giovedì, luglio 03, 2008

Un riassunto


È un riassunto particolare, che non mi trova completamente d'accordo. La Betancourt era più nota fuori che dentro la Colombia e non ha mai davvero avuto questo peso nella lotta alla corruzione. Veniva da una famiglia estremamente benestante ed è sempre stata una donna di destra. Ma oggi comunque è un giorno di festa.



Mimmo Candito per la Stampa

Quanto lunghi sono sei anni «vissuti» nella foresta, sei anni interminabili, giorno dopo giorno, le stagioni, le piogge e il sole, l'intrico impenetrabile della giungla, il tempo sempre uguale nella sua monotona immobilità. La Ingrid Betancourt che ieri è stata strappata ai guerriglieri colombiani delle Farc e riconsegnata finalmente alla sua libertà, difficilmente potrà essere la stessa persona che in quel dannato sabato della fine di febbraio del 2002 venne sequestrata da un gruppo di uomini armati.

Era andata nella regione di San Vicente del Caguàn proprio per incontrare una missione militare di Marulanda, il leggendario «Tirofijo» che comandava la guerriglia rivoluzionaria fin dal momento del suo costituirsi, ormai quarant’anni fa. E questa sua missione era parte della campagna elettorale che lei stava conducendo come candidata alla presidenza della Colombia. Tutti l'avevano sconsigliata dall'andarci, ma la Betancourt non è una donna fragile, anche in quel suo volto affilato, i lunghi capelli neri, l'apparente debolezza di un fisico minuto. Ed era partita, con alcuni uomini dello staff elettorale e la sua segretaria Clara Rojas.

San Vicente è un borgo contadino ad alcune centinaia di chilometri da Florencia, nelle pendici della Cordillera, con la foresta fitta che subito gli sta addosso e montagne aspre e selvatiche. Era una «zona smilitarizzata», in quel processo di dialogo che Pastrana, il presidente d'allora della Colombia, aveva voluto creare per poter dare spazio, anche fisico, alle opportunità di un negoziato di pacificazione con i guerriglieri; un pezzo del Paese consegnato in pratica nelle mani delle Farc, senza alcuna presenza di uomini dell'esercito o di attività di controllo e di gestione amministrativa del governo centrale.

C'era andato lo stesso Pastrana, e c'erano andati poi, a farsi vedere, molti uomini politici interessati a incontrare delegazioni delle Farc, per tentare, ogni volta, di riprendere un filo di trattativa che le diffidenze di una parte e dell'altra rendevano sempre più sottile. C'ero arrivato anch'io, in quegli anni, e avevo trovato che il controllo delle Farc aveva fatto di quel pezzo di Colombia non tanto una zona smilitarizzata ma, piuttosto, un territorio «indipendente» dove il potere, il governo, la stessa vita quotidiana erano interamente nella volontà libera e autonoma degli uomini di Tirofijo.

Era con loro che la candidata voleva incontrarsi. Ma non fu l'incontro che lei immaginava. Figlia d'una madre importante - l'ancora splendida, e notissima, Yolanda Pulecia, Miss Colombia d'un tempo ora lontano - e d'un padre ancor più importante - ministro del dittatore Gustavo Rojas e poi diplomatico nelle ambasciate europee - Ingrid Betancourt è cresciuta in Francia, all'ombra del papà, e in Francia ha compiuto il suo corso scolastico, diplomandosi nel prestigioso Institut d'Etudes Politiques di Parigi. Lì ha preso ad appassionarsi di politica, e lì ha messo le radici di quello che sarebbe stato poi il suo progetto di vita.

Eletta, in patria, per la prima volta in Parlamento, nel '94, con un suo gruppo politico ambientalista e movimentista (il Partido Verde Oxígeno), s'era subito guadagnata popolarità e attenzione con una intensa campagna contro i malaffari d'una amministrazione governativa accusata di complicità più o meno clandestina con quei cartelli del narcotraffico che dominano la vita pubblica, e l'economia, della Colombia.

Andava per le strade di Bogotà, soprattutto nei quartieri meridionali della capitale, distribuendo ai passanti una confezione di profilattici, per presentare la sua azione politica come «un preservativo contro la corruzione». Il risultato di questa spregiudicatezza, nel '98, nelle elezioni del Senato, le attribuisce il più alto numero di preferenze di tutto il paese.

Ed è questo il suo carattere, la sua identità, pubblica e privata. Una donna forte, che ama i gesti forti, la responsabilità conclamata pubblicamente, sfidando convenzioni, cautele, tradizioni consolidate. Minacciata più volte di morte, costretta a mandar via, in Nuova Zelanda, i figli, per sottrarli al rischio della vendetta politica, aveva però continuato per quel suo percorso di sfida a volto aperto, sicura di sé, orgogliosamente fiera della propria storia, dei propri successi, del proprio progetto politico di trasformazione della vita pubblica della Colombia.

Quale donna sia oggi è assai difficile immaginare, in queste prime ore della sua nuova libertà. L'ex deputato colombiano Luis Eladio Pérez, che è stato suo compagno di prigionia e l'aveva vista per l'ultima volta all'inizio di febbraio, ha detto: «Ingrid sarà presidente della Colombia, ha una proposta molto interessante, che vuole presentare al Paese». Forse sarà così. Ma in una lettera che lei aveva scritto alla mamma un anno fa, e che era arrivata poi fuori dalla giungla, Ingrid scriveva: «Qui viviamo tutti come morti, qui la vita non è vita ma una lugubre perdita di tempo. Non mangio più, l'appetito mi si è bloccato, i capelli mi cadono, non ho voglia di niente».

Le immagini della liberazione ci danno il profilo d'una donna consumata, distrutta da quella vita senza vita che è durata sei interminabili anni. Ora il domani è ancora tutto da scoprire, per questa libertà arrivata a squarciare una vita che era morte, ma la libertà è anch'essa una scoperta, ora tutta da vivere per questa donna che deve saper reinventare la propria dolente identità.

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