martedì, gennaio 31, 2006

Palle

...intese come cojones...




Essere romanisti è una fede. Dopo le ultime vergognose immagini giunte da Roma, dove un arbitro pavido non ha avuto il coraggio di interrompere una partita, l'unico che ha avuto il coraggio di dire qualcosa e prendere una posizione è stato Damiano Tommasi. Anni fa Liberation (a firma Eric Joszef) gli dedicò un lungo reportage dal titolo "il buono del calcio". Quando Tommasi si è rotto (venne massacrato dall'entrata criminale di un inglese delinquente in un'amichevole) ha accettato di decurtarsi lo stipendio in attesa di ritornare in campo. Ecco, la Roma potrà anche non vincere. Potrà perdere Cassano (che non è che al Real per ora sta facendo sfracelli), ma potrebbe ottenere il rispetto che è dovuto alle grandi. La simpatia che fuori del lazio non ha.



La Società AS Roma non sa fare altro che lamentarsi. Potrebbe invece agire non concedendo più biglietti e facilitazioni a "certi", non a tutti, gli ultras. Rosella Sensi potrebbe anche pensare al buo nme della propria famiglia. Vuole davvero che ci si ricordi di lei e del padre per queste schifezze? Si sente davvero di gettare alle ortiche anni di impegno economico e in prima persona? La Roma dei ragazzini sta risalendo la china con un po' di programmazione e fiducia nei giovani (accuditi dalla chioccia Totti), non si butti via tutto questo per un branco di trogloditi che non sanno neppure che cosa significhino i simboli che espongono. Si sa benissimo cosa fare. Non farlo vuol dire connivenza.

Il pezzo di Repubblica.

«Siamo offesi dalla squallida immagine offerta dell´A.S. Roma da quanto è accaduto». Alla Roma non sanno se attaccare o difendersi. Sono offesi e impotenti. La lezione del campo domenica è stata micidiale per la società giallorossa: dall´ennesimo risultato positivo allo striscione di infamia nazista in un attimo. La linea del club, stretto in una morsa che porterà ad un´altra squalifica del campo, è quella di un gruppo schiacciato dal senso di responsabilità. Ieri in un comunicato si chiedeva ai media di «non inquadrare mai più messaggi violenti o politici: se la forza pubblica non riesce ad intercettare lo striscione all´ingresso, censuriamolo dalla tribuna evitando che finisca con l´offendere milioni di italiani e gratificare chi ha prodotto il reato. Nei prossimi contratti televisivi chiederemo una tutela in questo senso, e non certo per scaricare delle responsabilità, visto che rispettiamo le leggi dello Stato e ci battiamo per prevenire. Le immagini dei violenti saranno comunque registrate e disponibili per l´autorità sportiva o giudiziaria». Immediata la replica di Sky: «Mai trasmesse quelle immagini».
Tommasi è stato il primo romanista a esporsi: «L´arbitro doveva esigere la rimozione di quegli striscioni che dimenticavano la storia». Era pacato, probabilmente schifato. «Il problema è fuori dal calcio. Per scrivere uno striscione così ci vogliono più persone: è un progetto. A Roma quelle bandiere le vedi ogni domenica, anche senza striscioni. Certa gente va allo stadio portandosele dietro, e forse ci va solo per quello». Come i suoi compagni, ieri Tommasi non è andato a festeggiare sotto la curva sud a fine partita. Forse poteva andarci prima, a chiedere di togliere le scritte. Ma certo non è facile: «Io e Totti non siamo i padroni dell´Olimpico». Una volta quell´angolo di stadio era la culla della squadra, oggi forse non lo è più così tanto: «Come società - dice il ds Daniele Pradè - non sappiamo più come difenderci. Siamo stati i primi a far opera di prevenzione, i primi ad installare i tornelli agli ingressi. Eppure la responsabilità oggettiva ci penalizza fortemente, anche se tutto quello che possiamo mettere, in termini di tempo e denaro, lo stiamo mettendo». Montella invoca «contromisure» ma crede che «sia dannoso parlarne troppo». Spalletti ripete: «Sono contrario a chi porta la politica negli stadi». Allora l´atroce impotenza della Roma, ma in realtà di tutto il calcio italiano, si riduce a quel dubbio più mediatico che amletico: inquadrare o non inquadrare. «Tv, dateci una mano, noi che altro possiamo fare?».

- Una delle foto peggiori per la giovane età del ragazzino con la bandiera in mano. Che cosa sarà di quello stesso ragazzino a 18 anni? Quello per lui è stato, forse, un gioco. Per chi quella bandiera gliela ha messa in mano, no -


Smettiamola con queste buffonate del "non portiamo la politica dentro gli stadi". La politica, intesa come discussione, non è mai entrata negli stadi. C'è entrato il razzismo, l'offesa e la violenza che tengono lontane la famiglie. C'è entrata la maleducazione che spinge 200 imbecilli/vigliacchi (visto a Roma) a chiamare "puttana" una tifosa della parte avversa rea di fare il tifo per la sua squadra. Parliamo di professionismo, ma in USA sospendono le partite per molto meno. Siamo lo zimbello d'Europa. Di questo sono responsabili anche le proprietà delle nostre squadre. È bene che se ne rendano conto.

- un tifoso tiene alto il vessillo dell'italianità nel mondo -

lunedì, gennaio 30, 2006

Un'arca di Scienza

Riprendo e posto dal Barbieredellasera

Diciamola giusta sul rendimento
di BeppeScienza

L'Abi le spara grosse, Beppe Scienza replica

Alla puntata di lunedì 23-1-2006 di Matrix di Enrico Mentana su Canale 5 ha partecipato, fra gli altri, anche un dirigente dell'Associazione bancaria italiana (ABI) che ha affermato che "il rendimento dei fondi comuni d'investimento negli ultimi 14 anni è stato [...] superiore a quello dei Btp, superiore a quello del comparto obbligazionario, a quello azionario...".

Ovviamente ho subito esclamato "Ma è completamente falso".

Ma era l'una di notte passata e non c'è stato spazio per ulteriori approfondimenti.

Perciò coi miei limitati mezzi vorrei fare sentire la mia flebile voce per segnalare l'ennesimo capovolgimento della realtà: in effetti in quel periodo i fondi hanno complessivamente reso meno di tutto: meno dei Bot, meno dei Btp, meno dei Cct, meno della Borsa ecc. tanto che c'è da chiedersi come abbiano fatto i loro gestori a sbracare su tutta la linea.

Ovviamente si capisce la reazione delle banche italiane di fronte alla vergogna per il pessimo servizio fornito ai loro clienti. Vergogna che li ha spinti a fare come molti bambini colti con le dita nel barattolo della marmellata. Cioè a difendersi con le bugie.

Un po' meno scontata è l'impudenza del portavoce dell'ABI che mi ha anche accusato di fare disinformazione anziché informazione. C'era solo da commentare, a scelta in italiano o latino: "Senti chi parla!" oppure "De te fabula narratur".

Maggiori dettagli e dati numerici sono disponibili nella mia pagina web al Dipartimento di Matematica dell'Università di Torino: www.beppescienza.it


Beppe Scienza

venerdì, gennaio 27, 2006

Ma che freddo fa?

Foto raccolte sulla rete
Finlandia






Ginevra

Notizia raccolta da Libero




Fazio il pensionato
Antonio Castro per “Libero”

Trentamila euro al mese. Netti, esentasse e per 14 mensilità. È questa la pensione che spetta, dallo scorso dicembre, all'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio. Dopo quarant'anni passati nelle sacre stanze di Via Nazionale, l'economista della banca centrale si appresta ad una nuova primavera dorata. Studio e segreteria sono garantiti dall’accordo raggiunto - prima delle dimissioni - con il Consiglio superiore. Nella splendida sede romana di Villa Huffer - dove sono custoditi gli archivi storici di Bankitalia - Fazio potrà godere di un ufficio all’altezza dell'incarico che ha svolto negli ultimi 13 anni.
Stucchi dorati, tappezzeria damascate, porte istoriate con motivi floreali. Ma non è tutto. Fazio avrebbe ottenuto anche l'esclusività d'accesso, isolando un'ala della villa acquistata per 25,3 milioni negli anni '90 dall'ex Credito Fondiario. Di fatto si è garantito a Fazio l’uso esclusivo di un ascensore e di una scalinata, a scapito dei dipendenti dell’archivio che si sono dovuti stringere un po' ed evitare di accedere al palazzo dalla scala laterale.

Ma adesso i dipendenti della Banca d’Italia temono che all'ex governatore venga concesso anche il titolo onorifico di “governatore onorario”. Oggi si riunirà infatti il Consiglio superiore della Banca d’Italia, in sostanza l'organo di governo interno dell'istituto. Tuttavia l'ipotesi di una nomina per Fazio sembra quanto meno prematura.

In primo luogo perché al momento la carica è detenuta dall'ex numero uno di Palazzo Koch, Carlo Azeglio Ciampi, e l'attuale presidente della Repubblica non sembra aver alcuna intenzione di rinunciare. E poi nella storia quasi bicentenaria dell’istituto non si è mai verificato prima che venissero insigniti più ex governatori contemporaneamente. Nomina onorifica a parte, all'ex governatore spetterà comunque la pensione bloccata da quando al trattamento previdenziale è subentrato l'appannaggio economico riservato al numero uno di Bankitalia.

Posta

Mi giunse e così la postai...


mercoledì, gennaio 25, 2006

Che noiachebarbachenoia



Lo spot della Mondaini - "Cavaliere, uomo da amare".
di SEBASTIANO MESSINA

L'AUTHORITY dice che la tv non deve favorire nessuno? Ma certo. L'opposizione invoca la par condicio? Ma naturalmente. Confalonieri ha promesso che Mediaset si comporterà "in modo corretto"? Ma ci mancherebbe. Poi uno accende Canale5 e trova un superspot per "l'amico Silvio".

"Un uomo che bisogna conoscere per poter amare", come assicura Sandra Mondaini con il cuore in mano. Cose che capitano alle cinque della sera, lontano dai telegiornali, dai Porta a porta e dai Matrix, in trasmissioni dove tutto ti aspetteresti tranne che di veder germogliare d'un tratto un fioretto, anzi un mazzolin di fiori per "il nostro datore di lavoro", come lo chiama con rispettoso trasporto la Mondaini, ovvero "per il nostro presidente del Consiglio" come precisa con compita devozione la bella Paola Perego.

Siamo a "Verissimo", trasmissione a cavallo tra la cronaca e il gossip, due milioni e mezzo di telespettatori che di solito non restano in piedi fino all'una di notte per aspettare Vespa o Mentana, e che magari non guardano neanche i telegiornali. Un target polposo di elettorato popolare, insomma. Cosa c'entra Berlusconi con la cronaca rosa o con i pettegolezzi?

Nulla, si capisce. Ma a casa propria, sulle sue reti, ognuno è padrone di fare come gli pare. E non ci vuole poi tanto a montare una bella telepromozione politica, uno spottone mascherato, un consiglio per le elezioni in formato famiglia. Se poi uno è bravo, riesce pure a mascherarlo da servizio giornalistico o da duetto improvvisato, sfuggendo a ogni rilevamento, a ogni regola, a ogni misurazione.

Si fa così. Si estrapolano da un'intervista al premier "scevra di domande" (come l'ha definita lo stesso intervistatore, Paolo Bonolis) tre brani strappacore. Quelli in cui il presidente del Consiglio parla della moglie conquistata "dopo un colpo di fulmine", dei figli che "sanno fare a memoria le divisioni a più cifre e accompagnano i malati a Lourdes" e di mamma Rosa, "una donna da combattimento" che metteva in fuga i nazisti. Quelli, insomma, come spiega la conduttrice alla Mondaini, "in cui non è il politico che parla ma l'uomo: il tuo amico, Sandra".

Poi, con gli occhi lucidi di ammirazione, interviene la moglie di Raimondo Vianello (indimenticato protagonista, nel 1994, di uno spot identico, quello in cui annunciava a "Pressing" che avrebbe votato per l'unico uomo politico che conosceva personalmente: Berlusconi). E lei, alla domanda sul "peggior difetto" del suo amico Silvio, risponde così: "Io ho dei punti fermi. Mio marito. I miei figli. Il professor Veronesi. E il signor Berlusconi. Siamo amici, ecco. In trent'anni che ho vissuto a Roma non ho mai voluto conoscere dei politici, perché i politici non mi piacciono. Ma ho avuto la disgrazia di conoscere un signore, di volergli bene: il mio datore di lavoro. Gentile. Divertente. Simpatico. Ottimista. Io mi sono molto affezionata a lui. E' un uomo che bisogna conoscere per poter amare. E io, essendo in un paese libero, lo dico: voglio molto bene a Berlusconi".

Quale bilancia dell'Authority, quale par condicio, quale cronometro arbitrale potrà mai stabilire il valore aureo di una simile dichiarazione di ardenti affetti aziendali e di cieca fiducia politica? E quale compensazione potranno pretendere concorrenti e avversari, quando l'esempio della Mondaini sarà imitato - da qui al 9 aprile - dagli altri conduttori di Cologno Monzese, esattamente come accadde undici anni fa, quando Vianello fu seguito a ruota da Mike Bongiorno, da Iva Zanicchi, da Ambra Angiolini, da Alberto Castagna, da Patrizia Rossetti, da Gerry Scotti e da tutte le star del firmamento Mediaset? Se non stanno attenti, Rutelli e Fassino rischiano di essere ricompensati con la stessa moneta che è toccata la settimana scorsa a Romano Prodi, al quale il Tg di Italia Uno ha dato spazio solo per insinuare il dubbio che abbia barato, partecipando alla maratona di Reggio Emilia.

In fondo, è la solita regola delle tv berlusconiane: quando il gioco si fa duro, i divi cominciano a giocare.

martedì, gennaio 24, 2006

Xavier Naidoo


Uno dei migliori cantanti tedeschi. Posto una delle sue canzoni: Bist Du am Leben interessiert? (la vita t'interessa?)

From the album "Telegramm Für X"

Naidoo:

Hör nicht auf, für das zu leben an was du glaubst
glaub an dich und schöpfe Vertrauen und Kraft aus deiner Familie,
die Nacht für Nacht deine Seele bewacht und dich liebt
ganz egal was du tust, was geschieht, die dich wie eine Hülle umgibt
wenn du dieses Glück hast dass du fast gesiegt, fast gesiegt
manches Leben läuft schnell, es ist nicht immer hell
es ist schwer was zu sehn und im Dunkeln zu gehn
doch sei dir bewusst: deine Vorfahren hatten schwerste Wege
und wenn dein Herz noch für sie schlägt dann weißt du genau,
dass ihr Blut durch dich fliest, es macht dich sogar schaurich
Talente die du kriegst, die sich dein Clan vielleicht vor 300 Jahren
durch schwere Arbeit hart erbracht
auf was du jetzt zurückgreifen kannst
zurück in der Zeit, back in time
du verfügst über Wissen von mehr als 10.000 Jahren
frag deine Ahnen, deine Vorfahren
sie heißen Vorfahren obwohl du fort fährst
sie können nur ahnen wo du sie hinfährst
hast du den Plan oder bist du verkehrt?
dann kehre in dich, lass dich gehn
du musst deine Seele von innen sehen.
du musst die Familien auf Freitag begehen
obwohl du nicht tot bist frag ich dich
bist du am Leben, bist du am Leben, bist du am Leben, bist du am Leben
bist du am Leben interessiert? Hast du dieses Wunder schon kapiert?
Kannst du die alten Lieder sehen, die tief in deiner Seele liegen
bist du am Leben interessiert? Hast du dieses Wunder schon kapiert?
Kannst du die alten Lieder sehen, die tief in deiner Seele liegen
Lasst uns diese Lieder rausbringen!
Das ganze Volk soll sie singen.
Lasst uns diese Lieder rausbringen!

Rapper:

Wenn eins deine Sinne verwischt
du den Mut und all die Zuversicht verlierst
und spürst, dass irgendwas in dir zerbricht
dann hör auf die Stimme die spricht,
hinder sie nicht, denn sie weiß wie sie geht
und zeigt dir den Weg zurück nach Haus du kennst ihn auch
erinnere dich an das was du längst weißt,
du bist nicht schwach, du weißt wie stark du bist
also ruf, dass Wachbass eingeschlafen ist
das Leben ist schwer zu durchschauen und fühlt sich unreal an, so als wäre es ein Traum
und man weiß nicht wirklich, wer Freund oder Feind ist und es fällt schwer zu vertrauen
aber mach dir bewusst, dass du all diesen Frust vielleicht noch sehr in Anstand halten musst
du brauchst ein starkes Herz, aber kein hartes, sonst wird es kalt in der Brust
Eins haben Feiglinge nie erkannt: Man kann wachsen und steigen mit Widerstand
also sei wie ein Krieger, Mann, nimm wieder am Leben teil und peil deine Ziele an
denn auch wenn deine Umstände widrig sind kannst du Pläne zu schmieden beginnen
egal wie groß die Risiken sind, all dein Einsatz wird sich lohnen, denn es gibt viel zu gewinnen
du spürst das tief in dir drin, wenn die Melodien dieser Lieder erklingen,
deine Seele umarmen und die Tränen der Wahrheit zu fließen beginnen siehst du den Sinn

Naidoo:

Ob alt oder jung, ob blind ob stumm, die ohne Zeit oder die mit Geduld
sieh dich an, schau dich um, auch du bist ein Mensch aus Fleisch und Blut
aber auch wie das Küken aus der frischen Brut, spürt er wie der Krieg uns nicht gut tut
eine ganze Generation schöpft Mut, die ganze Generation einer Nation
setzt sich den Frieden wie auf einen Tron, die ihr den Krieg liebt, was wisst ihr schon?
ihr liebt eure Kinder nicht wie Tochter und Sohn, Liebt eure Kinder wie Korbent und Huhn
ich sag dir Liebe hat damit nichts zu tun, wer den Krieg liebt ertritt von mir Hohn
lautes Gelächter und lauteres Frohn, in Form von Liedern, die Herzen durchbohren
mögen die in der Hölle schmoren, die Selbstmordattentäter auserkoren
um ihre Drecksarbeit zu tun, mögen sie nie in Frieden ruhen.

bist du am Leben interessiert? Hast du dieses Wunder schon kapiert?
Kannst du die alten Lieder sehn, die tief in deiner Seele liegen
bist du am Leben interessiert? Hast du dieses Wunder schon kapiert?
Kannst du die alten Lieder sehn, die tief in deiner Seele liegen
Lasst uns diese Lieder rausbringen!
Das ganze Volk soll sie singen.
Lasst uns diese Lieder rausbringen!
Das ganze Volk soll sie singen!
Lasst uns diese Lieder rausbringen!

sabato, gennaio 21, 2006

La guerra del calcio



....il primo a scriverne fu Ryszard Kapuscynsky

Il paradiso dei trafficanti di calcio - dal Togo al Camerun, giocatori come merce: "È il nuovo schiavismo"
 
Ragazzini pieni di talento e di miseria, procuratori avidi e senza scrupoli: così l´Europa recluta i giocatori africani Ma spesso il sogno finisce male. Dietro lo show della Coppa, decine di storie di sopraffazione. L´ex udinese Tchangai: "A me è andata bene, ma c´è chi è finito a raccogliere pomodori"
 
EMILIO MARRESE
IL CAIRO - A Massamasso Tchangai è andata anche bene. Gli dissero che avrebbe giocato nella serie A italiana, quando arrivò a Udine 7 anni fa dal Togo, e invece è a Benevento in C2, vabbè, dopo essere stato in Slovenia, Olanda e a Viterbo. Coi friulani ha fatto giusto un ritiro estivo, «perché solo dopo avermi fatto il contratto mi dissero che per la legge sugli extracomunitari non potevano tesserarmi». Però Massamasso, che significa «grazie a Dio», è felice: andrà ai Mondiali e ora è alla Coppa d´Africa, anche se le magliette per il debutto di oggi non sono ancora arrivate. «I dirigenti togolesi hanno intascato i soldi dello sponsor ma non gli hanno mai ordinato le mute. Il presidente non si fa vedere, siamo andati noi giocatori a parlare con lo sponsor. Per ora abbiamo divise coi colori di altre nazionali e ci abbiamo appiccicato uno stemma». Ma almeno i soldi sono arrivati: «Dovevamo partire martedì ma il premio promesso non s´era ancora visto, così dall´aeroporto siamo tornati a casa. La gente è scesa per strada a protestare perché ci pagassero e mercoledì notte è arrivato un ministro con una valigia, ci ha dato 27mila euro a testa cash e giovedì siamo partiti. L´hanno detto loro, i politici, che grazie al calcio ora non c´è la guerra civile nel nostro paese: si parla solo di noi. Allora ci diano quello che ci hanno promesso, invece di sperperare miliardi per le parate militari». Il 10 ottobre, giorno della qualificazione mondiali, l´hanno fatto festa nazionale.

A Tchangai è andata bene: «Perché sono partito a 18 anni, ma ai ragazzi che lasciano l´Africa per giocare a pallone dovrebbero garantire anche una scuola. Invece prima ti chiamano e poi scompaiono. Spesso i procuratori ti portano in Europa, anche in Italia, e poi ti salutano. Ho conosciuto dei ghanesi a Roma che non sapevano dove andare a dormire. Blatter ha parlato di schiavismo e ha ragione. Come minimo siamo pacchi postali. Se l´Udinese mi avesse spiegato prima la legge sugli extracomunitari non avrei firmato: mi davano 7 milioni di lire al mese, ma avevo anche offerte da Francia e Olanda, mi hanno bloccato tante chances». A Udine in quel periodo c´era il ghanese Gargo, quello che arrivò nel ‘91 da ragazzino insieme a Kuffour importato dal Torino: il presidente Borsano non li poteva tesserare e li assunse come fattorini nella sua ditta. «Però sono contento lo stesso - dice Tchengai - perché io ci sono stato ad accompagnare i miei amici a raccogliere i pomodori a Foggia. Quelli che mi fanno arrabbiare sono i nostri fratelli che diventano famosi e poi fanno i fenomeni, come Adebayor. E´ cambiato, come è cambiato anche Zoro: quando stava a Salerno sopportava insulti di tutti i tipi, è arrivato in A e ha fatto quella scena».
La tratta dei calciatori neri è una piaga ora meno marcia, rispetto a 10 anni fa, ma non guarita. I giocatori dei club principali hanno imparato a evitare le trappole: i dirigenti sono più accorti, colleghi già emigrati danno le dritte giuste. E allora i ciarlatani e i trafficanti di piedi puntano sui giovanissimi, anche bambini che alla fame preferiscono inseguire un sogno impossibile. C´è una piazza a Lagos in Nigeria che si chiama Evans Square, nel quartiere Oniyngbo: è una specie di mercato bestiame del pallone, si improvvisano squadre che durano dalla mattina alla sera, i ragazzini ci vanno per guadagnarsi 5 euro, i cacciatori di talenti per vederli, i faccendieri per raccogliere le scommesse, tipo combattimento di galli. E´ il Jeunjeun football, calcio a pagamento: Martins dell´Inter si costruì una fama lì. «Ci sono dei banditi che fanno base in Europa - denuncia il presidente della federazione togolese Gnassinbe - che vendono delle false lettere di invito da parte di club professionisti ai giovani. E c´è chi ci casca».
Alex Dosseu, togolese che gioca nella B francese, sbarcò da clandestino a Malta, insieme a tanti altri: «Ma solo chi aveva i soldi da dare ai poliziotti - ha raccontato - poteva restare là». E lui non li aveva. Ci ha riprovato andando in Libia dentro un camion cisterna e da lì in Algeria dove per un anno, prima che arrivasse dal Togo il permesso d´uscita per poter giocare nel Kabylie, ha fatto lavori di tutti i tipi «trattato come uno schiavo». Il somalo Dahir Alì ha raccontato la sua storia alla Bbc: 600 km di autobus per arrivare in Etiopia, poi a piedi in Sudan attraversando una foresta, poi in fuoristrada a Tripoli e mille dollari pagati per la traversata in Italia su un barcone. Ma è finito in una retata della polizia libica e l´hanno rispedito a Mogadiscio.
Un camerunense della under 17 ha fatto una colletta per mettere assieme mille euro da dare ad un procuratore portoghese, che solo in aereo gli ha detto che sarebbero andati a Parigi anziché in Portogallo. Lui e altri tre. Poi l´ha spedito a Lione, con 20 euro in tasca, dove gli ha raccontato che avrebbe trovato i dirigenti dell´Olympique. Ovviamente non c´era nessuno ad aspettarlo. Di casi simili Jean Claude Mbvoumin, ex nazionale camerunense e presidente dell´associazione cultura calcio in Francia, dove nella sola serie B uno su 4 ha origini africane, ne ha raccolti almeno 600. Nelle banlieues parigine ci sono campi dove giocano i "sans papier" dai 15 ai 30 anni. Arrivano procuratori che promettono un posto in Moldavia, Romania o Albania, e raccolgono qualche euro: a volte è vero, molte altre spariscono. Queste specie di Cpt del pallone illegali, centri di smistamento di manodopera calcistica a buon mercato anche di under 14, ci sono in Spagna, Portogallo e, secondo Le Monde, pure nel sud Italia.
da - la Repubblica

venerdì, gennaio 20, 2006

Oh Miracolo!

(dal greco μιρακολοσ = saggezza)
Guardando questa immagine mi pongo una domanda: ma il Cavaliere si è allungato? Io lo ricordo di altezza contenuta, a differenza di Rutelli. Qua mi sembra "cresciuto". Avevo notato questa immagine e volevo farne partecipi gli amici del blog.

mercoledì, gennaio 18, 2006

Sai che palle...

Dopo lo speed-dating, è la volta dell'eyegazing. Cioé, per capire se hai di fronte una potenziale anima gemella, basta guardarla negli occhi per tre minuti. E' questa l'ultima tendenza newyorkese per i "single but looking": ci si ritrova in un bar che organizza questo tipo di serate, ci si siede e ci si fissa per tre minuti, poi si cambia tavolo, e partner. Il tutto per un'ora circa, poi via libera ai drink.

Che se ti guarda lei, magari puoi anche essere contento.


Ma se si verifica la malaugurata ipotesi che ti guardi lui?

Crosta o protesta?



A Milano hanno suscitato polemiche alla vigilia dell'esposizione delle opere del pittore siciliano Giuseppe Veneziano. "American Beauty" raffigura la testa mozzata di Oriana Fallaci e dovrebbe rappresentare le paure dlel'Occidente. Alcune associazioni sono pronte a protestare davanti alla galleria che ospita il quadro.

martedì, gennaio 17, 2006

Don Rocco



Quando si è troppo coinvolti, difficilmente si riesce ad essere obiettivi. Come giornalisti dovremmo saperlo. Ecco perché prendo da basilicatanet la biografia di un gran'uomo. Uno degli intellettuali-faro non solo della Lucania, ma anche, assieme a Rocco Scotellaro, dell'intero mezzogiorno: Rocco Mazzarone. Non ho potuto dirgli addio di persona, ma le sue parole, quelle non andranno via. È morto l'ultima settimana di dicembre 2005, dopo Natale. E adesso la Lucania è un po' più sola.


Nato a Tricarico (Mt) il 17 agosto 1912. Medico, specializzato in tisiologia e malattie polmonari presso l'Università di Milano, ha insegnato statistica medica nella facoltà di medicina all’Università di Bari negli anni 1969-1982. Prigioniero di guerra in Egitto, ha lavorato in un ospedale generale inglese. Negli anni 1947-1982 ha diretto il Consorzio e il Dispensario Antitubercolare di Matera e per il suo impegno nella lotta contro le malattie endemiche della Basilicata come la malaria e soprattutto la tubercolosi, ha ricevuto la Medaglia d'oro "Carlo Forlanini" concessa dalla Federazione Italiana contro la Tubercolosi. Ha condotto indagini epidemiologiche in Basilicata, in Somalia e nel Belucistan iraniano, dove ha incontrato Dinu Adamesteanu al quale sarebbe rimasto legato da profonda amicizia. Ha collaborato in progetti di programmazione sanitaria ed ha presieduto il Comitato di Soprintendenza del progetto-pilota “Organizzazione dei servizi socio-sanitari in Basilicata”. È autore di numerose pubblicazioni su temi di epidemiologia e organizzazione sanitaria. Di cultura laica e democratica, è uno dei maggiori intellettuali della Basilicata, attento testimone del suo tempo, raffinato interprete del pensiero di Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti, amico di Rocco Scotellaro, Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria, ha rappresentato il punto di riferimento di tutti gli studi italiani e stranieri condotti in regione nel secondo dopoguerra, da quelli etnografici di Ernesto Demartino, alle indagini dello storico americano George Peck, ai reportage fotografici di Henri Cartier-Bresson. Come responsabile del settore igienico-sanitario e demografico ha partecipato allo studio sulla città e l'agro di Matera, diretto da Federico Friedmann e promosso dall'UNRRA-Casas, ispiratore e referente Adriano Olivetti, assieme, tra gli altri, a Tullio Tentori e Ludovico Quaroni; ha partecipato allo studio su Grassano, patrocinato dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sulla miseria e sui mezzi per combatterla, i cui risultati sono raccolti nel volume XIV edito nel 1954 dalla Camera dei Deputati al Parlamento Italiano. Cittadino onorario di Matera, ha ricevuto il Premio Lucana Gens.

BIBLIOGRAFIA:
R. Mazzarone, Una vita mal spesa, Intervista di Marco Rossi-Doria, edizioni della Cometa, Roma 1992.

...



La donna era affetta dalla nascita da un deficit mentale, dietro di lei una lunga storia di violenze familiari segregata dalla madre per 30 anni. L'incubo di una disabile a Pescara

PESCARA - "Mi vergognavo di lei". Con queste parole ha tentato di giustificarsi Annina, una donna di 73 anni di Pescara, che per una vita intera ha tenuto segregata in una stanzetta la figlia affetta da un grave dificit mentale. La 52enne Giuseppina ha trascorso 30 anni trattata come una bestia selvatica, nutrita con avanzi di cibo e lavata sul balcone di casa con un tubo da giardino.

La sconvolgente vicenda scoperta nei giorni scorsi si è consumata in un alloggio popolare di via Caduti per servizio, nella periferia del capoluogo abruzzese. L'anziana donna è stata denunciata e la procura della Repubblica di Pescara ha disposto l'allontanamento dalla casa familiare e il divieto di incontrare la figlia. Indagato anche il marito della donna, che non è il padre di Giuseppina, e la sorella della vittima, di due anni più piccola, colpevoli entrambi di non aver mai denunciato le brutali violenze.

Giuseppina, che non ha mai conosciuto il suo vero padre, è nata con un grave disturbo mentale che la rende quasi incapace di parlare. La donna ha trascorso la sua vita chiusa a chiave in una stanza di circa sei metri quadri, nutrita come un animale, costretta a dormire su una brandina, senza luce elettrica e senza mai poter uscire. Il suo incubo è finito quando gli agenti della squadra mobile di Pescara, guidati da Nicola Zupo, sono intervenuti nell'appartamento. Al momento Giuseppina è ricoverata in ospedale per accertamenti e presto sarà condotta in un istituto specializzato.

Le indagini sul passato di Giuseppina hanno rivelato che sia lei che la sorella vennero mandate in un istituto subito dopo la nascita per volontà della madre. La sorella minore però tornò in famiglia all'età di nove anni e cominciò a subire violenze da parte della madre. Picchiata, chiusa in bagno per punizione e talvolta lasciata sul balcone al freddo durante la notte, la ragazza era riuscita a fuggire a 18 anni e solo recentemente si era riavvicinata alla famiglia. Giuseppina invece fu affidata a una zia dopo aver lasciato il centro e, dopo la morte di questa parente, ritornò dalla madre, che intanto si era risposata.

Giuseppina ha vissuto "in condizioni che neanche una bestia meriterebbe - ha affermato il dirigente della squadra mobile di Pescara Nicola Zupo - anzi il cane della famiglia riceveva un trattamento migliore, visto che mangiava nelle sue ciotole in cucina". La donna è stata registrata all'anagrafe nel 1996, all'età di 42 anni, per farle ottenere la pensione d'invalidità. Da allora ogni mese usciva dalla sua prigione, assieme alla madre, per ritirare i soldi alle poste.

"In molti sapevano - ha fatto notare Zupo - ma nessuno ha parlato, e Giuseppina a poco a poco si
è quasi adeguata alla sua condizione. Oggi parla e cammina con difficoltà, e per via della cataratta ci vede pochissimo". La donna, probabilmente, veniva anche picchiata duramente, visto che nella stanzetta è stato trovato anche un bastone. "Non abbiamo ancora capito - ha poi aggiunto Zupo - le motivazioni che hanno spinto i parenti a denunciare la situazione solo adesso". Intanto i medici hanno disposto anche una perizia psichiatrica. Le sue torture sono terminate, ma per Giuseppina adesso inizierà un difficile periodo di recupero.
(da Repubblica.it)

lunedì, gennaio 16, 2006

Sesso con i pedalini


Un teologo di Al Azhar impone la proibizione contestata. - IL CAIRO, - Un teologo della massima universita' sunnita del mondo ha proibito con una fatwa di spogliarsi interamente quando si fa l'amore. Ma il decreto religioso ha scatenato un dibattito fra i teorici della sharia, la legge islamica. L'essere nudi durante l'atto sessuale rende nullo il matrimonio, ha sentenziato lo sheikh Rashar Hassan Khalil, ex direttore della facolta' sulla sharia dell'universita' al Azhar del Cairo.

Chubecca sorpreso durante un momento d'intimità con la principessa Leila. Essendo coperto di pelo credeva di attuare nel
rispetto delle indicazioni dello sceicco.

sabato, gennaio 14, 2006

Datemi una bomba deficiente, per favore


Perché di armi "intelligenti" non se ne può più.
Attacco su un villaggio isolato ai confini con l'Afghanistan ell'azione militare della Cia sono morti anche donne e bambini
Pakistan, civili uccisi nel raid americano.

Le autorità del Pakistan hanno convocato l'ambasciatore degli Stati Uniti a Islamabad per protestare contro la morte di almeno 18 connazionali nel raid avvenuto questa mattina contro il villaggio di Damadola, nel nord del paese. L'azione militare della Cia è stata definita dal governo pachistano "altamente condannabile". Secondo alcune fonti locali nell'attacco pianificato dalla Cia e condotto da aerei radiocomandanti armati con razzi sarebbero rimasti uccisi anche donne e bambini. La Cnn ha mostrato immagini apparentemente riferite al villaggio colpito al confine tra Pakistan e Afghanistan in cui si notano edifici abbattuti e capi di bestiame uccisi.
Fonti locali sostengono che le case colpite siano almeno tre. Dopo l'attacco si è scatenata l'ira degli abitanti del villaggio che in una manifestazione contro gli Stati Uniti avrebbero chiesto al presidente pachistano Pervez Musharraf di aprire un'indagine sull'accaduto. La tv araba al Jazeera riferisce che secondo alcuni testimoni avrebbero visto membri dei servizi segreti di Islamabad intenti a ispezionare le abitazioni colpite e a raccogliere informazioni dai vicini.
Dopo la conclusione del raid americano si sono susseguite notizie contraddittorie sull'uccisione di Ayman al Zawahiri. In seguito è giunta la smentita ufficiale da parte della autorità pachistane: il numero due di al Qaeda non era tra le vittime dell'attacco. Le fonti ufficiali americane sono rimaste prudenti per l'intera mattinata e anche il ministro dell'Informazione del governo pachistano ha evitato di sbilanciarsi. "Qualora l'avessimo eliminato - si leggeva in una nota di Washington - sarebbe un grosso successo nella guerra al terrorismo". La prima smentita ufficiale è giunta da un inviato della tv araba al Jazeera a Islamabad, al quale la sicurezza pachistana aveva assicurato che il medico egiziano non era tra le vittime del raid.
Pochi giorni fa, il 6 gennaio, in un video in parte trasmesso dalla televisione al Jazeera, il vice di Bin Laden aveva chiesto al presidente americano George W. Bush di ammettere la sconfitta in Iraq. "Bush, ammettilo, sei stato sconfitto in Iraq, in Afghanistan e presto anche in Palestina". Inshallah aveva detto Zawahiri apparendo tranquillo, rilassato, in tunica grigia e turbante bianco, parlando seduto accanto ad un kalashnikov.
Almeno un'altra volta al Zawahiri era stato dato per circondato e spacciato da fonti afgane. Ma l'informazione s'era poi rivelata inesatta e la primula rossa egiziana era riuscita a sottrarsi alla cattura. Il numero due di al Qaida ebbe un ruolo importante nel concepire e organizzare gli attentati dell'11 settembre al World Trade Center.

giovedì, gennaio 12, 2006

This is not America



dal New York Review of Books (grazie a Marco per l'invio)

Guantanamo, Corano e catene ecco il diario della vergogna

Quattro anni fa i primi detenuti nel campo americano a Cuba

L´ex cappellano islamico del carcere, detenuto senza prove, ha raccontato la sua storia ed è diventato un simbolo
Abusi, violazioni delle procedure, insabbiamenti, denuncie: per Washington è ormai un caso imbarazzante.La storia del capitano Yee.

JOSEPH LELYVELD

Ogni volta che un prigioniero detenuto nella base navale di Guantánamo, a Cuba, viene condotto nelle stanze degli interrogatori, gli si fa indossare quel che le guardie chiamano sardonicamente «vestito e panciotto». Due anelli di ferro appesi con catene a una pesante cintura bloccano le caviglie, mentre un terzo anello stringe i polsi. Il capitano James Yee ha visto la tenuta innumerevoli volte, durante i dieci mesi passati in qualità di cappellano militare musulmano nelle gabbie del Campo Delta. L´esperienza cubana lo ha preparato a indossare lui stesso «vestito e panciotto» quando, nel settembre del 2003, venne arrestato con l´accusa di ammutinamento e spionaggio, passibile di pena di morte.
Alcuni investigatori che restarono anonimi fecero sapere alla stampa che al Qaeda era riuscita a infiltrarsi a Guantánamo, nella persona di un diplomato di West Point, un sinoamericano di terza generazione del New Jersey, che si era convertito all´islam nella moschea di Newark, tre mesi dopo aver terminato il corso di addestramento per ufficiali.
Yee non aveva mai considerato la religione come un fattore di grande importanza nella sua vita, né la sua conversione all´islam andava oltre la convinzione che si trattasse di un credo più confortevole.
Le cose cambiarono in Arabia Saudita, dove, durante la prima guerra del Golfo, prestò servizio come ufficiale di artiglieria, addetto a una batteria di missili Patriot, e frequentò un centro culturale islamico, dove altri soldati non musulmani vennero attratti dall´islam.
Due anni dopo lasciò l´esercito per proseguire i suoi studi sull´islam. Si immerse nella lingua araba, con l´intenzione di divenire un giorno un imam. Tre anni dopo veniva accettato all´Università Abu Noor di Damasco, dove studiò per quattro anni, prima di rientrare nell´esercito come cappellano militare musulmano.
Subito dopo gli attentati dell´11 settembre, il capitano Yee, in servizio a Fort Lewis, Washington, aveva organizzato una serie di incontri di «sensibilizzazione» diretti agli ufficiali e ai soldati, per mostrare come gli attacchi terroristici contro vittime innocenti fossero contrari alla lettera e allo spirito del Corano. Fu un successo e a nessuno venne in mente di far domande sul lungo soggiorno a Damasco. Le sue relazioni siriane cominciarono a pesare solo quando una nube di sospetti si già era levata su tutti i soldati musulmani in servizio a Guantánamo. Solo allora, il fatto all´apparenza straordinaria di aver cercato di effettuare telefonate verso la Siria - facilmente spiegabile, visto che sua moglie (siriana) e sua figlia erano tornate a casa loro, attendendo la fine del mandato del capitano - si aggiunse alla lista di sospetti messa insieme dal generale Geoffrey Miller, comandante della base, che dipingeva Yee, grottescamente, come il capo di una cellula di al Qaeda.
Sembra che a destare i sospetti dei superiori siano state le intercessioni del cappellano in favore dei prigionieri, quando assisteva ad azioni gratuitamente provocatorie da parte delle guardie: maneggiare senza riguardi il Corano durante le frequenti ispezioni alle celle, o far uscire i prigionieri in catene per portarli a un interrogatorio proprio all´ora della preghiera. Si incontrava anche regolarmente con i circa quaranta soldati musulmani della base, anche loro sotto la sua tutela spirituale. Alcuni parlavano di abusi commessi nel centro per gli interrogatori, dove erano impiegati come traduttori. Il cappellano cominciò a tenere un diario su quanto gli veniva riferito. Molti degli abusi erano inferti ai prigionieri in quanto musulmani: venivano avvolti in bandiere di Israele, o si faceva girare un cd con versi del Corano all´inizio di un interrogatorio, per sommergerli poi con musica rock ad altissimo volume. I prigionieri venivano tenuti incatenati in posizione fetale per ore e ore. Newsweek forse esagerava quando, l´anno scorso, parlava di copie del Corano gettate nella tazza del bagno; tuttavia, lo spregio del Corano, di cui era dotata ogni cella, era procedura usuale.
James Yee non poteva facilmente ignorare che gli stessi militari musulmani erano oggetto di ostilità e di sospetti. Ci mise un po´ a capire che anche lui era sotto tiro. Forse traeva una certa sicurezza dall´utilità del proprio lavoro, specialmente in occasione di visite di membri del Congresso e di giornalisti, quando spiegava in termini accomodanti che ogni cura era prestata al benessere spirituale dei detenuti.
Cominciò a notare la presenza di uomini in borghese intorno ai luoghi in cui teneva i suoi servizi religiosi, e si chiese se non fossero agenti dell´Fbi. Sentì dire che diversi soldati musulmani erano stati arrestati al loro ritorno negli Stati Uniti da Cuba. Il 10 settembre del 2003, appena atterrato a Jacksonville per una licenza, Yee venne arrestato dal Servizio Investigativo della Marina. Dopo cinque giorni di isolamento, gli venne mostrata una nota del generale Miller, che lo accusava di spionaggio: «Il cappellano Yee risulta colluso con noti simpatizzanti del terrorismo». Si diceva anche che nel suo alloggio a Guantánamo teneva nascosti documenti segreti, e un biglietto per Londra, un chiaro segno dell´intenzione di svignarsela.
Nulla di tutto questo risultò essere vero.
Prima che i giudici istruttori militari cominciassero a fare marcia indietro, il capitano Yee fu sottoposto al trattamento riservato ai correligionari musulmani di Campo Delta a Guantánamo. Fu incatenato, tenuto in isolamento, spogliato e perquisito in modi umilianti, e gli vennero fatte indossare maschere e cuffie per le orecchie.
Un mese dopo il suo arresto, l´accusa di spionaggio e altre gravi imputazioni vennero improvvisamente ritirate. Un avvocato della Marina dichiarò che il governo non aveva «risorse probatorie» per continuare l´azione giudiziaria; vi era bisogno di altro tempo, continuava, per compiere ricerche sul suo comportamento sospetto. Il capitano Yee si trovava ora a difendersi da accuse relativamente minori: l´aver maneggiato senza cura due documenti riservati (lui insiste che non ne ha mai visto nemmeno uno). Fu comunque tenuto in isolamento per settantadue giorni e incatenato ogniqualvolta veniva portato a un interrogatorio.
E´ chiaro che dietro questa vendetta si celava l´ossessione di qualcuno. Prove circostanziali puntano il dito contro il generale Miller, comandante del Campo Delta, poi noto come responsabile della prigione di Abu Ghraib in Iraq. Il generale condusse personalmente le audizioni tenutesi ad Arlington, in Virginia, sulle accuse di adulterio e pornografia. Non sorprende che la sua decisione fu contraria a Yee, il quale si appellò al Comando Meridionale dell´Esercito statunitense. Il generale James Hill, a capo del Comando, dichiarò invalida la decisione del suo collega generale - cosa quasi senza precedenti - per poi affermare, non si sa su che base, che il comportamento di Yee restava riprovevole. Il cappellano se la cavava, secondo il generale, solo perché aveva sofferto troppo - non certo per i mesi di detenzione in isolamento, ma per il trattamento subito dalla stampa.
Non c´è più stato nessun cappellano militare musulmano assegnato ai detenuti di Campo Delta, dall´epoca dell´arresto di Yee a oggi. Un portavoce della Forza Congiunta che dirige gli interrogatori a Guantánamo mi ha assicurato che un cappellano è sempre disponibile a richiesta e che le guardie, ha soggiunto, sono sensibili alle pratiche religiose dei detenuti. E la stessa litania che viene recitata dall´inizio del 2002, quando i primi prigionieri in catene vennero trasportati alla base. Da allora, mese dopo mese, anno dopo anno, nessun osservatore indipendente è stato ammesso nelle gabbie per vedere coi propri occhi, a eccezione di rappresentanti della Croce Rossa Internazionale, che possono accedere ai detenuti solo a condizione di non divulgare notizie.
Quest´anno è il quinto che molti passano a Campo Delta. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha decretato che dopo tutto le corti federali hanno una qualche giurisdizione sui detenuti di Guantánamo.
Ma nessuna ingiunzione federale ha per ora cambiato la vita di un singolo detenuto. Non avevamo bisogno del capitano Yee per renderci conto che ormai Guantánamo è fonte di grande imbarazzo. Ciò che questo testimone suo malgrado ci ha mostrato, è che si tratta di un luogo di miseria, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Nemmeno questa è l'America

domenica, gennaio 08, 2006

Calvin senza Hobbes


Quando invecchierà Calvin sarà così e rifletterà come Greenspan sul futuro dell'economia mondiale



Per il momento però ce lo teniamo così...

mercoledì, gennaio 04, 2006

Ciao Donatella


Nel 1975 si salvò dalla furia dei massacratori fingendosi morta
Era malata da tempo, è deceduta il 30 dicembre a Roma. È morta Donatella Colasanti
sopravvissuta al massacro del Circeo

Il direttore del carcere di Velletri: "Izzo si è detto dispiaciuto"

ROMA - Donatella Colasanti, sopravvissuta al massacro del Circeo nell'ottobre 1975, è morta per malattia il 30 dicembre scorso. La notizia del decesso è stata confermata dal padre della donna, Mario Colasanti.

Era ricoverata già da due settimane all'ospedale oncologico Regina Elena di Roma per un tumore al seno con metastasi, che l'ha portata alla morte per arresto cardiaco. Il tumore si era esteso su altre parti del corpo di Donatella tanto che i sanitari l'avevano sottoposta a chemioterapia. Ma non ce l'ha fatta.

Nonostante la malattia, la donna non aveva mai smesso da 30 anni di chiedere giustizia nei confronti dei suoi tre 'aguzzini': Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, che il 29 settembre del 1975 avevano invitato e poi sottoposto a violenze e sevizie di ogni tipo per una notte intera in una villetta al Circeo, lei e Maria Rosaria Lopez, che fu uccisa.

Donatella Colasanti si salvò trovando l'energia e il coraggio di una mossa d'astuzia in tanto terrore: per una notte si finse morta e fu trovata, in fin di vita, il giorno dopo, nel bagagliaio di una Fiat 127, in via Pola a Roma.

"Con Donatella Colasanti se ne è andata una protagonista di una vicenda che ha segnato la nostra città e tutto il Paese". Così la ricorda il sindaco di Roma Walter Veltroni. Che aggiunge: "Il dolore e l'indignazione per le violenze che costarono la vita a Rosaria Lopez e alle quali Donatella sopravvisse con tanta sofferenza sono ancora vivissime, richiamate alla memoria degli italiani anche da altri, recenti, orribili fatti di sangue. Dopo tanti anni il delitto del Circeo resta una ferita aperta e un ammonimento. A Donatella, che ne è stata la dolorosa memoria vivente, va in questo momento il pensiero di tutta la città, che si stringe affettuosa intorno ai suoi familiari".

Parla, anche, uno dei suoi carnefici, Angelo Izzo. Testimone della reazione, "composta" e "dispiaciuta", è il direttore del carcere di Velletri dove l'uomo è recluso. "Ha appreso la notizia dalla tv - dice Giuseppe Makovec - non ha pianto ma ha avuto parole di dispiacere". Secondo quanto riferito dal direttore della casa circondariale, Izzo avrebbe affermnato "Mi dispiace, è una dona che ha subìto molta violenza".


Postilla: ignoro se quelle carogne che ne approfittarono tanti anni fa siano ancora vive. Spero che conoscano anche solo un decimo di quello che questa donna ha passato. Ivi compreso quel caro ragazzo di Izzo. Quello che penso di questo individuo purtroppo non posso scriverlo. Mi limito a pensarlo.