mercoledì, febbraio 13, 2008

Animali


"Sarebbe stato il primo figlio, un dolore non farlo nascere"

di GIUSEPPE DEL BELLO

"Mi hanno trattata in un modo assurdo. Interrogata come se avessi fatto chissà che. E invece io soffrivo, quel figlio lo volevo a tutti i costi. Mai avrei abortito se non avessi avuto quel terribile verdetto".
Silvana, napoletana, vive ad Arzano (un paese alle porte di Napoli) con la mamma. Magra, poco più di un metro e 60. Sta per essere dimessa dal reparto di Ostetricia del Nuovo Policlinico dove è ricoverata da giovedì scorso. Ed è qui che l'altro ieri è stata sottoposta a un duro interrogatorio da cui non si è ancora ripresa. "Ero appena rientrata dalla sala operatoria", sibila con un filo di voce.

Come e quando ha saputo che il bimbo aveva una grave malattia?
"Ho 39 anni e mi era sembrato indispensabile sottopormi all'amniocentesi. L'ho fatto alla sedicesima settimana nell'ospedale di Frattamaggiore, non lontano da dove abito. Era il 18 gennaio e il referto con la diagnosi me l'hanno consegnato il 31. Sul foglio c'era scritto "Sindrome di Klinefelter". Poi mi hanno tradotto il significato, una cosa terribile".

Una brutta malattia?
"Sì, un difetto dei cromosomi che poteva comportare ritardo mentale, problemi al cuore, diabete e l'assenza di alcuni ormoni".

Ed è così che ha deciso di abortire?
"Non c'era altra scelta. Appena mi hanno comunicato che mio figlio sarebbe stato un malato per tutta la sua vita, non ho avuto dubbi. Ho deciso al momento, d'istinto: abortisco. Anche se sapevo che per me rappresentava una scelta particolarmente dolorosa. Mai avrei messo al mondo, da sola visto che non sono sposata, un bimbo in condizioni così gravi per il resto dei suoi giorni. E per favore che nessuno si permetta di parlarmi di egoismo, la mia è stata una scelta che va nella direzione opposta".

Quando è andata la prima volta al Policlinico?
"Il 31 gennaio, per sottopormi a tutte le indagini preliminari, dai prelievi di sangue all'elettrocardiogramma, compresa la visita dallo psichiatra".

E che le ha detto?
"Che la mia salute psichica sarebbe stata a rischio se non abortivo. E venerdì scorso mi sono ricoverata nel reparto di Ostetricia dove avevo conosciuto il dottor Leone. A lui avevo portato il referto e poi manifestato la volontà di abortire. La decisione è stata mia. Nessuno è intervenuto in questo senso. Il giorno prima ero stata anche al Cardarelli per sottopormi a consulenza genetica, me lo avevano chiesto gli specialisti del Policlinico per spiegarmi meglio la situazione del bimbo e della sua patologia. Intanto ero entrata nella 21esima settimana".

Nei termini di legge.
"Certo. Mi avevano comunicato che si poteva fare entro la 23esima settimana. Per tre giorni mi hanno somministrato i farmaci per stimolare le contrazioni dell'utero. Ma lunedì alle 11 il medico mi ha rifatto l'ecografia e si è accorto che il feto era morto".

Quindi?
"Ho continuato con la terapia e finalmente alle 6 e mezza di sera ho abortito. Poi mi hanno portato in sala operatoria e, con l'anestesia, mi hanno ripulito l'utero".

E infine, di nuovo in corsia.
"Sì, e lì ci ho trovato una poliziotta pronta a interrogarmi. Non capivo cosa stava succedendo, ero ancora sotto l'effetto dell'anestesia".

Cosa le ha chiesto?
"Mi ha bombardato di domande. Mi ha fatto terzo grado: come era successo, perché avevo abortito, chi era il padre. Addirittura se avevo pagato".

Pagato chi?
"Sospettavano che avessi dato soldi ai medici per abortire. Insistevano. E poi sono passati anche a Veronica, la compagna di stanza ricoverata per gravidanza a rischio. Mi sono trovata in una situazione assurda appena fuori dalla sala operatoria".

Sporgerà denuncia?
"Ci sto pensando, visto il trattamento che la polizia mi ha riservato, avendo già affrontato un trauma terribile che mi fa ancora soffrire".

da repubblica.it

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