mercoledì, gennaio 09, 2008

Confusione geografica



Un pezzo eccezionale preso da Chi. L'autore è l'ex direttore di Panorama e il Messaggero

Tutto è iniziato qualche giorno prima di Natale, quando, a Watamu, paesino sul mare a una trentina di chilometri da Malindi, un giovane italiano è stato ucciso durante una rapina. Che il fatto non fosse accaduto a Malindi, che l’ultimo connazionale ammazzato a Watamu risalisse a una quindicina d’anni prima, che tutte le città italiane firmerebbero per avere una rapina con morto ogni quindici anni, che da Watamu a Malindi ci sia più o meno la distanza fra Milano e Pavia o tra Roma e Bracciano, tutto questo non ha avuto alcuna importanza.

Per i giornalisti italiani il dato di fatto era uno soltanto: il povero ragazzo morto era stato ammazzato a Malindi, non a 30 chilometri di distanza, ma proprio qui, nella mitica Malindi, perché una cosa accaduta a Malindi fa più titolo della stessa cosa capitata a Watamu. E sono cominciate le telefonate ai (cosiddetti) vip in vacanza da queste parti. A me è toccata per prima la chiamata di Fabrizio Roncone del “Corriere della Sera”.

È stato inutile spiegare che il fatto non era avvenuto a Malindi, che si era trattato di una balorda fatalità, che l’unica cosa che davvero contava era che un ragazzo di trent’anni ci aveva rimesso la vita. Sul giornale è venuta fuori una mia unica dichiarazione: che a Malindi si stava benissimo, che le aragoste costavano 2 euro al chilo (io avevo detto 20, ma lo zero deve essere scappato dalla penna del collega) e che si viveva da gran signori su spiagge da sogno e ville da nababbi.

Punto. Che volete farci? Malindi è sempre Malindi: gli spinelli, la vicenda di Edoardo Agnelli, quell’altra di Claudio Martelli, la villa di Briatore con ragazze da sballo sono eredità difficili da smitizzare.

Per la seconda bordata abbiamo dovuto aspettare la fine dell’anno, quando ci sono state le elezioni per il nuovo presidente. Le votazioni si sono svolte senza alcun incidente e senza il minimo segno di scontri o di disordini. I primi risultati non definitivi dicevano che la vittoria era stata del candidato sfidante, Raila Odinga, della tribù dei luo, che aveva battuto il presidente uscente Mwai Kibaki, leader della tribù dei kikuju.

Più numerosi e più forti, i kikuju detengono da alcuni anni il potere e naturalmente, come in tutti i Paesi del mondo, non sono felici di cederlo ai loro avversari. E sono cominciati i primi scontri, ed è iniziata la conta dei primi morti. Tutti gli scontri, tranne uno a Mombasa, che dista un centinaio di chilometri da qui, sono avvenuti nell’Ovest e nel Nord-ovest del Kenya: il che vuol dire a una distanza tra i 600 e gli 800 chilometri da Malindi. La distanza che separa Milano da Napoli.

Ma tutti i giornalisti italiani che telefonavano per avere notizie facevano la stessa domanda: che aria tira lì a Malindi? Domanda legittima e pertinente, ma evidentemente noi davamo risposte non pertinenti ai loro desiderata. Perché quelli di noi che, per cortesia o correttezza, rispondevano ai colleghi ansiogeni, ripetevano la stessa cosa: guarda che qui non c’è assolutamente nulla. Di più: non c’è stato alcun corteo o piccola o piccolissima manifestazione per le strade.

Per le strade, continuavamo a ripetere, c’è il traffico di sempre e la vita è maledettamente normale. Ma tu lo sai, ripetevano i giornalisti al telefono, quello che sta accadendo a Nairobi e in altri posti? Sì, rispondevamo, lo abbiamo saputo dai nostri parenti e amici che ci telefonano preoccupati da casa, perché hanno visto la televisione o letto i giornali.

E a Malindi, insistevano i cronisti con una leggera punta di irritazione nella voce, che succede a Malindi? Arridagli, come dicono a Roma. A Malindi, mi dispiace per te, non sta accadendo nulla. E qualcuno di noi, per spirito di incoraggiamento, aggiungeva: magari domani o dopodomani succederà qualcosa, speriamo di no, ma finora qui non è veramente accaduto nulla.

E allora, insisteva il giornalista italiano che qualcosa nel pezzo chiestogli dal direttore doveva pur mettere, voi che fate, come vivete questa situazione? “Quale situazione?”, ci domandavamo noi, e raccontavamo, con minore o maggiore dovizia di particolari, la nostra giornata: passeggiate sulla spiaggia, qualche bagno in mare, molti libri con il tempo finalmente di leggerli, una visita agli amici sparsi qui e lì, e la sera cena in albergo, con mogli e figli, o da amici, e due chiacchiere per tirare le 11 e andarsene a letto.

Una vita del piffero, lo ammetto, banale e borghese, ma nessuno di noi riusciva a produrre niente di meglio. Per sua fortuna Flavio Briatore quest’anno non è venuto e quindi si è risparmiata la persecuzione, ma non del tutto, perché anche a lui, che girava le Maldive con la sua barca, hanno telefonato per avere notizie a tutti i costi, e poco importava che il disgraziato fosse a migliaia di chilometri di distanza, alla fine, in un modo o nell’altro, una sua dichiarazione e una sua foto sono riusciti a metterla lo stesso.

Poi hanno bruciato una chiesa, a 600 chilometri (ripeto 600) a nord di Malindi, e sono morte una cinquantina di persone, donne e bambini compresi: una cosa terribile e selvaggia, la cosa peggiore di tutta questa vicenda di scontri tribali tra luo e kikuju. Allora mi ha telefonato un collega di un giornale radio e mi ha chiesto che cosa stava capitando a Malindi dopo questo fatto, e io ho risposto che era una cosa terribile, ma che a Malindi non accadeva nulla di diverso dal solito, e che noi eravamo a 600 chilometri di distanza.

Ma naturalmente l’indomani c’è stato chi ha scritto che, mentre il Kenya era a fuoco e fiamme, quell’imbecille di Pietro Calabrese diceva che tutto era tranquillo, il mare calmo, il clima buono e le aragoste ottime. Che io, a precisa domanda, avessi parlato della situazione di Malindi e non di quella dell’intero Paese, era evidentemente un dettaglio senza importanza.

Adesso, lunedì 7 gennaio 2008, io non so che cosa accadrà nei prossimi giorni in questa bellissima terra che amo molto. So soltanto che dai giornali italiani continua ad arrivare di tutto, notizie vere e serie e notizie da fantarealtà: che gli aeroporti di Mombasa e Nairobi un momento sono chiusi e un momento dopo no, che le strade che portano a questi aeroporti sono insicure e pericolose, che banditi fermano le macchine e rapinano i turisti terrorizzati, che manca la benzina e scarseggiano i viveri, che la Farnesina è in stato d’allarme con la sua unità di crisi (e fa bene a esserlo, perché qui, sulla costa, ci sono in vacanza migliaia di italiani), e altre cose del genere.

Io so solo che a Malindi e negli altri paesini della costa – da Watamu a Lamu, a Khilifi – non è accaduto nulla, e che ognuno dei turisti che ha deciso di passare qui Natale e Capodanno ha trascorso feste normali e tranquille con la famiglia e con gli amici. Questo vuol dire che in Kenya non è accaduto nulla? Assolutamente no. In Kenya sono accadute molte e brutte cose, tanta gente è stata ammazzata, ci sono stati scontri mortali e odi repressi sono stati liberati.

Sono bruciate case e una chiesa, e sono stati saccheggiati negozi e devastate automobili. È accaduto tutto questo e speriamo che i due contendenti, Odinga e Kibaki, trovino un ragionevole accordo tra loro, altrimenti lutti e scontri continueranno e aumenterà il numero dei morti. Ma a Malindi e a Watamu, a Lamu e a Khilifi, non è accaduto nulla di nulla, nemmeno un minuscolo corteo di protesta per le strade, con grande scorno dei giornalisti italiani che davano a noi (cosiddetti) vip la colpa di questa irragionevole sgradevolezza.

Noi, insensibili alle esigenze dei giornali, siamo stati dipinti come sfacciati sibariti che gozzovigliavano ad aragoste e champagne, mentre tutto intorno il sangue scorreva. A Malindi, lo ammetto con il capo cosparso di cenere e di vergogna, persone normali e insopportabili vip hanno trascorso le stesse vacanze che voi avete passato in Italia: solo che qui si stava più al caldo. E anche, lo confesso, che da queste parti le aragoste costano 20 (non due) euro al chilo.

È una colpa grave che abbiamo. Ne chiederemo perdono a Dio e al giornalismo civilizzato. E lo farà, ne sono sicuro, anche Briatore, pur se in questa fine d’anno di aragoste malindine non ne ha mangiata nemmeno una.

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