martedì, marzo 31, 2009

Aranciata senza arance

da Repubblica.it

L´ultima beffa: aranciata senza arance

Sì del Senato alla legge Ue: bastano aromi e coloranti. Coldiretti: la vittoria dei cibi finti

Eliminata la percentuale minima del 12% di frutta. L´allarme delle associazioni di categoria: a rischio la produzione italiana

LICIA GRANELLO

MILANO - E venne l´ora delle aranciate senza arance. Con l´approvazione dell´articolo 21 della annuale Legge Comunitaria, ieri il Senato ha dato il via libera alla commercializzazione di bibite con colore e aroma d´arancia. Dell´agrume mediterraneo, nemmeno l´ombra, visto che la norma spazza via l´obbligo del già misero 12%, percentuale minima ammessa finora.
Tutte sul piede di guerra, le associazioni di categoria, dai consumatori dell´Adoc («Una legge che mette a rischio la salute e la qualità dell´alimentazione dei cittadini, e crea un danno di centinaia di milioni di euro ai produttori di arance e al made in Italy»), ai commercianti della Fipe («Un inganno per i consumatori e un danno di immagine ai pubblici esercizi»).
Si calcola che grazie alla normativa approvata ieri, in un anno verranno azzerati circa 7 milioni di litri di succo destinato ai consumatori, pari a 235 mila quintali di arance. Destinate, in mancanza di altri sbocchi, al macero. Il tutto, senza dimenticare che l´Italia è uno delle nazionali a più alto tasso di sovrappeso infantile. Se per un bambino su tre (uno sue due da Roma in giù) esiste un problema di disciplina alimentare, l´irrompere sul mercato di bibite sempre meno valide e sempre più "vuote" dal punto di vista nutrizionale può avere soltanto effetti deleteri.
In realtà, la scomparsa delle arance dalle bibite che ne portano il nome è solo l´ultimo � e sicuramente non definitivo � anello di una catena viziosa destinata a spolpare gli alimenti migliori della loro stessa essenza, in nome dell´omologazione del gusto e delle produzioni. Un mix nefasto di interessi industriali, ignoranza e menefreghismo sta facendo terra bruciata di tradizioni e qualità.
La Coldiretti ha stilato un elenco di cibi che formano da secoli il nostro miglior mangiare quotidiano � vini, cioccolato, formaggi � oggi tradotti in prodotti truffaldini, anche grazie alle etichette-fantasma, dove dettagli di irridente inutilità tolgono spazio a quelli basilari. Del resto, l´Unione Europea ha regolamentato la proporzione tra ingombro delle confezioni e dimensione delle etichette, evitando accuratamente di andare oltre il minimo indispensabile in materia di informazioni: marchio, peso e pochissimo altro.
Così, sono passati i vini senza uva � da fermentazione di frutti rossi, per compiacere i Paesi nordici � i formaggi senza latte (economicissimi caseinati per filare le mozzarelle), il cioccolato impastato con l´olio di palma (il burro di cacao vale molto di più se venduto all´industria cosmetica). E fino a luglio e ammesso e non concesso che la legge voluta dal governo Prodi diventi finalmente esecutiva è a tutti gli effetti italiano l´olio da olive albanesi o greche, purché italiana sia la fabbrica che lo imbottiglia. In attesa del prossimo scempio, chissà chi avrà voglia di brindare con una bella aranciata, rigorosamente finta.

Volevano conquistare il mondo



L'occhio sgomento e vagamente bovino della povera Meloni è un po' il simbolo di chi è partito in un manipolo di arditi con il braccio teso e alla fine si ritrova a scambiarsi pacche in una convention della Folletto (dagospia sulla convention del PDL)

Diverbio?

... e se s'incazzavano che succedeva? Un nuovo colpo del titolista folle dell'Ansa.

TURCHIA: DIVERBIO POST-ELETTORALE, DUE MORTI E 13 FERITI

(ANSA) - ANKARA, 31 MAR - Due persone sono morte e altre 13 sono rimaste ferite in un villaggio della Turchia orientale dopo che un diverbio sui risultati delle elezioni amministrative di domenica è degenerato in una sparatoria.
Lo ha riferito l'agenzia turca Dogan, precisando che l'incidente è avvenuto in una località del distretto di Horasan, nella provincia di Erzurum, dove i sostenitori di due diversi candidati alla carica di capo villaggio (muhtar) hanno cominciato a litigare, e sono poi venuti alle mani. Due persone non identificate hanno all'improvviso aperto il fuoco sul gruppo. Sempre secondo l'agenzia Dogan, il bilancio finale delle violenze avvenute domenica, durante lo svolgimento delle elezioni, è di 13 morti e 112 feriti.

Hijue....




Fuente: elPais
Angelo Izzo, colaborador de la justicia
ENRIC GONZÁLEZ 29/03/2009

El juez Fernando Andreu, de la Audiencia Nacional, ha viajado esta semana a Roma para interrogar a Angelo Izzo, condenado a perpetuidad. Izzo cuenta desde hace algún tiempo que en los años setenta trabajó en Barcelona como sicario del neofascismo, y que su grupo hizo desaparecer a un miembro de ETA. Quizá el desaparecido fue Eduardo Moreno, Pertur.

A los 17 años cometió su primer atraco a mano armada. A los 19 violó a dos chicas menores de edad

Ah, el viejo Angelo.

Angelo Izzo (Roma, 1955) pudo tener una infancia perfecta. El padre, ingeniero, y la madre, una universitaria que optó por ejercer como ama de casa, se desvivían por sus cuatro niños. Les dieron los mejores colegios, los mejores juguetes, las mejores vacaciones. Pero Angelo, el mayor, salió raro. No estudiaba, era violento y frecuentaba ambientes fascistas. El padre lo llevó a un psicólogo y obtuvo un diagnóstico: neurosis maniaco-depresiva y alteración de la sexualidad. Según el psicólogo, el chaval adolescente poseía un pene diminuto y eso le causaba un complejo de inferioridad que trataba de compensar con delirios de omnipotencia.

A los 17 años, junto a su amigo Andrea Ghira, de 18, hijo de un conocido empresario de la construcción, Angelo cometió su primer atraco a mano armada. A los 19 violó a dos chicas menores de edad: le cayeron 18 meses, de los que no cumplió ni un día porque la pena quedó en suspenso, en atención a la solidez y respetabilidad de su familia.

El 29 de septiembre de 1975, el amigo Andrea Ghira acababa de salir de prisión. Había que celebrarlo. Angelo y otro amigo, Gianni Guido, hijo de un ejecutivo bancario, conocieron a Rosaria Lopez y Donatella Colasanti, dos chicas de 18 años, de clase trabajadora. El dato es importante, porque Angelo Izzo despreciaba a la clase trabajadora. Angelo y Gianni invitaron a las dos jóvenes amigas a una gran fiesta en una villa junto al mar, y ellas aceptaron. En lugar de la fiesta, se encontraron con una orgía de violencia. En la villa, propiedad de la familia Guido, se unió al grupo Andrea Ghira, y las dos chicas sufrieron durante 36 horas unas agresiones salvajes. Angelo, de cabeza fría, se ausentó unas horas para acudir a una cena familiar.

Rosaria murió mientras era violada por Angelo, con la cabeza sumergida en el agua de la bañera. Donatella recibió golpes y patadas en todo el cuerpo, hasta que los alegres muchachos de clase alta la dieron por muerta. Cargaron los dos cuerpos en el coche y volvieron a Roma, para cenar y ocuparse de los cadáveres con el estómago lleno. Donatella recuperó la consciencia y empezó a gritar, hasta que un sereno escuchó las voces que surgían del maletero y llamó a la policía.

Angelo y Gianni fueron detenidos enseguida. Les cayó cadena perpetua. Andrea Ghira consiguió escapar y, tras una estancia en Israel, se alistó bajo el nombre de Massimo Testa en la Legión española, donde pasó 19 años, hasta su expulsión, en 1994, por consumo desaforado de drogas. Se supone que murió ese mismo año, pero hay muchas dudas: el análisis del ADN fue realizado, una década después, por un equipo dirigido por su tía.

El bueno de Angelo se fugó dos veces, y las dos veces fue detenido de nuevo. Pese a ello, obtuvo la consideración de preso modélico porque se declaró arrepentido y empezó a confesar crímenes propios (seis homicidios nada menos) y ajenos, como el asesinato del democristiano Matarella, que atribuyó a un grupo neofascista, o los secretos de una presunta trama fascista llamada El Huevo del Dragón. Todo falso.

Angelo sabía hacerse amigos. En la cárcel intimó con Giovanni Maiorano, dirigente arrepentido de la organización mafiosa Sacra Corona Unita. En 2005, cuando Angelo Izzo recobró la libertad, Maiorano le rogó que se pusiera en contacto con su esposa: tenía dinero ahorrado y quería que Angelo, su gran amigo, lo invirtiera. Angelo Izzo no tardó en conocer a Carmela, de 49 años, la esposa de Maiorano, y a Valentina, de 14, la hija. Un día las citó en una casa apartada. Asfixió en la cocina a la madre y luego, a punta de pistola, ordenó a la hija que cavara su fosa en el jardín. La policía tardó pocas semanas en atribuirle el doble asesinato, que él justificó por el hecho de que madre e hija eran "unas pesadas".

Volvió a caerle la perpetua, pero Izzo conoce el paño. Otra vez está revelando a la justicia secretos tremebundos. Como los que habrá contado, esta semana, al juez Fernando Andreu. -

Ve lo ricordate?



da Repubblica.it

MILANO - Torna in carcere uno dei nomi-simbolo di Tangentopoli. Mario Chiesa, l'uomo da cui partirono quelle clamorose inchieste, è uno dei dieci destinatari dei provvedimenti restrittivi emessi dalla magistratura di Orio al Serio per un vasto traffico di rifiuti. Chiesa, 65 anni, è considerato dagli inquirenti il collettore delle tangenti nella gestione del traffico illecito di rifiuti.

Chiesa sarebbe riuscito a far annullare una gara d'appalto, già vinta, rifare il bando ed imporre come vincitrice una ditta della società. Per gli investigatori era il manovratore del sistema al centro del quale c'era la Servizi ecologici Milano, la società di cui è amministratrice unica la sua seconda moglie, A.E., della quale fa parte il figlio avuto da Chiesa dalla prima moglie e coadiuvata dal cognato.

Il secondo figlio è invece dipendente di un'altra società, la Solarese, anch'essa al centro dell'inchiesta. Chiesa dava buoni benzina, buoni pasto e buoni d'abbigliamento facendo triplicare lo stipendio di chi partecipava al sistema. Lui avrebbe 'controllato' le gare d'appalto vincendo al ribasso. Poi avrebbe 'recuperato' con gli interessi facendo figurare quintali di smaltimento di rifiuti molto al di sotto di quelli reali; certificando servizi erogati, ma mai effettuati. Così il costo finale sarebbe 'lievitato' del 10%.

L'ex presidente del Pio Albergo Trivulzio è fortemente legato all'inchiesta Mani Pulite. Con il suo arresto, avvenuto il 17 gennaio 1992 è iniziata la più nota inchiesta di Tangentopoli.

Esponente del Psi, era diventato presidente del Trivulzio nel 1986, acquisendo potere e meriti in ambienti politici, anche se alla fine si era legato soprattutto a Craxi. Lo stesso che, prima della valanga di tangentopoli, cerco di minimizzarne il ruolo definendolo solo un 'mariuolo'.

Chiesa venne arrestato in flagranza di reato subito dopo avere intascato una busta con sette milioni di lire, una rata di quella che doveva essere la tangente per concedere l'appalto a una impresa di pulizia.

Da quel momento le indagini si estesero a migliaia di persone, fra politici, amministratori, imprenditori. E Tangentopoli segnò la storia del nostro Paese. Mario Chiesa rimediò, attraverso i riti alternativi condanne per 5 anni e 4 mesi, restituì sei miliardi e, otto anni e mezzo dopo quel febbraio '92, nell'agosto 2000 uscì definitivamente dalla scena di Tangentopoli, dopo aver passato un periodo in prova ai servizi sociali, occupandosi di assistenza ai disabili.

Da tempo sembrava ormai ai margini della cronaca. Oggi, invece, il suo nome rispunta fuori. E sempre per vicende legate alle inchiesta della magistratura.

Very Unimportant Journalists

Piccoli cronisti anticamorra

Gianmarco Chiocci per il Giornale

Cronisti di guerra, e di camorra. Sgobbare al fronte, dove tieni pure famiglia, non è uno scherzo. Scrivere di killer o latitanti ergastolani che circolano a due passi dal giornale, farebbe ritrarre le dita dal pc a molti cronisti di grido. Ogni mattina esci di casa e preghi. Ti guardi le spalle, certo. Ma devi pure campare, e per campare devi faticare. Quindi ti affidi al destino. Che puntualmente riserva ai giornalisti di Napoli e Caserta una dose d'insulti telefonici, le ruote dell'auto bene affettate, incontri poco piacevoli finanche in redazione.
Senza contare la corrispondenza anonima recapitata di buon'ora sulla scrivania: buste francobollate con cervella d'animale, bossoli, immagini insanguinate, crocifissimi e crisantemi. Può andare anche peggio. A qualcuno hanno sparato, qualcun altro s'è svegliato per la bomba sotto l'auto, altri in un'aula di tribunale hanno incassato sputi, pugni e calci dai tifosi del processato di turno.

I piccoli grandi Saviano che nessuno fila e di cui ci si ricorda solo per la fatwa televisiva lanciata dallo scrittore di Gomorra contro i quotidiani locali, a suo dire teneri coi boss, hanno in comune una lucida follia, la passione smisurata per la notizia, la voglia di contribuire a dare un futuro diverso a questa "terra martoriata", per dirla con Tina Palomba, la nerista di 'Cronache di Caserta' che ha orgogliosamente rivendicato l'onestà intellettuale di quei kamikaze anticamorra, e non sono pochi, che raccontano l'inferno stando sul posto.

Arnaldo Capezzuto, oggi redattore a Epolis, ieri al foglio Napoli Più, è un esempio. Quando il boss Salvatore Giuliano sparò ai killer che lo volevano ammazzare e per sbaglio uccise la piccola Annalisa Durante, Arnaldo iniziò a battere ogni marciapiede di Forcella. Ficcò il naso ovunque, chiese a chi non doveva chiedere, scrisse quel che i Mazzarella non volevano leggere. "Subii minacce e avvertimenti irraccontabili - racconta - Mi pedinarono anche.


All'ennesima intimidazione ("farai la fine di quello stronzo di Giancarlo Siani") ho accelerato e mi sono impegnato ancor di più. E ho scritto che i boss intimidivano i testimoni, che infatti arrivavano in aula e ritrattavano. Così mi hanno affrontato in aula, non vi dico le parole che usarono, i gesti che fecero...". Difronte a quelle parole e a quei gesti, Arnaldo non ha abbassato lo sguardo. E la testa. "Vi denuncio" ha detto. E l'ha fatto. "Sapete com'è andata a finire? Sono stati rinviati a giudizio tutti e cinque per minacce e violenza. Sia chiaro: non sono un eroe, non ho bisogno di visibilità, non cerco soldi facili. Sono un giornalista che vive e lavora in un contesto molto delicato. Ed è proprio per continuare a denunciare la camorra in questo modo che ho rinunciato alla scorta".

Che invece è stata imposta a Carlo Pascarella di Buongiorno Caserta, trascorsi al Giornale di Napoli, considerato dai carabinieri il vero incubo mediatico dei casalesi. "Non ci si fa il callo alla paura - scherza - ma sono 14 anni che subisco attentati, minacce, pressioni pazzesche. Iniziarono a bersagliarmi nel '98 quando attaccai gli attuali capi, Iovine e Zagaria, gli stessi che poi mi presero di mira nella famosa telefonata (che registrai) trasmessa da Annovero e Porta a Porta.

Poi sono passato a scandagliare le malefatte delle cosche Lubrano, Ligato e Nuvoletta, anche perché volevo contribuire a inchiodare i sicari del collega Siani. Da allora, nell'ordine, hanno bruciato il mobilificio di mia sorella a Pignataro Maggiore. Poi hanno fatto saltare in aria un tir dell'azienda di famiglia, quindi dopo un'inchiesta su Pignataro che definivo la Svizzera dalle camorra, ho ricevuto una cartolina da Zurigo con un consiglio da amico: "Ora basta, stai attento". Ecco, si vive così da queste parti. Si vive combattendo".
Pascarella è scortato notte e giorno, un'esistenza da incubo, la sua. Ma non ha alcuna intenzione di abbandonare la terra di famiglia. "Voglio che mia figlia Francesca cresca in un mondo migliore, anche per questo io e tanti colleghi, in silenzio, ogni giorno, restiamo e resistiamo in questo far west riportando ciò che più disturba i boss. Molti colpi sono stati portati ai clan, e un po' è anche merito nostro. Non ci fanno paura, ora sono loro, i casalesi, a temerci".

Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola sono compagni nella vita, colleghi nel lavoro, uniti nelle avversità: guidano insieme La Voce delle voci, il mensile d'inchiesta con il più elevato numero di intimidazioni. Da decenni bastonano i clan, puntando però a livelli più alti: ai grandi appetiti degli appalti, del riciclaggio, del traffico dei rifiuti. Alle infiltrazioni dei clan nel nord. Scrivono senza timori. Vanno sui posti, domandano, rompono le scatole.

E sulle loro pagine lasciano sfogare collaboratori preparati e coraggiosi, come Bruno De Stefano, assunto a City.: "Spesso la camorra ci ringrazia come meglio crede - taglia corto Cinquegrani - bruciandoci le macchine, telefonando e minacciando, inviando in redazione messaggi di morte. Fino a poco tempo fa nessuno sembrava scandalizzarsi, era la norma.


Il nostro avvocato non andava più a denunciare le continue intimidazioni mafiose dopo che un inquirente, scocciato dall'ennesima sollecitazione a indagare, gli consigliò di farci cambiare paese per vivere più sereni. Adesso l'aria è cambiata, ma fare giornalismo con la camorra dei Polverino e Nuvoletta accanto, è impresa doppiamente complicata". Senza snocciolare gli imprevisti capitati nel tempo a un caposcuola come Gigi Di Fiore, inviato del Mattino, autore del dettagliatissimo best seller "i casalesi" o alla collega Rosaria Capacchione, corrispondente "blindata" da Caserta, basta dare la parola a Roberto Paolo del Roma, uno di quelli che se l'è vista brutta direttamente in ufficio:


"Capita spesso che in redazione arrivino camorristi e malintenzionati, anche armati. Accadeva ai tempi in cui lavoravo a Caserta e insieme al collega Raffaele Sardo scoprimmo come avveniva lo scarico, attraverso i fertilizzanti, dei rifiuti tossici provenienti dal nord. Capita spesso di veder arrivare gente che urla, che vuole farsi giustizia da sola, che minaccia di fare a pezzi questo o quel giornalista. Un giorno i colleghi mi nascosero in bagno perché un tale entrò in redazione intenzionato a spararmi alle gambe a causa di ciò che era stato pubblicato. Si fece stanza per stanza ma grazie a Dio non entrò in bagno...".

E che dire di Enzo Palmesano, l'ex esponente di An pioniere delle inchieste anticamorra, recordman di attentati. E' diventato un dead man walking, un morto che cammina. Se l'ultima maxi retata contro il clan dell'agro caleno è andata in porto, è in gran parte merito suo. Lo ha riconosciuto pubblicamente sia il pm Conzo che il colonnello Carmelo Burgio, l'ufficiale dei carabinieri che ha decimato il clan dei casalesi finendo le pulizie di primavera con l'arresto del boss Setola. Quarantott'ore dopo la conferenza stampa con gli elogi al cronista che non ama la ribalta, la camorra ha provato a bruciargli la macchina.
Ma in piena notte quel testardo di Enzo è volato giù da letto e al buio è corso incontro ai camorristi: ha salvato l'auto e la pelle, per l'ennesima volta in venticinque anni d'onorata carriere. La propria macchina l'hanno vista invece bruciare Antonio Casapulla e sua moglie Debora, di Cronache di Caserta. Un brivido freddo per le frasi pronunciate dai parenti di un killer, l'ha provato nei corridoi del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Giovanni Maria Mascia, addetto alla giudiziaria per la Gazzetta di Caserta.

A Francesca hanno devastato casa dopo un'intervista sgradita, a Vanna, dalle parti di Nocera, spararono cinque revolverate sulla porta di casa. Chi più chi meno, in tanti hanno avuto a che fare con l'ira dei boss. Eroi per caso, innamorati del proprio lavoro, quanto al coraggio è una scelta obbligata. Di Saviano e delle sue invettive contro giornali e giornalisti locali, nessuno vuol parlare. Da semplici addetti alla cronaca disdegnano tutti, ma proprio tutti, il nuovo, irriconoscente, professionismo antimafia.

Ottimo articolo. Peccato solo che.... ma lasciamo stare và....

Il fidato amico della regina di Giordania




FRANCESCO BATTISTINI PER IL "CORRIERE DELLA SERA"

Taciuto a lungo, come un segreto di Stato. Sepolto subito, come un affetto segreto. Ignoto ai più, come un agente segreto. Non ne rivelano il nome, né la razza. E al telefono negano particolari: «Non possiamo dire nulla - spiega Orit, cortese portavoce della clinica veterinaria di Beit Dagan -. Siamo legati al diritto di privacy d'ogni nostro paziente... ».

La privacy d'un cane? «Ci siamo capiti: la privacy dei padroni del cane». Can che muore non abbaia, soprattutto se i padroni sono le Loro Altezze Reali Abdullah II Bin al-Hussein e Rania Al Abdullah, i sovrani di Giordania.

Che in gennaio, nel pieno del bombardamento israeliano su Gaza - mentre morivano mille e più persone, mentre il re condannava in pubblico l'attacco «che avrà come unico risultato d'infiammare la regione», mentre la regina d'origine palestinese manifestava solidarietà ai «fratelli sofferenti» - qua e là trovavano il tempo di palpitare per un dolore più vicino, l'agonia del loro cane.

Fino a osare l'inaudito: portare di nascosto la bestiola oltreconfine, in Israele, perché qualcuno la salvasse. Mors tua, cane mio. Solo chi ci è passato sa che cosa sia, la sofferenza del miglior amico. Però c'è poca privacy da proteggere, qui, e l'affare è diventato anche politico.
Nell'imbarazzo nella reggia hashemita, ora che la storia è stata resa pubblica da un incauto veterinario di corte. Le cose sono andate più o meno così. Il fidato quattrozampe stava sempre peggio, probabilmente per un tumore. La razza l'ha poi rivelata il giornale del Qatar Alraya: un saluki (levriero persiano), animale bellissimo che il bisnonno del re, Abdullah, allevava con passione.

Rania, disperata, ha chiesto al suo consigliere il daffarsi, ottenendo un consiglio prezioso: c'è una sola clinica in tutto il Medio Oriente che possa qualcosa per casi come questo, l'Università ebraica di Beit Dagan. Una telefonata, la disponibilità.

La regina ne avrebbe parlato col re, poche ore e il viaggio della speranza era bell'e organizzato: una vettura speciale, due militari di scorta, ha accompagnato la povera bestia al confine, consegnandola a una staffetta israeliana. Tutto inutile, però. Tempo un paio di giorni, e il cane è morto. Un'altra telefonata dei veterinari di Beit Dagan, di cortesia stavolta - «ci dispiace, era troppo malato » - e il mesto corteo è tornato ad Amman, per la sepoltura.

Scatenati i blog arabi, dove l'impuro scodinzola e ha quattro zampe: «Trovo vergognoso che Abdullah, l'amico degli israeliani, pensi a salvare un animale e non faccia niente per i palestinesi » (lohyi79); «cani figli di cani che piangono per i cani» (rshihabi.net). Silenzio assoluto da palazzo reale.
«Non c'è da stupirsi - commenta un diplomatico ad Amman -. Italiani, olandesi, inglesi: i cani degli ambasciatori in Giordania giocano spesso insieme, nel giardino dell'ambasciata israeliana, ma quello del re non abbiamo mai avuto il piacere di vederlo. C'è una tradizionale riservatezza, negli affari privati, che s'estende anche agli animali della corte».

La passione animalista di Rania è nota. Tre anni fa, per la festa islamica del sacrificio, trovò udienza una protesta ambientalista contro l'importazione e lo sgozzamento di 900mila pecore australiane.

E nel 2007 è stata la regina, con lungimiranza sociale, a fondare il «Garden Sanctuary» di Amman per l'assistenza agli animali: sale operatorie, farmacie, pronto soccorso, laboratori ai raggi X, cure veterinarie gratuite a tutti quegli asini, quelle galline, quegli ovini che sono l'unica fonte di reddito per 45mila famiglie giordane. «È un centro che non ha rivali in tutto il Medio Oriente», disse all'inaugurazione: in tutto, meno che in Israele

lunedì, marzo 30, 2009

Follìe




da la Repubblica e tanti altri giornali.

Il Cda del Sole 24 Ore ha nominato Gianni Riotta nuovo direttore del quotidiano. Lo si legge in una nota.
"Il consiglio di amministrazione del gruppo 24ore, riunitosi oggi pomeriggio sotto la presidenza di Giancarlo Cerutti, ha preso atto delle dimissioni del direttore Ferruccio De Bortoli (che lascia dopo 4 anni la direzione del Sole 24ore per andare a dirigere il corriere della sera) e lo ha ringraziato per l'importante lavoro svolto. Il consiglio ha quindi nominato quale nuovo direttore del quotidiano Gianni Riotta, esprimendogli il più affettuoso benvenuto e i più fervidi auguri di buon lavoro".

Immagino che Riotta sia stato nominato per l'ottimo lavoro svolto al Tg1 dove ha diretto un telegiornale inguardabile e banale. Come pensa questo paese di risollevarsi se le nomine anche del giornalismo vengono decise in questa maniera?

Regressioni

domenica, marzo 29, 2009

Ottimo lancio dell'Ansa

UN PARTITO E DUE LEADER, CON RUOLI (E PROGETTI) DIVERSI
(di Alessio Panizzi)
(ANSA) - ROMA, 29 MAR - Un partito, due leader. Con ruoli e progetti diversi per il futuro. Finisce con questa immagine il primo congresso del Pdl. Silvio Berlusconi punta tutto sul suo governo e sul ''popolo'' che, da 15 anni, seppure tra alti e bassi, sostiene la sua leadership carismatica. La missione e' la stessa del 1994: ''cambiare l'Italia'', vincere la scommessa sulla crisi economica mondiale, ammodernare le istituzioni dando ''piu' potere'' al capo del governo. La sua forza e' una maggioranza parlamentare strabordante, ma dovuta anche all'asse con la Lega.
Per ottenere i suoi obiettivi, il Cavaliere e' pronto anche a ''fare da solo''.
Gianfranco Fini guarda oltre l'orizzonte della legislatura, si candida a guidare un centrodestra europeo, moderno, capace di affrontare le nuove sfide globali: l'inclusione sociale, l'integrazione, la bioetica, le grandi riforme costituzionali.
L'attitudine verso l'opposizione, politica e sociale, e' opposta a quella del premier, forse anche grazie al suo ruolo di presidente della Camera. Il suo invito al dialogo, al confronto, alla coesione sociale e' analogo a quello che piu' volte viene dal Quirinale. Un partito, due leader. Solo i prossimi mesi (e forse anni)
diranno se le diversita' di toni, di approccio, di progetti si potranno comporre in un solo disegno strategico. Per il momento, il Popolo della Liberta' che nasce oggi si appoggia ora alla capacita' istrionica e mediatica dell'uno, ora alla abilita' e
al progetto dell'altro. Nei fatti, pero', il confronto tra i tre discorsi (quelli di venerdi' e di oggi di Berlusconi, quello di ieri di Fini), mette in luce molte questioni irrisolte, richiede risposte che non sono venute. Oggi il presidente della Camera non era alla Fiera di Roma per ascoltare il Cavaliere - non c'era nemmeno il suo collega del Senato e le fonti ufficiali parlano di assenze 'istituzionali' concordate in anticipo - ma, se ci fosse stato, non avrebbe ascoltato risposte al suo intervento di ieri, se non nel rimpallo alla sinistra della responsabilita' della ''stagione costituente'' che manca dall'esordio dell'era berlusconiana. Per il resto, niente sul referendum, sul ddl da ''Stato etico'', sul testamento biologico, niente sulle leggi per la cittadinanza degli immigrati regolari, niente sui tre
''patti'' (generazionale, tra capitale e lavoro, tra Nord e Sud) che il presidente della Camera invitava a stringere con opposizione e forze sociali.
Se il dialogo tra i due co-fondatori del Pdl non e' stato pubblico, potrebbe essere stato privato. Ma la sfida del nuovo partito, se davvero dovra' durare ''decenni'', e' anche quella di mostrare se funziona la comunicazione tra i suoi leader.(ANSA).

Un pazzariello al potere




Questo è il figuro che si propone di guidare l'Italia. Un "giovane" di 73 anni. In Italia sembra una cosa del tutto normale. Bene. Questo non è più il mio Paese.

Ora, dunque, la libertà ha anche i suoi missionari. Sono questi militanti del Pdl che sciamano fuori dalla Fiera, fieri di avere costruito il più grande partito di sempre. Berlusconi ha fatto anche sapere che, da ieri, il Pdl è già cresciuto di un punto ("Secondo i sondaggi abbiamo superato il 44% e puntiamo al 51%") e ha annunciato la sua candidatura alle elezioni europee: "Pensiamo di diventare il primo gruppo all'interno del Ppe (lo chiama Popolo europeo; ndr). Per questo mi candido come fa un vero leader. Un vero leader che chiama a raccolta il suo popolo, sarebbe bello che anche il leader dell'opposizone (se ne ha uno) facesse altrettanto". Candidatura del tutto scontata e già ribadita, negli interventi della mattinata da Verdini, Bondi e La Russa che hanno attaccato duramente il segretario del Pd Franceschini reo di aver sollevato la questione dell'opportunità di essere capolista dappertutto, visto che, poi, si dovrà dimettere. La Russa ha spiegato che Berlusconi dovrà trattare a livello europeo e, quindi, è giusto che si candidi alla Ue.

sabato, marzo 28, 2009

Il Gasparri

Questo signore , un altro miracolato della politica italiana, offende tutti senza che nessuno gli possa rispondere perché poi è bravissimo a nascondersi dietro il ruolo di parlamentare. Inverecondo il siparietto da attore di mezza tacca nei confronti di una giornalista di Radio24, radio della Confindustria sino a prova contraria, che ha osato porgergli una domanda vera sul fatto che AN nel Partito della Libertà è scomparsa. Ovviamente, al pari del suo ex capo Fini, (quello che si crede grande statista) a una domanda del genere perde le staff. Mi chiedo se Almirante avrebbe mai pesato che gente così avrebbe seppellito una formazione politica nata dalle ceneri del Partito Fascista.

martedì, marzo 17, 2009

70 anni da Trap



E Trap disse: ''Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco''. Gioanin è attore, filosofo e showman insieme. Il comunicatore
Mourinho se lo sogna un repertorio così di FABRIZIO BOCCA

ROMA - La frase più famosa, quasi un manifesto culturale, universale: "Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco". Lo show più televisto nel mondo e scaricato da Youtube: "il monologo di Strunz". Il rito più silenzioso e intimo: l'aspersione dell'acqua santa davanti alla panchina. In panchina dalle sue labbra esce di tutto: parole, preghiere e molto altro ancora. La frase, l'ordine più diretto e secco, un marchio di riconoscimento: il fischio con i mignoli in bocca. E le braccia che partono subito alternativamente avanti e indietro. Il comunicatore Mourinho se lo sogna un repertorio così. Gioanin - come lo chiamava Brera - è attore, filosofo e showman insieme. Da Milano a Torino, dalla Germania al Portogallo, dall'Austria all'Irlanda: ovunque e in qualunque lingua. Non esistono barriere linguistiche per il Trap. Il Trap ha il suo esperanto riconosciuto e apprezzato nel mondo. L'ex ragazzino che a 15 anni lavorava in tipografia si è costruito un linguaggio proprio, unico, un saliscendi di pensieri che spesso ti lascia sperduto dentro il ragionamento, un labirinto di sottintesi, incisi negli incisi, conclusioni mai arrivate, frasi interrotte senza mai arrivare al verbo, similitudini mai sentite prima. Il trapattonese è una lingua-labirinto, un dialetto, ma anche un modo di essere, uno stile di vita. E' complicato, strano, a volte comico ma non sempre incomprensibile. "Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco", a parte lo smarrimento iniziale, arriva dritto allo scopo, è la traduzione trapattonesca di stai calmo, non fare il passo più lungo della gamba e aspetta a cantare vittoria. E' un proverbio quasi di uso comune ormai: il Trap, ovviamente, è conterraneo del Manzoni e ne ha sentito l'influenza.

Oppure "non compriamo uno qualunque per fare del qualunquismo". Fa un po' ridere, però rende: non si sa bene cosa però si va via convinti che il messaggio sia arrivato. E ancora: "Sia chiaro che questo discorso resta circonciso tra noi". Chiaro no? Sottilizzate pure sul termine "circonciso", ma intanto il problema resta chiuso nello spogliatoio. "Quando ti abitui allo zucchero non accetti più il sale": ne ha regalate così tante di vittorie con la Juve, il Trap, che una sconfitta ogni tanto ci sta pure no? Oppure ancora "il nostro caso è prosa, non poesia". Ma certo, non stiamo a perdere tempo, diamoci da fare, cerchiamo di essere concreti, niente fronzoli, catenaccio e contropiede, vai.

Dalla Juve all'Inter, dalla Nazionale al Bayern Monaco. Il Trap è international, universalmente conosciuto, i suoi fischi non hanno bisogno di traduzione, le sue frasi hanno scolpito la storia del pallone. Il Trap è navigato ne ha vissute di tutti i colori, anzi peggio. "Nella mia carriera sono stato morso da otto scorpioni, ormai ho l'antidoto". E ancora "Una sfida ostica, ma anche agnostica". Questa è veramente difficile" Boh... "Abbiamo ritrovato il filo elettrico conduttore..." "Ho voluto vedere cosa c'era dentro le viscere di questa truppa". Queste si capiscono dai, funzionano.

Oppure tortuosissimi ragionamenti che lasciano di sasso: "Tante volte il tocco delle campane è bene sentirli tutti. In genere c'è il din don dan nelle campane, no? Sentire magari il solito rintocco din din din va a finire che non si sente il don dan, quindi c'è un'altra musica. Io ho voluto chiarire alcuni concetti". La Gialappa's prese a far scrivere sul video tv, durante Mai dire gol, le parole testuali delle sue interviste. Era quasi il clou dello show. Che il Trap non prese affatto bene, detestava essere preso in giro. Ma adesso chiunque traduce e mette in rete pezzi del frasario trapattoniano, internet pullula di video e trascrizioni. Come questa: "È estremamente delicato, un tema che si è già dibattuto, e sul quale si andrebbero ad avere delle alienazioni, squadre di città minori e quindi il calcio io credo che in Italia sia veramente un grosso treno culturale e quindi, tutto sommato, ritengo che in questa forma possa mantenere e gestirsi sull'arco nazionale ancora abbastanza equamente ben distribuito". Capito no?

E' buffo che dopo quarant'anni di calcio in Italia il massimo del Trap comunicatore sia stato raggiunto in Germania col famoso monologo di Strunz. Correva il marzo del 1998. Un'intemerata furiosa contro il bizzoso giocatore del Bayern. Se noi siamo stati investiti dal Trap italiano, pensate quale effetto dirompente abbia avuto sui tedeschi quel Trap che si è avventurato nella lingua di Goethe senza alcun timore. Ma cose disse veramente il Trap al malcapitato Strunz? Quali ragionamenti lo accalorarono in maniera così clamorosa? E' opportuno, per il bene storico della verità, ricorrere anche stavolta alla traduzione testuale, diventata persino un rap internettiano: "Uno allenatore non è un idiota. Questi giochi, come due o tre giocatori erano deboli come una vuoto bottiglia. Strunz! Strunz! è due anni qua, ha dieci partite giocato, è sempre infortunato. Cosa permettiamo? Strunz. Hanno molto simpatico compagni, mettete in dubbio i compagni! Devono mostrare adesso io voglio, sabato questi giocatori devono mostrarmi e i suoi fans devono da soli lo partita vincere. Io sono stanco adesso il padre di questi giocatori. Uno è Mario, uno, un altro è Mehmet. Strunz al contrario è uguale. Io sono terminato". Terminato e inarrivabile. Sublime.

Quella destra pericolosa


Neofascisti e destra di governo, a braccetto con nostalgia
di PAOLO BERIZZI


C'è il ministro della difesa La Russa che posa con un "camerata" di una famiglia mafiosa siciliana, i Crisafulli, narcotraffico e spaccio di droga a Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano. C'è il suo collega di partito e di governo, il ministro per le politiche europee Ronchi, con uno dei fondatori del circolo nazifascista Cuore nero: quelli del brindisi all'Olocausto.

Lui si chiama Roberto Jonghi Lavarini e presiede il comitato Destra per Milano (confluito nel Partito della libertà). Sostiene le "destre germaniche", il partito boero sudafricano pro-apartheid - il simbolo è una svastica a tre braccia sormontata da un'aquila - e rivendica con orgoglio l'appartenenza alla fondazione Augusto Pinochet. In un'altra foto compare a fianco del sindaco di Milano, Letizia Moratti. Poi ci sono gli stretti rapporti del sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, con l'ultra-destra violenta e xenofoba del Veneto Fronte Skinhead. Ruoli istituzionali, incarichi, poltrone distribuiti ai leader delle teste rasate venete, già arrestati per aggressioni e istigazione all'odio razziale.

Fascisti del terzo millennio
Almeno 150 mila giovani italiani sotto i 30 anni vivono nel culto del fascismo o del neofascismo. E non tutti, ma molti, nel mito di Hitler. Un'area geografica che attraversa tutta la penisola: dal Trentino Alto Adige alla Calabria, dalla Lombardia al Lazio, da Milano a Roma passando per Verona e Vicenza, culle della destra estrema o, come amano definirla i militanti, radicale. Cinque partiti ufficiali (Forza Nuova, Fiamma Tricolore, la Destra, Azione Sociale, Fronte Sociale Nazionale) - sei, se si considera anche il robusto retaggio di An ormai sciolta nel Pdl. I primi cinque raccolgono l'1,8 per cento di voti (tra i 450 e i 480 mila consensi). Ma a parte le formazioni politiche, l'onda "nera" - in fermento e in espansione - si allunga attraverso un paio di centinaia di circoli e associazioni, dilaga nelle scuole, trae linfa vitale negli stadi.

Sessantatre sigle di gruppi ultrà (su 85) sono di estrema destra: in pratica il 75 per cento delle tifoserie che, dietro il "culto" della passione calcistica, compiono aggressioni e altre azioni violente premeditate. La firma: croci celtiche, fasci littori, svastiche, bandiere del Terzo Reich, inni al Duce e a Hitler. Sono state 330 le aggressioni da parte di militanti neofascisti tra 2005 e 2008. Concentrate soprattutto in tre aree del paese: il Veneto (Verona, Vicenza, Padova), la Lombardia (Milano, Varese) e il Lazio (Roma, Viterbo). Sono i vecchi-nuovi "laboratori" dell'estremismo nero. Con Roma - anche qui - capitale.

Dalle scuole ai centri sociali
Dai centri sociali di destra alle occupazioni a scopo abitativo (Osa) e non conformi (Onc). Dalle aule dei licei a quelle delle università. Dai "campi d'azione" di Forza Nuova ai raid squadristi delle bande da stadio che si allenano al culto della violenza. La galassia del neofascismo si compone di più strati: e anche di distanze evidenti. L'esperimento più originale è quello di CasaPound a Roma, il primo centro sociale italiano di destra. Da lì nasce Blocco studentesco, il gruppo sceso in piazza contro la riforma della scuola. Una tartaruga come simbolo, i militanti si battono contro l'"affitto usura" e il caro vita. Il leader è Gianlcuca Iannone, anima del gruppo ZetaZeroAlfa: musica alternativa, concerti dove i militanti si divertono a prendersi a cinghiate.

A Milano c'è Cuore Nero. Il circolo neofascista fondato da Roberto Jonghi Lavarini e dal capo ultrà interista Alessandro Todisco, già leader italiano degli Hammerskin, una setta violenta nata dal Ku Klux Klan che si batte in tutto il mondo per la supremazia della razza bianca. Dopo l'attentato incendiario subito l'11 aprile del 2007, i nazifascisti di Cuore nero ringraziano in un comunicato ufficiale tutti coloro che gli hanno espresso solidarietà e sostegno: tra gli altri, "in particolare", la "coraggiosa" onorevole Mariastella Gelmini, all'epoca coordinatrice lombarda di Forza Italia e attuale ministro dell'Istruzione.

Saluti romani, pistole e 'ndrine
La famiglia calabrese dei Di Giovine e quella siciliana dei Crisafulli, la destra in doppiopetto di An e quella estremista di Cuore nero. A Quarto Oggiaro, hinterland milanese, la ricerca del consenso politico incrocia sentieri scivolosi. A fare da cerniera tra le onorate famiglie - che gestiscono il mercato della droga -, le teste rasate e il Palazzo è sempre lui, il "Barone nero" Jonghi Lavarini. Quello fotografato con il ministro Ronchi e il sindaco Moratti. Quello che presenta a Ignazio La Russa Ciccio Crisafulli, erede del boss mafioso Biagio "Dentino" Crisafulli, in carcere dal '98 per traffico internazionale di droga. Camerata dichiarato, il rampollo Crisafulli frequenta Cuore nero così come il cugino James. A lui sarebbe stata dedicata la maglietta "Quarto Oggiaro stile di vita", prodotta dalla linea di abbigliamento da stadio "Calci&Pugni" di Alessandro Todisco. L'avvocato Adriano Bazzoni è braccio destro di La Russa. C'è anche lui in una foto con Lavarini e con Salvatore Di Giovine, detto "zio Salva", della cosca calabrese Di Giovine. Siamo sempre a Quarto Oggiaro, prima delle ultime elezioni politiche.

martedì, marzo 10, 2009

lunedì, marzo 09, 2009

De Bortoli, un grande giornalista



Faccio outing. Sono davvero affascinato da Ferruccio De Bortoli. Il mio unico quasi incontro con lui fu alla Buchmesse di Francoforte con me carico come sempre di computer e materiale tecnico e lui quasi divertito al vedere questo strano tizio carico come un asino. Credo che fosse allo stand Rizzoli. De Bortoli mi ha sempre affascinato per questo suo modo di fare signorile, all'inglese, natural e mai affettato. Mi è sempre piaciuto come scriveva, ma soprattutto, finalmente, ho visto un sussulto d'orgoglio (che adesso i media vicini a una certa persona criticheranno dicendo che non era vero). Il bello di vedere ancora persone che non accettano che tutti passi sulle loro teste e di diventare dei galoppini del Palazzo. Bravò direttore, come dicono i francesi.

Rai, De Bortoli rifiuta la presidenza. "Grazie ma resto a fare il giornalista"
Fonte: Repubblica.it

MILANO - "Ringrazio Dario Franceschini e Gianni Letta per l'offerta di presiedere la Rai, azienda patrimonio del Paese. Un incarico di grande prestigio per il quale mi ero reso disponibile. Dopo attenta riflessione ho però deciso di restare dove sono: a fare solo il giornalista". Così Ferruccio de Bortoli ha annunciato la scelta di rimanere direttore del quotidiano il Sole 24 ore.

Prima dell'annuncio, questa mattina De Bortoli ha incontrato l'amministratore del gruppo Claudio Calabi. De Bortoli avrebbe dovuto aprire i lavori del 'Quarto Summit Made in Italy' in corso stamani nella sede milanese del gruppo, in via Monte Rosa, ma non si è presentato in sala. A spiegare i motivi dell'assenza è stata Sara Cristaldi, caporedattore 'Mondo & Mercati' del quotidiano economico finanziario: "Avete letto i giornali - ha detto la Cristaldi alla platea - C'è un po' di agitazione. In questo momento il mio direttore è su con l'amministratore delegato: si scusa, ma non può aprire i lavori del convegno. Mi ha incaricato di sostituirlo".

Oggi i quotidiani annunciavano che l'intesa era praticamente fatta e si attendeva solo il via libera definitivo per la nomina di De Bortoli alla presidenza Rai. Accordo bipartisan che sembrava finalizzato dopo gli ultimi contatti fra Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e Dario Franceschini del Pd, anche se Maurizio Gasparri, intervistato da Affari Italiani, si era mostrato cauto: "Penso bene di De Bortoli ma non so se ci sono accordi o se non ci sono. Non mi risulta che ancora ce ne siano e, quando e se ci saranno, se ne parlerà in Commissione di Vigilanza", ha detto il capogruppo del Pdl al Senato al quotidiano online.

Il rifiuto a sorpresa del direttore del Sole 24 ore rimette in gioco l'intera partita del vertice Rai, ma da un nuovo colloquio mattutino tra Letta e Franceschini - che hanno dovuto prendere atto della decisione - a quanto si è appreso, sarebbe emersa la comune volontà di stringere i tempi per rispettare la data di domani dell'assemblea degli azionisti Rai che dovrebbe indicare sia il nome dell'ottavo componente del Cda sia quello del candidato presidente da sottoporre al voto della commissione parlamentare di Vigilanza. E' molto probabile, pertanto, che Letta e Franceschini torneranno a vedersi durante la giornata.

Cesare Romiti rimpiange la rinuncia di De Bortoli: "E' una notizia che, in un certo senso, mi dispiace. Ma dobbiamo accettare le motivazioni che lui dà", ha detto il presidente della Fondazione Italia-Cina a Radio 3, aggiungendo: "Ho una grande stima di De Bortoli".

"Non conosciamo le ragioni che hanno portato Ferruccio De Bortoli, uomo serio, rigoroso e amante dei valori racchiusi nell'art.21 della Costituzione, a rinunciare all'incarico di Presidente Rai" commenta Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21. "Ci permettiamo solo di ricordare che una situazione analoga si verificò con Paolo Mieli che, valutate tutte le circostanze, preferì rinunciare. Non vorremmo che De Bortoli fosse stato disturbato dagli organigrammi che qualcuno aveva già preparato a sua insaputa...".

domenica, marzo 08, 2009

Picccoli risparmi



Franco Bechis per "Italia Oggi"

Silvio Berlusconi si è messo in tasca all'inizio di quest'anno un assegno da 159 milioni, 335 mila, 953 euro e 92 centesimi. Una maxi-somma rara anche per gli imprenditori. Ma soprattutto superiore di oltre la metà ai 102 milioni che il presidente del Consiglio e indirettamente principale azionista del gruppo Fininvest-Mediaset si era messo in tasca solo un anno fa.

Si tratta dei dividendi che gli hanno erogato le quattro società direttamente controllate, le holding prima, seconda, terza e ottava che controllano la maggioranza del capitale del gruppo Fininvest. Berlusconi è fra i pochi, pochissimi imprenditori italiani a essere diventato più ricco proprio nell'anno orribile della crisi finanziaria internazionale.

Comprensibile quindi l'ottimismo del premier italiano che più volte ha tentato nei mesi scorsi di spegnere gli allarmi di centri studi nazionali e internazionali sulla crisi e la caduta di consumi e prodotto interno lordo. Lui non ha certo problemi psicologici, e avere oltre 50 milioni di euro in più in tasca rispetto all'anno precedente non dovrebbe provocare particolare caduta dei consumi personali e lasciare abbastanza risorse anche per affrontare le difficoltà del 2009 che si farano sentire perfino sui bilanci delle sue aziende.

In tasca quella maxi disponibilità aggiuntiva è per altro dovuta in gran parte alle richieste del premier-azionista. I bilanci delle aziende di famiglia sono riusciti a brillare nel 2008 a differenza di quelli di molte altre aziende, i dividendi sono stati distribuiti quindi con maggiore generosità del passato, ma i bilanci in sè non hanno ottenuto un risultato così clamoroso. Il guadagno effettivo fra 2008 e 2007 delle quattro holding che appartengono a Berlusconi è stato di poco superiore a 13 milioni di euro, che è pur sempre un ottimo risultato.

Ma l'anno precedente l'allora candidato premier aveva chiesto a tre delle sue società la distribuzione di tutti i dividendi, e a una di queste, la holding prima, di accantonare a riserva straordinaria (e cioè di lasciare in pancia alla società per eventuali acquisizioni future o sottoscrizioni di aumenti di capitale delle controllate) l'intero dividendo, pari a 43 milioni e 258 mila euro.

Quest'anno invece Berlusconi ha pensato evidentemente di avere maggiori necessità finanziarie personali e chiesto al consiglio di amministrazione della holding prima di versargli l'intero dividendo del nuovo esercizio, pari a 48 milioni e 100 mila euro. Il contrario di quel che han deciso i figli Marina e Piersilvio, che hanno lasciato nelle casse delle società i 38,8 milioni guadagnati...

Non c'è due senza tre



Dopo i condoni del 1994 e 2003 ecco il terzo condono berlusconiano (stavolta chiamato con altro nome "piano-casa"). Se ci fossero i controlli non sarebbe male, ma tutti sappiamo come andrà a finire: una nuova colata di cemento sullo stivale. Si gioca sempre con le parole. Non sono le case a mancare, sono i prezzi ad essere troppo alti. Persino nelle grandi città. Si facessero ad esempio i controlli a quelli che, per esempio, affittano a nero per 600 euro la doppia agli studenti attorno alle università. Ovvio che certi "debiti" elettorali vadano pagati, ma a che prezzo. L'Italia sta diventando semplicemente invivibile. Roma, Napoli, Milano, non sono in condizioni difficili. Sono perse. Non voglio nemmeno pensare a quello che diranno di noi le generazioni future.

Un piano straordinario per l'edilizia. libertà di ampliare o ricostruire
di ALESSANDRA CARINI
Fonte: l'Espresso
C'è chi la chiama legge anti-catapecchie, chi un rinnovamento edilizio stile Obama, cioè per promuovere l'utilizzo delle fonti di energia alternativa. Ma la rivoluzione annunciata da Silvio Berlusconi per l'edilizia, "un piano straordinario con effetti eccezionali sulla casa", dice il premier, promettendone l'approvazione al prossimo consiglio dei ministri, è anche qualcos'altro.

C'è un intervento di edilizia popolare con un piano da 550 milioni concordato con le regioni: le case saranno date in affitto a giovani coppie, anziani, studenti e immigrati regolari, con diritto di riscatto. Ma il grosso della manovra è un altro: il via libera a un sostanzioso aumento delle cubature di tutto il patrimonio edilizio esistente, una liberalizzazione spinta delle norme per costruire, un ritorno in alcuni casi al "ravvedimento operoso" dal sapore di condono. C'è un articolato, già discusso da Berlusconi con i governatori del Veneto, Giancarlo Galan, e della Sardegna, Ugo Cappellacci, che costituisce l'ossatura di quella "rivoluzione" annunciata ieri, che ha ottenuto già l'approvazione delle due Regioni. È probabile che al prossimo consiglio dei ministri il premier proponga un progetto molto simile a quello dei governatori.

Vediamolo questo progetto di stampo "federalista" che potrebbe essere ripreso in gran parte dal governo. Titolo: "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per promuovere l'utilizzo di fonti di energia alternativa". Dà la possibilità alle Regioni che la accettino, di ampliare gli edifici esistenti del 20%, di abbattere edifici ( realizzati prima del 1989) per ricostruirli, con il 30% di cubatura in più, in base agli "odierni standard qualitativi, architettonici, energetici", di abolire il permesso di costruire per sostituirlo con una certificazione di conformità, giurata, da parte del progettista, di rendere più veloci e certe le procedure per le autorizzazioni paesaggistiche.

Il primo punto riguarda l'ampliamento degli edifici esistenti. I Comuni posso autorizzare, " in deroga ai regolamenti e ai piani regolatori" l'ampliamento degli edifici esistenti nei limiti del 20% del volume, se gli edifici sono destinati ad uso residenziale, del 20% della superficie se sono destinati ad altri scopi. L'ampliamento deve essere eseguito vicino al fabbricato esistente. Se è giuridicamente o materialmente impossibile sarà un " corpo edilizio separato avente però carattere accessorio". In caso di edifici composti da più unità immobiliari l'ampliamento può essere chiesto anche da singoli separatamente.

Ma non basta. La Regione "promuove" la sostituzione e il rinnovamento del patrimonio mediante la demolizione e la ricostruzione degli edifici realizzati prima del 1989, che non siano ovviamente sottoposti a tutela, e che debbono essere adeguati agli odierni standard qualitativi, architettonici ed energetici. Anche qui i Comuni possono autorizzare l'abbattimento degli edifici ( in deroga ai piani regolatori) e ricostruirli anche su aree diverse ( purché destinate a questo scopo dai piani regolatori). Qui l'aumento di cubatura previsto è del 30% per gli edifici destinati a uso residenziale, e del 30% della superficie per quelli adibiti ad uso diverso. Se si utilizzano tecniche costruttive di bioedilizia o che prevedano il ricorso ad energie rinnovabili l'aumento della cubatura è del 35%.

Tutti questi interventi debbono rispettare le norme sulle distanze e quelle di tutela dei beni culturali e paesaggistici, non potranno riguardare edifici abusivi, o che sorgono su aree destinate ad uso pubblico o inedificabili, non potranno essere invocate per aprire grandi strutture di vendita, centri commerciali. Sono previsti sconti fiscali: il contributo di costruzione sugli ampliamenti sarà infatti ridotto del 20% in generale e del 60% se la casa è destinata a prima abitazione del richiedente o di uno suo parente entro il terzo grado.
Fin qui la legge che verrà proposta alle Regioni, che ha già la disponibilità di Veneto e Sardegna, anche se non c'è dubbio che, con Comuni assetati di quattrini e assediati dalla crisi economica, le adesioni saranno molte. C'è anche una ridefinizione delle sanzioni, solo amministrative nei casi più lievi e più severe se nel caso di beni protetti. E' previsto un ambiguo "ravvedimento operoso con conseguente diminuzione della pena e nei casi più lievi estinzione del reato", dal sapore di condono, e norme per semplificare le procedure riguardanti i permessi in materia ambientale e paesaggistica.

L'Italia

Certo, Marco Masini non piace a molti (me in primis) e viene spesso preso in giro. Ultimamente però è stato criticato da troppi politici perché non mi facessi violenza per ascoltare la canzone che ha presentato a Sanremo. Béh, debbo dire che, magari la melodia sarà un po' troppo smielata. Il testo però....accidenti, questo testo sembra scritto da uno che Italia ci vive sul serio.

More than words

sabato, marzo 07, 2009

A marvelous article: Dambisa Moyo




'Stop giving aid to Africa. It's just not working'

By Dick Wittenberg
Development aid does more harm than good in Africa, says Zambian economist and author Dambisa Moyo, so we should stop it. She has the ear of at least one African president, Paul Kagame of Rwanda. 'Why should Bono be the one to determine economic policy in Africa?News - Dutch top list of rich-country donors

Background - Politicians question development aid policy
It was during her studies at Harvard that she first started wondering why Africa is the only continent that is forever struggling. Later, as she was working on her thesis at Oxford, she tried to figure out why poor Asian countries like South Korea or Thailand managed to join the world of emerging nations when no African country did. For the next eight years, she worked for the US investment bank Goldman Sachs. Gradually her conviction grew stronger: Africa will never get on its feet unless it makes a clean break with the system of development aid.

It is aid itself that is keeping Africa poor. This in a nutshell, is the argument Moyo develops in the first half of her book, Dead Aid, which came out last month. She is referring only to government aid, not to emergency humanitarian aid or charity. "Development aid simply doesn't work," she says. "It was supposed to lead to sustainable economic growth and a reduction of poverty. Name one African country where this has happened."

Dead Aid caused a sensation in Great Britain. Here was a young, successful, educated African woman trespassing in a world dominated by middle-aged white men. Economist like William Easterley and Jeffrey Sachs. Rock stars like Bono and Bob Geldof. What's more: she was arguing for pulling the plug on development aid.

"The danger is that this book will get more attention than it deserves," wrote The Guardian. "Her proposal to phase out aid in five years is disastrously irresponsible: it would lead to the closure of thousands of schools and clinics across Africa, and an end to the HIV antiretroviral, malaria and TB programmes, along with emergency food supplies, on which millions of lives depend.

In The Independent , Paul Collier, a renowned development expert and Moyo's former mentor, wrote that "Moyo is to development aid what Ayaan Hirsi Ali is to Islam," a reference to the Dutch-Somali politician whose critique of Islam has forced her into hiding. Like Hirsi Ali, she is criticizing the system from the inside.

Moyo is unfazed by the criticism. "I don't see why Bono should be the one to determine Africa's economic policy," she says during a hurried fried squid lunch in Oxford. She is due at a reading shortly, and later tonight she is a guest on Newsnight, the popular BBC current affairs programme, together with Nobel Prize winner Muhammad Yunus, the Bangladeshi who developed the concept of microcredit.

She speaks fast, without pausing for breath. "I am fairly aggressive," she admits. Asked about her age, she offers instead that the average life expectancy in her country of birth is between 36 and 37. "I have passed that particular milestone."

If most people have focused on the first half of her book, Moyo herself thinks the really explosive material is in the second half. There she offers African government a series of tools to balance their budgets without the need for development aid: issue government bonds; attract foreign investment; boost exports by concentrating on emerging markets like India or China; put remittance, the money sent home by Africans living abroad, to good use... "It's not rocket science," she says. "Other countries have done it with success."

Your verdict about development aid is pretty harsh.

Moyo: "I'm really not saying anything new. In fact, I'm plagiarising. I quote other people's research. As early as the sixties, Peter Bauer, the development economist, was describing development aid as 'a tax on poor people in rich countries that benefits rich people in poor countries'. He was ignored. In the world of development aid it is not a secret that it just doesn't work. But aid organisations and celebrities like Bob Geldof are keeping the myth alive. My own family suffers the consequences of development aid every day."

What are those consequences then?

"First and foremost the widespread corruption. The people in power plunder the treasury and the treasury is filled with development aid money. The corruption has contaminated the whole of society. Aid leads to bureaucracy and inflation, to laziness and inertia. Aid hurts exports. Thanks to foreign aid the people in power can afford not to care about their people. But the worst part of it is: aid undermines growth. The economies of those countries that are the most dependent on foreign aid have shrunk by an average of 0.2 percent per year ever since the seventies."

But surely donor countries have checks and balances. They demand good governance.

"But at the end of the day they let the African countries get away with it. World Bank research has shown that 85 percent of development aid was used for other than the intended purpose. Donor countries are propping up the most corrupt regimes. From 1980 until 1996, 72 percent of World Bank aid went to countries that did not abide by the rules. The need for donor countries to just keep on giving appears to be insatiable."

So why do Western countries keep on giving if it doesn't help?

"The cynical answer is: because it distracts attention from the trade barriers they have erected in order to protect employment in the West. These trade barriers cost Africa an estimated 500 billion dollars every year. That's ten times the amount Africa is given in development aid. And because they secretly don't believe that Africa is ever going to pull it together. They feel sorry for the Africans. So they buy themselves a conscience.

But hasn't Africa progressed enormously at the social level? In 1960, fifty percent of children went to school. Now that's 82 percent. Child mortality has dropped by more than half in the past thirty years. Don't you care about this?

"You can pay school fees for a 12-year-old girl. You can makes sure she has an education. You can say: look what development aid can accomplish. But what good is that for the girl is she can't find a job after she leaves school? Because they are no jobs to be had. Every time I go home to Zambia, there are more street children. They can read, they can write, they speak English. And the only thing they can do to make a living is to hustle. More and more parents in the countryside are keeping their children out of school. If there are no jobs in the cities anyway, they say, the children might as well start working on the land right away."

But isn't pulling the plug on development aid a recipe for mass mortality?

"Only the elite will feel the pain. The poor won't even notice the difference. It's not like they ever saw any of that money anyway."

Development aid experts like to point out that for decades the rich nations have used development aid as a weapon in the cold war, as an instrument of foreign policy. Unlike you, They plead for more and better direct aid.

"So where are we going to direct the aid now? In the sixties aid was supposed to be used for big infrastructure projects. In the seventies it was poverty. In the eighties it was structural changes and financial stabilisation. In the nineties it was democratisation and good governance. In the past sixty years 1.000 billion dollars in development aid has gone to Africa with nothing to show for it. How many times do we have reincarnate development aid before we can admit that it's just not working?

Rwandan president Paul Kagame has approached you because he too would like to get rid of development aid.

"The president has been critical of development aid repeatedly in the past. But he is still dependent on it for 70 percent of his budget. He read an article about me in the Financial Times during a flight. He saw a chance to rid Rwanda from development aid. He wanted me to come to Rwanda right away. I was to meet with his ministers, who would then spend the weekend debating development aid.

"We discussed how to get a credit rating report as a country, how to sell government bonds, how to attract foreign investors, how to find new trade partners... 'Just imagine,' I wrote in my book, 'that one by one African governments would get a phone call from the donor countries: "We're phasing out your development aid over the next five years."' An adviser to president Kagame told me: 'We want to be the ones to make that phone call.'"

Do you expect other African countries to follow Rwanda's example?

"Most African leaders find it much more convenient to just cash the development cheque every year. This way they don't have to take action. They can do whatever they want. There is no one to call them to account."

Paul Collier, your old professor at Harvard and Oxford, thinks you are far too optimistic about African countries getting access to world financial markets.

"With all due respect but I have worked in the financial markets. I know what investors want. It is not an easy road to take. But it's possible. The reward is sustainable growth.

"I grew up in a country where every kind of initiative was either dismissed or suppressed. They can't. They won't. I'm fed up. Let's try something new. Because the old approach clearly doesn't work."

Isn't this the worst possible time to try a new approach now that the credit crunch has paralysed the financial markets?

"These are challenging times. But it's not because the American and European markets are out of reach that all markets are. There are gigantic financial reserves in China and the Middle East just screaming for investment opportunities. And even if the markets are closed, all the more reason for African countries to start preparing for when they open up again. This apocalyptic situation isn't going to last forever. So go practise your roadshow for investors. Why should they invest in your country and not another? Your answer is going to have to be convincing."

Paul Collier also feels that you underestimate the specific problems of Africa.

"The problems of Africa are gigantic: they are historical, geographic, tribal. But there is nothing we can do about that. Should we just resign ourselves to the fact that Africa will never develop? How much longer are we going to keep using colonialism as an excuse? Can we finally move on?"

Another one of your old professors, Jeffrey Sachs, is proposing to double development aid to Africa to 100 billion dollars per year.

"I don't get that. I think it's hypocritical. At Harvard he was always saying that Russia, Poland and Bolivia had to adapt to the free market even if it was going to hurt. But when it comes to Africa, he has a whole other recipe. Is he saying that Africa is fundamentally different from the rest of the world? Is he saying that Africa will never get it together? Is he saying there is something terribly wrong with this continent? I would love to debate him. His arguments are emotional. They have little to do with economics or logic."

Dambisa Moyo: Dead Aid: Why aid is not working and how there is another way for Africa, 208 pages, Allen Lane. www.deadaid.org

Robert & Morgan



In Italy we say that "if you want to know who the killers are, look who comes at Your funeral and sit down in front of all". After having seen Robert Mugabe visiting Tsavangirai... well....

Source BBC

Zimbabwe's MDC party says it will carry out its own investigation into the cause of Friday's crash in which Morgan Tsvangirai's wife Susan died.
But officials have said nothing to suggest they suspect foul play.

US embassy officials say the lorry which collided with Mr Tsvangirai's car belonged to a partner organisation of the US government aid agency USAID.

MDC general-secretary Tendai Biti paid tribute to Mrs Tsvangirai, calling her "a mother to us and to our struggle".

On Saturday afternoon, Mr Tsvangirai, 56, left the Harare clinic where he was treated for injuries sustained in the crash.

The previous evening he was visited in hospital by his political rival President Robert Mugabe and his wife Grace.

The Tsvangirais' vehicle rolled several times State TV reported that the prime minister had suffered some injuries to his head and neck.

Mr Tsvangirai was on his way to his rural home in Buhera, where he planned to hold a weekend rally, when the crash occurred near Beatrice at about 1600 local time (1400 GMT) on Friday.
It is thought that a lorry carrying freight crossed into the lane in which Mr Tsvangirai's 4x4 was travelling and side-swiped their vehicle, causing it to roll over three times.
The AFP news agency quoted a minister in Mr Tsvangirai's Movement for Democratic Change (MDC) party as saying the driver of the lorry had been asleep at the wheel.
Another report said the truck had hit a pothole in the road.
An official at the US embassy in Harare was quoted by AFP news agency as saying the truck belonged to an organisation partnered with the US government aid agency USAID.
"It belongs to a partner of USAID who deliver HIV/Aids [drugs] and other medical supplies," the official told AFP, on condition of anonymity.
All Zimbabwe's roads are in a poor state of repair after years of neglect, say correspondents.

Police escort

But in the news conference, Mr Biti said the accident could have been avoided if a police escort had been provided.
"Logic would have demanded that police escort be provided to the prime minister to warn other traffic and this tragedy could have been avoided," he said.
However, correspondents point out that Mr Tsvangirai was not entirely comfortable with security provided by the new government, relying instead on his own security teams.
Mr Biti said police investigations were under way but said the party would carry out its own independent investigation.
Mr Biti, who broke down several times, said Mrs Tsvangirai was a "pillar of strength" to her husband and the party.
Earlier, senior MDC official Eddie Cross said her death would be "a huge blow for Morgan".
Shocked relatives and friends of the Tsvangirais have gathered at the family home.
Discreet
The crash came just two days after Mr Tsvangirai delivered his maiden speech to parliament after being sworn in as prime minister in Zimbabwe's power-sharing government.
He and his wife Susan, 50, who married in 1978, had six children.
A look at the important role Susan Tsvangirai played in her husband's life
The BBC's Andrew Harding, in Johannesburg, says that Mrs Tsvangirai was very discreet and stayed out of the limelight, but was a very important part of her husband's life.
She was a great source of strength to her husband when in the past he was charged with treason and assaulted for his opposition to Mr Mugabe, and sat through all his treason trial, our correspondent says.
She also made a point of visiting MDC members who were jailed while the party was in opposition, he adds.
Her death comes at a very challenging time for the fledgling power-sharing government, our correspondent says, and will only make matters more complicated.
The British foreign office and US state department sent their condolences to Mr Tsvangirai.

El compañero Obama




Caracas. (EFE).- El presidente venezolano, Hugo Chávez, invitó hoy a su colega de EEUU, Barak Obama, a alinearse con el sistema socialista que defiende, con el argumento de que el modelo capitalista "ha fracasado".

"¡Venga Obama, alineese con nosotros rumbo al socialismo! ¡Venga, ese el único camino!", afirmó Chávez durante un acto público en el sureño estado de Bolívar.

"Imagínense ustedes una revolución socialista en Estados Unidos, no hay imposibles. ¿Quién iba a pensar, en 1980, que la Unión Soviética iba desaparecer?. Nadie y fíjense se acabó", agregó el presidente venezolano y promotor del llamado socialismo del siglo XXI.

Chávez, que culpa a Estados Unidos por la crisis financiera mundial, volvió a calificar de "lamentable" la situación laboral de ese país, donde "millones de trabajadores están quedando en la calle" porque "miles de empresas están cerrando".

En contraste, dijo el jefe de Estado, en Venezuela el empleo "crece" mientras que el paro bajó al 9,5 por ciento en enero pasado, todo un récord al ser lar primera vez que el indicador se coloca por debajo del 10 por ciento un mes de enero.

"El socialismo es el único camino" al desarrollo sostenible y a la paz, mientras que "el modelo capitalista ha fracasado", y el "imperio norteamericano se va a acabar", reiteró Chávez tras inaugurar una siderúrgica en el sur del país.

venerdì, marzo 06, 2009

Verità?

Si è spento l’uomo che si è dato fuoco (Giornale di Sicilia, 1998)

Pompini a raffica, Carrarese ko (Gazzetta dello sport, 1992; Pompini era un giocatore del Livorno che in quella partita segnò 4 goal)

Tromba marina per un quarto d’ora (Corriere del mezzogiorno, 1997)

Fa marcia indietro e uccide il cane, fa marcia avanti e uccide il gatto (Corriere della sera, 1992)

Incredibile, all’aeroporto spariscono le valige del mago Silvan (Il Messaggero, 2001)

In cinquecento contro un albero, tutti morti (La Provincia Pavese)
Questa macelleria rimane aperta la domenica solo per i polli (Insegna in un negozio di Roma)

Si affitta l abitazione del terzo piano, la signora del secondo la fa vedere a tutti (Inserzione in una strada di Trapani)

Funerali a prezzi ridotti. Cinquantasei rate a prezzi bloccati. Affrettatevi (Pubblicità su La Nazione, Firenze)

Si fanno giacche anche con la pelle dei clienti (Cartello in un negozio di confezioni di Latina)

Si avverte il pubblico che i giorni fissati per le morti sono il martedì e il giovedì (Ufficio Anagrafe di Reggio Calabria)

A 3 mesi dalla scomparsa La ricordano la figlia Addolorata ed il genero Felice (Necrologio)

Regalo cucciolo di mastino docile e affettuoso, mangia di tutto, gli piacciono molto i bambini (Annuncio Giornale)

Qui riposa Benedetta Gaia Bellina, donna instancabile, ha amato la vita, suo marito e tutto il paese. (Lapide)

Gli Insegnanti che hanno un buco lo devono mettere a disposizione del Preside. (Circolare del Preside relativa agli orari di Lezione)

Su una coperta made in Taiwan: NON USARE COME PROTEZIONE DA UN CICLONE

Su uno specchio retrovisore prodotto negli Stati Uniti: RICORDARSI CHE GLI OGGETTI NELLO SPECCHIO SONO REALMENTE DIETRO VOI

Su uno spray contro gli insetti made in Taiwan: QUESTO PRODOTTO NON E’ TESTATO SUGLI ANIMALI

Sulle arachidi marca Sainsbury: ATTENZIONE - CONTIENE ARACHIDI

Su un pacchetto di arachidi della American Airlines: ISTRUZIONI - APRI IL PACCHETTO, MANGIA LE ARACHIDI

Su un motosega prodotta in Svezia: NON TENTARE DI ARRESTARE LA CATENA CON LE MANI O CON I GENITALI (deriva da un errore di traduzione)

Su un costume da superman per bambini: L’ USO DI QUESTO INDUMENTO NON VI PERMETTE DI VOLARE

Dave Lettermann




























Le figlie di Obama hanno un'altalena nel giardino della Casa Bianca. Qualche idiota potrebbe dire: "Quanto è costata ai contribuenti?". Ebbene, non è costata nulla. L'hanno costruita riciclando i pezzi della torre di guardia di Dick Cheney.

E così, c'è un'altalena alla Casa Bianca, il che ha fatto pensare... Non c'era tanto movimento ondulatorio alla Casa Bianca dai tempi della stagista tarchiata.

Pornocorriere



Corriere della Sera di oggi ( 6 marzo 2009), edizione delle oresette RM1, a pag. 13 il seguente titolo: "Concia, 8 marzo a cena con Bocchino. E l'idea spopola".

Eh, la scuola CNN...

Alessio Vinci ben attaccato alla sedia.


Sembra che Alessio Vinci si sia perfettamente integrato nel sistema d'informazione italiano. Ma lui viene dalla CNN

(il titolo è di Dagospia, l'articolo, no, ergo non rompete, il diritto di rassegna stampa esiste)
ZAC! ZAC! IL “MATRIX” EDIZIONE CAT-ALESSIO PARTE CON UN BEL TAGLIO – NELLA PRIMA PUNTATA NON È PASSATO IL PEZZO DI MIMMO LOMBEZZI SUI ROM VITTIME DI VIOLENZE E PESTAGGIO – IL GRUPPO ‘EVERYONE’: “SACRIFICATO ALLA POLITICA XENOFOBA”…

ROBERTO MALINI PER SALVIAMO CAMARRA, IL BLOG DI ANGELA RICCI
(http://www.salviamocarrara.splinder.com/tag/mimmo+lombezzi)

"Matrix" manda una troupe per realizzare un servizio sui Rom romeni in Italia. Il giornalista Mimmo Lombezzi intervista i leader del Gruppo EveryOne e alcuni Rom vittime di pestaggi razzisti. Ne esce un quadro autentico della condizione dei Rom in Italia. A due ore dalla trasmissione, prevista per oggi, 24 febbraio 2009, però, lo speciale viene censurato e non andrà in onda: troppo evidente l'ondata razzista in Italia, con testimonianze coraggiose di Rom e le telecamere che entrano negli insediamenti più nascosti: non i soliti campi che appaiono in tutti i servizi, con il controllo delle autorità, ma la pura verità.

E' l'ennesimo episodio di censura attuato contro il Gruppo EveryOne, già "bannato" dalla trasmissione "Insieme sul Due" (volo cancellato a poche ore dalla mia partenza, già fissata, per gli studi romani di Saxa Rubra) e dalle trasmissioni Rai e Mediaset in generale.

La 7 aveva già annullato una trasmissione con il Gruppo EveryOne dedicata alle controindagini sul caso Ponticelli. Ma questa censura da Matrix è la più sintomatica del fatto che viviamo in un vero e proprio regime. "E' venuto un servizio davvero ben fatto e interessante," ci aveva detto Mimmo Lombezzi, "speriamo che ce lo passino, perché ho fiducia in Vinci, che viene dalla CNN". Invece no.

Un servizio bellissimo, curato nei dettagli, con numerosi casi inediti di violenze e abusi su Rom, nonché struggenti testimonianze di vita e difesa dell'integrità delle famiglie è stato sacrificato alla politica xenofoba e alla propaganda razzista che "deve" continuare. Intanto le violenze sui Rom si susseguono. Oggi, vicino a Forlì, pestaggio di un ragazzo Rom da parte di carabinieri. Le pressioni sul nostro Gruppo sono terribili e non ci aiuta questa inerzia delle personalità e delle forze politiche che per loro natura dovrebbero occuparsi di diritti umani.

Dolcenera

giovedì, marzo 05, 2009

Como follar el turismo

Molto meglio dell'Originale

Y que problema hay?

Gioacchino Genchi



Vice questore della polizia in aspettativa, ha collaborato con molti giudici tra cui Giovanni Falcone e Luigi de Magistris. Esperto di informatica e telefonia si occupa di incrociare i tabulati delle telefonate nei processi di omicidio, rapina, mafia, tangenti, stragi, 'ndrangheta, camorra eccettera. Arrivò due ore dopo nel luogo della strage di via D'Amelio, individuando nel castello di Utveggio il luogo da cui sarebbe stato azionato il radiocomando dell'esplosivo utilizzato per la strage. Secondo Salvatore Borsellino in quel castello si sarebbe celata una base del Sisde.
È stato recentemente coinvolto dalla stampa e dal Presidente Silvio Berlusconi in merito a un presunto scandalo di intercettazioni. Avrebbe, secondo alcuni, intercettato 350.000 persone (non viene indicato in quanto tempo questo sarebbe avvenuto). In realtà Genchi si occupa di tabulati telefonici quindi niente a che vedere con le intercettazioni.
Nel febbraio del 2009 è stato aperto un procedimento penale a carico di Gioacchino Genchi presso la Procura di Roma. Genchi si è difeso in un'intervista pubblicata sulla rete internet, parlando delle responsabilità dei suoi accusatori

mercoledì, marzo 04, 2009

Actors hiding in Afghanistan




Paween Mushtakhel is forced into hiding as Taleban return to Kabul

Paween Mushtakhel, centre, once one of the most recognisable female faces on Afghan television, now cannot venture outside without wearing a burka

Source: Times.com

Tom Coghlan in Kabul
Paween Mushtakhel was 19 and nervous when she made her stage debut in Kabul. She fell in love with acting and went on to become one of Afghanistan’s leading theatre and television actresses, a specialist in comic roles. Today, at 41, she says she wishes that she had never discovered the stage.

In December her husband was murdered by unknown gunmen outside their home after defying months of telephone warnings to stop his wife appearing on television. “I killed my husband with my acting,” Mrs Mushtakhel says, her face dark with fatigue and stress. She has spent the past three months in hiding, fearful for her life and those of her two young children. Her only option, she says, is to flee the country.

She is not alone. There is an unease bordering on dread among many working women as the restrictions of the Taleban era begin to encroach again on the relative liberalism of Afghanistan’s cities. “The atmosphere has changed,” she said. “Day by day women can work less and less.”

In the past 18 months the Taleban has reestablished a significant presence in five of the six provinces clustered around Kabul – and people have begun to talk about an infiltration of the city; not necessarily of armed men, but of Taleban influence.

Into a Taliban wasteland of blood and fear
Mrs Mushtakhel reels off a list of high-risk professions for Afghan women: serving in parliament, working for foreign aid agencies, journalism, medicine, teaching, performing as an actress, singer or dancer. The Taleban justifies its attacks on such women by alleging that they are a cover for immoral acts and prostitution. Western employers and managers concur privately that women Afghan employees have begun to resign rather face the risks.

Zarghona, 22, who works for an international group in the city, told The Times: “My relatives disapprove of me working here. They say that there are boys in the offices and it is not good for my reputation. We are afraid a lot of the Taleban. I don’t feel good. I don’t tell anyone I work here, even my friends. I always wear a burka now to come and go to the office.”

The murder of Afghanistan’s most celebrated female police officer, Malalai Kakar, in September was a grim milestone. It was followed by a stream of killings of women journalists, teachers and workers, including four Western female aid workers in the past year. “Every time a woman is assassinated it sends a chill through the rest of their community,” said Theresa Delangis, of the United Nations Development Fund for Women.

Another dark episode was an attack on a girls’ school in Kandahar in November, when militants sprayed car battery acid in the faces of four women teachers and eleven schoolgirls.

For Mrs Mushtakhel the Kabul of today holds only echoes of the city that she grew up in. In the 1970s it was an island of relatively liberal sensibilities that now seem extraordinary. As a teenager she walked the streets with her head uncovered, wearing a short skirt.

“At that time the population of Kabul was small and educated,” she says. “Working in the theatre and cinema then were great jobs. We were proud to do it and the Government supported us. I loved acting and I laughed a lot.” The years of conflict that followed destroyed her family and the city they were familiar with. “The real Kabulis fled,” she said, “and uneducated people came to Kabul.”

Three of her brothers and her parents died during the conflict. During the Taleban period she was forced to stop acting but ran classes for women and girls in secret. When she returned to acting after 2001 she found that the profession was tainted by associations with immorality. “My husband supported my acting but when relatives came to the house he would change the channel of the TV so they wouldn’t see me. Girls from good families do not become actresses these days.”

Nawa Gul, her husband, stood by her even when rumours circulated after she acted in the first performance of Shakespeare in Afghanistan in 2005, a Dari-language adaptation of Love’s Labour’s Lost staged with British Council funding. “I was coming home after dark and people were saying, ‘Why is this? She must be a prostitute’.” She was forced to move house but refused to leave the production.

Last August she was again cast in a play, Sisters, directed by the French actress Corinne Jaber in Kabul. This time, menacing men – possibly Taleban militants – stood silently outside the theatre every night. Three months later her husband was murdered.

Now she moves every few days between the houses of a few friends who will let her stay. She acknowledges the irony that it is now the anonymity of a burka that is her best – indeed the only – protection that she feels on the streets of Kabul.

Par condicio geografica

Non ci facciamo mancare niente. Ho parlato di centro, di sud e adesso di Bergamo nuovamente dove evidentemente autorità incapaci, o peggio ancora colluse, permettono un corteo evidentemente neofascista. In Italia i valori della Resistenza non contano più nulla e questo in un paese democraticamente immaturo si può capire. Un paese che con le ronde ha semplicemente abdicato il controllo del territorio da parte delle forze dell'Ordine e auspica adesso la giustizia fai-da-te. La cosa ancora più grave è invece che si permetta di sfilare a gentaglia con caschi e mazze. Posterò qualcosa su Roberto Fiore, ma intanto mi chiedo se una cosa del genere sarebbe potuta accadere in Germania o Spagna. Ho forti dubbi. Addirittura arrivo a pensare, ma è perché sono malevolo, che in tal caso, sarebbe stato immediatamente rimosso almeno il prefetto per manifesta incapacità. Forse mi sbaglio. Dopo appena 20 anni che frequento questi paesi, settimanalmente, come faccio ad affermare una cosa del genere?






Bergamo, il saluto fascista del prete lefebvriano
Lui è don Giulio Tam, padre lefebvriano che si definisce “gesuita itinerante”. Sabato scorso il sacerdote ha sfilato, accanto a Roberto Fiore, in testa al corteo di Forza Nuova a Bergamo: più che altro una parata militare, con i militanti forzanovisti che hanno marciato per le vie del centro muniti di caschi e bastoni. Tra saluti romani, “boia chi molla” e qualche “Sieg Heil”, la manifestazione ha accompagnato l’inaugurazione della nuova sede del movimento di estrema destra (immagini dal sito Bergamonews)

martedì, marzo 03, 2009

Perché la Lega...




Se la Lega non fosse in mano a un branco di incapaci avrebbero ragione da vendere. Non deve arrivare nulla al sud. È l'unica maniera. I soldi pubblici semplicemente NON arrivano ai cittadini. O il sud va a fondo oppure si risolleva da solo. Punto

Fonte: Corsera
Secondo il sindaco Diego Cammarata servono subito duecento milioni. Il grande buco dei conti di Palermo

Il 72 per cento del bilancio va via in stipendi ai dipendenti, uno ogni 30 abitanti
Chi deve occuparsi delle piante comunali? Dipende, a Palermo: fino a 249 centimetri di altezza tocca ai giardinieri della Gesip, dai 250 in su a quelli del settore ville e giardini. Non si sgarra, sui centimetri. E a chi toccherà tappare l'enorme buco nei conti municipali che richiederebbe una toppa immediata di almeno 200 milioni di euro? La risposta è assai più complessa. E rischia di aprire nella destra italiana una frattura dagli esiti imprevedibili. Certo, il sindaco azzurro Diego Cammarata dispensa sorrisoni.

E anche se la Corte dei Conti gli ha appena chiesto chiarimenti su un mucchio di cose, dai 26 milioni di debiti fuori bilancio nel 2007 all'abnorme versamento di 247 milioni alle società partecipate fino ai dati allucinanti delle riscossioni delle multe stradali al 23%, ha spiegato al Giornale di Sicilia di avere già messo le mani avanti. «Entro un paio di settimane al massimo risolveremo la questione», ha assicurato: «Il Comune ha i conti a posto e un bilancio sano ma se poi non siamo in grado di riparare il tetto di una scuola o una strada dissestata che senso ha? Il governo deve farsi carico di un problema che non è solo del sindaco. Il precariato è stato un colpo al cuore di questa città perpetrato in anni precedenti all'insediamento di questa amministrazione e ne paghiamo le conseguenze anche in termini finanziari».

In soldoni? Presto detto: su 866 milioni l'anno di spese correnti, il Municipio di Palermo ne scuce 623 (il 72%) per pagare 21.895 dipendenti. Ottomila più di dieci anni fa. Un po' diretti, un po' precari stabilizzati nelle aziende partecipate. Media: un dipendente comunale ogni 30 abitanti. Un carico insostenibile. E ogni giorno più gravoso. Basti dire che alla catastrofica azienda della nettezza urbana, quell'Amia appena salvata dal governo Berlusconi col regalo di 80 milioni di euro nel decreto «milleproroghe» che ha tolto il sonno a tanti sindaci leghisti, c'era fino a poco fa un accordo: un padre poteva lasciare il posto di lavoro al figlio. Col risultato, accusa Maurizio Pellegrino, un consigliere dell'opposizione autore di un esposto micidiale alla Corte dei Conti, «che nel 2008, nonostante il bilancio disastroso e il forte esubero di personale, sono state fatte oltre 400 assunzioni. E che prima d'andarsene, a dicembre, il vecchio Cda ha assorbito altri 80 lavoratori di una ditta privata». Indispensabili? Risponde una tabella che confronta i dati della nettezza urbana di Palermo, Genova e Torino: con la metà degli abitanti, il capoluogo siciliano ha circa mezzo migliaio di dipendenti in più di quello piemontese. Uno ogni 259 abitanti sotto il monte Pellegrino, uno ogni 577 sotto la Mole Antonelliana. Totale dei rifiuti raccolti in un anno per dipendente: 164 tonnellate a Palermo, 220 a Genova, 491 a Torino.

Per non dire della raccolta differenziata: 21 chili l'anno per abitante a Palermo, 74 a Genova, 236 a Torino. Fatto sta che, nonostante trabocchi di addetti (uno spazzino ogni due chilometri di strada da pulire: primato planetario), l'azienda si muove come non bastassero mai. Ed ecco gli appalti esterni per la pulizia dei propri locali, gli appalti esterni per pulizia degli automezzi, gli appalti esterni per la pulizia dei cassonetti. Girano storie leggendarie, sull'Amia. Una è di pochi mesi fa: i poliziotti fanno visita a un sorvegliato speciale, vengono informati che l'uomo «non è a casa perché è al lavoro, all'Amia», si spostano là dove dovrebbe stare e non solo non trovano lui ma scoprono che su 37 dipendenti in quel settore quelli presenti sono 2. E gli altri 35? Boh... Sugli amministratori della società c'è un'inchiesta aperta. In pratica, stando alle accuse, avevano costituito aziende satelliti alle quali vendevano partecipazioni virtuali, per un totale di circa 50 milioni di euro, facendo così risultare in attivo i conti della capogruppo. Cosa che consentiva loro, tra l'altro, di auto-riconoscersi un premio di produttività.

La procura, per andare avanti, avrebbe fatto sapere che il sindaco dovrebbe presentare querela impedendo così la prescrizione. Risposta: stiamo esaminando la questione. Che la faccenda imbarazzi è ovvio: come ha fatto il Municipio, per anni, ad approvare come azionista unico il bilancio delle partecipate senza inserire nel bilancio proprio il debito corrispondente? Com'è noto, quel mucchio di soldi dati per evitare il crac dell'Amia, soldi che Cammarata vorrebbe fossero solo un antipasto d'un più sostanzioso aiuto di duecento milioni, hanno fatto venire il mal di pancia a molti, nella destra. La quale, proprio adesso che la sinistra è in pezzi dopo le sconfitte a ripetizione, rischia sulla questione Nord-Sud di andare alla rissa intestina. «II governo voleva premiare i virtuosi punendo i lazzaroni, invece sta andando in direzione opposta», si è sfogato con Libero il sindaco di Varese, Attilio Fontana. «Il Comune di Palermo dovrebbe essere immediatamente commissariato. Già quello di Catania non era un bell'esempio, ma questo è più grave: Cammarata guida il Comune da più di sette anni, quindi non ha la scusante d'essersi ritrovato buchi di bilancio delle amministrazioni precedenti», ha insistito col Corriere del Veneto il suo collega veronese Flavio Tosi.

Eppure quello dell'Amia, presieduta fino a poco tempo fa dal segretario cittadino di Forza Italia e oggi senatore del Pdl Enzo Galioto e bollata dal Sole 24 ore come «un covo d'interessi clientelari», è solo una parte del disastro amministrativo palermitano. Sprofonda la società dei trasporti urbani Amat, che ha visto i passeggeri crollare da 24 a 19 milioni, che copre con gli incassi dei biglietti poco più del 18% delle spese, che su 598 autobus in dotazione è arrivata a utilizzarne in realtà solo 235 con gli altri guasti nelle rimesse, che un anno e mezzo fa arrivò ad assumere (alla vigilia delle elezioni) 110 autisti d'autobus tutti 110 senza la patente per l'autobus. Sprofonda la Gesip, che si occupa di un sacco di cose, dai disabili ai giardini, e di cui Antonio Fraschilla ha raccontato, sulle pagine locali di Repubblica, storie surreali. Come appunto le tignose precisazioni contrattuali sulla competenza della cura degli alberi più alti o più bassi di due metri e mezzo o sulla irrigazione «affidata alla Gesip, ma solo se nei terreni ci sono impianti automatici, in caso contrario intervengono i giardinieri comunali» o sull'erba che «se cresce dentro un'aiuola sotto un albero deve pulirla l'operaio Gesip, ma se cresce qualche centimetro più in là, sul marciapiede, allora la pulizia diventa compito dell'Amia Essemme». Col risultato finale che per tenere in ordine una quota di verde urbano simile, poco più di duemila ettari, Torino spende 12 milioni di euro e Palermo (385 mila euro a ettaro l'anno) addirittura 27.

Potrà il federalismo, se passerà davvero («Ho passato la cinquantina e non credo che lo vedrò mai», si è sfogato Giancarlo Galan) mettere ordine in questo caos? Eccolo, il dubbio che turba, nel profondo Nord, la destra trionfante. Anche perché Dio sa quanto sarebbe necessaria, di questi tempi, una svolta virtuosa. Diranno: ma le cose vanno già meglio. Mica tanto: basti dire che, col bisogno che ha di denaro, Palermo incassa oggi dai suoi cittadini ancora meno di ieri. Sapete in quanti pagavano la Tarsu tre anni fa? Il 32%. E oggi? Due punti in meno: poco più del 29. Per non dire dei soldi incassati con la Tosap per l'occupazione temporanea di suolo pubblico: 16,2% del dovuto. O con l'imposta comunale sulla pubblicità: 10,9%. Non sarà davvero facile davanti a questi numeri, per Giulio Tremonti, accontentare insieme tutti gli alleati, da Vipiteno a Capo Passero. Magari il problema fosse solo la sinistra...

Gian Antonio Stella