Fonte Micromega
Quelli che capiscono Berlusconi
di Peter Schneider, da Die Zeit, 27 agosto 2009, n° 36, traduzione di José Padova
Il successo di Silvio Berlusconi in Italia è così durevole e incomprensibile che nel frattempo anche gli intellettuali suoi oppositori battono altri tasti. Nel caso di George W. Bush valeva la regola empirica: si può perdonare che gli americani abbiano eletto la prima volta quest’uomo, tenuto conto specialmente come egli abbia «rubato» ad Al Gore la vittoria. Che poi nel 2004 – e stavolta con significativa maggioranza – lo abbiano confermato nella sua carica dimostra che essi hanno perso il lume della ragione.
Nel caso di Berlusconi le cose stanno diversamente. In fin dei conti gli elettori italiani hanno scelto il farsesco miliardario tre volte – e l’ultima volta con una maggioranza trionfale – come primo cittadino del loro Paese. Per paura di ripetersi – notoriamente il peggior peccato per un intellettuale – e per la preoccupazione di perdere se possibile un trend storico, alcuni commentatori hanno recentemente rettificato le loro argomentazioni contro Berlusconi. Un illusionista che viene eletto tre volte non è più un illusionista, ma se possibile un fenomeno storico, un avanguardista, un genio politico. E a coloro che da poco interpretano il fenomeno si prospetta un titolo nobiliare che si definisce così: dominio dell’opinione pubblica. E in questo modo al tempo dell’indignarsi segue l’era del capire. E ammettiamolo: comprendere e interpretare in modo sorprendente è più opportuno che non accusare.
Uno che si rende benemerito da sempre nella comprensione del fenomeno Berlusconi e della cultura maschile da lui introdotta della «pacca sul didietro» (Dario Fo) è il corrispondente della Frankfurter Allgemeine Zeitung, Heinz-Joachim Fischer. Fischer prende del tutto sul serio un uomo, la cui ascesa è stata accompagnata da dozzine di processi per corruzione, istigazione allo spergiuro, falsificazione dei bilanci, eccetera, come un «imprenditore edile di successo», «con nuove idee e astuti metodi finanziari e con idee ancor più ardite sulla televisione privata che può crescere ancora di più». Del resto sembra che Fischer ritenga una questione umoristica che si trovi comprensione oppure no per lo stile di Berlusconi – per le sue famigerate «barzellette» (si pensi alla sua osservazione circa il presidente americano Obama, «ben abbronzato»), per la promozione delle sue compagne di giochi al Parlamento o per l’abuso del suo potere mediatico. Si tratterebbe di una «lotta fra la serietà nordica e la leggerezza meridionale», che sarebbe già perduta per il nord, commenta Fischer. Ma lasciamo da solo sulla sua terrazza romana Fischer, che in Italia ha scoperto con la leggerezza anche l’ammirazione per Berlusconi, mediante la sua precoce capacità di capire.
Il sociologo Peter Kammerer, come Fischer un conoscitore dell’Italia, vuole comprendere Berlusconi (nella Berliner Zeitung del 1 agosto 2009) in una maniera nuova. Sarebbe «senza importanza», pensa Kammerer, che Berlusconi possieda canali televisivi. Sarebbe invece decisivo il fatto che tutti i media si siano adattati al metodo Berlusconi – sostituire i dibattiti con l’intrattenimento e le emozioni. «L’Italia era già da sempre un laboratorio politico: per il fascismo, per l’eurocomunismo e adesso per Berlusconi?». Il punto di domanda, pieno di presentimenti, di Kammerer, vuole significare che noi, in Germania e in Europa, siamo da non molto tempo sulla via del berlusconismo?
Il filosofo Slavoj Žižek si è sostanzialmente occupato a fondo del fenomeno Berlusconi. Žižek è una persona ricca di idee stravaganti e un provocatore, che si è inclini a seguire anche se si sbaglia. Nel suo saggio "Berlusconi in Teheran" (sulla London Review of Books) egli fa il tentativo di descrivere il presidente iraniano Ahmadinejad come un fantasma, replicante di Berlusconi. Il nesso fra i due diseguali antagonisti è visto da Žižek nel progetto di un nuovo «capitalismo autoritario e tecnocratico», al quale sono, ai suoi occhi, orientati entrambi.
Pur con tutta la simpatia per il sorprendente confronto: non sussiste forse una fondamentale diversità fra una dittatura in un Paese emergente come l’Iran, che della democrazia ha sempre vissuto soltanto gli accenni, e una democrazia occidentale di nome Italia, che è in procinto di degenerare in una mediocrazia? Che cosa è, per favore, il tertium comparationis fra un dittatore mosso da motivi religiosi, che crede nel «celato» dodicesimo imam Mahdi e nella fine del mondo, si procura armamento atomico e in ogni occasione minaccia l’estinzione d’Israele, e un miliardario italiano, cui è riuscito con uno strisciante coup d’État di abusare dello Stato e del Parlamento per l’imposizione dei propri interessi economici? E che ne è della asserzione di Žižek che la grande prestazione di Berlusconi consisterebbe nel matrimonio di una «tecnocrazia permissiva-liberale con un populismo fondamentalistico»? Il copyright di questo accostamento non spetta forse più ad Adolf Hitler e – con le debite riduzioni – a Benito Mussolini piuttosto che a Silvio Berlusconi? Berlusconi gestisce un Paese che presenta il più alto indebitamento pubblico d’Europa e uno dei minori tassi di investimento in formazione e ricerca e scaccia le sue nuove generazioni di cervelli dotati costringendoli a espatriare.
Il triste segreto del persistente successo di Berlusconi, come temo, è ben noto e non ha bisogno di alcuna nuova spiegazione. Esso consiste nella persistente debolezza delle istituzioni democratiche italiane – del Parlamento, dell’amministrazione e della giustizia. L’esperienza di molti italiani indica molto semplicemente che senza corruzione in questa vita nulla si ottiene. Come meravigliarsi che essi eleggano il gran maestro della corruzione alla carica più elevata e seguano con segreto divertimento come egli prenda in giro tutte le imputazioni e i processi?
L’opposizione democratica durante gli scorsi anni aveva avuto due volte la sua chance. Purtroppo essa non ha studiato i trucchi e i sotterfugi del grande illusionista Berlusconi e nulla ha imparato da lui. Perché da un certo punto di vista egli è di fatto geniale: sia che si presenti come antesignano della lotta contro la giungla della burocrazia italiana, sia che si impegni per la semplificazione rispettivamente l’abolizione di imposte come quella sulla proprietà della prima casa o per ulteriori condoni [ndt.: in ital. nel testo] a favore degli evasori fiscali – egli ha sempre capito come vendere i suoi propri interessi di affari come interessi strettamente personali dell’uomo della strada. E ancora la sua assurda campagna contro «l’Armata Rossa dei giudici» ha potuto fare presa sulla consenziente disperazione di molti cittadini a causa della notoria inefficienza e lungaggine della giustizia. Perché i Democratici hanno lasciato a Berlusconi questi e molti altri argomenti popolari?
A ragione coloro che comprendono Berlusconi mettono in guardia contro il virus, in espansione, di un capitalismo autoritario. Ma come testimoni di questi timori sono più indicati i banchieri d’investimenti che operano a livello internazionale e i loro assistenti politici negli USA e nell’Unione Europea che non Berlusconi. Le banche italiane, a causa del loro insufficiente collegamento in rete – detto in linguaggio tecnico: per la loro arretratezza – hanno contribuito poco al disastro finanziario mondiale.
Mi dispiace, ma non vedo alcun motivo per ammirare e nobilitare l’Italia di Berlusconi come «laboratorio» o modello di un nuovo capitalismo, minaccioso su scala mondiale. La vera e propria base di potere di Berlusconi, proprio il semplice fatto che il presidente dell’Italia [sic!] «casualmente» controlla più dell’90% della televisione italiana, rivela più l’arretratezza che la modernità. Si tratta di un caso particolare, che è possibile trovare nelle società pre-democratiche, come il Venezuela di Chávez o la Russia di Putin. Né nel resto dell’Europa né negli Stati Uniti è immaginabile un simile caso di ritorno indietro nel tempo. L’Unione Europea farebbe molto bene ad approvare una dichiarazione nella quale si chiarisca che il potere mediatico di Berlusconi contraddice i principi di una democrazia europea.
(23 settembre 2009)
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