Un altro prodotto televisivo. Certo, io scrivo per Europa e conosco Gianni del Vecchio, ma questa storia delle tante schede dell'UGL, e di un personaggio essenzialmente televisivo che si trova catapultato per merito di Ballarò e del piccolo schermo alla testa della regione Lazio....un po' mette amarezza. Ma non è forse così che si fa politica, oggi?
Fabrizio Dell'Orefice per "Il Tempo"
La prima sosta è all'area di servizio Salaria Est. L'aspetta lo staff: le Polverini girls, Francesca e Carlotta, la portavoce e l'assistente personale. Lei, Renata, corregge subito: «Prego, Polverini boys, perché hanno gli attributi». Presto si aggiunge un'altra girl, Beatrice. Beatrice Lorenzin, deputata Pdl di Ostia. È appena rientrata da una vacanza in Jamaica dove è stata narcotizzata e derubata: «Ero andata a raccogliere le forze in vista della campagna elettorale e mi sono trovata in mezzo a questa esperienza terribile». «Bea», tutti la chiamano così, era braccio destro di Paolo Bonaiuti.
Insomma, una berlusconiana «de fero» ed è lei che si muove in mezzo al pubblico per riconoscere quelli di Forza Italia e portarli da Renata. Adesso è la portavoce del comitato elettorale, quasi una vicecandidata. Poi c'è Giulio Violati, marito di Maria Grazia Cucinotta: gestisce il comitato elettorale. E un silenzioso, quasi sommerso, Stefano Cetica, predecessore della Polverini alla segreteria Ugl: si occuperà della lista civica. Arriva Renata, la candidata, scende dalla macchina, una familiare Fiat Idea color anonimo, spalanca il sorriso e fa a tutti: «Ahò, me sembra 'na gita scolastica». E ride. E' di buon umore. Il primo giorno di campagna elettorale sta per cominciare.
Così, in un'area di servizio alle otto di mattina di un sabato freddo e piovoso, proprio in mezzo agli automobilisti con gli sci sul tetto, che si vanno a godere gli ultimi weekend sulla neve. Niente giacca rossa, come nel primo manifesto elettorale, sostituita da una più sobria sull'arancio.
Pantaloni marroni, cappotto spigato. Niente tacchi alti. Rapido caffè, i baristi dell'Autogrill si guardano: «Ahò, hai visto quella? È 'a Polverini». Compaiono due agenti di scorta, scorta discreta. Si commentano gli articoli di giornale e Renata fa la sua prima correzione quando spunta l'argomento delle classi con il tetto del 30% di stranieri come vorrebbe la ministra Gelmini: «Proposta interessante» Di nuovo in macchina.
Prima tappa: Rieti. La Polverini arriva al cinema. Tra i manifesti di Verdone, spunta il suo bel faccione. Quello che Alemanno chiama il faccione da «bella romana verace». Ad accoglierla c'è Maurizio Gasparri, il capogruppo del Pdl al Senato, la prende sotto braccio e la scorta al Vescovado. La conduce da monsignor Delio Lucarelli, con loro c'è anche don Valerio Shango, un parroco di colore di origine congolese, parroco di San Giovanni Battista. Visita alla cappella, un momento di preghiera.
Don Valerio si spinge oltre: «Già ho portato fortuna a Berlusconi. Venne qui nel maggio del 2007 e nell'aprile successivo ha vinto le elezioni». Gongola Gasparri: «Ecco, abbiamo rimesso a posto le cose. Visita al vescovo e benedizione del parroco», si lascia scappare sorseggiando un altro caffè al bar Quattro stagioni, in piazza.
Nei forum su internet divampano le polemiche. Anche in quelli di centrodestra, che accusano la Polverini di essere troppo di sinistra, di essere troppo finiana e quindi laica, di aver indossato al suo primo manifesto un vestito color rosso. Il cinema. Renata non se l'aspetta. Lo trova pieno. Siamo in mille, dicono quelli del Pdl. Il capogruppo regionale di An, Cicchetti, elenca gli errori di Marrazzo. Nessun riferimento ai trans: «Ha quadruplicato i ticket e ha chiuso gli ospedali, Storace ne aveva aperti tre».
Si teme la disaffezione dell'ala di Forza Italia. Per questo fin qui (e poi anche a Frosinone e Latina) ci sarà Fabrizio Cicchitto, che rinuncerà ad andare allo stadio per Roma-Chievo pur di lanciare la candidata: «La nostra candidata», avverte subito, lui che è uno degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi. E più avanti è ancora più esplicito: «Sosteniamo Renata senza se e senza ma». Spiega come si sia messa in campo una coalizione inedita e ampia, che va da Storace a Casini: «Lo schieramento più ampio possibile che tiene assieme cattolici, laici, liberali e gente di destra come la logica suggerisce». Sul palco arriva anche un bigliettino di auguri di Italo Pappa, capo dell'area legale del gruppo Toto.
Arriva un biglietto per ricordare che in sala c'è anche una delegazione della Confcommercio e una dei liberali di Sgarbi. Tocca a Gasparri, che mette subito in chiaro: «Polverini è di destra ma non è mai stata militante, ha scelto di lavorare nel sindacato». Ripete le parole d'ordine: legalità, chiarezza, fuori i clandestini e dentro chi sceglie di essere italiano. La parola a Renata, non perde tempo e dice chiaro: «Sono del Pdl. Non ho preso la tessera perché sono candidata di tutta la coalizione».
Via il primo dubbio. Ancora: «Il primo manifesto era senza simboli per rispetto delle forze con le quali stavamo chiudendo l'accordo. Avevamo preso un impegno con loro e siamo di parole. È l'ultimo manifesto senza loghi». E fuori due. Terzo punto: «Non lasciamo alla sinistra il tema del lavoro. Anzi, noi più di loro ci sappiamo battere per il lavoro», e chiarito anche questo: quarto. «Non esistono colori che sono solo di sinistra, ognuno si mette la giacca che vuole».
Messi i puntini sulle i, la candidata del Pdl rivela: «Ieri sera mi ha chiamato Berlusconi per farmi gli auguri». Chiuso anche il capitolo Cavaliere. Ma quella che si apre è una campagna elettorale nuova. Una campagna de-berlusconizzata, una campagna di un Pdl che cammina da solo. Via i cieli azzurri di sfondo. Per ascoltare «Meno male che Silvio c'è», anzi solo un accenno delle prime note, bisogna aspettare la terza tappa e un Cicchitto che si giustifica: «Scusate se non canto ma sono stonato».
Riecco i palchi con i big del partito stile politburo, le scalette degli interventi dei leader locali e regionali. Sembra la campagna di Fini nel '93. O forse della Mussolini a Napoli lo stesso anno. C'è un linguaggio nuovo, o forse antico ma che non si sentiva da un po': «Farò una grande campagna di ascolto. Verrò in tutte le province per una settimana a sentire le proposte e poi faremo il programma».
Incita tutti: «Stringete le mani, quante più mani possibile. Per noi significa prendere un impegno». Promette: «Partecipazione e collegialità sono le nostre parole d'ordine». Si presenta come una brava donna, come tante. Rivela: «In questi giorni sono andata al mercato, o al supermercato, come sempre». Oppure: «Sono andata a trovare dei parenti al Policlinico». Oppure: «A Natale sono stata con i miei zii che con la pensione non arrivano a fine mese».
Sì, in effetti, sembra di essere tornati indietro di quindici anni. La Polverini ha una sua campagna elettorale, suoi manifesti, una sua comunicazione e usa le sue parole. Non si fa imporre kit da Arcore. Porta i maggiorenti del partito a pranzo in un ristorante locale, stavolta è toccato a Tito a Rieti. Va incontro agli elettori. La invitano ad Amatrice. «Solo se me fate 'na amatriciana fatta bene», risponde lei. Mai una parola contro la Bonino, la possibile sfidante. Bisogna aspettare il Gasparri di Latina che ammonisce: «Non l'abbiamo mai vista davanti a una fabbrica o tra i lavoratori in lotta».
Al massimo il capogruppo alla Camera accusa: «Oramai il Pd è a rimorchio dei Radicali». Di cosa intende fare, Renata dice poco. Qualche frase fatta. Ci sarà tempo. La sanità, certamente. Accorpare le Asl, abolire poltrone e giù applausi. «Perché non possiamo essere al livello di Lombardia e Veneto? Vogliamo essere la prima regione d'Italia».
Rifiuti, ambiente. E trasporti. Attacca: «Non si può inaugurare l'Alta velocità e il giorno dopo non c'è posto per salire sul treno dei pendolari». O anche: «Ho scoperto una cosa assurda. C'è una corsa per una cittadina a trenta chilometri da Roma che finisce alle 19, una vergogna». Tira aria di vittoria. A Frosinone la sala dell'hotel Cesari non riesce a contenere tutti gli intervenuti.
Anche Giuseppe Ciarrapico, intontito da tanta gente, si guarda attorno in mezzo a una pozzanghera cercando una via d'uscita; riesce a fare cenno all'autista di passare a prenderlo con la Mercedes nera. Lei dentro parla di crisi economica, contro la desertificazione, come il caso della vicina Videocon. A Latina il teatro Cafaro esonda e lascia per strada persone nonostante il maxischermo. Lei stessa fa fatica a trovare un varco per entrare.
A ogni tappa c'è sempre qualcuno che le presenta il primario di ortopedia o quello di pedagogia. Il nemico numero uno per il centrodestra ora si chiama sottovalutazione. Lei lo dice apertamente a ogni tappa: «Non esistono partite importanti che non siano difficili».
Cicchitto a Latina avverte: «Renata, non ti illudere. Hai visitato oggi solo le provincie esterne. E sono quelle dove notoriamente abbiamo sempre avuto percentuali bulgare anche quando vinceva la sinistra». Piove. Piove a Rieti. Piove a Frosinone. A Latina non piove più. Renata prova a tirare le somme della giornata: «Stamattina, uscendo di casa, pensavo alla gente che avrei incontrato. E mi son detta: "E mo'? Che je dico?"». Strada facendo ha trovato le parole. E c'ha pure preso gusto.
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