lunedì, dicembre 27, 2010

Il Mose, la boiata del secolo

Il MOSE credo si possa criticare perfino in paese mafioso come l'Italia (addirittura c'è chi lo considera un'ignobile truffa fatta con connivenze a destra e a sinistra). Un pezzo dall'espressonline









Mose, una voragine a Venezia


di Gianfrancesco Turano


Il sistema di dighe mobili contro l'acqua alta doveva costare 1,6 miliardi di euro. Siamo già a 5 miliardi e mezzo. Tutti a un consorzio privato. Con l'augusta protezione di Gianni Letta

(27 dicembre 2010)

Il morbo infuria, il pan ci manca e lo Stato assegna altri 1.225 milioni di euro al Mose, il sistema modulare di dighe mobili che dovrebbe salvare Venezia dall'acqua alta. Il conto, la cuenta, l'addition, the bill, arriva a 5.496 milioni complessivi. Soldi veri, contanti e abbondanti in tempo di carestia generale. Accade il 18 novembre, nel disinteresse nazionale. A mala pena un vicesindaco, Sandro Simionato, fa notare come il Comune aspetti da due anni i 42 milioni di euro promessi da Gianni Letta al sindaco di allora Massimo Cacciari. 
Contro ogni buonsenso, lo tsunami di denaro deliberato dal Cipe il 18 novembre non bagnerà le casse municipali. Per tenerle asciutte c'è il Modulo Tremonti, che non lascia filtrare liquidi verso gli enti locali. L'onda benefica colpirà soltanto il Consorzio Venezia Nuova (Cvn), interamente privato. Il Consorzio è il potere a Venezia. Ed è il potere in Veneto. Prende i soldi pubblici e li gira a chi esegue i lavori, cioè alle stesse imprese socie del Consorzio che, grazie al Mose, sono diventate così grandi e ricche da reinvestire i guadagni in altri appalti. 
È un circolo virtuoso, con rischio di impresa a zero. Soprattutto, con zero concorrenza. Sui 3.243 milioni già finanziati (circa 2.500 milioni effettivamente disponibili), il Consorzio ha messo a gara opere per meno di 10 milioni, una percentuale ben lontana da quanto aveva imposto la Commissione europea durante il governo Berlusconi 2 a Gianni Letta, al ministro ai rapporti con l'Ue Rocco Buttiglione e al diplomatico di lungo corso Umberto Vattani. Per sospendere la procedura di infrazione sull'eccessivo ricorso ai lavori in-house, l'Unione aveva chiesto che andasse a gara quanto meno il 45 per cento dei lavori, ed era già una deroga eccezionale. Raggiungere questa quota è ormai matematicamente impossibile. 
Ma le quote non appaiono un problema per il Cvn. Il 22 e il 23 novembre, cioè pochi giorni dopo il ritocco del 25 per cento sui finanziamenti al Mose, a Venezia si è discusso di quote di marea. Durante un convegno organizzato dall'Unesco, agenzia Onu alla quale l'Italia sta dando parecchio filo da torcere fra Pompei e Colossei cadenti, alcuni scienziati hanno contestato il sistema delle 79 dighe mobili disposte alle tre bocche di porto del Lido (40 paratoie), di Malamocco (20 paratoie) e di Chioggia (19 paratoie). 
Sulla base della variazione delle maree ipotizzata dall'Ipcc (Intergovernamental panel on climate change), la tesi di Paolo Antonio Pirazzoli del Cnrs (il Cnr francese) è che il Mose è pensato per maree inferiori, che lascia comunque filtrare l'acqua e che è necessaria una "drastica revisione del progetto". Nel breve termine si dovrebbero seguire le prescrizioni suggerite del Comune, che si rifacevano all'opera costante di manutenzione dei dogi con lo scavo dei canali, il rifacimento delle rive, la protezione delle barene e vari altri interventi che non si possono più fare per assenza di "schei". Su posizioni critiche si sono espressi anche Georg Umgiesser (Cnr) e Albert Ammerman (Colgate university of New York).
Per quel che può servire, la pensa così anche Arrigo Cipriani, patron dell'Harry's bar di calle Vallaresso. "Non ci sono più fondi per la manutenzione. Le pietre sono lasciate a se stesse", ha detto Cipriani, non precisamente un fondamentalista dell'ambiente, men che meno un uomo di sinistra.
Del resto, per capire quello che succede a Venezia bisogna cancellare quel che resta degli schieramenti politici. Il Mose è stato propagandato come una battaglia per la modernità. Nei 25 anni di vita del progetto, ha avuto paladini a destra e a sinistra. E se oggi il santo protettore dell'opera è Letta, che incontra spesso e riservatamente - soprattutto mai colloqui telefonici - il presidente e direttore generale del Cvn, Giovanni Mazzacurati, l'opera ha sponde trasversali nel presidente dell'autorità portuale Paolo Costa, ex sindaco ed europarlamentare Pd. Lo stesso sindaco democratico Giorgio Orsoni non è certo un oppositore del progetto

Già, ma quale progetto? Un piano esecutivo complessivo non esiste. Sotto il profilo tecnico, il Consorzio procede per aggiustamenti in itinere. È la strategia dell'infrastruttura all'italiana, dal Ponte sullo Stretto all'Alta Velocità: non si sa se serve, non si sa se si può fare, ma intanto incominciamo a farla. La conseguenza inevitabile di questo metodo è uno slittamento dei tempi e un aumento smisurato delle spese. Il Mose non fa eccezione. In origine, secondo il progetto di massima del 1987, doveva costare 1,6 miliardi di euro. Dopo un salto a quota 2,7 miliardi, un paio di anni fa si è arrivati a definire il prezzo bloccato, chiuso, immutabile di 4,2 miliardi sul quale, peraltro, la Corte dei conti aveva già espresso rilievi molto pesanti. Un mese fa, arriva il ritocco, chissà se definitivo. 
Il Magistrato alle Acque, braccio lagunare del governo, ha argomentato che l'aumento non è colpa del Cvn ma è dovuto a richieste di enti terzi. La radiografia dei 1.225 milioni di aumento descrive una realtà un po' diversa. Sulle cinque voci del nuovo finanziamento, la maggiore (406 milioni) se ne va in aggiornamento prezzi dal 2007 al compimento dell'opera, previsto nel 2014. Tutti soldi spediti nelle casse dei principali soci del Consorzio. In primo luogo la Serenissima Holding-Mantovani, gruppo di proprietà della famiglia Chiarotto e diretto dal veneziano trapiantato a Padova Piergiorgio Baita. A seguire, festeggiano la Fincosit Grandi Lavori dei veronesi Mazzi, le romane Astaldi e Condotte, e Lega delle cooperative. Altri 260 milioni di euro serviranno per smorzare l'effetto devastante della cementificazione sulle tre bocche di porto, intervento chiesto fra gli altri dai Vigili del fuoco. Con 199 milioni sarà spesata la seconda procedura di infrazione Ue per i cantieri aperti senza autorizzazione. In altre parole, il Consorzio ha creato il danno e lo Stato lo "castiga" dandogli i soldi per ripararlo secondo le prescrizioni europee. La quarta aggiunta è di 80 milioni per servizi informativi e di monitoraggio. La quinta e ultima voce vale 280 milioni di euro e serve alla darsena di calcestruzzo dell'Arsenale. L'Arzanà de' Viniziani dantesco diventerà il cantiere di rimessaggio delle dighe che saranno trasportate dalle bocche di porto grazie a due rimorchiatori jack-up dal modico prezzo di 55 milioni cadauno. Anche all'Arsenale, cemento, cemento, cemento. E non ci vuole un premio Nobel per sapere che il cemento accelera la velocità dell'acqua.
Questo è un altro punto focale del dibattito su Venezia. Tutti, anche i pro-Mose, ammettono che l'acqua scorre più veloce in laguna da quando si lavora alle dighe mobili. I fautori delle dighe dicono però che quel che conta è la quantità e che la quantità d'acqua è invariata. I detrattori ribattono che un milione di metri cubi all'anno di fanghi, sedimenti e altre protezioni naturali viene mangiato dall'Adriatico e torna rapidamente in mare deteriorando il sistema lagunare.
In prospettiva, sull'Arsenale c'è un ulteriore côté affaristico. I soci del Consorzio sono pronti a prendersi la gestione della manutenzione. Un anno fa Mantovani, Condotte e Fincosit si sono vieppiù consorziate nel Comar che dovrebbe gestire un budget stimato fra i 50 e i 150 milioni di euro all'anno insieme al consorzio Cav (Mantovani, Mazzi, Condotte). 
La liquidità presente e futura serve ai soci del Cvn per essere protagonisti a tutto campo in Veneto. Entro fine anno si deciderà la gara per il Lido dove il Comune deve vendere per costruire il nuovo Palazzo del Cinema (serviva davvero?) e salvarsi dalla bancarotta. Per fare cassa il Comune mette a disposizione dei privati i 65 mila metri quadrati dell'ex Ospedale al Mare e l'area della nuova megadarsena da 1.750 posti a San Nicolò. Fra le imprese offerenti ci sono Condotte e l'inevitabile Mantovani di Baita, un'impresa passata in sei anni da 100 a circa 600 milioni di euro di ricavi con lavori in portafoglio per 3,2 miliardi.
Fra questi lavori, per limitarsi ai dintorni della Laguna, ci sono lo stesso Palazzo del Cinema del Lido, la bonifica del petrolchimico di Marghera, il passante e l'ospedale di Mestre, la sublagunare e le cerniere del Mose, affidata alla controllata Fip Industriale di Selvazzano Dentro (Padova). Le cerniere servono ad agganciare le paratoie ai cassoni di cemento affondati in mare e realizzati anche questi da consorzi di cui è capofila la Mantovani. L'unica gara residua di una certa sostanza (fra 1 e 1,5 miliardi di euro) riguarda le 79 paratoie. In teoria, nessuno dei soci del Cvn è un imprenditore elettromeccanico. Ma si diceva anche ai tempi delle cerniere e le cerniere sono andate alla Fip. Per le paratoie non è esclusa una partecipazione del gruppo guidato da Baita ma, in ogni caso, qui la gara ci sarà di certo. Qualcosa bisogna pur mollare per evitare che l'Ue controlli se la promessa di Letta e Buttiglione del 2004 è stata mantenuta. Al Consorzio resta comunque la fetta più grande dei lavori. 
E, come ha detto una volta Baita a un suo ex socio, "il bello del Mose è che i lavori si fanno sott'acqua".
ha collaborato Alberto Vitucci

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