sabato, settembre 06, 2008

Il Che de' Noantri

Ci sono persone, e Ramon Mantovani credo sia una di esse, che da ignoranti giocano col fuoco. Forse perché la loro vita è troppo vuota, cascano con tutti e due i piedi in trappole assurde come quella "in difesa dei combattenti delle Farc". È incredibile che questo tizio sia arrivato in Parlamento, ma tant'è. È accaduto e son cose che mi fanno impazzire. Ma questo tizio non potrebbe cercarsi un vero lavoro?

Paola Sacchi per Panorama


Ramon Mantovani
Una volta nella buvette di Montecitorio, a luglio 2001, alla vigilia del drammatico G8 di Genova, gelò i cronisti: «Andiamo a Genova a fare la guerriglia». Ma lo disse con uno di quei suoi sorrisi accattivanti e non fu preso più di tanto sul serio. Forse il segreto per il quale Ramon Mantovani può dire qualsiasi cosa e alla fine passa per un estremista gentiluomo consiste nella natura allegra del suo carattere. Per la quale vanta amicizie anche con esponenti del centrodestra come l’avvocato Geatano Pecorella e il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che lo considerano un’utopista. La Russa lo definì «uno che nelle sue battaglie, sbagliate, crede davvero».

Mantovani, il dirigente di Rifondazione comunista perennemente sul filo dello scandalo internazionale, ieri per i suoi rapporti con il terrorista curdo Abdullah Ocalan, oggi per la sua amicizia con i guerriglieri colombiani delle Farc, è un comunista molto atipico. Nel suo ufficio al partito in viale del Policlinico a Roma fa spallucce di fronte alle accuse di aver aiutato i rapitori di Ingrid Betancourt. Ribatte: «Anche l’Anc di Nelson Mandela faceva terrorismo. E allora? La lotta armata è giustificata ovunque ci siano dittature e oppressione dei popoli».

Confessa: « Io stesso ho collaborato con le Frap, un’organizzazione antifranchista che faceva lotta armata in Spagna». Mostra orgoglioso la foto che lo ritrae con il fondatore delle Farc Manuel Marulanda, detto Tirofijo. «Un leggendario comandante» per Ramon, un guerrigliero sanguinario per l’Onu, che ha messo la sua organizzazione nella lista nera del terrorismo.

Mantovani ricorda i cocktail Negroni che bevve in allegria con «il comandante» Raul Reyes, altro capo delle Farc, ucciso dalla polizia colombiana. Era il ’97 al Rive Gauche, un bar di San Lorenzo, il quartiere popolare di Roma dove Mantovani vive. Reyes ricambiò con una bottiglia di whisky Buchanan 18 anni nella sua tenda, nella foresta amazzonica. Ramon ha una casa anche a Milano, la sua città d’adozione. Dice: «Come tutti i milanesi ho sempre considerato il bar più importante della casa. L’aperitivo per me è un rito».

Nonostante la sua riservatezza, ha fama di sciupafemmine e scapolo impenitente. Lui alza le barricate, «non mi sono mai sposato e sono fatti miei». Politicamente si definisce «un comunista libertario, anarchico e comunista insieme». Negli anni Ottanta, quando era funzionario del Pci a Milano, mentre Enrico Berlinguer e Massimo D’Alema si congelavano a Mosca, alle prese con l’incartapecorita nomenklatura sovietica, lui preferiva volare all’Avana, da Fidel Castro, verso il comunismo al ritmo di mambo e cha-cha-cha. Racconta orgoglioso: «Mai stato nei paesi del blocco sovietico, a eccezione della Germania dell’Est, ma scappai subito: una tristezza, uno schifo. Non c’era libertà e gli operai lavoravano a cottimo».

Ramon si chiama così perché è nato in Spagna nel 1955 a Manresa (Catalogna) e con la musica nel sangue. È figlio di due cantanti lirici: sua madre Margherita Casals ha cantato anche alla Scala di Milano, suo padre Ivo, originario di Venezia, ricopriva invece parti più secondarie. L’amico dei terroristi più temuti in fondo è un romantico. La mattina si alza con la musica di Richard Wagner. Si commuove per il Parsifal e per il Tristano e Isotta. Adora La cavalcata delle valchirie, che è anche la colonna sonora del suo film preferito, Apocalipse now. Appena può va all’opera.

Oltre alla musica, nel sangue ha anche l’antifranchismo, all’origine del suo rovello contro le dittature: «Nella famiglia di mia madre c’erano anarchici, che dovettero andare in esilio in Francia. Per questo mia madre volle che io prendessi subito il passaporto italiano. Ci trasferimmo a Milano quando ero piccolo. Ma in Spagna tornavamo sempre per 3-4 mesi all’anno».

A Milano Ramon si dette subito da fare. Iniziò a fare politica a 14 anni, nel movimento studentesco di Mario Capanna. Era l’epoca dei «katanga» ed era sempre in testa ai cortei. Ricorda: «Sono finito in galera quattro volte. Una volta mi ha tirato fuori Gaetano Pecorella: fu bravissimo. Ma io avevo anche ragione». Quando si sono rincontrati in Parlamento, Pecorella eletto con Forza Italia e Mantovani con Rifondazione, ci hanno scherzato su.

Così come è capitato alla buvette tra Ramon e La Russa, che ridendo gli ha detto: «Ti ricordi Ramon quante botte mi hai dato?». Mantovani dette a La Russa la patente di «fascista coraggioso». Spiega: «Mentre gli altri suoi camerati si dettero alla fuga, lui ebbe il coraggio di restare e di combattere da solo contro noi che eravamo in 30. Gliele demmo di santa ragione».

Mantovani prosegue: «Io un violento? No, ma quando ci vuole ci vuole. In Italia per esempio non c’è bisogno di lotta armata perché c’è la democrazia, però se tornasse il fascismo tutti dovremmo imbracciare le armi».
Idee per le quali si è creato nemici anche dentro Rifondazione comunista. Epici i suoi scontri in segreteria con l’ex sottosegretario bertinottiano di ferro Alfonso Gianni. Mantovani e Gianni sono considerati i due opposti: il primo l’ala sinistra, il secondo l’ala destra. Anche Ramon era nelle file bertinottiane, poi iniziò ad annusare «la deriva moderata che ci avrebbe portato alla sconfitta».

Lui smentisce, ma si dice che fosse contrario anche al fatto che Fausto Bertinotti diventasse presidente della Camera; e che avesse nel mirino certi compagni con l’auto blu. Come, per esempio, l’ex vicepresidente del Senato Milziade Caprili.

Mantovani è stato l’unico che ha difeso il trotzkista Marco Ferrando quando fu escluso dalle candidature per le sue dichiarazioni contro i militari italiani caduti a Nassiriya. Ora è un sostenitore di Paolo Ferrero, quello che considera più a sinistra di tutti. Dopo, Ramon, ovviamente, l’amico dei «rivoluzionari».

Il confuso Mantovani che mette sullo stesso piano i Zapatisti messicani e le Farc. La dimostrazione di non sapere esattamente quello che fa.

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