Luca Fazzo per "Il Giornale"
Ovvero: che nessuno abbia cercato di fare la pelle al giornalista. Che sulle scale del palazzo non ci fosse nessun altro, se non il capo della squadra di poliziotti che vigila sulla sicurezza di Belpietro. E che tutto quanto accaduto- gli spari, l'allarme, eccetera - sia stato frutto, nella migliore delle ipotesi, di un errore di valutazione da parte dell'agente.Tra un po' saranno passati tre mesi. E Ferdinando Pomarici e Grazia Pradella, i pubblici ministeri che dal 4 ottobre indagano su quanto accadde quella sera nella casa milanese di Maurizio Belpietro, ormai si sono fatti un'idea abbastanza precisa. La conclusione cui i due pm sarebbero giunti (il condizionale è d'obbligo, visto il riserbo che fin dall'inizio circonda le indagini) pone i magistrati in una situazione per alcuni aspetti lievemente imbarazzante. Compiute tutte le verifiche, eseguiti tutti gli esperimenti, valutate tutte le testimonianze, gli inquirenti sarebbero infatti arrivati a convincersi che in via Monte di Pietà, nel palazzo dove abita il direttore di Libero , quella sera non sia accaduto in realtà assolutamente nulla.
Da dove nasce l'imbarazzo della Procura è presto detto. I pm vogliono evitare a tutti i costi che una simile conclusione costituisca dal punto di vista mediatico un boomerang per il giornalista. Come è giusto che sia, l'allarme seguito all'episodio ha portato a Belpietro una quantità di manifestazioni di solidarietà. E se l'affare si sgonfia, i magistrati vogliono impedire che sia Belpietro ad apparire in qualche modo corresponsabile della faccenda. Inizialmente, la versione dei fatti fornita dall'uomo è stata accolta senza tentennamenti: Belpietro che viene accompagnato fin sulla soglia del suo appartamento, poi entra in casa, il ca poscorta che scende lungo le scale e s'imbatte in uno sconosciuto armato di pistola che gli punta contro l'arma e tira il grilletto.Mentre invece - e questo l'inchiestalo ha confermato senza ombra di dubbio - il direttore di Libero ha percepito i fatti come se il pericolo fosse assolutamente reale. Belpietro non aveva alcun motivo per dubitare del racconto di Alessandro N., il poliziotto. Tant'è vero che si è spaventato molto. Se una «montatura» c'è stata, dunque, Belpietro ne è stato una vittima. È questo il messaggio che la Procura vuole che sia chiaro, il giorno in cui l'esito dell'indagine verrà reso ufficialmente noto. Assai diverse le valutazioni che andranno fatte sulla posizione del poliziotto.
«Aveva un'automatica, forse una calibro 9, ma il colpo non è partito. A quel punto ho estratto l'arma di ordinanza e ho fatto fuoco», diceva la testimonianza raccolta subito dopo i fatti. Ma, strada facendo, l'inchiesta si sarebbe imbattuta in inverosimiglianze e incongruenze, innescate dal primo dato oggettivo: l'assenza, nei filmati delle numerose telecamere di sorveglianza presenti nella zona, di qualunque immagine riconducibile all'identikit dell'attentatore.
In teoria, se ora dovesse emergere che l'agente si è inventato tutto, gli andrebbero contestati diversi reati: procurato allarme, spari in luogo pubblico, simulazione di reato. Ma l'orientamento della Procura sarebbe, nei limiti del possibile, di non infierire su Alessandro. L'agente (già protagonista all'epoca di Mani Pulite di un agguato rimasto senza riscontri, quello al procuratore aggiunto di Milano Gerardo D'Ambrosio) potrebbe avere agito comunque in buona fede, sotto il peso di uno stress eccessivo. Proprio questo stato di stress avrebbe, d'altronde, convinto i vertici della questura ad allontanarlo dalla sezione Scorte e destinarlo ad un altro servizio.
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