lunedì, agosto 25, 2008

Un amarissimo Aldo Grasso sulla Rai



PERCHÉ LA RAI NON È AL PASSO CON I TEMPI
Aldo Grasso per il Corriere della Sera

«Ma ti sei reso conto di quello che hai fatto?». Ecco, in questa frase di rara inutilità (dopo 4 anni di duro allenamento, un atleta che vince una medaglia, possibile non si renda conto di quello che ha fatto?) si racchiude perfettamente il senso della spedizione Rai all'Olimpiade di Pechino. Nel dopo gara, Elisabetta Caporale si è avvicinata spesso al campione con l'aria del cronista che chiede a una persona che ha appena patito una tremenda disgrazia: «Cosa ha provato in quel momento?».

Purtroppo non è solo una questione di persone, di singoli (anche se...), di inviati o di commentatori sbagliati (anche se...); no, il problema è più generale e riguarda la Rai come servizio pubblico. Già l'esperienza degli Europei di calcio non è stata esaltante; come si fa, allora, a commettere gli stessi errori, mostrare la stessa inadeguatezza, farsi sbertucciare per tutta la durata di un evento così importante come l'Olimpiade?

Nonostante le ovvie difese d'ufficio del presidente Petruccioli, la situazione è complicata e rischia di aggravarsi. Quello che in maniera drammatica Pechino 2008 ha messo in luce è che la Rai non è più al passo coi tempi: le ragioni sono molteplici ed essenzialmente politiche (storicamente complicate da quella anomala situazione italiana che si chiama duopolio). Quindi non ci sentiamo di gettare la croce su nessuno e scriviamo queste note con profonda amarezza.

La carenza della Rai è prima di tutto una carenza tecnologica: non è più pensabile investire così tanto in diritti (era Antonio Marano il responsabile degli acquisti?) se non si hanno a disposizione diversi canali su cui spalmare un evento complesso e articolato come l'Olimpiade. Solo dopo le nostre critiche, la Rai ha cominciato a diversificare sensibilmente l'offerta tra il canale analogico e digitale, incorrendo inevitabilmente in alcuni errori di scelta, tipo la partita Argentina-Brasile.

La Rai deve finalmente prendere atto che esiste la concorrenza e che non opera più in regime di monopolio. Non si può mandare a Pechino un commentatore senza idee solo perché ti è stato «suggerito» da qualche politico e soprattutto molti inviati dovrebbero qualche volta perdere quell'arroganza o supponenza che deriva loro dall'imprinting del monopolio, quando, arrivato a occupare un posto, eri anche l'unico e nessuno ti metteva più in discussione.

In una situazione di concorrenza, un direttore agli ennesimi «risvolti umani» di un Carlo Paris o di un Claudio Icardi dice basta; all'ennesima battuta infelice o banalità mascherata di un prof. Dal Monte o di un Bartoletti dice basta. A rimetterci, sono i più bravi, i più scrupolosi che vedono rovinare il loro lavoro da un diffuso clima di provincialismo.

La cosa più fastidiosa delle telecronache Rai è l'insieme di tifo e contiguità che le rende obsolete e irritanti. Siamo tutti tifosi degli atleti italiani ma non per questo dobbiamo essere ciechi di fronte al resto del mondo; trasformare la telecronaca in incitamento (ahimè, succede anche su altre emittenti) è una scorciatoia sentimentale ma poco professionale. E poi, specie nei talk di approfondimento, viene fuori una vicinanza, una confidenza, quasi una dipendenza fra cronisti, atleti ed ex atleti davvero indisponente. Si cresce con il confronto, non con la complicità, non con la connivenza.


Il fatto triste è che se la Rai non cambia radicalmente e non ritrova la sua antica e apprezzata professionalità (lontano dalla politica), se non viene ridimensionata la Casta interna che la governa, si avvia inesorabilmente al declino. Come Alitalia.

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