lunedì, dicembre 13, 2010

I russi hanno Medvedev....

...come prestanome...gli italiani....Alfano...

Fonte lespressoonline

Se cade B. vola l'Angelino

di Denise Pardo
Il voto sulla fiducia è più incerto che mai e domani il Cavaliere potrebbe sfangarla per uno o due parlamentari. Ma in caso di crisi, ha già pronto il nome del successore. O, se preferite, del prestanome
(13 dicembre 2010)
Angelino Alfano Angelino AlfanoBedda matri! A San Leone, lido di Agrigento, feudo anche balneare della famiglia Alfano, non stanno nella pelle dall'agitazione. Hanno letto sui grandi giornali continentali e poi hanno avuto conferma pure da gossip autorevoli come quelli dell'entourage di Don Baldo, il parroco, che Angelino, 'u ministru della Giustizia trasferito nella capitale, corre come minimo al titolo inarrivabile finora di nuovo Gianni Letta. Ma anche come possibile candidato premier, gradito perfino ai maramaldi maneggioni del futuro Terzo polo, ove mai succedesse che il Cavaliere dovesse passare la mano. Proprio iddu, il loro Beghelli, eufemistico soprannome di Alfano in quel di Agrigento e dintorni evocante la forma del suo cranio tale e quale la nota lampadina (modello 2700k soprattutto) e, diciamo la verità, chi se lo merita più di lui, Niccolò Ghedini a parte, naturalmente? Davvero nessuno più di lui, esaustivo esempio del berlusconismo virtuale "largo ai giovani": il Cavaliere lo dice da un pezzo senza crederci ovvio, costretto forse questa volta, a crederci sul serio.

Nessuno più di lui, insomma " servizievole" come lo definì laconico Letta a un Silvio amoroso che gli chiedeva: "Com'è , com'è il nostro Angelino?". Servizievole ieri, servizievole oggi, l'esecutore più che a puntino dei desiderata dell'utilizzatore finale delle molte leggi ad personam tra veti incrociati e voti sfiduciati, domani potrebbe diventare l'uomo più accreditato per attraversare il grandioso cortile d'Onore di Palazzo Chigi. L'uomo sul quale, senza altra via di uscita, si può trovare un accordo.

Tanto per restare in tema, l'illuminazione, l'idea russa. Alfano come Dmitri Medvedev e Berlusconi come Vladimir Putin. Dopo il lettone, ci mancava anche lo schema.

Nella crisi più lunga e più crudele del ventennio berlusconiano, Angelino da Agrigento rappresenta una delle pochissime figure di cui il Cavaliere pensa di potersi fidare, dopo le dolorose rivelazioni di WikiLeaks di quel che spifferava l'amato Letta sullo stato traballante della sua salute, mentale non solo fisica. Che sollievo invece, la venerazione del ministro, e al diavolo le insinuazioni su un Alfano abilissimo nel far finta di ringhiare a Luca Palamara, leader della giacobina Anm, l'associazione magistrati che contesta i suoi procedimenti e i disegni di legge, da lui sotto sotto molto rispettata. Naturalmente gira anche piuttosto accreditata la versione opposta che piace di più a Berlusconi, quella di un Angelino-Angiolini, nel senso di Ambra, conduttrice della tv di un tempo, famosa per essere comandata via auricolare, proprio come sarebbe lui. Fatto sta, lontano dagli impiccioni, il Guardasigilli ama deporre un devoto e spagnolesco bacio sulla mano del Cavaliere.

E infatti, ecco e in pubblico, la ricompensa e l'investitura: la mano dell'imperatore appoggiata sulla spalla di Alfano illuminato - dalla felicità - come da soprannome.

"La mafia mi fa schifo", ha sillabato più volte il ministro della Giustizia e ci mancherebbe, prudente come un siciliano cauto ("chi si guardò si salvò", tiene bene a mente) per non rischiare di rimanere invischiato nei vespai delle beghe locali (affidate al sodale Renato Schifani che controlla il territorio per tutti e due), ha trasferito a settembre moglie, due figli e bagagli a Roma. Il ragazzo ormai quarantenne ma non catacombale, con l'apparente astrazione dalla politica tipica della Democrazia cristiana, culla della sua formazione, secchione ma spumoso come una ricotta fresca secondo chi non lo ama, Angelino appunto mica Angelo anche se è cresciuto e bene, alto e magro, non avrà dato al suo premier e alle sue iene affamate molte soddisfazioni con il lodo Alfano bocciato e la legge bavaglio ridimensionata. Ma certo non gli ha negato mai nessuna dimostrazione. Non avrà ingaggiato la lotta pura con gli odiati magistrati come vorrebbero i falchi di Palazzo Grazioli, ma vuoi mettere quando si tratta di difendere il Cavaliere, il suo governo e i suoi affari? Allora sì che il Guardasigilli non è secondo a nessuno. Pronto perfino al sacrificio estremo, dedicare per esempio più della metà dello spazio e della vanità del sito personale a inneggiare al gran capo, con tesi da fou rire tipo "WikiLeaks segna l'alto profilo di Berlusconi".
 
Dunque: il candidato perfetto. Da solo, non conta niente. Nel partito, meno di zero. Alla larga anche dai "fitusi" del gran caos siciliano, da una parte la Lega Sud di Gianfranco Miccichè, dall'altra lo strappo dal Pdl di Raffaele Lombardo, presidente della Regione, un tempo dominio del centrodestra, poltrona che Alfano avrebbe occupato volentieri. Qualcuno ricorda l'assenza del ministro allo strombazzatissimo convegno siracusano della Fondazione Liberamente. E la risposta di Miccichè, allargando le vocali già larghe dell'accento palermitano, a chi gli aveva chiesto lumi su questo punto: "Queesto è il convegno del Sud. E cccosa mai ccceeentra Alfano con il Sud?", aveva ruggito con la furia di chi è capace di radunare mille persone in Sicilia, ma è costretto poi a fare anticamera a Roma. Quando si dice, i corsi e ricorsi. Fu proprio Miccichè, il normanno esagitato, amico affettuoso a quel tempo, l'artefice nel 2000 dell'incontro fatale di Arcore. Ora sono cane e gatto ma il meteo siciliano prevede il rasserenamento: contro Lombardo tutti e due e quindi, è noto, il nemico del mio nemico diventa, anzi ridiventa, il mio amico.

Nessuno smarrimento figuriamoci, per ricostruire esperienze, ricucire strappi vistosi anche se sono volate parole grosse. Angelino è figlio di un fanfaniano, ex vice sindaco di Agrigento. Ha frequentato il movimento giovanile dello scudo crociato. Laureato in giurisprudenza alla Cattolica di Milano, conosce i dogmi del perdono. È nato in una terra segnata dai gesuiti ed è legato a doppio filo a Comunione e liberazione dato che suo fratello Alessandro, segretario di Unioncamere di Trapani, 20 chili e un notevole ciuffio di capelli più di lui, è responsabile della compagnia delle Opere di Agrigento. Angelino è un picciotto prodige, a 25 anni è già eletto nell'assemblea regionale con Forza Italia, nel 2001 è deputato oltre che capo della segreteria politica del Cavaliere. Il suo ufficio è attiguo a quello di Berlusconi, in macchina, dove si confabula, è al fianco del Cavaliere, tutto il partito si fa un fegato così dall'invidia. Nel 2005 è anche coordinatore Pdl in Sicilia. Studia e ricalca il metodo Letta (ai giornalisti arrivano i bigliettini: "Grazie di avermi citato, molto cortese di avermi nominato", puro stile Letta-zio). Il premier studia lui, invece, e quello che vede gli piace, non è un "signorino" come lo definisce Miccichè, è un suo soldatino, è l'uomo giusto per la Giustizia. "Angelino non si tocca", il premier fredda così un visitatore che si permette di sogghignare sull'accenno di un inchino e sulla camminata quasi da gambero, riservata ai regnanti, di Alfano che si congeda. Per Berlusconi, quella docilità è un balsamo dell'anima dopo tanti tradimenti.

Non c'è da stupirsi se Alfano non sia uscito con le ossa rotte dalla postazione di Guardasigilli, è abile, sguscia, dice di sì in privato più o meno a tutti come insegnavano i cari maestri dc e poi prima di lui, vuoi mettere c'era l'indimenticabile Roberto Castelli. Non c'è nemmeno da stupirsi se in un ipotetico avvicendamento avrebbe il placet di Casini, la discendenza politica è comune. E non c'è da stupirsi se Angelino è il gancio per Italo Bocchino, stesso condominio grazie al patrono immobiliare dei privilegiati, San Salvatore Ligresti, stessa scuola dei figli, stessa generazione ansiosa di farsi largo, ci scappa spesso il caffè. I rapporti sono tali che è il designato a sostituire Ghedini per trattare in commissione Giustizia con il presidente Giulia Bongiorno, ossessionata dalla beatitudine di un sogno: Ghedini flambé. Per non parlare dei legami con i Dario Franceschini, i Renzo Lusetti, gli Enrico Letta nati ai tempi della balena bianca. Succederà che dopo il patto della crostata, sta per arrivare il patto della cassata?

Intanto, i rosiconi Pdl ricordano la storia della riforma della giustizia: una barzelletta. Altro che delfino, Angelino è l'eroe, invece, dell'annunciare e del non fare. Tale e quale al Berlusconi, però. Perfino Giancarlo Perna dallo schieratissimo "Giornale" si complimentava: "Svegliati Angelino!". E lui, per tutta risposta, réclame su réclame, facciamo la riforma: dopo l'estate, dopo Natale, a primavera, prima dell'estate. Un mese fa, la notizia clamorosa, la riforma è all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Peccato che poi il suddetto Consiglio sia stato annullato.  

Pur di far piacere al premier, fa tutto il resto. Perfino il trapianto dei capelli, lui che a 25 anni era ricciuto come una pecora. A suggerirgli il nome dell'impiantatore fu Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, al tempo in cui non era un testimone di giustizia al centro delle indagini tra mafia e Stato. A vedere il nudo cranio, non proprio un successone. Ma a quanto pare, ci volevano tre sedute per la riuscita e Angelino si fece vedere solo una. Così, è rimasto quel soprannome agrigentino. E di questi tempi può essere una fortuna. Beghelli non è solo una lampadina, ma anche un salvavita. E, qualora servisse, per il Cavaliere adesso è proprio quello che ci vuole.
Denise Pardo

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