lunedì, settembre 07, 2009

Boffo















Un pezzo illuminante di Vittorio Messori sul caso Boffo pubblicato sul Corriere. Cosa penso di questo caso, stavolta, lo tengo per me, ma mi chiedo d'accordo con Messori: come accidenti è possibile dare tanto potere a un singolo individuo? Purtroppo anche la Chiesa italiana è a volte data in mano a personaggi poco, ma davvero poco, lungimiranti.

Vittorio Messori per il "Corriere della Sera"

È indubbio che è venuto da colui che è pur sempre il Primate d'Italia, oltre che vescovo di Roma, l'input, o almeno l'accettazione, per le dimissioni di Dino Boffo dalla galassia dei media cattolici.

Quotidiano nazionale, televisione nazionale, 200 radio in ogni regione: una concentrazione di potere anomala in una Chiesa che non ha soltanto trascurata la virtù cardinale della prudenza (auriga virtutu , la chiamava San Tommaso), lasciando questo suo uomo-immagine esposto a ogni rischio di ricatto, dopo una sentenza che si pensava fosse irrilevante e che restasse sepolta per sempre in un tribunale di provincia.

Ma è anche, questa, una Chiesa che ha dimenticato un altro principio praticato dalla gerarchia cattolica di un tempo. Il principio, cioè, del divide et impera : la Catholica è l'ultima «monarchia assoluta», dove il potere illimitato del vertice si regge sull'equilibrio dialettico, sempre felpato ma non sempre idilliaco, dei poteri subordinati.

Ora, invece, tutta - dicesi tutta - l'informazione della Chiesa italiana era gestita e controllata da un uomo solo, che su di sé aveva un altro uomo solo: il cardinale presidente della Cei.

Un'altra imprudenza, quindi, che ha fatto sì che la crudele, inaspettata rovina professionale di un singolo abbia gettato un'ombra di sospet¬to e di discredito su tutto un sistema infor¬mativo per il quale, tra l'altro, la Chiesa italiana salassa i suoi bilanci.

Ma se è indubbio che input o, almeno, accettazione per le dimissioni sono venuti dal Vertice stesso della Chiesa, è altrettanto indubbio che la possibilità di defilarsi è stata accolta con sollievo dall'interessato, ad evitare guai peggiori.

Lo ha detto egli stesso nella lettera al Presidente della Cei: «la bufera mediatica è lungi dall'attenuarsi», anzi, «si stanno chiamando a raccolta uomini e mezzi in una battaglia che si vuole ad oltranza». Dunque, perché «le ostilità si plachino», è necessario che il bersaglio «compia il sacrificio» di tirarsi indietro.

Più che un «sacrificio», le dimissioni hanno offerto a un uomo martoriato, cui va la nostra fraterna comprensione, la possibilità di ritrovare un po' di sonno dopo la settimana infernale. Ma anche la possibilità di evitare ciò che non ha fatto e che, fa capire nella lettera di congedo, non intende fare: autorizzare, cioè, il tribunale di Terni a pubblicare l'intero fascicolo processuale. Il suo avvocato, in effetti, ha chiesto che quelle carte restino blindate.

Come si sa, un magistrato esigeva il rispetto della legge, che stabilisce che la documentazione sia resa nota, ma un suo collega si è opposto per la reputazione del «condannato». Dunque, conosciamo solo le due pagine di conclusio¬ni, senza sapere perché il giudice è pervenu¬to ad esse.

Anche per questo, dicono, Boffo non ha presentato, almeno sinora, l'annun¬ciata querela contro il Giornale : in questo caso, l'avvocato del denunciato avrebbe diritto di accedere al fascicolo rinchiuso negli archivi. Ed è ovvio che tutto finirebbe subito su tutte le prime pagine.

Ma cosa può esserci in quegli atti, che po¬trebbero chiudere una rissa che si è svolta attorno ad elementi formali (pur rilevanti), ma senza rispondere alla domanda vera: che cosa è successo davvero? Anche a questo, in verità, è stato alluso nella lettera di dimissio¬ni: «Mi si vuole a tutti costi far confessare qualcosa e allora dirò che, se uno sbaglio ho fatto (...) è il non aver dato il giusto peso a un reato 'bagatellare'».

Un termine giuridico, ma, forse anche un curioso riferimento a Céline, lo scrittore «maledetto», e al suo anti¬semita Bagatelles pour un massacre? Ci so¬no, dunque, piccole cose, leggerezze, svaga¬te imprudenze, libertà di linguaggio, cose tollerabili in altri, ma che metterebbero a di¬sagio un uomo al vertice del sistema infor¬mativo di una Chiesa che su certe cose non transige? Sembrerebbe.

In ogni caso, la ridu¬zione da uomo-istituzione a semplice priva¬to gli ha permesso di alleggerire la pressione dei mastini che, altrimenti, non avrebbero mollato la presa perché la pubblicazione del¬le carte fosse autorizzata.

Ma l'imprudenza, qui, non sembra abbia contrassegnato solo la parte aggredita. È probabile che il Giornale pensasse che la faccen¬da si sarebbe subito conclusa, davanti alla evidenza di una condanna, con le dimissioni del direttore, accolte da una imbarazzatissi¬ma, e ammutolita, Conferenza Episcopale.

Non era stato messo in conto l'arroccamento immediato di questa, il compattamento delle redazioni, la difesa ad oltranza, «a prescinde¬re », da parte di una fetta consistente del mondo cattolico? È probabile. Il risultato po¬trebbe rivelarsi un boomerang politico.

Una Cei che aveva un parterre moderato, non osti¬le all'attuale governo, parla ora (come Boffo nella sua lettera) di «un oscuro blocco di po¬tere laicista» che, dall'interno della maggio¬ranza, aggredirebbe la Chiesa. La rivelazione, così brutale, dei possibili «peccatucci» del di¬rettore è stata presentata come un'operazio¬ne anticristiana.

E il prossimo responsabile del quotidiano sarà obbligato a una politica meno conciliante con questo governo di quella del suo sfortunato predecessore, noto per la sua moderazione, se non addirittura per un penchant per il centro-destra.

Quanto ai molti discorsi, innescati dal ca¬so Boffo, su dissidi e antagonismi tra Segretario di Stato e Presidente della Cei: al di là della diversità di temperamenti e di prospet¬tive (peraltro assai meno accentuata di quanto spesso si affermi), il problema va ben oltre le persone.

letta berlusconi bertoneGià molti anni fa, in Rapporto sulla fede , Joseph Ratzinger affer¬mava che le più che 100 Conferenze Episco¬pali del mondo non hanno base teologica, non fanno parte della struttura divina della Chiesa. Questa, osservava, non è una Federa¬zione di Chiese nazionali, dove si converga solo sui grandi principi del Credo. Il potere dei «piccoli vaticani» sparsi nei cinque con¬tinenti, uno per ciascuna nazione, va ridi¬mensionato. Pietro è uno solo. E sta a Ro¬ma.

Divenuto papa, l'allora cardinal prefetto del Sant'Uffizio ha cominciato a provvedere. Sta qui il motivo del cortese ma fermo avvertimento di Bertone, il suo «primo mini¬stro », a Bagnasco, rappresentante della «Chiesa nazionale italiana» . Rispetto e fidu¬cia, si intende, ma le grandi linee di gover¬no vengono avocate a sé dal Vertice della Chiesa.

Non è in atto un regolamento di con¬ti tra cardinali (malgrado le attuali difficoltà dell'arcivescovo di Genova per il caso dell'uomo media ereditato da Ruini), è in atto semmai una strategia di lungo respiro di Be¬nedetto XVI per contrastare un per lui inaccettabile «federalismo clericale».

1 commento:

Pentma ha detto...

Nuova boiata del peggior presidente della storia repubblicana.

"Sono addolorato per quanto è accaduto al dott. Boffo e, pur con la dovuta carità, non posso tacere che impancandosi di fatto a nome della Chiesa italiana a giudice pubblico dei comportamenti, certo eticamente non commendevoli, di Silvio Berlusconi, non dico che «se la sia meritata», ma «cercata» sicuramente sì!"
FRANCESCO COSSIGA