martedì, gennaio 19, 2010

Ma perché la Aspesi non si limita a scrivere di moda?

Una volta si parlava della presunta, stucchevole e fastidiosa superiorità intellettuale della sinistra. Alcuni ancora ci credono. Una prova è un articolo inverosimile di Natalia Aspesi. Vuol dire non aver capito nulla di Avatar. Vuol dir non aver capito nulla delle nuove tecnologie. Vuol dire non aver capito nulla. A parte il fatto che non è vero che che la profondità del film e gli occhialini fanno venire mal di testa. Io mi ricordo lo squalo tre D quando ero piccolo e devo dire che quello sì faceva davvero venire un mal di testa terribile. Avatar forse non sarà cinema, ma solo entertainment, ma da qui a dire che faccia venire la nausea agli occhi...ma perché lanciarsi a scrivere di cose di cui non si capisce rischiando di fare la figura della signora che "va a vedere di cosa si occupano questi giovani d'oggi"... questo non è giornalismo. È macchiettismo.




"AVATAR"? TI FA VENIRE LA NAUSEA AGLI OCCHI!
Natalia Aspesi per La Repubblica
Malgrado anche i critici l´abbiano coraggiosamente giudicato un capolavoro, le masse preposte agli incassi oceanici non si sono spaventate e hanno fatto il loro dovere: così anche in Italia, il primo giorno di programmazione, "Avatar" ha fatto 2 milioni e 100 mila euro di incassi.
E ha superato quelli già stratosferici del Verdone di "Io, loro e Lara", pure questo impallinato come meraviglia da chi un tempo, se il film non era una tragedia curda o una graphic novel filippina, neanche lo considerava.
Certo il film di Cameron lo stanno dando da noi in 925 sale di cui 416 velocemente attrezzate per far venire la nausea con gli occhiali verdi e rossi del 3D (con risultati pessimi su chi già porta occhiali da vista). Per cui anche nolenti o solo dubbiosi, lì si deve finire.

È ovvio che, di massa o di nicchia, i film devono rispondere al mercato, cioè non perdere denaro: "Gomorra" è costato 4 milioni e mezzo di euro, "Avatar" 230 milioni di dollari, quindi a ognuno una ben diversa quantità di pubblico è indispensabile per non essere considerato un flop. "Gomorra" è stato un successo anche finanziario, "Avatar" si spera che lo sia.Del resto negli Stati Uniti dove è ancora nei cinema, è al secondo posto negli incassi 2009 (dopo "Transformers: la vendetta del caduto", 402.111.870 dollari), con 342.114.898 dollari. Per dire che i gusti son gusti, "Gran Torino" di Eastwood, massimamente amato da noi, è al 20° posto e il solo italiano della lista di 250 film, "Gomorra", è al 218° posto, con un incasso Usa di 1.568.743 dollari.
Nel caso del fastoso e costoso film di Cameron è ovvio che solo i lunatici, i noiosi, i caratteriali, gli eremiti, gli anacoreti e pure l´abate Faria, non andranno a vederlo, visto che è dal 1995 che se ne vagheggia e i primi fan saranno ormai canuti se non addirittura smemorati, mentre una notizia quotidiana sulla spettacolare opera ci rallegra da ormai qualche anno: se poi uno sconsiderato volesse saperne di più su Internet, verrebbe immediatamente travolto da un tifone di 595 milioni di articoli, un eccesso per chiunque.
Perplessi saranno i leghisti, perché su Pandora gli extracomunitari che mettono in pericolo la sicurezza dei suoi abitanti con necessità di ronde per difendersene, sono mascalzoni bianchi, mentre i loro avatar sono pericolosi clandestini; mentre quelli che dovranno studiare una loro Bossi-Fini sono giganti verdi di pelle e di ecologia, col vitino di vespa e le piccole natiche da modelli fashion, con enormi occhi gialli, orecchie da volpino sulle tempie, lunga treccia e lunga coda che s´intrecciano ambiguamente.

Quanto agli effetti tridimensionali, dopo cinque minuti non te ne accorgi più, tanto vale vedere il film senza occhialini che almeno non viene il mal di testa. È meraviglioso che la gente riempia i cinema e che si lasci ancora incantare. Ma forse perché i vecchi appassionati di film ne hanno visti tanti, per quel che riguarda la fantasia, la visionarietà, l´emozione, ne ricordano di meglio: non si dice "Il viaggio nella luna" di Méliès, anno1902, ma almeno "Il signore degli anelli" di Jackson, di quell´anno ormai lontanissimo che è il 2001.Quante volte abbiamo visto un film tale e quale, con il cattivo invasore che perde e il buon selvaggio che vince, e il giovane straniero che s´innamora riamato della bella indigena? Non manca qui la scienziata brusca e il capotribù saggio, più carri armati volanti ed enormi galline-jet.

Invece, nella provincia dell'impero, si discute senza capire. E a "spiegare" è la signora Ferrara, perché lei è 'mmericana e quindi lei sa. Oh yes. 

Sembrava una disputa ideologica tutta americana, con la destra conservatrice schierata contro "Avatar", insieme a centinaia di blog "neocon" pronti a scandire la parola d'ordine, un po' ridicola, del boicottaggio. Accuse a carico del film, da ieri nelle sale italiane in 800 copie, 350 delle quali in 3D: antipatriottico, panteistico, sdolcinato, hippy, ecologista, new-age, consolatorio, dannoso, sinistrorso, buonista, post-moderno, revisionista, eccetera.
Michele Anselmi 
per il Secolo XIX

Sicché "Avatar" muoverebbe le corde profonde di una religiosità semplice e consolante, che non pone il fedele davanti ad un Dio personale ma invisibile ed esigente. E se anche fosse? L'attrice Govindini Murty, cofondatrice del blog "Libertas", pur apprezzando "lo spettacolo straordinario", accusa "Avatar" di farsi portatore di "tutta l'ideologia dannosa della sinistra".Addirittura, insorge il falco John Podhoretz sulla rivista "Weekly Standard", il film chiederebbe al pubblico di "fare il tifo per la sconfitta dei soldati americani ad opera dei ribelli" (eppure nel lussureggiante pianeta Pandora, anno 2054, sono i nativi bluastri armati di frecce e lance a resistere all'invasione ipertecnologica dei terrestri). Mentre Ross Douthat, sul "New York Times", rammenta al regista che "civiltà come quelle dei Na'vi non sono Eden, ma posti dove la vita tende ad essere brutale, violenta e breve".
Sembrava, appunto, una disputa tutta americana. Invece s'è trasferita pari pari qui da noi. Con toni meno pensosi sul versante teologico-religioso, forse più ironici, ma senza distaccarsi troppo nelle motivazioni.
Ad esempio, per Maurizio Cabona del "Giornale" Cameron evoca "una guerra spaziale che ricorda ogni guerra coloniale e neocoloniale degli Stati Uniti e dei loro alleati: vi troveranno dunque un esiguo risarcimento morale pellerossa, messicani, filippini, indocinesi, nicaraguensi, salvadoregni, grenadini, panamensi, iracheni, somali, sudanesi, serbi, afghani, yemeniti... Anche gli indios dell'Amazzonia, sempre che possano vedere il film, riconosceranno nella scena dei bulldozer che deforestano la loro quota di dramma".
Il neoconservatore australiano Rupert Murdoch, "il fatto economico diventa politico", cioè "l'adesione di una vasta massa essenzialmente giovanile a un film che mostra la sconfitta del proprio Paese e il rimpatrio dei prigionieri modellato sulle immagini dei rimpatri dal Vietnam".
Vista così, la critica all'espansionismo umano, pur presente nel film in chiave epico-romantica, superficialmente filosofica, da intrattenimento popolare, si muta in accusa diretta all'interventismo americano, sopraffattore, vorace e pasticcione. Troppo per Anselma Dell'Olio.
Sulla prima pagina di "Liberal" ricorda che con certi film non si può scherzare. "Il tifo anti-occidentale candida ‘Avatar' a film culto di al Qaeda", ammonisce, lamentando "la sfacciata glorificazione del traditore" (il marine paraplegico che da umanoide blu recupera l'uso della gambe e si unisce ai nativi), ironizzando sul "predicozzo ecopacefondaio col cuore in mano", definendo "il pregiudizio culturale più manicheo, a parti rovesciate, dei film con John Wayne: indigeni divini, noi mostri assetati di sangue e avidi di denaro".
D'altro canto, annota la critica, il regista di "Avatar" è canadese. Cosa possiamo attenderci? Sono ottimi comici (Dan Aykroyd, Jim Carrey, Martinh Short), buoni scrittori (Mordechai Richler), ottimi musicisti rock (Neil Young, The Guess Who), ma pessimi "americani". Infatti in un dimenticato e divertente film di Michael Moore, "Operazione Canadian Bacon", 1995, l'inquilino della Casa Bianca, finita l'epoca della guerra fredda e sentendo diminuire prestigio e popolarità, s'inventava un nemico da abbattere, un nuovo Impero del Male, trovandolo nel pacifico Canada.
Per la cronaca, se da destra danno a Cameron dell'antipatriottico e del panteista, quasi fossero colpe esecrabili, da sinistra accusano il film di essere addirittura razzista. In quanto proporrebbe "la favola del messia bianco", così togliendo quindi al Popolo azzurro l'orgoglio e la determinazione di difendersi senza l'aiuto dello straniero buono.
L'esausto regista si difende così: "Il film chiede soltanto di aprire gli occhi e vedere gli altri, rispettarli anche se sono diversi da noi, nella speranza di prevenire conflitti e vivere armoniosamente. Non mi pare che sia un messaggio razzista". In effetti, non pare. Succedeva tranquillamente in western come "Un uomo chiamato cavallo" e "Balla coi lupi", ma non c'era ancora stato l'11 settembre.

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