martedì, marzo 31, 2009

Il fidato amico della regina di Giordania




FRANCESCO BATTISTINI PER IL "CORRIERE DELLA SERA"

Taciuto a lungo, come un segreto di Stato. Sepolto subito, come un affetto segreto. Ignoto ai più, come un agente segreto. Non ne rivelano il nome, né la razza. E al telefono negano particolari: «Non possiamo dire nulla - spiega Orit, cortese portavoce della clinica veterinaria di Beit Dagan -. Siamo legati al diritto di privacy d'ogni nostro paziente... ».

La privacy d'un cane? «Ci siamo capiti: la privacy dei padroni del cane». Can che muore non abbaia, soprattutto se i padroni sono le Loro Altezze Reali Abdullah II Bin al-Hussein e Rania Al Abdullah, i sovrani di Giordania.

Che in gennaio, nel pieno del bombardamento israeliano su Gaza - mentre morivano mille e più persone, mentre il re condannava in pubblico l'attacco «che avrà come unico risultato d'infiammare la regione», mentre la regina d'origine palestinese manifestava solidarietà ai «fratelli sofferenti» - qua e là trovavano il tempo di palpitare per un dolore più vicino, l'agonia del loro cane.

Fino a osare l'inaudito: portare di nascosto la bestiola oltreconfine, in Israele, perché qualcuno la salvasse. Mors tua, cane mio. Solo chi ci è passato sa che cosa sia, la sofferenza del miglior amico. Però c'è poca privacy da proteggere, qui, e l'affare è diventato anche politico.
Nell'imbarazzo nella reggia hashemita, ora che la storia è stata resa pubblica da un incauto veterinario di corte. Le cose sono andate più o meno così. Il fidato quattrozampe stava sempre peggio, probabilmente per un tumore. La razza l'ha poi rivelata il giornale del Qatar Alraya: un saluki (levriero persiano), animale bellissimo che il bisnonno del re, Abdullah, allevava con passione.

Rania, disperata, ha chiesto al suo consigliere il daffarsi, ottenendo un consiglio prezioso: c'è una sola clinica in tutto il Medio Oriente che possa qualcosa per casi come questo, l'Università ebraica di Beit Dagan. Una telefonata, la disponibilità.

La regina ne avrebbe parlato col re, poche ore e il viaggio della speranza era bell'e organizzato: una vettura speciale, due militari di scorta, ha accompagnato la povera bestia al confine, consegnandola a una staffetta israeliana. Tutto inutile, però. Tempo un paio di giorni, e il cane è morto. Un'altra telefonata dei veterinari di Beit Dagan, di cortesia stavolta - «ci dispiace, era troppo malato » - e il mesto corteo è tornato ad Amman, per la sepoltura.

Scatenati i blog arabi, dove l'impuro scodinzola e ha quattro zampe: «Trovo vergognoso che Abdullah, l'amico degli israeliani, pensi a salvare un animale e non faccia niente per i palestinesi » (lohyi79); «cani figli di cani che piangono per i cani» (rshihabi.net). Silenzio assoluto da palazzo reale.
«Non c'è da stupirsi - commenta un diplomatico ad Amman -. Italiani, olandesi, inglesi: i cani degli ambasciatori in Giordania giocano spesso insieme, nel giardino dell'ambasciata israeliana, ma quello del re non abbiamo mai avuto il piacere di vederlo. C'è una tradizionale riservatezza, negli affari privati, che s'estende anche agli animali della corte».

La passione animalista di Rania è nota. Tre anni fa, per la festa islamica del sacrificio, trovò udienza una protesta ambientalista contro l'importazione e lo sgozzamento di 900mila pecore australiane.

E nel 2007 è stata la regina, con lungimiranza sociale, a fondare il «Garden Sanctuary» di Amman per l'assistenza agli animali: sale operatorie, farmacie, pronto soccorso, laboratori ai raggi X, cure veterinarie gratuite a tutti quegli asini, quelle galline, quegli ovini che sono l'unica fonte di reddito per 45mila famiglie giordane. «È un centro che non ha rivali in tutto il Medio Oriente», disse all'inaugurazione: in tutto, meno che in Israele

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