, fagiano!
* * *
Autori: benze, maelstream, maipiki, serena gandhi, venividiwc, j. alfred, frandiben, francesco cocco, mancuerda, misterdonnie, stark, archi il leone, giddah, kaspo, il ras, aileen d. e bigshotpaul.Il "collega"
Alcune persone vanno trattate con il disprezzo che meritano. Se uno pubblica una notizia e ammette di non averla completamente verificata in Francia, Germania o UK non scriverebbe piu' una riga. In Italia, e forse in Nigeria, viene costantemente invitato a trasmissioni, scrive libri, dirige un giornale che va male, ma che prende una caterva di finanziamenti pubblici erogati a un fantomatico movimento che sostiene l'idea di Monarchia.
Su Belpietro iniziano a girare strane storie
Segnatevi questa data: 27 dicembre 2010. E questo scampolo di prosa: “Girano strane storie a proposito di Fini. Non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni oppure, peggio, di trappole per trarci in inganno. Se ho deciso di riferirle è perché alcune persone di cui ho accertato identità e professione si sono rivolte a me assicurandomi la veridicità di quanto raccontato… Toccherà quindi ad altri accertare i fatti… Vero? Falso? Non lo so. Chi mi ha spifferato il piano non pareva matto…in cambio dell’informazione non mi ha chiesto nulla… Mitomane? Ricattatrice? Altro? Boh! Perché mi sono deciso a scrivere delle due vicende? Perché se sono vere c’è di che preoccuparsi… Se invece è tutto falso, c’è da domandarsi perché le storie spuntano proprio ora”.
L’autore Maurizio Belpietro, direttore di un giornale (si fa per dire: è Libero), inaugura una nuova frontiera: le notizie separate dai fatti, la cronaca medianica, l’informazione a cazzo, il giornalismo del boh?. Funziona alla grande: tre inchieste in altrettante procure, titoloni su tutti i tg e giornali (addirittura l’apertura su Repubblica: “Finto attentato a Fini, è scontro”), Belpietro tutto giulivo:“Ho fatto uno scoop, non potevo andare dal magistrato sennò mi leggevo la notizia su qualche altro giornale. Ma ho fatto un piacere a Fini, dovrebbe ringraziarmi”. Anche noi, nel nostro piccolo, vogliamo fare uno scoop e un piacere a Belpietro. Pertanto abbiamo deciso di pubblicare le strane storie che girano sul suo conto.
Un’anziana reduce da una seduta spiritica ci ha raccontato che, consultando l’anima di un defunto di cui non ha ben capito il nome, ha appreso che Belpietro avrebbe da anni una relazione con un opossum, non si sa se maschio o femmina, ma più carino di lui. Vero? Falso? Boh. Riportiamo la notizia perché l’anonimo poltergeist non ha chiesto soldi in cambio delle sue rivelazioni e perché vogliamo fare un piacere a Belpietro.
Un uomo incappucciato con un tanga, ma con impercettibile inflessione norvegese, ci ha consegnato un dossier fotografico che ritrae Belpietro travestito da talebano e intento a ricevere alcuni bazooka da Osama Bin Laden in una grotta del Pakistan. Mitomane? Ricattatore? Altro? Mah! Avremmo potuto verificare la notizia, ma non volevamo leggerla su qualche altro giornale. Meglio darla subito, poi Belpietro ci ringrazierà con comodo.
Una signora di mezza età che indossava una pelle di giraffa e portava in testa un cotechino con lenticchie, ma non pareva affatto matta, ci ha riferito di avere le prove che i delitti di Cogne, Erba, Garlasco, Perugia, Avetrana e via Gradoli sarebbero opera del noto serial killer Belpietro, socio occulto di Bruno Vespa che poi fanno a mezzo con i fornitori di plastici. Se lo scriviamo è perché, se è vero, c’è di che preoccuparsi; se invece è falso, c’è da domandarsi perché questa storia spunta proprio ora.
Un licantropo travestito da Ciccio di Nonna Papera che parla soltanto il babilonese antico ci ha svelato, se abbiamo capito bene, che Belpietro sarebbe solito spalancare l’impermeabile nei giardinetti degli asili nido e sgranocchiare alcuni bambini con tanto di grembiulino per vincere i morsi della fame. Lo scriviamo per il bene di Belpietro, nella speranza che ci ringrazi.
Un sedicente caposcorta ci ha confidato che qualche mese fa si inventò di avere sventato un attentato a un giornalista e poi, per renderlo più credibile, esplose alcuni colpi di pistola riuscendo a centrare, in mancanza dell’attentatore, il soffitto, il mancorrente della scala e un battiscopa; dopodiché il giornalista andò in tournée in tutte le tv ad accusare la sinistra “partito dell’odio”; poi, quando la patacca stava per essere smascherata, accusò Fini di essersi organizzato un falso attentato per dare la colpa a Berlusconi. La notizia, diversamente dalle altre, ci pare talmente incredibile che abbiamo esitato fino all’ultimo a pubblicarla. Se ne diamo conto, è solo perché pare che sia vera.
Il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2010
L’autore Maurizio Belpietro, direttore di un giornale (si fa per dire: è Libero), inaugura una nuova frontiera: le notizie separate dai fatti, la cronaca medianica, l’informazione a cazzo, il giornalismo del boh?. Funziona alla grande: tre inchieste in altrettante procure, titoloni su tutti i tg e giornali (addirittura l’apertura su Repubblica: “Finto attentato a Fini, è scontro”), Belpietro tutto giulivo:“Ho fatto uno scoop, non potevo andare dal magistrato sennò mi leggevo la notizia su qualche altro giornale. Ma ho fatto un piacere a Fini, dovrebbe ringraziarmi”. Anche noi, nel nostro piccolo, vogliamo fare uno scoop e un piacere a Belpietro. Pertanto abbiamo deciso di pubblicare le strane storie che girano sul suo conto.
Un’anziana reduce da una seduta spiritica ci ha raccontato che, consultando l’anima di un defunto di cui non ha ben capito il nome, ha appreso che Belpietro avrebbe da anni una relazione con un opossum, non si sa se maschio o femmina, ma più carino di lui. Vero? Falso? Boh. Riportiamo la notizia perché l’anonimo poltergeist non ha chiesto soldi in cambio delle sue rivelazioni e perché vogliamo fare un piacere a Belpietro.
Un uomo incappucciato con un tanga, ma con impercettibile inflessione norvegese, ci ha consegnato un dossier fotografico che ritrae Belpietro travestito da talebano e intento a ricevere alcuni bazooka da Osama Bin Laden in una grotta del Pakistan. Mitomane? Ricattatore? Altro? Mah! Avremmo potuto verificare la notizia, ma non volevamo leggerla su qualche altro giornale. Meglio darla subito, poi Belpietro ci ringrazierà con comodo.
Una signora di mezza età che indossava una pelle di giraffa e portava in testa un cotechino con lenticchie, ma non pareva affatto matta, ci ha riferito di avere le prove che i delitti di Cogne, Erba, Garlasco, Perugia, Avetrana e via Gradoli sarebbero opera del noto serial killer Belpietro, socio occulto di Bruno Vespa che poi fanno a mezzo con i fornitori di plastici. Se lo scriviamo è perché, se è vero, c’è di che preoccuparsi; se invece è falso, c’è da domandarsi perché questa storia spunta proprio ora.
Un licantropo travestito da Ciccio di Nonna Papera che parla soltanto il babilonese antico ci ha svelato, se abbiamo capito bene, che Belpietro sarebbe solito spalancare l’impermeabile nei giardinetti degli asili nido e sgranocchiare alcuni bambini con tanto di grembiulino per vincere i morsi della fame. Lo scriviamo per il bene di Belpietro, nella speranza che ci ringrazi.
Un sedicente caposcorta ci ha confidato che qualche mese fa si inventò di avere sventato un attentato a un giornalista e poi, per renderlo più credibile, esplose alcuni colpi di pistola riuscendo a centrare, in mancanza dell’attentatore, il soffitto, il mancorrente della scala e un battiscopa; dopodiché il giornalista andò in tournée in tutte le tv ad accusare la sinistra “partito dell’odio”; poi, quando la patacca stava per essere smascherata, accusò Fini di essersi organizzato un falso attentato per dare la colpa a Berlusconi. La notizia, diversamente dalle altre, ci pare talmente incredibile che abbiamo esitato fino all’ultimo a pubblicarla. Se ne diamo conto, è solo perché pare che sia vera.
Il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2010
Ultime dall'infartuato ministro
L'infartuato ministro, Umberto Bossi, che almeno per motivi fisici non ricoprirebbe mai quel ruolo in una democrazia compiuta, si affida a Radio Padania (pagata con contributi pubblici) per spargere il suo verbo dopo l'idiota attentato contro la sede del partito a Gemonio. Peccato che questo signore, che non va in galera perché sono stati depenalizzati alcuni reati come banda armata (le guardie padane), vilipendio al tricolore (mi ci pulisco il culo) e perché il parlamento impedisce regolarmente l'arresto, peccato dicevo, che questo signore parli a piu' riprese di baionette, pogrom (andremo a prendere quelli di AN casa per casa), rappresaglie. Peccato anche che, nella stessa inesistente Padania, non siano gli stessi elettori leghisti a prenderlo a uova marce quando si permette di ricomparire in territori che con la sua politica "romana" ha ampiamente tradito.
Fonte la Repubblica
Gemonio, filmato l'attacco alla sede della Lega
L'episodio nella notte a poche centinaia di metri dalla casa del senatùr, in passato due precedenti.
Fonte la Repubblica
Gemonio, filmato l'attacco alla sede della Lega
Bossi: "La palude romana lancia i suoi segnali"
L'episodio nella notte a poche centinaia di metri dalla casa del senatùr, in passato due precedenti.
Il ministro dell'interno sottolinea che il Carroccio non si lascerà intimidire e parla di pista precisa
Gemonio, la casa di Umberto Bossi a pochi metri dalla sede della Lega
VARESE - Un'esplosione nella notte ha provocato danni alla sede della Lega Nord a Gemonio, in provincia di Varese. La stampa locale ha inizialmente parlato di "due ordigni" la cui deflgrazione ha provocato danni al portone e ai vetri delle finestre. Successivamente si è appreso che si è trattato di due bombe carta che hanno mandato in frantumi due vetrine. Non ci sarebbero stati altri danni, oltre alla rottura dei vetri. I residenti hanno avvertito l'esplosione durante la notte, e hanno allertato le forze dell'ordine.
Sul muro la scritta con vernice spray "Antifa secondo atto" rivendica l'azione di membri dell'area anarchica vicino ai centri sociali, spiegano gli investigatori. La telecamera posta un mese fa sulla finestra di un cittadino dai carabinieri proprio per sorvegliare la sede del Carroccio, avrebbe ripreso tutta la sequenza dell'attacco e il filmato al vaglio degli inquirenti mostrerebbe due uomini con felpa e bomber e con un cappuccio in testa che accendono la miccia dei due ordigni artigianali. I due successivamente fanno un sopralluogo per verificare i danni provocati.
Umberto Bossi, affida alla "Padania" il suo commento. Il leader del Carroccio parla di "palude romana che vuole impedire che il Paese cambi e, per farlo, si affida al terrorismo che manda precisi segnali". Il senatur aggiunge che ci sono precise responsabilità dietro alla degenerazioni del clima politico che hanno portato all'attentato di Gemonio. E che queste responsabilità sono proprio da cercare in quella palude.
Tra i responsabili, anche involontari, di quanto accaduto, Bossi nell'intervista cita "anche chi non ha voluto mandare il Paese alle elezioni. Se fossimo andati alle urne, come suggerivo, tutto questo non sarebbe successo". Ora "c'è ancora chi si illude di cambiare le cose con la violenza. Vogliono spaventarci" conclude il senatur, che rilancia invitando a "chiudere la partita del federalismo fiscale. E poi fare chiarezza".
Le altre reazioni politiche all'atto intimidatorio. Il ministro dell'interno Maroni parla di un gesto vigliacco che non intimidisce il Carroccio e aggiunge che gli investigatori seguono una pista precisa e che "Questo episodio è un attacco contro la democrazia, non contro un partito ed è vivo il rischio nel Paese che questi fatti si trasformino in fatti ancora più gravi. Il pericolo non è da sottovalutare, sono situazioni molto seriie e non più tollerabili, frutto dell'intolleranza di chi si nasconde dietro l'ombra dell'anonimato"
Anche altri esponenti della Lega prendono la parola. Davide Boni, presidente del consiglio regionale lombardo parla di "gentaglia" e aggiunge: "'Non saranno certo le intimidazioni di quattro teppisti o scavezzacollo - ha aggiunto - a fermare quelle riforme di modello dello Stato che la Lega Nord sta conseguendo. Non saranno le bravate di quattro soggetti allergici al lavoro e a tutto ciò che possa essere ascrivibile al sacrificio o al lavoro a fermare il nostro movimento".
''Ad Umberto Bossi e a tutti gli amici della Lega del Varesotto e di Gemonio esprimo un forte e sincero sentimento di vicinanza e solidarieta'. - questa la prima dichiarazione del presidente della regione Veneto, Zaia - Non credano, i delinquenti autori di questa violenza, di poter intimorire chicchessia e tanto meno di poter interferire in questo modo barbaro nel cammino democratico delle riforme che si stanno portando avanti nel nome dei cittadini''. "L'attacco alla sede di Gemonio è un vile atto intimidatorio ma la lega è fortissima" questo il commento del governatore del Piemonte, Roberto Cota. Solidarietà a Bossi e alla Lega anche da una nota del governatore della Lombardia Roberto Formigoni.
Lancia l'allarme il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri: "Registro con preoccupazione la
irresponsabile sottovalutazione da parte degli organi di informazione e da parte della magistratura per l'allarme che ho lanciato nei giorni scorsi. Altri, in altri tempi, sottovalutando quanto avveniva intorno a loro, contribuirono al consolidarsi del terrorismo. Non si ripeta lo stesso errore. Alzare la guardia è un dovere a tutela della libertà".
Solidarietà alla Lega anche dalle opposizioni, mentre in un comunicato ufficiale di Palazzo Madama si legge che: "Appresa la notizia dell'atto inqualificabile compiuto ai danni della sede della Lega Nord a Gemonio, il presidente del Senato, Renato Schifani, esprime sincera solidarietà alla Lega e una decisa condanna dell'accaduto, auspicando che vengano presto individuati i responsabili del gesto".
Il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, appresa la notizia dell'atto intimidatorio contro la sede della Lega Nord di Gemonio, ha diffuso una nota per condannare con fermezza il vile gesto e ha espresso la solidarietà sua personale e della Camera dei deputati agli esponenti della Lega.
Solidarietà alla Lega e al ministro Bossi per il vile atto intimidatorio di cui è stata fatta oggetto la loro sede storica di Gemonio, arriva anche dal presidente della Regione Lazio Polverini che parla di: "Un inaccettabile gesto di violenza che va condannato con fermezza".
Solidarietà alla Lega Nord è arrivata dal Pd dopo l'attentato alla sede del Carroccio di Gemonio. Il segretario lombardo del Partito Democratico, Maurizio Martina, ha definito l'attacco "un vile atto intimidatorio". "Segnali violenti come questi - ha detto - sono da condannare senza se e senza ma. Per questo mi auguro che vengano presto identificati i responsabili di questa azione".
Sul muro la scritta con vernice spray "Antifa secondo atto" rivendica l'azione di membri dell'area anarchica vicino ai centri sociali, spiegano gli investigatori. La telecamera posta un mese fa sulla finestra di un cittadino dai carabinieri proprio per sorvegliare la sede del Carroccio, avrebbe ripreso tutta la sequenza dell'attacco e il filmato al vaglio degli inquirenti mostrerebbe due uomini con felpa e bomber e con un cappuccio in testa che accendono la miccia dei due ordigni artigianali. I due successivamente fanno un sopralluogo per verificare i danni provocati.
Umberto Bossi, affida alla "Padania" il suo commento. Il leader del Carroccio parla di "palude romana che vuole impedire che il Paese cambi e, per farlo, si affida al terrorismo che manda precisi segnali". Il senatur aggiunge che ci sono precise responsabilità dietro alla degenerazioni del clima politico che hanno portato all'attentato di Gemonio. E che queste responsabilità sono proprio da cercare in quella palude.
Tra i responsabili, anche involontari, di quanto accaduto, Bossi nell'intervista cita "anche chi non ha voluto mandare il Paese alle elezioni. Se fossimo andati alle urne, come suggerivo, tutto questo non sarebbe successo". Ora "c'è ancora chi si illude di cambiare le cose con la violenza. Vogliono spaventarci" conclude il senatur, che rilancia invitando a "chiudere la partita del federalismo fiscale. E poi fare chiarezza".
Le altre reazioni politiche all'atto intimidatorio. Il ministro dell'interno Maroni parla di un gesto vigliacco che non intimidisce il Carroccio e aggiunge che gli investigatori seguono una pista precisa e che "Questo episodio è un attacco contro la democrazia, non contro un partito ed è vivo il rischio nel Paese che questi fatti si trasformino in fatti ancora più gravi. Il pericolo non è da sottovalutare, sono situazioni molto seriie e non più tollerabili, frutto dell'intolleranza di chi si nasconde dietro l'ombra dell'anonimato"
Anche altri esponenti della Lega prendono la parola. Davide Boni, presidente del consiglio regionale lombardo parla di "gentaglia" e aggiunge: "'Non saranno certo le intimidazioni di quattro teppisti o scavezzacollo - ha aggiunto - a fermare quelle riforme di modello dello Stato che la Lega Nord sta conseguendo. Non saranno le bravate di quattro soggetti allergici al lavoro e a tutto ciò che possa essere ascrivibile al sacrificio o al lavoro a fermare il nostro movimento".
''Ad Umberto Bossi e a tutti gli amici della Lega del Varesotto e di Gemonio esprimo un forte e sincero sentimento di vicinanza e solidarieta'. - questa la prima dichiarazione del presidente della regione Veneto, Zaia - Non credano, i delinquenti autori di questa violenza, di poter intimorire chicchessia e tanto meno di poter interferire in questo modo barbaro nel cammino democratico delle riforme che si stanno portando avanti nel nome dei cittadini''. "L'attacco alla sede di Gemonio è un vile atto intimidatorio ma la lega è fortissima" questo il commento del governatore del Piemonte, Roberto Cota. Solidarietà a Bossi e alla Lega anche da una nota del governatore della Lombardia Roberto Formigoni.
Lancia l'allarme il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri: "Registro con preoccupazione la
irresponsabile sottovalutazione da parte degli organi di informazione e da parte della magistratura per l'allarme che ho lanciato nei giorni scorsi. Altri, in altri tempi, sottovalutando quanto avveniva intorno a loro, contribuirono al consolidarsi del terrorismo. Non si ripeta lo stesso errore. Alzare la guardia è un dovere a tutela della libertà".
Solidarietà alla Lega anche dalle opposizioni, mentre in un comunicato ufficiale di Palazzo Madama si legge che: "Appresa la notizia dell'atto inqualificabile compiuto ai danni della sede della Lega Nord a Gemonio, il presidente del Senato, Renato Schifani, esprime sincera solidarietà alla Lega e una decisa condanna dell'accaduto, auspicando che vengano presto individuati i responsabili del gesto".
Il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, appresa la notizia dell'atto intimidatorio contro la sede della Lega Nord di Gemonio, ha diffuso una nota per condannare con fermezza il vile gesto e ha espresso la solidarietà sua personale e della Camera dei deputati agli esponenti della Lega.
Solidarietà alla Lega e al ministro Bossi per il vile atto intimidatorio di cui è stata fatta oggetto la loro sede storica di Gemonio, arriva anche dal presidente della Regione Lazio Polverini che parla di: "Un inaccettabile gesto di violenza che va condannato con fermezza".
Solidarietà alla Lega Nord è arrivata dal Pd dopo l'attentato alla sede del Carroccio di Gemonio. Il segretario lombardo del Partito Democratico, Maurizio Martina, ha definito l'attacco "un vile atto intimidatorio". "Segnali violenti come questi - ha detto - sono da condannare senza se e senza ma. Per questo mi auguro che vengano presto identificati i responsabili di questa azione".
mercoledì, dicembre 29, 2010
martedì, dicembre 28, 2010
Come volevasi dimostrare, l'attentato a Belpietro era una balla.
Luca Fazzo per "Il Giornale"
Ovvero: che nessuno abbia cercato di fare la pelle al giornalista. Che sulle scale del palazzo non ci fosse nessun altro, se non il capo della squadra di poliziotti che vigila sulla sicurezza di Belpietro. E che tutto quanto accaduto- gli spari, l'allarme, eccetera - sia stato frutto, nella migliore delle ipotesi, di un errore di valutazione da parte dell'agente.Tra un po' saranno passati tre mesi. E Ferdinando Pomarici e Grazia Pradella, i pubblici ministeri che dal 4 ottobre indagano su quanto accadde quella sera nella casa milanese di Maurizio Belpietro, ormai si sono fatti un'idea abbastanza precisa. La conclusione cui i due pm sarebbero giunti (il condizionale è d'obbligo, visto il riserbo che fin dall'inizio circonda le indagini) pone i magistrati in una situazione per alcuni aspetti lievemente imbarazzante. Compiute tutte le verifiche, eseguiti tutti gli esperimenti, valutate tutte le testimonianze, gli inquirenti sarebbero infatti arrivati a convincersi che in via Monte di Pietà, nel palazzo dove abita il direttore di Libero , quella sera non sia accaduto in realtà assolutamente nulla.
Da dove nasce l'imbarazzo della Procura è presto detto. I pm vogliono evitare a tutti i costi che una simile conclusione costituisca dal punto di vista mediatico un boomerang per il giornalista. Come è giusto che sia, l'allarme seguito all'episodio ha portato a Belpietro una quantità di manifestazioni di solidarietà. E se l'affare si sgonfia, i magistrati vogliono impedire che sia Belpietro ad apparire in qualche modo corresponsabile della faccenda. Inizialmente, la versione dei fatti fornita dall'uomo è stata accolta senza tentennamenti: Belpietro che viene accompagnato fin sulla soglia del suo appartamento, poi entra in casa, il ca poscorta che scende lungo le scale e s'imbatte in uno sconosciuto armato di pistola che gli punta contro l'arma e tira il grilletto.Mentre invece - e questo l'inchiestalo ha confermato senza ombra di dubbio - il direttore di Libero ha percepito i fatti come se il pericolo fosse assolutamente reale. Belpietro non aveva alcun motivo per dubitare del racconto di Alessandro N., il poliziotto. Tant'è vero che si è spaventato molto. Se una «montatura» c'è stata, dunque, Belpietro ne è stato una vittima. È questo il messaggio che la Procura vuole che sia chiaro, il giorno in cui l'esito dell'indagine verrà reso ufficialmente noto. Assai diverse le valutazioni che andranno fatte sulla posizione del poliziotto.
«Aveva un'automatica, forse una calibro 9, ma il colpo non è partito. A quel punto ho estratto l'arma di ordinanza e ho fatto fuoco», diceva la testimonianza raccolta subito dopo i fatti. Ma, strada facendo, l'inchiesta si sarebbe imbattuta in inverosimiglianze e incongruenze, innescate dal primo dato oggettivo: l'assenza, nei filmati delle numerose telecamere di sorveglianza presenti nella zona, di qualunque immagine riconducibile all'identikit dell'attentatore.
In teoria, se ora dovesse emergere che l'agente si è inventato tutto, gli andrebbero contestati diversi reati: procurato allarme, spari in luogo pubblico, simulazione di reato. Ma l'orientamento della Procura sarebbe, nei limiti del possibile, di non infierire su Alessandro. L'agente (già protagonista all'epoca di Mani Pulite di un agguato rimasto senza riscontri, quello al procuratore aggiunto di Milano Gerardo D'Ambrosio) potrebbe avere agito comunque in buona fede, sotto il peso di uno stress eccessivo. Proprio questo stato di stress avrebbe, d'altronde, convinto i vertici della questura ad allontanarlo dalla sezione Scorte e destinarlo ad un altro servizio.
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lunedì, dicembre 27, 2010
Il Mose, la boiata del secolo
Il MOSE credo si possa criticare perfino in paese mafioso come l'Italia (addirittura c'è chi lo considera un'ignobile truffa fatta con connivenze a destra e a sinistra). Un pezzo dall'espressonline
Il morbo infuria, il pan ci manca e lo Stato assegna altri 1.225 milioni di euro al Mose, il sistema modulare di dighe mobili che dovrebbe salvare Venezia dall'acqua alta. Il conto, la cuenta, l'addition, the bill, arriva a 5.496 milioni complessivi. Soldi veri, contanti e abbondanti in tempo di carestia generale. Accade il 18 novembre, nel disinteresse nazionale. A mala pena un vicesindaco, Sandro Simionato, fa notare come il Comune aspetti da due anni i 42 milioni di euro promessi da Gianni Letta al sindaco di allora Massimo Cacciari.
Contro ogni buonsenso, lo tsunami di denaro deliberato dal Cipe il 18 novembre non bagnerà le casse municipali. Per tenerle asciutte c'è il Modulo Tremonti, che non lascia filtrare liquidi verso gli enti locali. L'onda benefica colpirà soltanto il Consorzio Venezia Nuova (Cvn), interamente privato. Il Consorzio è il potere a Venezia. Ed è il potere in Veneto. Prende i soldi pubblici e li gira a chi esegue i lavori, cioè alle stesse imprese socie del Consorzio che, grazie al Mose, sono diventate così grandi e ricche da reinvestire i guadagni in altri appalti.
È un circolo virtuoso, con rischio di impresa a zero. Soprattutto, con zero concorrenza. Sui 3.243 milioni già finanziati (circa 2.500 milioni effettivamente disponibili), il Consorzio ha messo a gara opere per meno di 10 milioni, una percentuale ben lontana da quanto aveva imposto la Commissione europea durante il governo Berlusconi 2 a Gianni Letta, al ministro ai rapporti con l'Ue Rocco Buttiglione e al diplomatico di lungo corso Umberto Vattani. Per sospendere la procedura di infrazione sull'eccessivo ricorso ai lavori in-house, l'Unione aveva chiesto che andasse a gara quanto meno il 45 per cento dei lavori, ed era già una deroga eccezionale. Raggiungere questa quota è ormai matematicamente impossibile.
Ma le quote non appaiono un problema per il Cvn. Il 22 e il 23 novembre, cioè pochi giorni dopo il ritocco del 25 per cento sui finanziamenti al Mose, a Venezia si è discusso di quote di marea. Durante un convegno organizzato dall'Unesco, agenzia Onu alla quale l'Italia sta dando parecchio filo da torcere fra Pompei e Colossei cadenti, alcuni scienziati hanno contestato il sistema delle 79 dighe mobili disposte alle tre bocche di porto del Lido (40 paratoie), di Malamocco (20 paratoie) e di Chioggia (19 paratoie).
Sulla base della variazione delle maree ipotizzata dall'Ipcc (Intergovernamental panel on climate change), la tesi di Paolo Antonio Pirazzoli del Cnrs (il Cnr francese) è che il Mose è pensato per maree inferiori, che lascia comunque filtrare l'acqua e che è necessaria una "drastica revisione del progetto". Nel breve termine si dovrebbero seguire le prescrizioni suggerite del Comune, che si rifacevano all'opera costante di manutenzione dei dogi con lo scavo dei canali, il rifacimento delle rive, la protezione delle barene e vari altri interventi che non si possono più fare per assenza di "schei". Su posizioni critiche si sono espressi anche Georg Umgiesser (Cnr) e Albert Ammerman (Colgate university of New York).
Per quel che può servire, la pensa così anche Arrigo Cipriani, patron dell'Harry's bar di calle Vallaresso. "Non ci sono più fondi per la manutenzione. Le pietre sono lasciate a se stesse", ha detto Cipriani, non precisamente un fondamentalista dell'ambiente, men che meno un uomo di sinistra.
Del resto, per capire quello che succede a Venezia bisogna cancellare quel che resta degli schieramenti politici. Il Mose è stato propagandato come una battaglia per la modernità. Nei 25 anni di vita del progetto, ha avuto paladini a destra e a sinistra. E se oggi il santo protettore dell'opera è Letta, che incontra spesso e riservatamente - soprattutto mai colloqui telefonici - il presidente e direttore generale del Cvn, Giovanni Mazzacurati, l'opera ha sponde trasversali nel presidente dell'autorità portuale Paolo Costa, ex sindaco ed europarlamentare Pd. Lo stesso sindaco democratico Giorgio Orsoni non è certo un oppositore del progetto
Già, ma quale progetto? Un piano esecutivo complessivo non esiste. Sotto il profilo tecnico, il Consorzio procede per aggiustamenti in itinere. È la strategia dell'infrastruttura all'italiana, dal Ponte sullo Stretto all'Alta Velocità: non si sa se serve, non si sa se si può fare, ma intanto incominciamo a farla. La conseguenza inevitabile di questo metodo è uno slittamento dei tempi e un aumento smisurato delle spese. Il Mose non fa eccezione. In origine, secondo il progetto di massima del 1987, doveva costare 1,6 miliardi di euro. Dopo un salto a quota 2,7 miliardi, un paio di anni fa si è arrivati a definire il prezzo bloccato, chiuso, immutabile di 4,2 miliardi sul quale, peraltro, la Corte dei conti aveva già espresso rilievi molto pesanti. Un mese fa, arriva il ritocco, chissà se definitivo.
Il Magistrato alle Acque, braccio lagunare del governo, ha argomentato che l'aumento non è colpa del Cvn ma è dovuto a richieste di enti terzi. La radiografia dei 1.225 milioni di aumento descrive una realtà un po' diversa. Sulle cinque voci del nuovo finanziamento, la maggiore (406 milioni) se ne va in aggiornamento prezzi dal 2007 al compimento dell'opera, previsto nel 2014. Tutti soldi spediti nelle casse dei principali soci del Consorzio. In primo luogo la Serenissima Holding-Mantovani, gruppo di proprietà della famiglia Chiarotto e diretto dal veneziano trapiantato a Padova Piergiorgio Baita. A seguire, festeggiano la Fincosit Grandi Lavori dei veronesi Mazzi, le romane Astaldi e Condotte, e Lega delle cooperative. Altri 260 milioni di euro serviranno per smorzare l'effetto devastante della cementificazione sulle tre bocche di porto, intervento chiesto fra gli altri dai Vigili del fuoco. Con 199 milioni sarà spesata la seconda procedura di infrazione Ue per i cantieri aperti senza autorizzazione. In altre parole, il Consorzio ha creato il danno e lo Stato lo "castiga" dandogli i soldi per ripararlo secondo le prescrizioni europee. La quarta aggiunta è di 80 milioni per servizi informativi e di monitoraggio. La quinta e ultima voce vale 280 milioni di euro e serve alla darsena di calcestruzzo dell'Arsenale. L'Arzanà de' Viniziani dantesco diventerà il cantiere di rimessaggio delle dighe che saranno trasportate dalle bocche di porto grazie a due rimorchiatori jack-up dal modico prezzo di 55 milioni cadauno. Anche all'Arsenale, cemento, cemento, cemento. E non ci vuole un premio Nobel per sapere che il cemento accelera la velocità dell'acqua.
Questo è un altro punto focale del dibattito su Venezia. Tutti, anche i pro-Mose, ammettono che l'acqua scorre più veloce in laguna da quando si lavora alle dighe mobili. I fautori delle dighe dicono però che quel che conta è la quantità e che la quantità d'acqua è invariata. I detrattori ribattono che un milione di metri cubi all'anno di fanghi, sedimenti e altre protezioni naturali viene mangiato dall'Adriatico e torna rapidamente in mare deteriorando il sistema lagunare.
In prospettiva, sull'Arsenale c'è un ulteriore côté affaristico. I soci del Consorzio sono pronti a prendersi la gestione della manutenzione. Un anno fa Mantovani, Condotte e Fincosit si sono vieppiù consorziate nel Comar che dovrebbe gestire un budget stimato fra i 50 e i 150 milioni di euro all'anno insieme al consorzio Cav (Mantovani, Mazzi, Condotte).
La liquidità presente e futura serve ai soci del Cvn per essere protagonisti a tutto campo in Veneto. Entro fine anno si deciderà la gara per il Lido dove il Comune deve vendere per costruire il nuovo Palazzo del Cinema (serviva davvero?) e salvarsi dalla bancarotta. Per fare cassa il Comune mette a disposizione dei privati i 65 mila metri quadrati dell'ex Ospedale al Mare e l'area della nuova megadarsena da 1.750 posti a San Nicolò. Fra le imprese offerenti ci sono Condotte e l'inevitabile Mantovani di Baita, un'impresa passata in sei anni da 100 a circa 600 milioni di euro di ricavi con lavori in portafoglio per 3,2 miliardi.
Fra questi lavori, per limitarsi ai dintorni della Laguna, ci sono lo stesso Palazzo del Cinema del Lido, la bonifica del petrolchimico di Marghera, il passante e l'ospedale di Mestre, la sublagunare e le cerniere del Mose, affidata alla controllata Fip Industriale di Selvazzano Dentro (Padova). Le cerniere servono ad agganciare le paratoie ai cassoni di cemento affondati in mare e realizzati anche questi da consorzi di cui è capofila la Mantovani. L'unica gara residua di una certa sostanza (fra 1 e 1,5 miliardi di euro) riguarda le 79 paratoie. In teoria, nessuno dei soci del Cvn è un imprenditore elettromeccanico. Ma si diceva anche ai tempi delle cerniere e le cerniere sono andate alla Fip. Per le paratoie non è esclusa una partecipazione del gruppo guidato da Baita ma, in ogni caso, qui la gara ci sarà di certo. Qualcosa bisogna pur mollare per evitare che l'Ue controlli se la promessa di Letta e Buttiglione del 2004 è stata mantenuta. Al Consorzio resta comunque la fetta più grande dei lavori.
E, come ha detto una volta Baita a un suo ex socio, "il bello del Mose è che i lavori si fanno sott'acqua".
ha collaborato Alberto Vitucci
Mose, una voragine a Venezia
di Gianfrancesco Turano
Il sistema di dighe mobili contro l'acqua alta doveva costare 1,6 miliardi di euro. Siamo già a 5 miliardi e mezzo. Tutti a un consorzio privato. Con l'augusta protezione di Gianni Letta
(27 dicembre 2010)Il morbo infuria, il pan ci manca e lo Stato assegna altri 1.225 milioni di euro al Mose, il sistema modulare di dighe mobili che dovrebbe salvare Venezia dall'acqua alta. Il conto, la cuenta, l'addition, the bill, arriva a 5.496 milioni complessivi. Soldi veri, contanti e abbondanti in tempo di carestia generale. Accade il 18 novembre, nel disinteresse nazionale. A mala pena un vicesindaco, Sandro Simionato, fa notare come il Comune aspetti da due anni i 42 milioni di euro promessi da Gianni Letta al sindaco di allora Massimo Cacciari.
Contro ogni buonsenso, lo tsunami di denaro deliberato dal Cipe il 18 novembre non bagnerà le casse municipali. Per tenerle asciutte c'è il Modulo Tremonti, che non lascia filtrare liquidi verso gli enti locali. L'onda benefica colpirà soltanto il Consorzio Venezia Nuova (Cvn), interamente privato. Il Consorzio è il potere a Venezia. Ed è il potere in Veneto. Prende i soldi pubblici e li gira a chi esegue i lavori, cioè alle stesse imprese socie del Consorzio che, grazie al Mose, sono diventate così grandi e ricche da reinvestire i guadagni in altri appalti.
È un circolo virtuoso, con rischio di impresa a zero. Soprattutto, con zero concorrenza. Sui 3.243 milioni già finanziati (circa 2.500 milioni effettivamente disponibili), il Consorzio ha messo a gara opere per meno di 10 milioni, una percentuale ben lontana da quanto aveva imposto la Commissione europea durante il governo Berlusconi 2 a Gianni Letta, al ministro ai rapporti con l'Ue Rocco Buttiglione e al diplomatico di lungo corso Umberto Vattani. Per sospendere la procedura di infrazione sull'eccessivo ricorso ai lavori in-house, l'Unione aveva chiesto che andasse a gara quanto meno il 45 per cento dei lavori, ed era già una deroga eccezionale. Raggiungere questa quota è ormai matematicamente impossibile.
Ma le quote non appaiono un problema per il Cvn. Il 22 e il 23 novembre, cioè pochi giorni dopo il ritocco del 25 per cento sui finanziamenti al Mose, a Venezia si è discusso di quote di marea. Durante un convegno organizzato dall'Unesco, agenzia Onu alla quale l'Italia sta dando parecchio filo da torcere fra Pompei e Colossei cadenti, alcuni scienziati hanno contestato il sistema delle 79 dighe mobili disposte alle tre bocche di porto del Lido (40 paratoie), di Malamocco (20 paratoie) e di Chioggia (19 paratoie).
Sulla base della variazione delle maree ipotizzata dall'Ipcc (Intergovernamental panel on climate change), la tesi di Paolo Antonio Pirazzoli del Cnrs (il Cnr francese) è che il Mose è pensato per maree inferiori, che lascia comunque filtrare l'acqua e che è necessaria una "drastica revisione del progetto". Nel breve termine si dovrebbero seguire le prescrizioni suggerite del Comune, che si rifacevano all'opera costante di manutenzione dei dogi con lo scavo dei canali, il rifacimento delle rive, la protezione delle barene e vari altri interventi che non si possono più fare per assenza di "schei". Su posizioni critiche si sono espressi anche Georg Umgiesser (Cnr) e Albert Ammerman (Colgate university of New York).
Per quel che può servire, la pensa così anche Arrigo Cipriani, patron dell'Harry's bar di calle Vallaresso. "Non ci sono più fondi per la manutenzione. Le pietre sono lasciate a se stesse", ha detto Cipriani, non precisamente un fondamentalista dell'ambiente, men che meno un uomo di sinistra.
Del resto, per capire quello che succede a Venezia bisogna cancellare quel che resta degli schieramenti politici. Il Mose è stato propagandato come una battaglia per la modernità. Nei 25 anni di vita del progetto, ha avuto paladini a destra e a sinistra. E se oggi il santo protettore dell'opera è Letta, che incontra spesso e riservatamente - soprattutto mai colloqui telefonici - il presidente e direttore generale del Cvn, Giovanni Mazzacurati, l'opera ha sponde trasversali nel presidente dell'autorità portuale Paolo Costa, ex sindaco ed europarlamentare Pd. Lo stesso sindaco democratico Giorgio Orsoni non è certo un oppositore del progetto
Già, ma quale progetto? Un piano esecutivo complessivo non esiste. Sotto il profilo tecnico, il Consorzio procede per aggiustamenti in itinere. È la strategia dell'infrastruttura all'italiana, dal Ponte sullo Stretto all'Alta Velocità: non si sa se serve, non si sa se si può fare, ma intanto incominciamo a farla. La conseguenza inevitabile di questo metodo è uno slittamento dei tempi e un aumento smisurato delle spese. Il Mose non fa eccezione. In origine, secondo il progetto di massima del 1987, doveva costare 1,6 miliardi di euro. Dopo un salto a quota 2,7 miliardi, un paio di anni fa si è arrivati a definire il prezzo bloccato, chiuso, immutabile di 4,2 miliardi sul quale, peraltro, la Corte dei conti aveva già espresso rilievi molto pesanti. Un mese fa, arriva il ritocco, chissà se definitivo.
Il Magistrato alle Acque, braccio lagunare del governo, ha argomentato che l'aumento non è colpa del Cvn ma è dovuto a richieste di enti terzi. La radiografia dei 1.225 milioni di aumento descrive una realtà un po' diversa. Sulle cinque voci del nuovo finanziamento, la maggiore (406 milioni) se ne va in aggiornamento prezzi dal 2007 al compimento dell'opera, previsto nel 2014. Tutti soldi spediti nelle casse dei principali soci del Consorzio. In primo luogo la Serenissima Holding-Mantovani, gruppo di proprietà della famiglia Chiarotto e diretto dal veneziano trapiantato a Padova Piergiorgio Baita. A seguire, festeggiano la Fincosit Grandi Lavori dei veronesi Mazzi, le romane Astaldi e Condotte, e Lega delle cooperative. Altri 260 milioni di euro serviranno per smorzare l'effetto devastante della cementificazione sulle tre bocche di porto, intervento chiesto fra gli altri dai Vigili del fuoco. Con 199 milioni sarà spesata la seconda procedura di infrazione Ue per i cantieri aperti senza autorizzazione. In altre parole, il Consorzio ha creato il danno e lo Stato lo "castiga" dandogli i soldi per ripararlo secondo le prescrizioni europee. La quarta aggiunta è di 80 milioni per servizi informativi e di monitoraggio. La quinta e ultima voce vale 280 milioni di euro e serve alla darsena di calcestruzzo dell'Arsenale. L'Arzanà de' Viniziani dantesco diventerà il cantiere di rimessaggio delle dighe che saranno trasportate dalle bocche di porto grazie a due rimorchiatori jack-up dal modico prezzo di 55 milioni cadauno. Anche all'Arsenale, cemento, cemento, cemento. E non ci vuole un premio Nobel per sapere che il cemento accelera la velocità dell'acqua.
Questo è un altro punto focale del dibattito su Venezia. Tutti, anche i pro-Mose, ammettono che l'acqua scorre più veloce in laguna da quando si lavora alle dighe mobili. I fautori delle dighe dicono però che quel che conta è la quantità e che la quantità d'acqua è invariata. I detrattori ribattono che un milione di metri cubi all'anno di fanghi, sedimenti e altre protezioni naturali viene mangiato dall'Adriatico e torna rapidamente in mare deteriorando il sistema lagunare.
In prospettiva, sull'Arsenale c'è un ulteriore côté affaristico. I soci del Consorzio sono pronti a prendersi la gestione della manutenzione. Un anno fa Mantovani, Condotte e Fincosit si sono vieppiù consorziate nel Comar che dovrebbe gestire un budget stimato fra i 50 e i 150 milioni di euro all'anno insieme al consorzio Cav (Mantovani, Mazzi, Condotte).
La liquidità presente e futura serve ai soci del Cvn per essere protagonisti a tutto campo in Veneto. Entro fine anno si deciderà la gara per il Lido dove il Comune deve vendere per costruire il nuovo Palazzo del Cinema (serviva davvero?) e salvarsi dalla bancarotta. Per fare cassa il Comune mette a disposizione dei privati i 65 mila metri quadrati dell'ex Ospedale al Mare e l'area della nuova megadarsena da 1.750 posti a San Nicolò. Fra le imprese offerenti ci sono Condotte e l'inevitabile Mantovani di Baita, un'impresa passata in sei anni da 100 a circa 600 milioni di euro di ricavi con lavori in portafoglio per 3,2 miliardi.
Fra questi lavori, per limitarsi ai dintorni della Laguna, ci sono lo stesso Palazzo del Cinema del Lido, la bonifica del petrolchimico di Marghera, il passante e l'ospedale di Mestre, la sublagunare e le cerniere del Mose, affidata alla controllata Fip Industriale di Selvazzano Dentro (Padova). Le cerniere servono ad agganciare le paratoie ai cassoni di cemento affondati in mare e realizzati anche questi da consorzi di cui è capofila la Mantovani. L'unica gara residua di una certa sostanza (fra 1 e 1,5 miliardi di euro) riguarda le 79 paratoie. In teoria, nessuno dei soci del Cvn è un imprenditore elettromeccanico. Ma si diceva anche ai tempi delle cerniere e le cerniere sono andate alla Fip. Per le paratoie non è esclusa una partecipazione del gruppo guidato da Baita ma, in ogni caso, qui la gara ci sarà di certo. Qualcosa bisogna pur mollare per evitare che l'Ue controlli se la promessa di Letta e Buttiglione del 2004 è stata mantenuta. Al Consorzio resta comunque la fetta più grande dei lavori.
E, come ha detto una volta Baita a un suo ex socio, "il bello del Mose è che i lavori si fanno sott'acqua".
ha collaborato Alberto Vitucci
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