martedì, gennaio 31, 2006

Palle

...intese come cojones...




Essere romanisti è una fede. Dopo le ultime vergognose immagini giunte da Roma, dove un arbitro pavido non ha avuto il coraggio di interrompere una partita, l'unico che ha avuto il coraggio di dire qualcosa e prendere una posizione è stato Damiano Tommasi. Anni fa Liberation (a firma Eric Joszef) gli dedicò un lungo reportage dal titolo "il buono del calcio". Quando Tommasi si è rotto (venne massacrato dall'entrata criminale di un inglese delinquente in un'amichevole) ha accettato di decurtarsi lo stipendio in attesa di ritornare in campo. Ecco, la Roma potrà anche non vincere. Potrà perdere Cassano (che non è che al Real per ora sta facendo sfracelli), ma potrebbe ottenere il rispetto che è dovuto alle grandi. La simpatia che fuori del lazio non ha.



La Società AS Roma non sa fare altro che lamentarsi. Potrebbe invece agire non concedendo più biglietti e facilitazioni a "certi", non a tutti, gli ultras. Rosella Sensi potrebbe anche pensare al buo nme della propria famiglia. Vuole davvero che ci si ricordi di lei e del padre per queste schifezze? Si sente davvero di gettare alle ortiche anni di impegno economico e in prima persona? La Roma dei ragazzini sta risalendo la china con un po' di programmazione e fiducia nei giovani (accuditi dalla chioccia Totti), non si butti via tutto questo per un branco di trogloditi che non sanno neppure che cosa significhino i simboli che espongono. Si sa benissimo cosa fare. Non farlo vuol dire connivenza.

Il pezzo di Repubblica.

«Siamo offesi dalla squallida immagine offerta dell´A.S. Roma da quanto è accaduto». Alla Roma non sanno se attaccare o difendersi. Sono offesi e impotenti. La lezione del campo domenica è stata micidiale per la società giallorossa: dall´ennesimo risultato positivo allo striscione di infamia nazista in un attimo. La linea del club, stretto in una morsa che porterà ad un´altra squalifica del campo, è quella di un gruppo schiacciato dal senso di responsabilità. Ieri in un comunicato si chiedeva ai media di «non inquadrare mai più messaggi violenti o politici: se la forza pubblica non riesce ad intercettare lo striscione all´ingresso, censuriamolo dalla tribuna evitando che finisca con l´offendere milioni di italiani e gratificare chi ha prodotto il reato. Nei prossimi contratti televisivi chiederemo una tutela in questo senso, e non certo per scaricare delle responsabilità, visto che rispettiamo le leggi dello Stato e ci battiamo per prevenire. Le immagini dei violenti saranno comunque registrate e disponibili per l´autorità sportiva o giudiziaria». Immediata la replica di Sky: «Mai trasmesse quelle immagini».
Tommasi è stato il primo romanista a esporsi: «L´arbitro doveva esigere la rimozione di quegli striscioni che dimenticavano la storia». Era pacato, probabilmente schifato. «Il problema è fuori dal calcio. Per scrivere uno striscione così ci vogliono più persone: è un progetto. A Roma quelle bandiere le vedi ogni domenica, anche senza striscioni. Certa gente va allo stadio portandosele dietro, e forse ci va solo per quello». Come i suoi compagni, ieri Tommasi non è andato a festeggiare sotto la curva sud a fine partita. Forse poteva andarci prima, a chiedere di togliere le scritte. Ma certo non è facile: «Io e Totti non siamo i padroni dell´Olimpico». Una volta quell´angolo di stadio era la culla della squadra, oggi forse non lo è più così tanto: «Come società - dice il ds Daniele Pradè - non sappiamo più come difenderci. Siamo stati i primi a far opera di prevenzione, i primi ad installare i tornelli agli ingressi. Eppure la responsabilità oggettiva ci penalizza fortemente, anche se tutto quello che possiamo mettere, in termini di tempo e denaro, lo stiamo mettendo». Montella invoca «contromisure» ma crede che «sia dannoso parlarne troppo». Spalletti ripete: «Sono contrario a chi porta la politica negli stadi». Allora l´atroce impotenza della Roma, ma in realtà di tutto il calcio italiano, si riduce a quel dubbio più mediatico che amletico: inquadrare o non inquadrare. «Tv, dateci una mano, noi che altro possiamo fare?».

- Una delle foto peggiori per la giovane età del ragazzino con la bandiera in mano. Che cosa sarà di quello stesso ragazzino a 18 anni? Quello per lui è stato, forse, un gioco. Per chi quella bandiera gliela ha messa in mano, no -


Smettiamola con queste buffonate del "non portiamo la politica dentro gli stadi". La politica, intesa come discussione, non è mai entrata negli stadi. C'è entrato il razzismo, l'offesa e la violenza che tengono lontane la famiglie. C'è entrata la maleducazione che spinge 200 imbecilli/vigliacchi (visto a Roma) a chiamare "puttana" una tifosa della parte avversa rea di fare il tifo per la sua squadra. Parliamo di professionismo, ma in USA sospendono le partite per molto meno. Siamo lo zimbello d'Europa. Di questo sono responsabili anche le proprietà delle nostre squadre. È bene che se ne rendano conto.

- un tifoso tiene alto il vessillo dell'italianità nel mondo -

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sacrosanto:

«La politica fuori dagli stadi? Che idiozia. Sono l´odio e i suoi simboli che non devono entrarci. La politica è democrazia». Firmato William Gaillard, direttore delle comunicazioni Uefa.

Anonimo ha detto...

** ***