domenica, luglio 26, 2009

Quanto ci manchi maestro



Fonte: la Repubblica

Luigi racconta la De Filippo dinasty
"Che lite tra Eduardo e Peppino..."
di LUIGI DE FILIPPO

FU UNA bella lite, accesa, mio padre si ribellò in maniera non solo violenta, ma, se vogliamo, anche ironica. Stavano provando al teatro Diana di Napoli, era il 1944. L'atmosfera era già tesa da un po' di tempo, due galli in un pollaio non ci possono stare. Peppino voleva fare una cosa, Eduardo un'altra. Quella mattina Eduardo notò un atteggiamento svogliato da parte di mio padre alle prove e lo rimproverò davanti agli altri attori. Mio padre si risentì parecchio di quello che gli sembrò un gesto dittatoriale e si rivolse a Eduardo facendo il saluto romano e gridandogli in faccia: "Duce... duce... duce...". Gli astanti dovettero intervenire per separarli.

Anni e anni dopo, quando mio padre si ammalò, avvisai Eduardo. Un po' si fece pregare, ma poi riuscii ad accompagnarlo in clinica; li lasciai da soli. Avevano tante cose da dirsi e poco tempo. Devo ammettere che come famiglia siamo stati molto uniti in scena, ma una volta chiuso il sipario, ognuno faceva la sua vita.

Ho continuato a vedere Eduardo anche dopo il litigio. Andavo spesso nella villetta di via Nomentana a Roma e sono stato il primo ascoltatore di Filumena Marturano. Una mattina, a Napoli, mi fece sedere e cominciò a leggere, interpretando da solo tutti i personaggi. Quella commedia in origine aveva un altro titolo, Filumena Maisto, ma il cognome della protagonista corrispondeva a quello di una nota famiglia napoletana che si risentì moltissimo di vedersi rappresentata da una prostituta. Così Maisto diventò Marturano. Mia zia Titina ha interpretato moltissime volte quella parte e un giorno, nel camerino del teatro romano Eliseo, un gruppo di signore entrò per complimentarsi, ma soprattutto per chiederle di svelare il nome del padre dei tre ragazzi Marturano. Titina, come se confidasse un segreto, rispose: "Lo so ma non ve lo posso dire, mio fratello Eduardo farebbe una tragedia!".

La famiglia De Filippo si trasferì nella capitale nel '42, due anni prima della celebre rottura. A Roma c'erano i grandi palcoscenici, Cinecittà, la radio e, soprattutto, non c'erano i bombardamenti. I De Filippo erano accaniti antifascisti e non perdevano occasione per sfottere il regime. Mi viene in mente un episodio che riguarda La fortuna con la effe maiuscola. Durante una replica serale al Quirino, eravamo in pieno conflitto, Peppino cambiò il copione: "Finalmente ho trovato un lavoro. Mi sono iscritto all'Unpa", proferì, rivolto a Eduardo, con lui in scena.

Ora, l'Unpa era l'Unione nazionale protezione antiaerea: quando squillava la sirena intervenivano le forze per aiutare i cittadini ad andare al ricovero. Questa Unione era formata da gerarchetti fascisti, gente anziana che non poteva andare al fronte, mezzi rimbambiti. Eduardo capì al volo la battuta improvvisata e rilanciò: "Ma come? Tu sei cretino". "Appunto mi hanno preso all'Unpa". La cosa venne riferita al federale di Roma, che decise di mandare una squadraccia per dargli una lezione. Fu lo stesso Mussolini a salvarli decretando: "Lasciateli perdere, sono la mia valvola di sicurezza".

I De Filippo da una certa area politica non sono mai stati amati. Eduardo è stato molto vicino al Pci e rammento la sua commozione ai funerali di Berlinguer; mi ricordo anche che Togliatti portava la figlia al Teatro delle Arti a Roma e andavano a salutare mio padre, che allora lo gestiva. La Dc invece ha sempre osteggiato Eduardo, per esempio impedendogli di aprire la sua scuola di recitazione. Non hanno mai censurato le sue commedie in tv perché sarebbe stato come "tagliare" un monumento nazionale, ma queste sue simpatie di sinistra gli sono costate care.

Peppino De Filippo ha girato cento film, ha scritto una cinquantina di commedie, con lui ho conosciuto tantissima gente. Fellini, per esempio. Scherzava sempre e, come me, aveva il problema della perdita dei capelli. Un giorno sul set di Boccaccio '70 mi fermò per dirmi: "Luigi, ho trovato che cosa impedisce la caduta dei capelli... il pavimento".

La televisione è stato un mezzo di comunicazione che i due fratelli De Filippo, in maniera diversa, hanno saputo usare: ero a casa di Eduardo quando arrivò una telefonata della Rai. Mio zio, finita la conversazione, ce la raccontò: "Pronto, qui è la televisione...", "Piacere, adesso le passo subito il frigorifero". Peppino accettò di condurre Scala Reale negli anni Sessanta ma gli ascolti non erano soddisfacenti. Allora gli venne in mente il personaggio di un cuoco che si esprimeva per strafalcioni e che aveva usato in teatro. Pappagone diventò più di una maschera, la gente parlava come lui ("ecque qua...").

La Titanus gli offrì di fare una serie di film con Pappagone, ma lui rifiutò. Di B-movie, come si direbbe adesso, ne aveva girati tanti; ma insieme a Totò, era un'altra faccenda.
(testo raccolto da Alessandra Rota)

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