giovedì, gennaio 14, 2010

Qualcosa su Haiti

Fonte Repubblica

Il giardino del diavolo dove i neri pagano per i peccati dei bianchi. Le piaghe di Haiti, dagli schiavisti a Papa Doc


Ma più ancora che gli uragani e i terremoti, la sua maledizione è il retaggio di violenza che l´accompagna

Da più di 500 anni questa è l´isola del demonio: che nessun rito, sacrificio o armata è mai riuscito a sloggiare



VITTORIO ZUCCONI


Haiti è da mezzo millennio, da quando Colombo attraccò la sua "Santa Maria" nella baia del Nord a Cap Haitien, il giardino del diavolo, che nessun rito e nessun sacrificio, nessuno spirito e nessuna armata è mai riuscito a sloggiare ed esorcizzare.

Geologi e climatologi ci spiegheranno che questa terra delle alte montagne, questo significa «Haiti» nella forma creola «Ayiti», subisce la doppia maledizione di essere insieme terra sismica e di sedere nel mezzo dell´"autostrada degli uragani", la via percorsa dalle bufere che gli stessi venti portatori di navi negriere dall´Africa Occidentale spingono ogni estate verso il Caribe. Ma Haiti non è la sola a conoscere la periodica violenza della terra, del mare e del cielo. La sua condanna più crudele non sta sotto la terra e neppure nel cielo. Sta ben piantata sulla terra e cammina con le gambe degli uomini che l´hanno calpestata con un accanimento e una ferocia che trova, nella ferocia della natura, la propria rappresentazione perfetta.

La frase usata dal Presidente Obama nel promettere aiuti «veloci a aggressivi» per una «tragedia specialmente crudele e incomprensibile», suona addirittura eufemistica per questa Haiti che è invece una tragedia normalmente crudele e perfettamente comprensibile. Fu su di essa, sulla parte occidentale dell´isola che Colombo battezzò "Hispaniola" e che i francesi, dopo averla strappata agli spagnoli, rinominarono "Saint Domingue", che colonialismo, schiavismo, razzismo, clericalismo, ingordigia, tutti i peggiori tratti del dominio europeo nel Caribe come in Africa, si concentrarono in una convergenza squisita di orrore.

Fu per Saint Domingue, dove già gli indios nativi Taibo Arawak erano stati sterminati dalla prima epidemia di vaiolo ufficialmente registrata nel Nuovo Mondo, che Luigi XIV descritto per gli scolaretti d´Europa e di Francia come «il Re Sole», impose alla fine del ‘600 il "Code Noir", il codice nero voluto dal suo ministro delle finanze Colbert.

Fu il primo editto completo e dettagliato per il trattamento degli schiavi africani, dalla proibizione, sotto pena della vita, di praticare altre religioni che non fossero quella cattolica romana, alla multa per i bianchi che avessero avuto figli da «concubine schiave» e che se la sarebbero cavata con una tassa di duemila libbre di zucchero. E fu nel segreto delle piantagioni, nel disperato sincretismo di culti e superstizioni e terrore, che il "vudun" africano divenne il "voodoo" degli incubi bianchi, incarnati in quei "morti viventi", gli zombie, corpi di uomini senza più anima, nel possesso di spiriti e maghi padroni. Esattamente come i milioni di schiavi trasportati e venduti all´asta per lo zucchero e il tabacco.

La piaga che prima gli spagnoli, ma poi soprattutto i francesi, apriranno nella carne di chi popolò in catene Hispaniola, non si sarebbe mai rimarginata, restando infetta attraverso i secoli, le vane rivolte irredentiste, le effimere monarchie, le repubbliche democratiche, e il confuso, velleitario protettorato "benevolo" degli Stati Uniti. Sconfissero anche gli eserciti napoleonici, gli schiavi liberati dalla Rivoluzione Francese e guidati da un liberto, Toussaint L´Ouverture, che con l´indipendenza tentò di uscire dalla morsa del disastro coloniale e di aprire agli inglesi nell´Ottocento, illudendosi di trovare in loro commercianti e partner più equi. Illusioni, come lo sarebbero state decenni più tardi, le dittature dei Duvalier, Francois, «Papa Doc», il medico che s´impossessò di Haiti per 15 anni con la complicità di Washington, lasciandola in eredità al figlio «Bebé Doc», Jean Claude, per altri 15 anni di inenarrabili turpitudini, fino alla sua cacciata per la rivolta popolare contro i suoi macellai, i ton ton macoute, che mantenevano l´ordine dei pochi ricchi massacrando a piacere i "miserable".

«Qui qualcosa deve cambiare», esclamò Giovanni Paolo II, visitando nel 1983 una Haiti dove la Chiesa Cattolica, come a Cuba, come in tante nazioni dell´America centrale e meridionale, aveva tacitamente accettato di far convivere i propri santi con le divinità pagane di santerie e voodoo, ma non sarebbe cambiato nulla. Il prete rivoluzionario salesiano Jean Bertrand Aristide sarebbe stato eletto come il salvatore, prima di essere abbattuto da un golpe, e poi rimesso al potere e infine rapito dai servizi segreti americani ed esiliato in Africa, quando anche lui sprofondò nella follia del "giardino del diavolo". Ci avrebbero provato presidenti americani di buona e utopistica volontà a sanare la piaga con forze navali, missioni e poi caschi blu, anche loro, feroce ironia, seppelliti dal sisma nel Quartiere Generale dell´Onu crollato martedì, ma né Carter, né Reagan, né Bush il Vecchio, né Clinton, riusciranno a fare altro che a bloccare la processione di disperati su gommoni, tavole di balsa, barche fradice in balia degli squali, verso le coste della Florida, sulla stessa rotta dei balseros cubani, anche loro respinti.

Dire che Haiti è una nazione tra le più miserande del pianeta, che il reddito pro capite è il 175esimo al mondo sulle 208 nazioni censite dalla Banca Mondiale, con 4 dollari al giorno per i 9 milioni di abitanti, spiega tutto e niente, come sempre fanno le statistiche. La tragedia senza fine di questa mezza isola - l´altra metà della vecchia Hispaniola colombiana è la Repubblica Dominicana - non si capisce neppure con la mostruosa distanza che separa i poveracci delle bidonville dalle élite creole, la "Gens de couleur" come i francesi avevano chiamato i discendenti liberi di quei concubinati pagati dai "signori" con qualche sacco di zucchero. E che oggi possiedono, essendo poche centinaia di famiglie, il 99 per cento delle risorse e di quei 4 miliardi dollari annui che rappresentano il suo Pil. Un quarto del prodotto interno lordo dell´Etiopia. Il peccato che Haiti ancora paga, sotto e sopra la terra e nel cielo dei tifoni, è la sua struggente bellezza, la dolcezza maledetta di una terra che i signori coloniali avevano soprannominato l´"isola libertina" per i suoi abbondanti piaceri. E che continua a punire le vittime per le colpe dei loro tormentatori.

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