domenica, marzo 01, 2009

Lobbying



Da Boeing a Exxon, tutti gli affari dell'industria della "spintarella"
di VITTORIO ZUCCONI

da Repubblica.it

WASHINGTON - "Tu pensa al ministro che al Parlamento ci pensiamo noi" disse il lobbista di un governo straniero a un avvocato che lo rappresentava. Bei tempi. Oggi un vento freddo soffia lungo il "Fossato di Gucci", la K Street di Washington dove ronza la massima concentrazione al mondo di lobbisti in lussuosi mocassini italiani: il presidente Barack Obama gli ha dichiarato ufficialmente guerra.

Non è il primo leader americano a farlo, nella processione di politici mandati dagli elettori alla Casa Bianca per bonificare la foresta pietrificata di interessi, di gruppi di pressione, di trafficoni, spesso di esimi farabutti, che governano la nazione dietro il palcoscenico della democrazia, più dei rappresentanti scelti per farlo, per conto di chiunque le paghi, siano essi gli avvocati dei processi per danni personali, il sindacato insegnanti - potentissimo - gli industriali siderurgici o i petrolieri rimasti orfani del loro ragazzo alla Casa Bianca, George W. E non sarebbe neppure il primo a fallire miseramente.

Ma ciò che fa rabbrividire i 15 mila e 150 lobbisti registrati ufficialmente in quella bella strada Washington - 28 per ognuno dei 535 deputati e senatori che devono marcare a uomo in un pressing quotidiano - e minaccia i 3 miliardi e mezzo che l'industria della "spintarella" legislativa produce, è il fatto che per realizzare le proprie promesse, per essere Obama, per tradurre in realtà gli impegni della sua finanziaria, il presidente dovrà inevitabilmente entrare in collisione con molti degli interessi che l'armata della K Street rappresenta.

La forza, e la prepotenza, delle lobby è sempre inversamente proporzionale alla debolezza della politica, da quando, forse nel 1865 come vuole la leggenda etimologica, personaggi di varia estrazione e di diversi interessi si accalcavano nella "lobby", nell'atrio dell'Hotel Willard di Washington dove il presidente Ulysses Grant preferiva vivere, fumando corposi Havana. I lobbysti non sono onnipotenti. Posso essere, e sono stati, sconfitti come accadde nel "massacro del 1986", quando l'alleanza ferrea tra i boss democratici del Parlamento, e il popolarissimo presidente repubblicano Reagan, sconfissero i battaglioni di avvocati al servizio delle grandi corporation e vararono una riforma fiscale che alzò le imposte sui profitti finanziari, i "capital gain" alle stesse aliquote dei redditi da lavoro.

Ma la rivoluzione budgetaria disegnata da Obama garantisce dolori e sconfitte più estese di quelle scritte nella legge del 1986. Praticamente tutti i lobbisti del "Fossato di Gucci" hanno qualcosa da perdere, se diventasse legge. I petrolieri, che hanno fatto scandalosi profitti con record assoluti come la Exxon Mobil negli ultimi due anni, tremano al pensiero di miliardi investiti per superare la tossicodipendenza dai carburanti fossili. Il famigerato "complesso militar industriale", quello che Dwight Eisenhower denunciò come un cancro in via di metastasi, vede in pericolo almeno 100 miliardi di dollari di commesse nei prossimi 4 anni, se davvero il Pentagono sarà costretto a rinunciare a progetti d'arma obsoleti, roba "da Guerra Fredda", come ha detto Obama.

Grazie alle irresistibili pressioni sul Senato, l'industria aerospaziale americana è riuscita ad abbattere il contratto che legittimamente l'Airbus aveva firmato per la nuova flotta di aerei cisterna, come ormai morto è anche uno dei cosiddetti trionfi italiani concesso da Bush a Berlusconi, la fornitura dei nuovi elicotteri presidenziali costruiti dalla Alenia. Società come la Halliburton, cara al cuore dell'inflessibile crociato per l'esportazione della democrazia, il vice di Bush Cheney che ne era stato a capo e ancora ne possedeva azioni, dovranno affrontare l'orrore i aste pubbliche per offrire i loro servizi logistici alle truppe in guerra, anziché incassare i miliardi - almeno 20 - regalati senza concorrenza.

I tentacoli del lobbismi per interesse, diverso dal potente lobbismo per cause senza profitto, come i gruppi ecologisti o l'Unione Legale per le Libertà Civili, la Aclu, che tallona le scelte governative considerate anticostituzionali, si estendono a ogni angolo della vita nazionale, ovunque ci siano leggi da fare, da bloccare o finanziamenti da stanziare. Furono le "sturmtruppen" della Assicurazioni ad assalire e demolire l'offensiva di Hillary Clinton nel 1993 per creare un servizio sanitario nazionale, e saranno di nuovo loro, insieme con l'altro mostro da 800 miliardi di dollari l'anno, il "complesso medical-industriale" a battersi contro il tentativo di mettere le compagnie, gli ospedali, la professione medica in lotta gli uni contro gi altri, per abbassare i costi. "Le compagnie d'assicurazione non vogliono competere, e noi le costringeremo a farle", ha promesso ieri Obama. E se la grande finanza, colpita e umiliata dal crac, oggi è, più che lobbista, orfanella, i grandi capitali rimangono e non accetteranno gli aumenti delle tasse oltre i 250 mila dollari di reddito annuo lordo, senza muovere le proprie pedine alla Camera e in Senato, alle quali affettuosamente ricorderanno che, senza i loro finanziamenti elettorali, sarebbero ancora sindaci di paese, azzegarbugli i provincia o venditori di auto usate in Alabama.

Non c'è bisogno di arrivare alla mafia di Jack Abramoff, il gangster associato alle carceri federali fino al 2011, che comperava funzionari della Casa Bianca, parlamentari, assistenti e portaborse all'ingrosso, con una spiccata preferenza per i repubblicani, per sapere in quale limbo grigio fra legalità e illegalità si muovano personaggi capaci di decidere, con i finanziamenti elettorali, il destino di deputati e senatori. E non è neppure una questione di "destra" o "sinistra", perché il lobbista è un perfetto camaleonte, servo di tutti i padroni. Forte della immortale verità pronunciata dal democratico della California, James Unruh soprannominato "Bid Daddy", il paperone ancora nel 1922: "Il danaro è il latte materno della politica".

Nessuno è mai riuscito a svezzarsi, nonostante riforme su riforme che arrivano alla ridicola minuzia di proibire allo staff di un parlamentare di accettare pizze offerta un lobbista e obbligano, sotto pena detentiva, i 3000 funzionari ministeriali di vertice a denunciare ogni contatto con un lobbista. Come prima di lui Reagan, Obama ha una sola arma efficace per combattere le lobby: la popolarità, dunque il mandato e l'abilità di parlare direttamente alla nazione. Paradossalmente, la Depressione in atto sarà la sua migliore alleata, per domare la prepotenza dei grandi interessi costituiti e dei loro armigeri in mocassini lucidi. Almeno fino a quando anche questa crisi passerà e le incrostazioni del lobbismo sulla chiglia della nave di governo, non ricominceranno a formarsi.

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