domenica, aprile 12, 2009

Il Grasso furioso




Adoro Aldo Grasso, ma stavolta ha scritto sciocchezze. Ovviamente è un'opinione personale. Dopo quanto visto in tutti questi anni di scandali in un paese che ormai non conta più nulla a livello internazionale. Zeppo di furbi. Bene è questo paese a dover dimostrare che abbiamo torto a considerarlo tale Non viceversa. Mi si dirà: "il paese siamo noi". Fino a un certo punto. Personalmente non ho mai costruito un ospedale con materiali scadenti e poi questo è crollato. Non sono mai stato inquisito o coinvolto in scandali legati a una qualche ricostruzione. E come me milioni di cittadini. Se i soldi di "questa" ennesima ricostruzione verranno utilizzati per ricostruire davvero. Se gli abruzzesi saranno tutti di nuovo nelle loro case prima del prossimo inverno. Se andranno in galera, non interdizione, in galera, i criminali che hanno costruito case d'argilla entro sei mesi, allora Santoro dovrà chiedere scusa. Prima no. Se la protezione civile, non i volontari, la protezione civile, che non si sa perché è anche responsabile dei grandi eventi, funzionerà a pieno regime bene organizzata e efficiente come quella di un paese del primo mondo anche fra qualche mese, allora e solo allora Santoro dovrà chiedere scusa. Prima no.

E un'altra cosa. Magari de Magistris si dimostrerà un politico incapace, ma mi sembra che un giudice abbia come chiunque diritto di fare carriera. Gli hanno tolto l'inchiesta why not? E perché questo tizio doveva dire: "obbedisco". Non lo fanno lavorare? Allora va dove c'è più visibilità (si spera con un minimo di spirito di servizio). Dov'è lo scandalo? Iva Zanicchi sì e lui no? Ma andiamo Grasso.

Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"

Ancora una volta Santoro ha fatto il Santoro. Dietro il paravento della libertà d'informazione, di cui è rappresentante unico per l'Italia, isole comprese, ha allestito una trasmissione all'insegna del più frusto slogan politico «piove, governo ladro». Non di pioggia si trattava, ma di un terremoto che finora ha fatto 290 vittime e quarantamila sfollati, raso al suolo paesi, buttato giù case, seminato distruzione. Ma i morti non lo fermano, la commozione non lo trattiene. Se ha in mente una tesi, che tesi sia.


La tesi era che bisognava comunque attaccare la Protezione civile, specialmente Guido Bertolaso, i Vigili del Fuoco, la comunità scientifica che non ha dato ascolto agli avvertimenti di Giampaolo Giuliani, gli amministratori locali, il ponte sullo Stretto, Berlusconi, il governo. A dargli manforte in studio ha chiamato l'ex magistrato Luigi De Magistris, candidato alle Europee con l'Italia dei Valori (che acquisto per la politica!) e l'esponente di Sinistra e Libertà Claudio Fava.

Contro aveva, e hanno fatto un figurone, Guido Crosetto del Pdl e Mario Giordano. Il giornalismo di Santoro funziona così: con l'aiuto delle poderose inchieste di Sandro Ruotolo e Greta Mauro ha intervistato una signora che si lamentava di un ritardo di un paio d'ore dei soccorsi, un signore che diceva di aver freddo, di un altro ancora che cercava riparo in tende non ancora montate, una studentessa che preoccupata aveva lasciato l'Abruzzo per tempo, un medico che denunciava la mancanza di bottigliette d'acqua nel suo reparto. Ne è uscito così un quadro di devastazione organizzativa da aggiungersi alla devastazione reale.

Da un punto di vista simbolico, se un dottore chiede aiuto per la mancanza di qualcosa significa il fallimento dei soccorsi, l'impreparazione della Protezione civile, lo sfascio. Di fronte a una simile tragedia, ma soprattutto di fronte al meraviglioso e commovente impegno dei Vigili del fuoco, dei volontari, della Protezione civile, dei militari, di tutte le organizzazioni che hanno passato notti insonni per salvare il salvabile, Santoro si è sentito in dovere di metterci in guardia dalla speculazione incombente, di seminare zizzania con i morti ancora sotto le macerie, di descrivere l'Italia come il solito Paese di furbi, incapaci di rispettare ogni legge scritta e morale.

Santoro la chiama libertà d'informazione. Esistono gli abusi edilizi, ma forse anche gli abusi di libertà.

Per par condicio però metto anche un toccante e veritiero commento dello stesso Grasso (che a mio parere resta il miglior critico televisivo italiano) su Bruno Vespa
Vespa promosso per il terremoto

Bruno Vespa non è un santo del mio paradiso televisivo ma sarebbe disonesto non riconoscergli il lavoro profuso in questi giorni per documentare la tragedia che ha colpito la sua città. In particolare, è stato molto coinvolgente il reportage «Il calvario dell'Aquila», una speciale via crucis sui luoghi colpiti dal terremoto che ha ripercorso la passione e il dolore di molta gente del posto (Raiuno, venerdì, ore 20.30). L'Abruzzo è la sua terra e la commozione era palpabile, inquadratura dopo inquadratura, parola dopo parola. Mentre scorrevano le immagini mi sono più volte detto: se questo documentario fosse firmato, che so, da un Toni Capuozzo, gli elogi si sprecherebbero. Allora ho dimenticato le efferatezze dei plastici di Cogne e i teatrini della politica e mi sono lasciato trasportare dalle immagini.

Il momento più toccante è stato quando a Onna, il paesino completamente spazzato via dal sisma, ha incontrato il giornalista Giustino Parisse. Nel crollo della sua casa, Parisse ha perso i suoi due figli, Domenico di 18 anni e Maria Paola di 16, e il padre Domenico. Sua madre è in fin di vita all'ospedale. Parisse ha raccontato i drammatici istanti del crollo: «Papà, tanto moriamo tutti», ha fatto in tempo a dire la figlia prima che la trave più grande della casa la travolgesse inesorabilmente. Una trave costruita apposta per proteggere la casa dai terremoti. Il racconto ha assunto spesso i toni di una nuova Spoon River: Vespa indicava un luogo, evocava una persona, si soffermava sulla facciata di una chiesa e subito scaturivano i ricordi, le reminiscenze giovanili, i rimpianti. Nella polvere si intravedevano o si intuivano i profili di una casa, o di una cosa che ancora si muoveva: uno scenario d'inferno. Ma i tormenti non sarebbero tali, se non ci fosse la speranza tenue, ma pur sempre speranza, che essi possano un giorno venir meno.
Aldo Grasso

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