sabato, maggio 09, 2009

Dal mio appartamento di Bogotà...


... dove Internet gira a 3 giga...

Uno dei motivi del forse irrecuperabile gap italiano

Fonte: Panorama

Portare l'Italia verso la leadership europea nella banda larga»; in breve, rapporto Caio. Ecco il documento che ha fatto tremare il vertice della Telecom e che svela alcune verità taciute sul reale stato della rete internet in Italia. Il documento è stato redatto da Francesco Caio (dal quale prende il nome), che è uno dei massimi esperti italiani di telecomunicazioni: ex amministratore delegato della Omnitel, poi imprenditore in proprio con la Netscalibur, infine capo della britannica Cable & Wireless.

A Caio già il governo britannico commissionò, nel 2008, uno studio per conoscere lo stato della rete e le strategie da adottare per fare compiere al Regno Unito il necessario salto verso l'innovazione tecnologica, a partire dalle telecomunicazioni.

Lo stesso incarico gli è stato affidato a fine 2008 dal governo italiano. Ma i risultati del rapporto (105 pagine fitte di numeri e tabelle) non sono mai stati resi pubblici, tranne alcune indicazioni generali. Panorama si è procurato una copia del rapporto: ecco che cosa contiene.

Lo studio si concentra sulle due tecnologie principali: l'internet ad alta velocità con la tecnologia adsl (che utilizza i cavi in rame) e quella con la fibra ottica (assai più innovativa e veloce).

Partiamo dall'adsl. La prima brutta sorpresa si trova a pagina 37: i dati riguardanti la copertura della rete in banda larga in tecnologia adsl sono decisamente sovrastimati. «Se calcolata sulla base della popolazione telefonica allacciata a centrali abilitate alla banda larga» scrive Caio «la copertura del servizio risulta superiore al 95 per cento» che dovrebbe salire al 97 alla fine del 2010.

Il problema è che in molte zone d'Italia la «banda larga» viaggia ad appena 1 megabyte, velocità troppo bassa per garantire l'internet veloce. Quindi Caio rifà i conti e afferma: «Eliminando le zone dove la copertura non è disponibile per problematiche tecniche o dove il servizio è solo marginale (banda minima inferiore a 1 Mb), la popolazione in digital divide (che non ha accesso a internet veloce, ndr) sale al 12 per cento, pari a 7,5 milioni di cittadini».

Come reagire a questa situazione? Come è già filtrato tempo fa, Caio suggerisce, in varie forme, lo scorporo della rete infrastrutturale della Telecom Italia guidata da Franco Bernabè. Riguardo agli investimenti Caio scrive che «i piani in essere non sembrano chiudere il gap tra la situazione attuale e un obiettivo di copertura universale in tempi ragionevolmente brevi». Quindi, «in questo contesto un intervento di finanza pubblica sembra indispensabile per estendere la rete in aree in cui la bassa densità non giustifica l'investimento dei gestori».

Nel dossier è stato calcolato che, volendo assicurare una velocità minima di 2 Mb per il 99 per cento della popolazione entro il 2011, l'investimento necessario sarebbe di 1,2-1,3 miliardi di euro (700 milioni per sviluppare la rete fissa, 600 per quella mobile) se i lavori iniziassero entro giugno di quest'anno. A questo punto nasce il problema su chi dovrebbe realizzare un'opera così importante.

Caio suggerisce di sceglierlo attraverso una gara. Ma una gara un po' particolare, ovvero attraverso la suddivisione del territorio in aree per ognuna delle quali mettere a gara la copertura stabilendo un tetto massimo di finanziamento pubblico. «Vince la gara l'operatore o il consorzio che richiede l'ammontare minore di finanziamento pubblico».

Non manca una felpata critica all'autorità di regolamentazione. Caio infatti suggerisce all'organismo guidato da Corrado Calabrò di «pubblicare trimestralmente la qualità del servizio erogato dai vari gestori e provider (banda, tempi di risposta, ecc..) anche per aiutare clienti e gestori a focalizzarsi non solo sul prezzo più basso ma anche sul rapporto prezzi/prestazioni».

I problemi crescono se si parla di copertura dell'Italia in fibra ottica: «La velocità di investimento osservata non appare sufficiente per assicurare al Paese una posizione di leadership internazionale»; «non sembrano esserci motivi perché i gestori accelerino i piani annunciati, e anzi la crisi economica rischia di rallentare domanda e investimenti »; «esiste il rischio di fare troppo affidamento sulla rete in rame i cui limiti strutturali verranno sicuramente testati nei prossimi anni».

Il risultato è che, per quanto riguarda la qualità dell'infrastruttura, «l'Italia è tra i paesi alla rincorsa, tra gli ultimi posti in Europa» ed «è difficile vedere come Telecom possa decidere di accelerare i suoi piani razionalmente ispirati alla logica economico-finanziaria della prudente gestione».

Anche perché da una parte i clienti non sembrano essere disposti a pagare di più per essere collegati con la fibra ottica, dall'altra la Telecom insegue «obiettivi di riduzione dell'indebitamento» ed è interessata «ad allungare la vita utile della rete in rame in presenza di una limitata concorrenza infrastrutturale tra gestori (recente accordo Fastweb-Telecom Italia per condividere l'infrastruttura di rete)» e, infine, «nessun altro gestore ha annunciato piani di investimento in fibra». Tanto è vero che, fa notare il dossier, «nel 2008 Telecom Italia ha annunciato piani di investimento per lo sviluppo di una rete in fibra anche se i piani sono stati rivisti in riduzione per gli anni 2009 e 2010». E non di poco.

Come si vede nella tabella pubblicata nella pagina precedente, nel 2010 si spenderanno 700 milioni meno di quelli previsti nel piano dell'anno scorso. Conclusione: se non si vara un imponente piano di investimenti, «la competitività del sistema paese si eroderà giorno per giorno e senza strappi percepibili», come è scritto nello studio Nemertes (novembre 2007) che Caio cita. Anche nel caso della fibra ottica occorre un poderoso piano di investimenti pubblici che «non sarebbe una contribuzione a fondo perduto ma l'investimento in una infrastruttura essenziale la cui vita è utile per decenni».

La somma necessaria complessivamente ammonterebbe, secondo uno studio della Alcatel-Lucent citato nel rapporto, a 10,4 miliardi: 2,2 per dotare di fibra i 5,5 milioni di cittadini che vivono nelle aree urbane e ancora non la hanno, 7,2 per i 14,3 che vivono in aree suburbane e 1 miliardo per chi vive in aree rurali. I vantaggi?

Molti: occupazione, competitività, ritorno degli investimenti pubblici, leadership europea nella fibra ottica. Caio abbassa leggermente questa previsione: si tratta di spendere 10 miliardi in 5 anni per collegare 10 milioni di famiglie. Oppure, se si scegliesse l'opzione meno ambiziosa, 5,4 miliardi per servire 4,3 milioni di famiglie. Ma che debbano essere soldi pubblici Francesco Caio non ha il minimo dubbio.

Marco Cobianchi

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