domenica, agosto 31, 2008

Biagi intervista Pasolini

Un grande articolo di Mattia Feltri




Non sarebbe giusto non riconoscere il valore di pezzi di qualcuno che non la pensa come te. Questo articolo del figlio di Feltri Vittorio è perfetto. Unico problema: quello che dice sarebbe normale se fossimo in Birmania, in Corea del nord. Siamo in un paese che ancora si sbrodola addosso raccontando di essere (non è vero) una delle otto migliori economie mondiali. Il paese è in ginocchio anche per cose così, obbrobri che, tanto per dire, in America mai sarebbero tollerati. Ma il fastidioso situazionismo all'amatriciana del nostro Paese (in cui ripeto, non vivo da tanto, ma che mi diverto a descrivere per gli stranieri) ci porterà a nn fare nulla anche stavolta. Al grido di "tengo famiglia".

Mattia Feltri per La Stampa

C’erano tre cose che Romano Prodi - da ex premier e da storico rivale di Silvio Berlusconi - doveva fare dopo la pubblicazione su Panorama dei colloqui telefonici in cui lo si sente indaffarato a intercedere per nipoti e consuoceri.

La prima era di mantenere un profilo istituzionale, e cioè di non gridare all’attentato contro la privacy violata sin nel cuore di Palazzo Chigi; la seconda di mantenere un profilo di dignità, e cioè di non denunciare d’attentato il presidente del consiglio, editore del settimanale autore dello scoop; la terza di agguantare un profilo di rigore, e ammettere che dalla poltrona dell’esecutivo non ci si dovrebbe occupare delle grane di famiglia. Due cose le ha fatte, l’ultima no.

Molti in Italia segnalano l’abuso delle intercettazioni nelle procure e sui giornali. Non lo ha mai sostenuto Prodi, e con coerenza non lo ha sostenuto stavolta; semmai, vorrebbe divulgarle tutte per dimostrare la sua innocenza. E siccome non è uno sprovveduto, il Professore si è guardato dal tirare in ballo il conflitto d’interessi di Berlusconi, perché era troppo facile e perché le sue telefonate dimostrano quanto è facile cascare negli abusi d’ufficio anche se non si posseggono tre reti televisive.

Prodi si è conservato la misura e la fierezza che - specialmente al tramonto del suo potere, quando irriducibile assistette in Parlamento alla sua esecuzione - gli hanno fatto guadagnare il rispetto, se non la simpatia, pure di chi mai lo votò. E agevolmente non è cascato nel giochetto di prestigio di Berlusconi, il quale ha offerto solidarietà all’offeso e invitato le Camere a mettere mano alla questione.



La grandezza di Berlusconi risiede anche nella sua capacità di sostenere qualsiasi tesi senza perdere di credibilità. Ma stavolta non gli è riuscito. Giudicare una mascalzonata quella di Panorama e appellarsi ai parlamentari perché vi pongano rimedio, è un’enormità insostenibile persino per uno estroso come lui, al quale basterebbe una telefonata, magari alla figlia Marina, gran capo della Mondadori, per suggerire soluzioni più rapide.

E allora, fin qui due a zero secco per Prodi. Peccato, però, che si sia risparmiato il filotto. Lui e tutti i suoi sodali del Partito democratico hanno impegnato gran parte della giornata per avvalorare l’inconsistenza penale del contenuto delle conversazioni. Questo lo valuteranno i magistrati e gli osservatori abituati a pesare il mondo in base alle prescrizioni e alle aggravanti.

Se Antonio Di Pietro acquista in saldo la Mercedes da un indagato, non violerà la legge ma si offre a un giudizio morale. Se Prodi, intanto che guida l’esecutivo, parla con i collaboratori e coinvolge i ministri per il vantaggio dei parenti, magari non intacca la fedina penale, ma intacca la reputazione.

Sarebbe stato sufficiente offrire la spiegazione più accettata dagli italiani: anche io tengo famiglia. E piuttosto numerosa. E afflitta da qualche pena, animata da qualche aspirazione, pure un pochino petulante. Sarebbe stato sufficiente dire ho ceduto, mi dispiace, chiedo scusa, ma garantisco di non aver sconfinato nell’illegalità. E nessun galantuomo avrebbe avuto più nulla da ridire.


POSTILLA DEL BLOGGER: in un paese come l'Italia il centrodestra avrebbe aggredito comunque l'odiato nemico (l'unico che ha sempre battuto Berlusconi che non ha mai riconosciuto la sconfitta gridando al broglio)

sabato, agosto 30, 2008

My name is Palin. Sarah Palin!

La vice di Mccain: 44 anni Anti-abortista, quindi protettrice della vita, sposa con cinque figli, ex reginetta di bellezza, ma anche governatore dell'Alaska, orgoglioso membro dell'NRA (National Rifle Association - la lobby dei produttori d'armi che promulga il diritto di ogni cittadino a possedere un'arma, in caso attacchino gli indiani). È la presidente della Alaska Oil and Gas Conservation Commission. Suo marito Todd è un eschimese. Insomma, zero esperienza in politica estera, ma i neocon all'amatriciana sbavano perché "è una donna". Ugualmente insignificante come il vice di Obama, Jo Biden, ma questa è una virago.

Ecco una foto tratta da un suo sito ufficiale. Una persona con una consapevolezza ambientale come la sua,in un momento storico come questo, pensate che non debba essere vicepresidente? Ma allora siete prevenuti....

Happy birthday Jacko

E Repubblica scrive...

l fragile Michael, il re del pop, l'alieno, l'anima strana che il mondo ha rinnegato, oggi compie 50 anni. Ha perso il suo ranch, ha rinunciato ai diritti sulle edizioni dei Beatles (nel 1984 Michael comprò i diritti di 250 canzoni pagandoli quasi cinquanta milioni di dollari), ha avuto tre figli, uno l'ha appeso a testa in giù dal terrazzo di un albergo per farlo fotografare dai paparazzi....

La cosa non è andata proprio così. Jackson fece sporgere il bambino oltre la balaustra, ma non certo a testa in giù. Mannaggia alla voglia di fare scandalo..... non ce n'era bisogno.

Il bimbo "a testa in giù"



Ed ecco invece Jacko come sarebbe senza le tante operazioni chirurgiche oggi



e per finire un concerto di Jacko

venerdì, agosto 29, 2008

Riotta dixit



Ho appena seguito l'editoriale del direttore del tg1 Gianni Riotta. Che cosa dire di un tizio che conclude con: "una splendida campagna elettorale!". Splendida? Cose del genere non si possono commentare....

Segue pezzo su di un truffatore che ha rovinato e spinto al suicidio una persona. Condannato ad appena sette anni dopo aver sottratto quasi 200 miliardi di lire. Pezzo improntato all'amicizia. Vergogna. Ma che schifo di Paese è?

Il mitico Feltri

Il noto bollettino del Movimento Monarchico




Un grande articolo di Maurizio Belpietro.

Maurizio Belpietro per Panorama
Un paio di numeri fa mi sono occupato del finanziamento pubblico ai giornali di partito, che in 7 anni è costato alle casse dello Stato più di 1 miliardo di euro. Nell’articolo me la prendevo in particolare con quei quotidiani fantasma che vendono 1.000 copie ma incassano 2 milioni di euro. Un paio di righe dell’articolo erano dedicate anche alle testate che di partito non sono, ma che ricevono comunque fondi dallo Stato, e fra queste segnalavo Avvenire e Libero.

Pur essendo uno dei più forti percipienti (39 milioni in 7 anni, fonte: presidenza del Consiglio), al giornale di Vittorio Feltri non riservavo alcuna critica. Ma, evidentemente, anche la semplice citazione ha infastidito l’amico, il quale ha reagito piccato, dandomi del bugiardo. La mia colpa? Avrei omesso di dire che Panorama e la Mondadori per i loro abbonamenti godono di tariffe postali agevolate. Feltri si chiede retoricamente che differenza ci sia fra lui e noi. Lo spiego subito.

Il direttore di Libero gioca sulla scarsa conoscenza della legge sull’editoria. Da molti anni esiste una norma che riconosce ai giornali uno sconto sulle tariffe postali. È un provvedimento adottato da tutti i paesi europei e che mira a favorire la lettura e gli abbonamenti. Distribuire costa e gli editori tagliano le diffusioni concentrandosi sulle edicole dove si vende di più e dove arrivare costa di meno. Incentivando gli abbonamenti si consente a chiunque e con minor spesa di ricevere ciò che desidera. Allo sconto hanno diritto tutti i giornali, dunque anche Libero, se non fosse favorito da un privilegio di cui dirò in seguito.
Panorama beneficia della tariffa agevolata e per ognuna delle 220 mila copie che spedisce paga 0,36 centesimi, che sono pochi in meno rispetto a quelli versati nei paesi europei per analoghi servizi.

Panorama e la Mondadori non incassano 1 euro, semmai i soldi li prendono le Poste, sulla base di una trattativa che fanno con la presidenza del Consiglio. Si può discutere la tariffa agevolata, la si può criticare e perfino abolire, ma si tratta di un aiuto simile a quelli riservati a comparti giudicati utili, per esempio l’autotrasporto o l’agricoltura, cui lo Stato garantisce sgravi o crediti d’imposta, senza distinzioni d’impresa. È insomma un sistema pulito, che non altera la concorrenza, simile agli sconti per chi installa finestre a risparmio energetico o pannelli solari.

Ciò di cui godono i giornali di partito è invece ben diverso. Si tratta di un finanziamento basato sulle spese e che prevede un contributo a piè di lista dell’ordine del 60-70 per cento. In pratica questi quotidiani più spendono e più ricevono. Più copie tirano, anche se non le vendono, e più incassano. Possono perfino permettersi un supplemento, tanto paga Pantalone. Lo Stato è per loro un socio di maggioranza che non ha diritto di voto, ma cui tocca contribuire per due terzi alla spesa.

Un sistema chiuso, di cui pochi godono. Per ottenere i quattrini, il giornale deve infatti far capo a un gruppo parlamentare, a un movimento politico o a una cooperativa. Questo è il fondo da cui Libero attinge quasi 8 milioni di euro l’anno (dato riferito al 2006), chiaro?
A questo punto qualcuno si domanderà che cosa c’entri il quotidiano di Feltri con i giornali di partito. Niente. C’entra solo per via di un furbo espediente escogitato 8 anni fa, quando Libero fu fondato. Siccome nessun editore era disposto a metterci troppi soldi e Feltri non intendeva rischiare i suoi, qualcuno si ricordò che esisteva un bollettino mensile del Movimento monarchico italiano, Opinioni nuove, registrato fin dal 1964 presso il tribunale di Bolzano. Il periodico era l’organo di un gruppo di amici, quattro gatti, che usciva quando e come poteva, ma riceveva un contributo di 20 milioni di lire l’anno dallo Stato.

L’editore di Libero chiese ai monarchici di prendere in affitto la testata in cambio di 100 milioni di lire: un affare per i nostalgici del re, ma soprattutto per Feltri e i suoi, i quali s’inventarono una specie di supplemento quotidiano di Opinioni nuove. In grande si leggeva Libero, in piccolo, ma con la lente d’ingrandimento, la testata del Mmi, quella che aveva diritto ai contributi di Stato.

L’Espresso se ne accorse e chiese lumi a Feltri, il quale giurò che avrebbe rinunciato ai finanziamenti. Una promessa dimenticata in fretta, perché appena un anno dopo, compreso che la testata Opinioni nuove era una gallina dalle uova d’oro, Libero chiese ai monarchici di comprarla per 500 milioni di lire. Agli orfani di Casa Savoia parve di sognare: il loro giornalino si rivelava il miglior investimento mai fatto. Perciò si affrettarono a vendere e a investire il ricavato in alcuni negozi a Bolzano.

In realtà, il miglior investimento lo ha fatto Libero: chi di voi non pagherebbe 500 milioni di lire una tantum per poi incassare in 7 anni quasi 40 milioni di euro e chissà quanti altri nel futuro? Certo, bisogna riconoscere che, a differenza di altre imprese consimili, almeno quei soldi sono serviti a far nascere un giornale importante. A Feltri va dunque dato atto di aver fatto qualcosa di utile. Ma non deve arrabbiarsi se sorrido di fronte alla sua arrampicata sugli specchi per giustificare il finanziamento pubblico. È uno stile libero che non gli si addice.

A quando un 25 aprile in Turchia?

I RADICALI CELEBRERANNO IL 20 SETTEMBRE. A LONDRA…
Dopo aver dato vita all'incontro su "Religiosità e laicità di fronte alla violenza fondamentalista", Marco Pannella recupera la linea dei radicali e progetta per il prossimo 20 settembre un grande appuntamento. La data è quella storica della breccia di Porta Pia, festeggiata dal 1870 dagli antipapalini con manifestazioni di ogni tipo. Stavolta Pannella ha deciso di promuovere "un 20 settembre londinese", con "il suo valore europeo e internazionale, politico, civile, religioso e laico, non solo per Roma, l'Italia e il suo risorgimento liberale".
Un momento per mettere insieme mazziniani e appassionati cultori di personaggi come Ernesto Nathan: tutto con il sostegno di Giuseppe Galasso, figura già nota per i suoi trascorsi nel Partito repubblicano. Tutto, dice Pannella, "mentre viviamo la drammatica, non priva di nobiltà, riproposizione dell'Europa del Concilio Vaticano I, del Sillabo e di anni e eventi di fondamentalismo confessionale e di manifesto tentativo di rivincita", con la certezza di porre l'ennesima spina nel fianco del Partito democratico e del segretario Walter Veltroni.
www.dagospia.it

Intercettazioni, no di Prodi, alla solidarietà di Berlusconi



Poi si accerterà se ci sono ipotesi di reato, ma intanto la differenza di stile fra i due leader c'è tutta....

Sul settimanale le telefonate per chiedere favori. L'ex premier: Niente di rilevante

ROMA - Panorama pubblica le telefonate di Prodi; Berlusconi si dichiara solidale con l'ex premier chiedendo leggi per evitare "abusi che incidono sulle libertà fondamentali", ma il Professore si smarca e replica a chi volesse attrofittare del caso per chiedere "limiti ai poteri di indagine attribuiti ai magistrati": "Nno ho alcuna contrarietà a che tutte le mie telefonate siano rese pubbliche".

Berlusconi è solidale con Prodi intercettato. Il rivale da sempre mostra partecipazione umana e politica all'ex premier: "La pubblicazione di telefonate che riguardano Romano Prodi, a cui va la mia assoluta solidarietà, non è che l'ennesima ripetizione di un copione già visto", dice il presidente del Consiglio, di certo ricordando il proprio di disagio quando le sue telefonate private finirono sui quotidiani.

"E' grave che ciò accada - denuncia Berlusconi - e il Parlamento deve sollecitamente intervenire per evitare il perpetuarsi di tali abusi che tanto profondamente incidono sulla vita dei cittadini e sulle libertà fondamentali".

L'esternazione di Berlusconi non è casuale. Proprio oggi, nel numero in edicola di Panorama, il settimanale tira in ballo le telefonate di Alessandro Ovi, collaboratore da sempre di Prodi, intercettato dai magistrati di Bolzano che indagano sulla presunta tangente pagata dalla Siemens per ottenere l'acquisto dell'Italtel.

Ascoltando le telefonate del dirigente nel'ex azienda di Stato, i pm di Bolzano sono incappati in una serie di conversazioni in cui Ovi appare come uno dei tramiti per "raggiungere" l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi.

In quelle telefonate, Prodi viene intercettato a parlare con Ovi mentre i due studiano il modo di aiutare il nipote Luca dell'allora premier, giovane azionista di minoranza di una società, per uscire da una empasse gestionale con altri soci. Ovi viene pure intercettato per "sbloccare finanziamenti pubblici richiesti dal consuocero di Prodi, Pier Maria Fornasari", primario dell'istituto ortopedico Rizzoli di Bologna.

"Fatti di nessuna rilevanza dal punto di vista sia giuridico sia penale", ha replicato Prodi. "Non vorrei che questa vicenda tornasse utile a quanti invocano impensabili giri di vite sulle intercettazioni telefoniche". Nel giugno scorso, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al disegno di legge sulle intercettazioni che prevede l'autorizzazione solo per i reati fino a 10 anni di detenzione con l'unica deroga alla soglia di intercettabilità per i reati contro la pubblica amministrazione.

Le telefonate raccolte dalla procura di Bolzano sono state trasmesse alla procura di Roma che ha aperto un fascicolo privo di ipotesi di reato e di indagati.

Difficile dire QUANTO sia un'imitazione

Interviste fasulle?




Forse in America un giochino del genere sarebbe causa di licenziamento, ma non si può mai sapere...

da CineBazar.it - Il lavoro del giornalista stanca, soprattutto quando si devono inseguire divi hollywoodiani corteggiatissimi. Come condannare, quindi, il popolare Gigi Marzullo che ieri sera nella puntata speciale della sua celebre creatura, Il Cinematografo, ha spacciato l'intervista romana a George Clooney per un nuovissimo incontro veneziano?
Il giornalista televisivo ha anche commentato le frasi dell'attore non specificando che l'incontro era avvenuto l'aprile scorso.

Il comune spettatore non avrà certo fatto caso che dietro all'affascinante George capeggiava la locandina del film In Amore niente regole, ultima fatica registica dell'attore che ha voluto, personalmente, presentare a Roma il 9 aprile scorso.
Ma all'occhio attento degli addetti ai lavori non è sfuggito il reciclo, pratica ammessa e concessa ai nostri giorni, dell'incontro a tu per tu con il divo.
Marzullo ha fatto passare per attualissime le dichiarazioni di Clooney e si è anche gudagnato gli elogi dei critici ospiti della trasmissione.
Lo perdoniamo perchè ci ha riproposto, comunque, una simpatica performarce di un attore che adoriamo.

Guzzanti sulla de Filippi ed altri splendidi...



Guardatevelo tutto, merita...

Una cagata



È aperta da alcuni giorni e suscita già forti polemiche la nuova sede del Museo di Arte moderna di Bolzano. Il governatore Svp, Luis Durnwalder, ha proposto la rimozione di un'opera che raffigura un crocifisso con rana: «Si tratta - ha detto - di un'offesa». L'opera è di un artista tedesco, Martin Kippenberger. «Si tratta - ha detto Durnwalder - di un grande artista il cui vissuto è stato però caratterizzato da forti tensioni interiori e in questo caso sembra che egli abbia passato il segno».

...ma per per me l'è solo una gran cagata....

Gasparri...e basta




Non c'è che dire. Oggi di fronte ad altri Gasparri sembra un gigante. È inutile incazzarsi. Questi sono oggi i rappresentanti politici.

Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
Nell´universo del potere, al giorno d´oggi, la fatica di esistere si combatte sparandole grosse, o meglio: sempre più grosse. Su questa linea di sopravvivenza l´ex ministro Gasparri si connota senz´altro come una figura esemplare. E in un certo senso, le polemiche sorte dall´accostamento fra Amato e Brusca, così come quelle del mese scorso tra il Csm e una «cloca», gli danno sciaguratamente ragione.

Come altrimenti poteva finire sui giornali d´agosto, Gasparri? Quale miglior sistema dell´insulto iperbolico e grossolano per farsi notare? Da questo punto di vista, considerato anche l´esito limitato della vicenda, si ha qualche remora a scomodare le culture politiche del secolo scorso, insomma il fascismo, a proposito del modulo comunicativo dell´esponente di An, che in verità sembra ispirarsi piuttosto alle tecniche del marketing.

Certo il linguaggio è quello che è. Formigoni, per dire, a suo tempo fatto segno di un´aggressione, automaticamente richiamò le pretese radici: «Gasparri - disse - non è un ex fascista, ma un fascista che insulta chi non condivide le sue idee». Ma l´evocazione non è che sia servita a molto.

Accreditate biografie, d´altra parte, (Gian Antonio Stella, “Tribù spa”, Feltrinelli, 2005) raccontano che dopo le sue sparate il personaggio, assai più benevolo di quel che appare in pubblico, non di rado spedisca al destinatario dei suoi continui improperi un biglietto autografo, una sorta di tagliando o cedola di riappacificazione con su scritto: «Buono per un vaffanculo», con il che Gasparri s´impegna ad accogliere di buon grado l´ingiuria, da lui stesso peraltro prescelta.

Insolenza, fantasia e intimismo: c´è poco da fare gli schizzinosi per farsi notare, lui è così, un giorno chiama «sciampiste» le donne del Pd, un altro non esclude in futuro leader gay per il Pdl, un altro ancora confessa l´astinenza in campagna elettorale, tutto fa brodo mediatico. Che s´ha da fa, appunto, per strappare un titolo e guadagnarsi la sospirata «ripresina», prova di vita e di vitalità.

Come si vede, la realtà della comunicazione politica supera di gran lunga l´indimenticabile parodia che dell´ex ministro delle Comunicazioni faceva anni orsono l´attore Neri Marcorè. A tale imitazione, che pure molto insisteva sulle caratteristiche fisiche, Gasparri non ha mai reagito con asprezza, dichiarandosi semmai grato perché gli assegnava «popolarità», concetto massimamente ambiguo, eppure per la maggior parte dei politici agognatissimo. Meno riconoscente, c´è da dire, «Maurizietto» si è mostrato di recente con Beppe Grillo, cui spetta il record della crudeltà fisiognomica: «Se fissi a lungo Gasparri, ti viene la labirintite». Ma tant´è.

Sono tempi in cui le offese, le più colorite, si scaricano e si restituiscono con straordinaria naturalezza e facilità. Per quanto riguarda il primo gruppo l´antologia gasparriana è ricca e spazia fra vari generi espressivi, dal pulp all´insinuante; dall´invito rivolto all´ex ministro Bianco di «farsi trovare con la testa in una pozza di sangue e la pistola al fianco» fino alla ripetuta promessa pre e post-elettorale di indagare sugli «stili di vita» del coordinatore Pd Goffredo Bettini.

Si tratta comunque di semplificazioni di vario registro, ma ad alto impatto. Quando il presidente della Rai Zaccaria mostrava di non volersene andare, in una gustosissima piazzata televisiva a «Quelli che il calcio», con la Ventura e Gene Gnocchi che ci davano dentro, l´allora neo ministro ha anche minacciato un libro bianco sulle «fidanzate» - niente di meno - della Rai. E quando i ds hanno candidato due vedove, D´Antona e Calipari, sempre a lui si deve l´impietosa notazione che quel partito si stava trasformando in un´agenzia di pompe funebri.

E tuttavia, come accade sul mercato dell´ingiuria scambievole e ad effetto, un po´ viene da chiedersi se nel suo caso le forme non sovrastino i contenuti. Per dirla tutta: da rimarchevole «sparafucile», l´impressione è che con particolarissima attenzione Gasparri cura i tempi e seleziona i suoi bersagli fra i più amati dal pubblico, secondo una logica di antagonismo parassitario. Da questo punto di vista, una sommaria indagine dei contusi allinea i nomi di Ciampi, Biagi, Montanelli, ma poi anche Baudo, Parietti, la Ferillona, Santoro, Claudio Amendola, Camilleri e il calciatore Montella, che secondo l´ex ministro doveva tagliarsi l´ingaggio.

Alle Comunicazioni Gasparri finiva più facilmente sui giornali: a volte bastava un francobollo bislacco o una consulenza creativa. Lì ha pure dato il suo nome a una legge che favorisce Mediaset e anche per questo ha molto patito la perdita del ministero e di rimbalzo lo scavalcamento da parte degli altri colonnelli (Alemanno, La Russa), maggiori (Ronchi, Bocchino) e capitani (Meloni) di An. Non tutte le battute sono cattive, né tutte gli vengono male. Tempo fa Alemanno l´ha ricevuto, con Ronchi e La Russa, sul celebre balcone con vista sui fori. Nel silenzio commosso Gasparri ha additato le rovine: «Ammazza, Gianni, guarda in pochi giorni come hai ridotto Roma!».

giovedì, agosto 28, 2008

Il bluff




Fabio Martini per La Stampa

Sarà l’euforia per avercela quasi fatta. Sarà che è sempre buona regola ammorbidire gli incerti. Sta di fatto che nel suo felpatissimo giro di telefonate, ieri mattina Gianni Letta si è fatto cercare Pier Ferdinando Casini, uno dei leader dell’opposizione: «Visto Pier? Berlusconi ha sempre ragione!». Per un governo in luna di miele, la vicenda Alitalia sembra poter gonfiare ancor di più le vele di un Presidente del Consiglio che si sente sulla cresta dell’onda. Anche per la sua proverbiale capacità di confezionare messaggi semplici, come quello che in queste ore sta arrivando nelle case: Alitalia è viva, i protagonisti del salvataggio sono imprenditori italiani e quanto agli stranieri si possono aggiungere, ma non la faranno da padroni.

Certo, l’arte della comunicazione sta nello sfumare i lati oscuri, ma lo schieramento per il rilancio di Alitalia comprende molti degli imprenditori e dei banchieri di punta della “squadra” italiana. E per quanto sia difficile attribuire etichette politiche al mondo dell’economia, è pur vero che i sedici soci di Compagnia area italiana e una banca come Intesa Sanpaolo finiscono per comporre uno schieramento a suo modo bipartisan, visto che vi sono compresi capitani di impresa, top manager e banchieri un tempo vicini alla sinistra e a Prodi.

Sorride Giuliano Cazzola, parlamentare del Pdl, già editorialista del Sole 24 Ore: «Devo ammettere la sorpresa: pensavo che la soluzione migliore fosse quella messa in campo da Air France, ma invece bisogna riconoscere che Berlusconi ha fatto un’operazione molto abile: ha dato Alitalia ad un gruppo di imprenditori, alcuni di sinistra, altri non vicini a lui ma tutti italiani». Certo, sarebbe difficile inchiodare per tutta la vita Roberto Colaninno all’affare Telecom che - per l’imprenditore mantovano - si consumò felicemente quando a palazzo Chigi regnava D’Alema, ma è pur vero che il figlio Matteo ha scelto di aderire al Partito democratico. E successivamente di accettare un importante incarico nel governo-ombra, di cui è “ministro” allo Sviluppo economico.

In queste ore Matteo fatica un po’ a giudicare un’operazione che vede protagonista il padre Roberto, neo-presidente della nuova società: «Un po’ di imbarazzo ce l’ho - dice - commenterò nei prossimi giorni». Anche se ad aprile Matteo aveva detto: «Un’ipotetica cordata italiana? Sinora non si è manifestata, ma non avrebbe potuto risolvere i problemi industriali di Alitalia».

Ma chi non ha imbarazzo a contestare la “leggenda degli imprenditori coraggiosi” è un battitore libero come l’udc Bruno Tabacci, già presidente della Regione Lombardia: «Ora tenteranno di venderla come la salvatrice di Alitalia, ma la cordata “bipartisan” avrà un rischio pari a zero. Il gioco è tutto qui: gli imprenditori prendono il ramo sano (parte della flotta, i voli, un tot di personale), mentre tutto il resto - debiti pregressi e personale eccedente - è a carico dei contribuenti. Più avanti gli “italiani” faranno anche un accordo con una grossa compagnia straniera. Per loro meglio di così non potrebbe andare...».

Ma se il progetto decollerà, ognuno dei sedici dovrà mettere sul piatto decine di milioni di euro. Un uomo dalle parole calibrate come Enrico Morando, coordinatore del governo-ombra, scuote la testa: «Il Presidente del Consiglio li ha pregati, loro non rischiano nulla, perché dovrebbero dire di no? Gli imprenditori, magari con simpatie politiche diverse, così si ingraziano il capo del governo e questo gli tornerà utile. Ma presto si capirà: anche stavolta siamo all’eterna storia italiana, privatizzazione degli utili e pubblicizzazione dei debiti». Sostiene Massimo Calearo, il pragmatico imprenditore vicentino eletto nelle file del Pd: «Chapeau per gli imprenditori che ci mettono i soldi, ma i debiti li pagano gli italiani».

Mattatoio sociale



da il barbieredellasera
Concorso Rai. Ma non per tutti

Il bando per le Morning News delle sedi regionali Rai prevede nuove assunzioni. I giornalisti devono essere professionisti ma laureati con 110, devono avere meno di 30 anni e aver fatto la scuola di giornalismo. Articolo 21 lancia un appello

Non intervengo a titolo personale, ma a nome e per conto di tanti giornalisti professionisti. In Rai e nelle testate di tutta italia ci sono centinaia di giornalisti precari. In Rai ci sono centinaia e centinaia di giornalisti professionisti le cui professionalità vengono utilizzate in contratti anomali: consulenti, programmisti registi, autori. Ragazze e ragazzi, colleghi iscritti all'albo dei professionisti non più giovanissimi. Certamente meno giovani di chi è nato dopo il primo gennaio 1978.

Molti non hanno fatto le scuole di giornalismo, perchè quando le potevano fare si contavano sulle dita di una mano. Molti di loro hanno fatto la gavetta classica, quella nelle redazioni, magari in cronaca locale. L'hanno fatta prendendo due lire (allora c'erano le lire). Alcuni di loro non sono nemmeno laureati, perchè all'epoca la professione non lo richiedeva e così, magari a 18 anni, hanno cominciato a fare questa professione. Alcuni di loro finiscono addirittura sotto la mannaia della normativa approvata ieri dal Parlamento che prevede che anche chi fosse stato utilizzato impropriamente per più di 36 mesi non abbia più il diritto di un contratto vero ma del rimborso di massimo sei mensilità. Una mannaiache colpisce chi ha già in corso una vertenza con l'azienda che, fino all'altro ieri, prevedeva l'assunzione a tempo indeterminato.

Leggiamo stupefatti che la Rai bandisce un concorso per le Morning News delle sedi regionali, in accordo con l'UsigRai. (http://www.usigrai.it/articolo.php?id=888) Se da una parte apprezziamo che finalmente l'accesso passi attraverso concorsi pubblici e trasparenti, riteniamo ancor più stupefacente che con un colpo di spugna, prima ancora di aver determinato le nuove possibilità di accesso alla professione, si sia deciso di procedere all'inserimento di clausole che tagliano le gambe a giornalisti professionisti perchè sono nati prima del 1978, perchè non hanno un titolo di laurea e perchè non hanno fatto una scuola di giornalismo.

La normativa ammazza precari risulta incostituzionale perchè riconosce diritti diversi a seconda dei tempi di una vertenza.

Non possiamo affermare che tale bando di concorso presenti gli stessi vizi, perchè non è possibile. Ma il principio è lo stesso. Con questo concorso la Rai stabilisce che vi sono giornalisti professionisti che, a quanto pare, sono più professionisti di altri.

Pensiamo che questo non sia corretto e pensiamo opportuno chiedere pareri legali per comprendere se vi siano margini per contestare i titoli soggettivi con cui è possibile accedere al concorso.

Chiediamo ai giornalisti professionisti non laureati, non assunti a contratto e che non sono diventati professionisti attraverso le scuole di giornalismo di sottoscrivere questo appello.

Chiediamo a loro di chiedere alla Rai le ragioni che l'ha portata a realizzare questo bando che stabilisce differenze tra iscritti al medesimo albo che al contrario, invece, stabilisce diritti e doveri identici. A tal proposito chiediamo alla Rai e al Sindacato dei Giornalisti Rai di bloccare il concorso o di ridisegnare il bando permettendo l'accesso a tutti i giornalisti professionisti iscritti all'albo. Chiediamo alla Federazione Nazionale della Stampa e all'UsigRai, che ha già fatto il rilievo all'azienda, di esprimersi sui rilievi che abbiamo fatto al concorso chiedendo se, sindacalmente, non si evidenzi una discriminante nei confronti di alcuni colleghi professionisti. Chiediamo a tutti i colleghi professionisti, gia assunti nelle testate italiane e anche ai giornalisti che rientrano nei parametri fissati dal bando, di sottoscrivere questo appello.

mercoledì, agosto 27, 2008

Se i mafiosi sono i politici

chi li vota che cosa é? È inutile che l'italiano pianga sulla casta quando poi non sa fare di meglio che rubare a sua volta.....

Sergio Rizzo per il “Corriere della Sera”
C'è un numero che da solo spiega perché il federalismo fiscale e la Regione siciliana non possono andare d'accordo. Si trova a pagina 57, riga 6, di un rapporto appena sfornato dalla Corte dei conti dove si denuncia che nel triennio 2005-2007 l'indennità di carica per i componenti della giunta regionale è aumentata del 114,77%. C'è scritto proprio così: +114,77%. Mentre nel Paese infuriava la bufera sui costi della politica, mentre a Roma si cercava di salvare la faccia proponendo sforbiciate qua e là, mentre Romano Prodi tagliava del 30% il suo stipendio e quello dei suoi colleghi, la spesa per l'indennità degli assessori siciliani magicamente più che raddoppiava.

Con il risultato che oggi un componente della giunta regionale guadagna più di un ministro. Chi è assessore e deputato regionale porta a casa più di 14 mila euro netti al mese. Gli assessori esterni se ne devono invece far bastare 11 mila o giù di lì. Il loro stipendio è infatti di 18.120,70 euro lordi al mese: 217.448 l'anno. Circa 15 mila più di un ministro non parlamentare. Va da sé che con la riforma federalista questo andazzo non potrà continuare. Ma i sacrifici a cui saranno chiamati gli assessori faranno ridere rispetto al resto dei problemi. Il personale, per esempio. La relazione della Corte rivela che nel triennio 2005-2007 la spesa per gli stipendi è aumentata del 18,1%, il triplo dell'inflazione.

Nel 2007 i dipendenti sono costati 714 milioni, il 37% più del 2001. All'esplosione ha contributo, spiegano i magistrati contabili, «il notevole ampliamento del numero di dipendenti a tempo determinato a seguito della decisione assunta dalla giunta regionale di procedere alla contrattualizzazione» di alcuni precari. Quanti erano? 3.496. Più o meno come tutti i dipendenti della Regione Lombardia e degli enti collegati, che secondo il conto annuale del Tesoro sono 3.961.

Per inciso, la Lombardia ha 9 milioni e mezzo di abitanti contro i 5 milioni della Sicilia. La mega infornata di precari risale alla fine del 2005, pochi mesi prima delle elezioni regionali che avrebbero confermato Salvatore «Totò» Cuffaro alla presidenza della Regione. Come se non bastasse, sottolinea il rapporto della Corte dei conti, l'amministrazione regionale ha poi provveduto a «stabilizzare» altri 130 precari l'anno successivo e ancora altri 197 nel 2007.

Non c'è perciò da stupirsi che la bulimica macchina regionale si sia gonfiata all'inverosimile: alla fine del 2006 si contavano 20.448 dipendenti, di cui 14.291 a tempo indeterminato, 5.455 ex precari stabilizzati e 702 lavoratori socialmente utili. I dirigenti sono ben oltre duemila, con un aumento inarrestabile della spesa per le retribuzioni «di posizione di risultato», determinato dal «notevole incremento del numero degli uffici di massima dimensione e delle strutture intermedie». Ma siccome è regola che non ci siano figli e figliastri, pure i dipendenti «a tempo» hanno avuto la loro parte.

E poco importa che l'aumento del «trattamento accessorio» per questo personale sia stato concesso, dice la Corte dei conti, «in violazione delle disposizioni normative e contrattuali». Perché il 6 febbraio scorso, una decina di giorni dopo le dimissioni di Cuffaro e un paio di mesi prima delle elezioni che avrebbero incoronato Raffaele Lombardo, la Regione ha approvato per legge una tanto scontata quanto provvidenziale sanatoria. Per non parlare dei consulenti.

Le norme fissano in tre il numero massimo per ogni assessorato più un consulente per il servizio «controllo strategico»? Ebbene, nel 2007 gli incarichi di consulenza affidati da 10 dei 12 assessori, più il presidente, erano 51, di cui 5 per il cosiddetto controllo strategico. E che dire della spesa per le pensioni? Nel 2007 è arrivata a 538 milioni, il 31,6% in più rispetto al 2001, con una crescita del 7,8% soltanto nell'ultimo anno. Il motivo? L'aumento del 51,6% dei dipendenti della Regione che se ne sono andati in pensione: 413 persone in dodici mesi.

Inevitabili, a fronte di questa situazione, gli interrogativi. Perché Lombardo è potente alleato di Silvio Berlusconi, che a lui deve la schiacciante e decisiva vittoria del centrodestra nei collegi elettorali dell'isola. Ma sa benissimo che la riforma, pure «a misura di Sicilia» come lui stesso ha chiesto, potrebbe rivelarsi un massacro se venissero tagliati massicciamente i trasferimenti alle Regioni meno virtuose. Anche perché i segnali di una svolta, in Sicilia, mancano del tutto. La Regione ha varato un piano di riorganizzazione che dovrebbe comportare un risparmio di circa 1,6 milioni di euro l'anno negli stipendi dei dirigenti dal 2008 al 2010.

A parte le considerazioni circa l'entità dell'economia prevista, considerando che il monte «salari» dei dirigenti, salito fra il 2001 e il 2005 di oltre il 45%, supera ormai i 160 milioni di euro, i magistrati contabili arrivano a mettere in discussione che il modestissimo risparmio possa essere conseguito, anche perché «emerge in maniera evidente che l'attuazione delle misure proposte non prevede una diminuzione delle strutture burocratiche». Se infatti il numero delle aree e dei servizi viene ridotto da 546 a 403, quelle delle unità operative aumenta da 1.184 a 1.329. Ma in discussione, sanità a parte, è anche l'intera struttura delle uscite regionali.

A una fortissima crescita della spesa per stipendi e pensioni ha fatto riscontro, negli ultimi tre anni, un calo dei trasferimenti alle famiglie (-9,8%) e alle imprese (-42,9%). E se la Regione, dice la Corte dei conti, spende troppo poco per le opere pubbliche e il turismo, sulla formazione professionale corrono fiumi di denaro. L'anno scorso, 432 milioni di euro. Ma senza che se ne vedano risultati, se è vero, come sottolinea il rapporto, che «la disoccupazione giovanile, alla quale dovrebbe prevalentemente rivolgersi la spesa per la formazione professionale, nel 2005 è stata del 40,6% per gli uomini e del 52,1% per le donne».

Good people


a gallery of people waiting for extradiction...

Emmanuel Constant
From Wikipedia, the free encyclopedia
Emmanuel Constant (nicknamed "Toto", born on October 27, 1956) is the founder of FRAPH, a Haitian death squad organized in mid-1993 to terrorize supporters of exiled president Jean-Bertrand Aristide. After the 1994 U.S. and UN-led multinational occupation restored Aristide to power, Constant managed to escape to the U.S. He was later detained by INS officials in 1995 and prepared to be deported to Haïti to stand trial for involvement in the Raboteau Massacre. However, in a December 1995 interview with Ed Bradley on 60 Minutes, Constant threatened to divulge secrets about his relationship with the CIA during the early '90s. After this threat, as well as receiving intelligence that there was a plot to assassinate Constant should he return to Haïti, the Clinton administration ordered the INS to release Constant in May 1996.

On July 25, 2008, after hearing two weeks of testimony, a Brooklyn jury convicted Constant of several mortgage fraud felonies, including Scheme to Defraud and Grand Larceny. The convictions came within hours of a vigorous confrontation between Constant, who testified in his own defense, and Assistant Attorney General Thomas Schellhammer, who cross-examined him

Libertà d'informazione??

Diffamazione a mezzo stampa
In occasione del 2° Convegno regionale “Giustizia e Informazione” - Bema (So), sabato 8 luglio 2006 - nella relazione di Francesco (“Franco”) Abruzzo - presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia - si legge:

"La «trappola» dell’articolo 2947 del Cc. Con la sentenza n. 5259/1984, la Corte di Cassazione ha stabilito che ogni cittadino può tutelare il proprio onore e la propria dignità in sede civile senza avviare l’azione penale. Ogni cittadino può agire in sede penale entro tre mesi dalla pubblicazione della notizia diffamatoria (art. 124 Cp). Il Parlamento non ha provveduto, dopo la sentenza, a coordinare il tempo per l’azione civile con quello previsto per l’azione penale. Così è rimasto in vigore l’articolo 2947 del Cc, in base al quale «il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato...In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile». Questa norma espone giornalisti ed aziende al rischio di vedersi citare in giudizio, anche a distanza di 7-10 anni, per fatti remoti e sui quali il giornalista non ha conservato alcuna documentazione. L’azione di risarcimento dovrebbe essere ridotta a 180 giorni dalla diffusione della notizia ritenuta diffamatoria.
(...)
Tornare all’antico: escludere il decreto penale per i reati perseguibili a querela come il reato di diffamazione a mezzo stampa. L’articolo 459 Cpp (Casi di procedimento per decreto), riscritto dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479 sul giudice unico, riserva una sorpresa sgradita. Dice questo nuovo articolo: «Nei procedimenti per reati perseguibili di ufficio ed in quelli perseguibili a querela (come la diffamazione, ndr) se questa è stata validamente presentata e se il querelante non ha nella stessa dichiarato di opporvisi, il pubblico ministero, quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva, può presentare al giudice per le indagini preliminari, entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato e previa trasmissione del fascicolo, richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna, indicando la misura della pena». Il decreto penale, con la condanna a una pena pecuniaria, è inappellabile. C’è da sperare che il Gip non accolga la richiesta del Pm. In precedenza non era previsto il decreto penale per i reati perseguibili a querela. Bisogna tornare all’antico e in fretta, escludendo il decreto penale per i reati perseguibili a querela come il reato di diffamazione a mezzo stampa."

brani tratti da: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=391

LA RIPARAZIONE PECUNIARIA PER IL REATO DI DIFFAMAZIONE E’ DOVUTA ANCHE DALL’EDITORE in base all’art. 11 della legge 8.2.1948 n. 47 (Cassazione Sezione Terza Civile n. 21366 del 10 novembre 2004, Pres. Fiduccia, Rel. Travaglino).
In base all’art. 12 della legge 8.2.1948 n. 47 nel caso di diffamazione a mezzo stampa la persona offesa può ottenere, oltre al risarcimento dei danni, una somma a titolo di riparazione. L’entità della riparazione pecuniaria è determinata in relazione alla gravità dell’offesa e alla diffusione dello stampato. Tale riparazione è dovuta non solo dal responsabile del reato, ma anche dall’editore, in quanto, a termini dell’art. 11 della legge 8.2.1948 n. 47, per i reati a mezzo stampa l’editore è civilmente responsabile in solido con gli autori del reato (Cassazione Sezione Terza Civile n. 21366 del 10 novembre 2004, Pres. Fiduccia, Rel. Travaglino).

Vecchio intervento della Guzzanti, ma sempre attuale

Britney has NO voice

martedì, agosto 26, 2008

Barigazzi c'è

Ritorno brevemente sul caso Barigazzi. L'articolo del Newsweek (uno fra centinaia che invece dicono l'esatto contrario) scritto da questo signore, un italiano con una perfetta conoscenza dell'inglese. Grazie al Corsera abbiamo scoperto che esiste. Fosse per i alcuni quotidiani sarebbe direttore del celebre settimanale. In realtà ha scritto un articolo sebza ubfamia e senza lode che però è piaciuto al PdL. In un paese serio sarebbe soltanto un altro articolo. Nel nostro giù fiumi d'inchiostro. Quello che non capisco è: perché non si può criticare Newsweek caro Letta? In luna di miele con chi caro Letta? Ecco le mie domande sono queste. E Barigazzi non c'entra.

Elsa Muschella per il Corriere della Sera

Barigazzi c'è. E sta persino per riprodursi, con buona pace dell'Unità. Il «corrispondente fantasma» di Newsweek nonché discendente dell'omonimo medico che nel '500 studiava le fratture dei crani — almeno secondo il giudizio e la ricostruzione genealogica di Furio Colombo — a gennaio diventa papà e pertanto è di ottimo umore. È solo che non ne può più di dietrologie e «fantasiose elucubrazioni» su quel miracolo dei 100 giorni berlusconiani pubblicato a sua firma dal settimanale americano.

Nessuna marcia indietro, s'intende. Però «chi ha letto davvero l'articolo sa che l'unico riconoscimento era a una situazione di fatto e a nient'altro: c'è un governo che ha una maggioranza solida e un'opposizione litigiosa che deve ancora riprendersi dalla batosta elettorale. Poi, se Berlusconi inizia a pulire Napoli, scriverlo mi sembra semplice giornalismo».

Jacopo Barigazzi ha portato i suoi 38 anni certificati da una carta d'identità del comune di Milano, presumibilmente non contraffatta, a «VeDrò», il pensatoio generazional-trasversale di quarantenni (e dintorni) promosso (tra gli altri) da Enrico Letta, Giulia Bongiorno e Anna Maria Artoni. Per questa quarta edizione — dedicata all'Italia del futuro e al confronto su temi che spaziano dal copyright al petrolio, dall'identità religiosa alla privacy, dalla democrazia rappresentativa al world wide web — è stato anche invitato a coordinare uno dei 10 gruppi di lavoro del think tank.

Accanto all'imprenditore Arturo Artom e agli altri relatori, discute dell'economia internazionale, di scenari prossimi venturi e di una qualità della vita che incorona l'Italia terra del benessere. Ulteriore dimostrazione della sua esistenza non può arrivare da suo padre Giuseppe, caporedattore a Famiglia Cristiana, scomparso 5 anni fa. Ma giungono garanzie da sua sorella Silvia (giornalista all'Apcom) e dalle redazioni nelle quali ha lavorato o ancora lavora (Radio popolare, Financial Times online, Cnbc, Reuters, Finanza e Mercati, Adnkronos e, naturalmente, Newsweek).

La prova definitiva la fornisce Enrico Letta, che l'ha ospitato sotto i gazebo nel verde dell'ex centrale elettrica di Fies e che a suo tempo ne aveva letto l'opera crocifissa: «L'articolo mi era sembrato più equilibrato di quanto poi si è detto. Del resto, siamo in piena luna di miele del governo ed è normale che tutto ciò finisca nei reportage internazionali: criticare Newsweek è come prendersela con il termometro se si ha la febbre. Non mi scandalizza che abbia affrontato luci e ombre dell'esecutivo, ma che un Paese dimostri ulteriori elementi di provincialismo occupandosi ancora della questione ».

lunedì, agosto 25, 2008

Un amarissimo Aldo Grasso sulla Rai



PERCHÉ LA RAI NON È AL PASSO CON I TEMPI
Aldo Grasso per il Corriere della Sera

«Ma ti sei reso conto di quello che hai fatto?». Ecco, in questa frase di rara inutilità (dopo 4 anni di duro allenamento, un atleta che vince una medaglia, possibile non si renda conto di quello che ha fatto?) si racchiude perfettamente il senso della spedizione Rai all'Olimpiade di Pechino. Nel dopo gara, Elisabetta Caporale si è avvicinata spesso al campione con l'aria del cronista che chiede a una persona che ha appena patito una tremenda disgrazia: «Cosa ha provato in quel momento?».

Purtroppo non è solo una questione di persone, di singoli (anche se...), di inviati o di commentatori sbagliati (anche se...); no, il problema è più generale e riguarda la Rai come servizio pubblico. Già l'esperienza degli Europei di calcio non è stata esaltante; come si fa, allora, a commettere gli stessi errori, mostrare la stessa inadeguatezza, farsi sbertucciare per tutta la durata di un evento così importante come l'Olimpiade?

Nonostante le ovvie difese d'ufficio del presidente Petruccioli, la situazione è complicata e rischia di aggravarsi. Quello che in maniera drammatica Pechino 2008 ha messo in luce è che la Rai non è più al passo coi tempi: le ragioni sono molteplici ed essenzialmente politiche (storicamente complicate da quella anomala situazione italiana che si chiama duopolio). Quindi non ci sentiamo di gettare la croce su nessuno e scriviamo queste note con profonda amarezza.

La carenza della Rai è prima di tutto una carenza tecnologica: non è più pensabile investire così tanto in diritti (era Antonio Marano il responsabile degli acquisti?) se non si hanno a disposizione diversi canali su cui spalmare un evento complesso e articolato come l'Olimpiade. Solo dopo le nostre critiche, la Rai ha cominciato a diversificare sensibilmente l'offerta tra il canale analogico e digitale, incorrendo inevitabilmente in alcuni errori di scelta, tipo la partita Argentina-Brasile.

La Rai deve finalmente prendere atto che esiste la concorrenza e che non opera più in regime di monopolio. Non si può mandare a Pechino un commentatore senza idee solo perché ti è stato «suggerito» da qualche politico e soprattutto molti inviati dovrebbero qualche volta perdere quell'arroganza o supponenza che deriva loro dall'imprinting del monopolio, quando, arrivato a occupare un posto, eri anche l'unico e nessuno ti metteva più in discussione.

In una situazione di concorrenza, un direttore agli ennesimi «risvolti umani» di un Carlo Paris o di un Claudio Icardi dice basta; all'ennesima battuta infelice o banalità mascherata di un prof. Dal Monte o di un Bartoletti dice basta. A rimetterci, sono i più bravi, i più scrupolosi che vedono rovinare il loro lavoro da un diffuso clima di provincialismo.

La cosa più fastidiosa delle telecronache Rai è l'insieme di tifo e contiguità che le rende obsolete e irritanti. Siamo tutti tifosi degli atleti italiani ma non per questo dobbiamo essere ciechi di fronte al resto del mondo; trasformare la telecronaca in incitamento (ahimè, succede anche su altre emittenti) è una scorciatoia sentimentale ma poco professionale. E poi, specie nei talk di approfondimento, viene fuori una vicinanza, una confidenza, quasi una dipendenza fra cronisti, atleti ed ex atleti davvero indisponente. Si cresce con il confronto, non con la complicità, non con la connivenza.


Il fatto triste è che se la Rai non cambia radicalmente e non ritrova la sua antica e apprezzata professionalità (lontano dalla politica), se non viene ridimensionata la Casta interna che la governa, si avvia inesorabilmente al declino. Come Alitalia.

Incapaci al Tg2



Ancora una volta una perla del fantastico Tg2. Lancio del pezzo sul poveraccio malmenato dalla polizia municipale di Termoli mentre in video passano le immagini di Sean Connery. L'equivoco dura una ventina di secondi. In regia dormivano?
Poi il pezzo vero e proprio fatto da una voce che con la tv non c'entra niente e di cui tralascio il nome per carità di patria, ma che inizia il pezzo con un incredibile (ci avrà pensato tutta la notte) happy BirTdey che faceva rabbrividire. Poi i giornalisti Rai si offendono se li critichi. Ma andate a lavorare!

Quando pensi di aver toccato il fondo....

... puoi cominciare a scavare


Ridateci l'alabarda
di Guido Quaranta
da riservato.it

Le curiose proposte di legge presentate in questa prima parte di legislatura: ridurre le multe a chi guida parlando al telefonino, reintrodurre le festività soppresse e consentire l'uso di spadoni e archibugi nelle rievocazioni storiche I deputatiCi risiamo: anche i nuovi deputati sembrano distinguersi, come molti dei loro predecessori, per l'improponibilità delle proposte di legge presentate

in Parlamento. Alcuni, per esempio, reclamano l'istituzione di nuove province (quando si spera, ormai, di ridurle o, addirittura, di sopprimerle). Altri suggeriscono la nascita di numerose case da gioco (non solo nelle grandi città, ma anche nei piccoli comuni). Altri ancora chiedono cospicue sovvenzioni statali per finanziare sagre paesane, istituire nuove lotterie o commemorare anniversari di personaggi locali. Ma i più bizzarri - e prolifici - sembrano gli altoatesini Karl Zeller e Siegfried Brugger.

Da quando, alla fine di aprile, la nuova Camera si è aperta, i due deputati hanno presentato decine di proposte di legge, a volte bislacche, dispendiose, inutili. Una di esse, per esempio, chiede che, durante le manifestazioni folkloristiche, o le rievocazioni storiche, sia consentito portare liberamente spade, spadoni, sciabole, stiletti, pugnali, archibugi, alabarde e balestre.

Un'altra propone che tutte le ricorrenze religiose opportunamente soppresse, anni fa, per favorire lo sviluppo economico (da San Giuseppe all'Ascensione, dal Corpus Domini a San Pietro e Paolo) siano di nuovo riconosciute festività agli effetti civili.

E, tra le proposte di legge del tutto superflue, ce n'è una che prevede di ridurre sensibilmente la sanzione comminata a chi guida l'auto usando il telefonino. Ma, andiamo, onorevoli, c'è forse qualche vigile urbano che, per la strada, bada ancora ai telefonini usati dagli automobilisti al volante?

Agosto cazzeggione


Avendo vissuto sulla mia pelle questa vergogna (e non aggiungo altro per non apparire "contradditorio", come mi è stato detto) ecco il pezzo da www.spreconi.it

Canzonette in piazza, tra truffe e fondi buttati via
Il galà dello spreco è un classico d'agosto. Un moltiplicarsi di concerti, premi letterari per ogni gusto o improbabili spettacoli teatrali prolifera sulle piazze di tutta la penisola o riesce persino a infilarsi nel tardo palinsesto Rai. Ma dietro questi affanni artistici c'è un fiume di denaro pubblico che viene bruciato nel modo più effimero, alimentando fortune private e corti politiche. Adesso a Trieste una controversa inchiesta giudiziaria sta facendo affiorare molti dei meccanismi che mandano avanti questo show business dell'estate italiana. Indagine controversa, perché il manager arrestato con l'accusa di avere truffato 300 mila euro di denaro alle istituzioni è stato poi rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame. Ma gli accertamenti della Guardia di Finanza ricostruiscono le rotte che permettono lo sperpero e i limiti del codice penale. Al centro c'è l'abuso di società no profit: società che godono di tasse agevolate perché fondamentali per fare beneficenza e attività socialmente rilevanti. L'impresario triestino - secondo l'accusa - avrebbe usato una società a guadagno zero presentandosi più volte a bussare cassa: lo stesso progetto veniva finanziato dal Comune, dalla Provincia, da privati così da no-profit diventava triplo-profit. E spesso le stesse fatture venivano fatte pagare due volte senza che municipio o provincia se ne accorgessero. Insomma, soldi due volte buttati via. Dalle carte dell'indagine si scopre il prezzo di questi show: 57 mila euro per una serata ispirata alla Dolce vita, cifre simili per un tributo a Lucio Battisti. E questo mentre tutte le amministrazioni piangono miseria.
L'inchiesta però avrebbe fatto emergere anche i limiti della legislazione attuale sulle società no profit. Nel caso in questione, per esempio, i soci fondatori della sigla di beneficienza erano ignari dell'uso "commerciale" che ne veniva fatto. Ma secondo la tesi della difesa, accolta dal Tribunale del Riesame, per situazioni come queste alle no-profit non si può contestare il reato di truffa. Al massimo, si può formulare un'accusa penale più lieve, che non prevede l'arresto. Insomma, una doppia beffa. Che rischia di danneggiare tutte le ditte che fanno seriamente attività no profit. E pensare che sono solo canzonette...

Facebook anthem

...maybe they're right

Rocco Giacintucci regna


Chi è questo signore? Probabilmente una persona incapace di gestire il proprio ruolo, quello di responsabile della polizia municipale di Termoli. Dopo una storiaccia ripresa in foto da un sacco di passanti, questo signore (siamo in democrazia quindi penso di poterlo definire un po' incapace) se ne esce con dichiarazioni deliranti, proprie di uno che forse dovrebbe fare altro anziché lavorare in un posto pubblico. A meno che a Termoli non abbiano privatizzato anche la Polzia Municipale...Sempre più chi lavora per lo Stato o a un minimo di potere si comporta da capetto invece di cercare di smorzare i toni. Caro Giacintucci non è così che si fa rispettare la legalità.

La linea dura dei vigili,l'ambulante nel portabagagli
di GIUSEPPE CAPORALE
da Repubblica.it

TERMOLI - Un giovane ambulante extracomunitario aggredito, tenuto per il collo e trascinato sull'asfalto, lungo il corso della città. Da tre vigili urbani.
E' accaduto a Termoli, all'altezza del corso Nazionale, sabato scorso, verso sera. Testimoni dell'accaduto diversi cittadini che non solo hanno fotografato la scena con i telefonini, ma sono intervenuti in soccorso del giovane straniero, affrontando le forze dell'ordine.

La polizia municipale aveva fermato l'ambulante in quanto sprovvisto di licenza di vendita. Pare che l'extracomunitario, a quel punto, abbia opposto resistenza aggrappandosi alla merce che i vigili volevano sequestrare. Poi, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stato strattonato a terra e trascinato in mezzo alla strada fino all'auto dei vigili.

"Volevano caricarlo nel portabagagli" raccontano alcuni testimoni al sito internet Primonumero.it che per primo ha pubblicato le foto dei lettori indignati per l'accaduto.

"Ho assistito a una deplorevole scena di crudeltà gratuita - commenta un testimone - i vigili urbani hanno trascinato e strattonato un ragazzo di colore perché non era in possesso della licenza. Alcuni miei amici hanno scattato delle foto con il cellulare. I vigili urbani è inutile che cerchino giustificazioni poiché non è vero - come affermano - che l'ambulante ha avuto una reazione eccessiva e che li ha autorizzati ad usare violenza nei suoi confronti. Ero presente ai fatti e ho ancora nelle orecchie la voce e il pianto dell'extracomunitario che supplicava".

Il responsabile della polizia municipale Rocco Giacintucci, replica: "Non so nulla, ero in ferie. Sto apprendendo ora quanto è successo. Una cosa però è certa: se i vigili hanno agito in quel modo è perché evidentemente c'è stata una reazione spropositata del giovane. Le regole in qualche modo le dobbiamo fare rispettare. Capisco che certe scene possono apparire più o meno cruente, ma dipende dalla reazione del soggetto".

"Davvero il pericolo più grave e il rischio più grande per l'ordine pubblico per la mia città, sono i venditori abusivi?" si chiede Marcella Stampo, della cooperativa Baobab "e quand'anche fosse così, non c'è altro modo per arginare il pericolo che picchiare e portare via una persona come fosse una cosa vecchia o una carcassa di animale, chiuso in un portabagagli? Mi rallegra solo pensare che le persone presenti abbiano avvertito la stupida cattiveria dell'accaduto e abbiano protestato".

venerdì, agosto 15, 2008

Andate in vacanza? Leggete!




Luigi Grassia per La Stampa

Vita vissuta. L’aereo sta per decollare, le hostess passano a chiudere le cappelliere, il comandante invita ad allacciare le cinture; ma dopo un paio di minuti la stessa voce annuncia: «Scusate, c’è un guasto, dobbiamo tornare agli hangar per le necessarie riparazioni». Stupore, scoramento fra i passeggeri. Dopo 5 snervanti ore di sosta, l’aereo è pronto a ripartire, ma sorpresa, quando si entra si scopre che la cabina è piena come un uovo. In realtà, lo si capisce a questo punto, non c’era nessun guasto, la compagnia ha accorpato due voli, e chi se ne frega se i passeggeri avevano pagato per un servizio diverso, cioè per decollare 5 ore fa: tanto, appunto, hanno già pagato.

«All’inferno i clienti» era il motto (informale) delle compagnie ferroviarie nell’America dell’Ottocento, quando i ponti sulle Montagne Rocciose crollavano perché costruiti in fretta e male. Pare che «all’inferno i clienti» sia anche l’ultima moda delle compagnie aeree adesso che il caro-petrolio mangia ogni margine economico se gli aerei non sono pieni. Alla Stampa sono arrivate molte segnalazioni soprattutto da voli low cost e charter, ma l’epidemia contagia persino i collegamenti di linea. Nell’estate del 2008 Federconsumatori segnala un incremento del fenomeno fra il 20 il 25% rispetto al dato, già in forte aumento, del 2007.

Questa pratica vergognosa si chiama «underbooking» (il contrario dell’altrettanto vergognoso overbooking, che consiste nel vendere di proposito più biglietti dei posti disponibili) e non ha la benché minima giustificazione economica e contrattuale nel rincaro del carburante, perché se le compagnie sono in grado di fornire il servizio per cui si fanno dare i soldi, bene, altrimenti chiudano. L’underbooking va sanzionato nel più rigoroso dei modi, esigendo nelle dovute forme il pagamento delle penali (fino a 600 euro) ogni volta che le regole lo prevedono.

Per la Federconsumatori parla il vicepresidente Mauro Zanini, responsabile del servizio Sos Vacanze: «Spieghiamo per prima che cosa succede in caso di overbooking. Il viaggiatore ha diritto a un indennizzo di 250 euro se non trova posto quando dovrebbe volare su una tratta fino a 1500 chilometri, di 400 euro per le altre tratte intercomunitarie e per quelle fra i 1500 e i 3500 km, e di 600 euro per le distanze più lunghe.

Oltre a questo gli spettano la sistemazione gratuita su un volo successivo, e due telefonate gratis, e i pasti e l’eventuale ospitalità gratuita in albergo a seconda di quanto si dovrà attendere per il nuovo volo. Se il biglietto, a causa del troppo tempo perso, è diventato inutile, il passeggero ha diritto al rimborso oltre all’indennizzo. In caso di cancellazione senza preavviso, spettano gli stessi rimborsi e gli stessi indennizzi da 250, 400 o 600 euro proporzionati alle distanze, a meno che la compagnia non possa provare che il problema è stato dovuto a circostanze eccezionali».

Un esempio di circostanza eccezionale? «Se l’aereo viene colpito da un fulmine. Ma se invece, per esempio, c’è un guasto, che sia vero o inventato, non si tratta di una circostanza eccezionale a cui la compagnia aerea possa appellarsi: è suo compito garantire la manutenzione, se l’aereo non va è colpa sua».

E in caso di semplice ritardo, senza cancellazione? «Allora il passeggero ha diritto all’assistenza (pasti eccetera) se il volo è ritardato di 2 o più ore per le tratte inferiori a 1500 km, di 3 o più ore per le tratte intracomunitarie superiori a 1500 km e per tutte le altre comprese tra 1500 e 3500 km, di 4 o più ore per tutte le altre tratte. E se il ritardo supera le 5 ore, a prescindere dalla tratta, il passeggero ha diritto al rimborso del biglietto».

Come far valere questi diritti? Zanini spiega che «bisogna comunicare per raccomandata l’accaduto e chiedere indennizzi e rimborsi entro 10 giorni dal rientro. Conservate le ricevute delle spese extra. Se si è acquistato un pacchetto turistico vanno spedite due raccomandate, all’agenzia di viaggi e al tour operator. La norma di tutela è il decreto legislativo numero 111 del 1995, ora inserito del Codice del consumo. Per i biglietti aerei sfusi c’è la copertura del regolamento Ue numero 261 del 2004. Mi raccomando di fare sempre richiesta scritta e non accontentarsi di promesse verbali in aeroporto, che non valgono nulla».

Ma le compagnie aeree pagano il dovuto senza fare storie o bisogna avviare un contenzioso? «Di solito, di fronte a fatti evidenti, pagano, in un mese o due. Soprattutto le compagnie di bandiera e i grandi operatori charter. Ma certi operatori fanno storie e allora bisogna rivolgersi alle associazioni dei consumatori».

Zanini avverte: «Le compagnie possono aggirare la norma sui ritardi. Se comunicano lo spostamento dell’orario 24 ore prima, si mettono a posto, e il cliente non può fare nulla. Attenzione alle richieste di denaro prima della partenza giustificate con l’aumento di prezzo del carburante: possono essere fatte con 20 giorni di anticipo, non oltre.Se invece vengono fatte all’ultimo momento non valgono: non dovete pagare, e se pagate, al rientro potete e dovete pretendere il rimborso».

giovedì, agosto 14, 2008

La Guzzanti violenta....




Chiedo scusa agli amici stranieri del blog, ma questa è per insider.

La Guzzanti: "Outing civile". E attacca ancora la Carfagna

Sabina Guzzanti lancia dal suo blog una campagna di "outing civile", un movimento per spingere le persone a dire "le cose pane al pane", e a riprendere con una telecamera questi gesti.

E non manca, nel post dell'attrice, un riferimento al ministro Mara Carfagna, che, dopo il suo intervento dal palco di piazza Navona, aveva sporto querela nei suoi confronti: "Berlusconi dice: la crisi si fa sentire, è il momento di stringere i denti. Mara tu no", commenta velenosa la Guzzanti.

www.sabinaguzzanti.it

Phelps contro la fame...

... la sua ...

Michael Phelps affamato chiede che gli venga portato un cinghiale fritto



Mangiar bene, per sentirsi in forma. Con l'oro conquistato nella 4x200 stile libero, Michael Phelps è entrato ieri nella storia vincendo l'undicesimo titolo olimpico e salendo per la quinta volta a Pechino sul gradino più alto del podio. Dopo l'ultimo trionfo, il nuotatore statunitense ha rivelato il segreto che gli consente di sostenere durissimi allenamenti, cinque ore per sei volte la settimana: un'incredibile dieta - si fa per dire - da 12mila calorie al giorno, sei volte la quantità standard di un adulto maschio. La colazione del campione capace di oscurare Mark Spitz prevede tre uova in padella con il pane, con l'aggiunta di alcuni selezionati ingredienti: formaggio, lattuga, pomodori, cipolle fritte e ovviamente maionese. Poi due tazze di caffè e una scodella di fiocchi d'avena, una "pappa" di cereali spezzettati. Ma non è ancora finita. Ci sono tre fette di pane tostato, con zucchero a velo per assicurarsi che non manchino calorie. Per finire, tre piccole frittelle di cioccolato. Terminata la prima colazione e con le fitte della fame per l'incombere del pranzo, Phelps non rinuncia a mezzo chilo di pasta condita e due grandi panini con prosciutto e formaggio, pieni di maionese. E senza dimenticare mille calorie di bevanda energetica. La cena è il pasto in cui il nuotatore fa la scorta di carboidrati per l'allenamento del giorno successivo. Ancora mezzo chilo di pasta, accompagnato però da una pizza e altre mille calorie di bevanda energetica. Poi a letto per il meritato riposo. "Mangiare, dormire e nuotare, è tutto quello che so fare", ha detto ieri Phelps all'emittente statunitense Nbc.

Fonte Apcom

Comunisti a Famiglia Cristiana



Ancora troppo incazzato da quella barzelletta di articolo che uno sconosciuto tizio è riuscito a farsi pubblicare su Newsweek (che sta venendo criticato negli USA per queste stupidaggini, ma questo in Italia non si dice) a proposito dei successi dell'esecutivo Berlusconi, posto la reazione isterica del PdL alle critiche di Famiglia Cristiana che, incredibilmente, si sta dimostrando l'unico media scritto, teoricamente moderato, che critica le misure velleitarie e caotiche messe in piedi dal governo, con la colpevole compiacenza del centrosinistra che invece di girarsi i pollici potrebbe fare qualcosa sul territorio. Che sò... un po' di politica coi cittadini? Quanto al centro-destra-destra-destra che dire? Tutti a inginocchiarsi davanti alla Cei o al Papa quando si tratta di temi non importanti (per la PdL) quando però, con indubbia linearità, i media cattolici ricordano cosa voglia dire essere cristiani, ecco che le truppe del cavaliere, con in testa Libero e il Giornale, si scagliano a testa bassa contro questi non-cristiani di Famiglia Cristiana. Signori, decidetevi.

enjoy

da Repubblica.it

Famiglia Cristiana rilancia
"Speriamo non rinasca il fascismo". Il centrodestra insorge: "Di fascista in Italia ci sono solo i loro toni"
Replica del direttore: "Le critiche al governo normali in un paese libero"

ROMA - Il settimanale Famiglia Cristiana torna all'attacco sulla politica del governo in materia di sicurezza, augurandosi che "non sia vero il sospetto" che in Italia stia rinascendo il fascismo "sotto altre forme". La rivista dei Paolini, che lunedì scorso aveva attaccato l'esecutivo per la "finta emergenza sicurezza", replica anche alle dure critiche che gli sono arrivate dopo quell'articolo dagli esponenti della maggioranza: "Non siamo cattocomunisti". Ma il centrodestra insorge: "I toni fascisti sono quelli del settimanale". E il direttore della rivista rilancia: "In un paese normale le critiche sono libere".

La difesa. "Siamo e saremo sempre in prima linea su tutti i temi eticamente irrinunciabili", scrive Beppe Del Colle, che ricorda: "Divorzio, aborto, procreazione assistita, eutanasia, 'dico', diritti della famiglia, abbiamo condannato l'inserimento dei radicali nelle liste del Pd". Poi passa in rassegna la storia del settimanale:, e avverte: "Non siamo mai cambiati nel modo di affrontare le realtà del mondo con spirito di cristiani".

Le critiche a Maroni. La rivista cattolica torna anche a parlare della norma sulle impronte ai rom, che definisce "una trovata sciocca e inutile". "Abbiamo definito 'indecente' la proposta del ministro Maroni sui bambini rom - si legge - perché da un lato basta censirli, aiutarli a integrarsi con la società civile in cui vivono marginalizzati, ma dall'altro bisogna evitargli la vergogna di vedersi marcati per tutta la vita come membri di un gruppo etnico considerato in potenza tutto esposto alla criminalità".

Le discriminazioni ai rom. Proprio la questione delle impronte porta Del Colle a ricordare le persecuzioni a danno delle minoranze: "Quella foto del bimbo ebreo nel ghetto di Varsavia con le mani alzate davanti alle Ss è venuta alla memoria come un simbolo. Per questo il Parlamento di Strasburgo e il Consiglio europeo hanno protestato". Poi cita la rivista francese Esprit, che ha scritto che "gli italiani sono incredibilmente duri contro i romeni e gli zingari", e dice: "Speriamo che non si riveli mai vero il suo sospetto che stia rinascendo da noi sotto altre forme il fascismo".

La risposta a Giovanardi. Famiglia Cristiana risponde poi direttamente alle critiche del sottosegretario Giovanardi, che li aveva definiti "cattocomunisti": "Secondo Giovanardi - scrive - non rappresentiamo la 'vera dottrina della chiesa'. Nessuna autorità religiosa ci ha rimproverato nulla del genere, e lui non ha nessun titolo per giudicarci dal punto di vista teologico-dottrinale".

Le reazioni del centrodestra. Ancora Giovanardi: "Di fascista oggi in Italia ci sono soltanto i toni da manganellatore che Famiglia Cristiana consente di usare a Beppe Del Colle". Il capogruppo leghista alla Camera, Non sono gli editoriali a cambiare la realtà. Il mondo cattolico condivide le misure sulla sicurezza adottate dal governo e approvate dal Parlamento" . Ignazio La Russa: "Famiglia Cristiana riporti in avanti l'orologio, non esiste nessuna limitazione a dire sciocchezze".

La replica del direttore. "Sono sorpreso di queste reazioni perchè ogni cittadino dovrebbe poter valutare l'operato del governo": così il direttore di Famiglia Cristiana Antonio Sciortino. "In un paese normale - aggiunge - questo fa parte di un libero dibattito, di un libero confronto".

E da il Giornale.it dell'impareggiabile direttore e inventore di Lucignolo, il maraviglioso Mario Giordano:

Se errare è umano e perseverare è diabolico, per Famiglia Cristiana ci vuole l’esorcista. (...) l direttore del settimanale, che una volta veniva letto come se fosse la voce del vangelo e adesso invece, al massimo, come se fosse la voce di Pecoraro Scanio, ha detto che sono un po’ in crisi con le vendite e che per questo stanno facendo molti tagli. Si sa, sono tempi duri per tutti. Ma se non si decidono a ripristinare l’aria condizionata in redazione sono guai seri: ad agosto il caldo fa sragionare. (...) i sconsigliamo di comprare il papiro, ma vi riassumiamo il pezzo forte debitamente anticipato alle agenzie. Un articolo di Beppe Del Colle che, per rispondere al vespaio di polemiche suscitate dal primo violento ukaze, accusa i politici di fare dichiarazioni «superficiali e irresponsabili». E, per restare in tema, parla di «rischio fascismo» in Italia e, di fianco, pubblica la storica foto del bimbo ebreo di Varsavia, simbolo della persecuzione nazista, dicendo che è venuta in mente a tutti (proprio a tutti?) quando Maroni ha presentato il pacchetto sicurezza e le norme sui rom. C’è altro da aggiungere? Evidentemente non sono solo i politici a fare dichiarazioni «superficiali e irresponsabili». Anche i giornalisti si difendono bene.(...)

e chi vuole leggere il resto di questa schifezza se la cerchi in google.....

mercoledì, agosto 13, 2008

Newsweek's delirium


The famous Jacopo Barigazzi (who?) writes an article about mister B and media own by the first minister quote this masterpiece. This is an evidence: you can find bad journalism also in America. Mister Barigazzi should go to Naples, but not to the city centre. The garbage is still there. Maybe he shouldn't copy Ansa wires. Ah. Barigazzi!


NEWSWEEK
Published Aug 9, 2008
In his first 100 days in office, Silvio Berlusconi may have done the impossible: to a degree unprecedented in modern Italian history, he asserted control over this seemingly ungovernable nation. The opposition parties are mired in squabbling, and Berlusconi, now prime minister for the third time since 1994, has an approval rating of 55 percent—higher than Britain's Gordon Brown, France's Nicolas Sarkozy or Spain's José Luis Rodríguez Zapatero.

That anyone in Italy has managed to be so successful is surprising. More than most Western European countries, Italy has long been bedeviled by corruption and a system that gives disproportionate political weight to small parties. Berlusconi's predecessor, Romano Prodi, was stymied by his center-left party's tiny Senate majority and the government's fractious nine-party coalition. But Berlusconi, the 72-year-old media mogul, cannily exploited a 2005 electoral law that wiped out these small parties to win a surprise landslide victory from which the opposition is still trying to recover.

His center-right party now has 174 seats in the Senate (versus the left's 132) and while he enjoys something of a honeymoon period with the electorate, he has also wasted little time in consolidating his authority. One of his first acts: pushing through a bill that gives the top four national officeholders, including the prime minister himself, immunity from prosecution while in office. The bill passed overwhelmingly last month, and put an end to outstanding criminal proceedings against Berlusconi (which he and supporters say were politically driven).

That this new law was a possible conflict of interest did not go by unnoticed, but Italians are feeling too poor to pay it much attention. After 10 years of near-zero economic growth—Bank of America predicts 0.5 percent growth this year—they are demanding security, financial and otherwise. And Berlusconi is delivering, with an iron-fist-in-velvet-glove competence. Emblematic has been his ability to clean up Naples, buried for months under trash in part because the surrounding communities simply did not trust the government to manage the landfills. Ever the showman, Berlusconi held cabinet meetings in Naples—fulfilling a campaign promise to do so until the trash was cleared—and appointed a "garbage czar" to fix the problem. In July, Parliament approved Berlusconi's plan to open new landfills and incinerators, and permit soldiers to protect temporary landfills from angry residents. Days later Berlusconi said 50,000 tons of trash had been removed.

With a similar resolve he tackled the perception that violent crime is on the rise (despite data showing otherwise), and that foreigners are to blame for it. In July, the government declared a state of emergency to fight illegal immigration and proposed a law mandating fingerprinting for all Roma living in camps in Italy. Berlusconi softened the plan in the face of opposition from human-rights groups and the European Union. But in early August, he deployed thousands of troops throughout Italy in a bid to crack down on immigration and petty crime.

Such tough tactics could give Berlusconi the cover to tackle some of Italy's deeper issues. Italians now pay some of the highest taxes in Western Europe, at 43 percent, and have some of the lowest salaries—leading to widespread tax evasion. Public debt remains at more than 100 percent of GDP; servicing it costs Italy 5 percent to 6 percent of GDP annually, says Bank of America's Gilles Moec. Berlusconi has pledged to reduce spending (in contrast to his first term), but doing so will make it harder to fulfill a pledge to cut taxes or to stimulate growth. Yet Berlusconi must figure out a way. Italians like him now, but what they really want is economic stability. Cleaning up trash and harassing immigrants won't be enough.

Un grande Ministro degli Esteri

Ho raramente incontrato uno così pavone come Franco Frattini. Preoccupato più del colore delle cravatte che dei motivi per cui è stato votato (e che forse ignora persino lui)




Franco Frattini, ex socialista di craxiana memoria, è uno dei personaggi più impresentabili mandati a Bruxelles dall'italietta bipartisan e rissosa di questi anni. Rientrato lo hanno fatto Ministro degli Esteri grazie a questa legge-truffa con prerefernze bloccate e decise dai Partiti (precedentemente era stato trombato nel 2001). Un gran Ministro degli Esteri a leggere il pezzo che segue...

FRATTINI & FRATTAGLIE
Massimo Gramellini per La Stampa

Franco Frattini non parteciperà al vertice europeo dei ministri degli Esteri sulla guerra del Caucaso perché impegnato in una vacanza alle Maldive. Ignoriamo il contenuto, ovviamente segreto, della delicata missione che il ministro sta svolgendo in quel lontano arcipelago, dietro lo schermo ufficiale del viaggio di piacere.

Ma che si tratti di far rientrare la ribellione armata (di stuzzicadenti) del contingente di gitanti bergamaschi innervositi dalla cattiva qualità delle olive negli hotel di Fua Mulaku, oppure di fungere da arbitro nella disputa territoriale fra due vicini di bungalow dell’atollo di Bathala circa l’uso dello stendino per i costumi, non vi è dubbio alcuno che la nostra diplomazia saprà essere all’altezza della situazione, essendo appunto le vacanze e i luoghi a esse collegati il contesto ideale per dispiegare i nostri talenti migliori.

Non finiremo mai di lodare la saggezza di Frattini e il suo pragmatismo: ci pensino quei boriosi dei francesi a far finta di dipanare l’ingarbugliato gomitolo caucasico. Noi presidiamo i bungalow e l'oliva, senza escludere un vertice sugli sci d’acqua con il democratico americano Barack Obama, in ferie di lavoro alle Hawaii. Però disertare la riunione europea di Bruxelles sarebbe stato maleducato. Così, al posto del ministro con le pinne il fucile e gli occhiali, a rappresentare l’Italia sarà una giovane promessa della politica: il sottosegretario Vincenzo Scotti, omonimo del notabile democristiano risalente al periodo mesozoico della Repubblica. Ma talmente omonimo che è proprio lui.

La Stampa - Signori non più giovanissimi, vi eravate dimenticati della sua esistenza? E voi, ragazzi, nemmeno sapete chi sia? Enzo-Vincenzo Scotti, 75 anni, napoletano, è invece ancora dei nostri. Democristiano eletto per la prima volta alla Camera nel ‘68, ministro a ripetizione (anche all’Interno e alla Farnesina), in governi retti da premier che portavano il nome di Giulio Andreotti e Bettino Craxi, e poi inguaiato da Mani pulite, è ora sottosegretario agli Esteri. Oggi è il suo gran giorno: al posto di Franco Frattini, a Bruxelles, per discutere coi grandi d’Europa ci sarà lui. L’ultima volta che ci andò, la Georgia nemmeno esisteva..

Per chi non avesse chiaro chi è Frattini 1:
intervistato da Reuters ha dichiarato la sua intenzione di indagare possibilità tecniche per mettere in atto il monitoraggio e la censura di “parole pericolose” come “bombe”, “uccidere”, “genocidio” e “terrorismo” ed è attesa una proposta agli stati membri nel Novembre 2007

Per chi non avesse chiaro chi è Frattini 2:
2007
Frattini è stato censurato dall'Europarlamento per le sue esternazioni contro la libertà di movimento delle persone nella UE. Nell'intervista riliasciata e pubblicata il 2 novembre Frattini sottolineava che per rispondere al problema sicurezza
« ...quello che si deve fare è semplice: si va in un campo nomadi a Roma, ad esempio sulla Cristoforo Colombo, e a chi sta lì si chiede "tu di che vivi?". Se quello risponde "non lo so", lo si prende e lo si rimanda in Romania. Così funziona la direttiva europea: semplice e senza scampo. » (fonte wikipedia e agenzie)

I nostri "biscotti"

Posto la foto di un'altra storica combine italiana. Trattasi di Italia-Camerun el mondiale 1982 (stando almeno a quanto dice Oliviero Beha)




Vi ricordate gli Europei quando i giornalisti Rai e i loro accompagnatori berciavano di un presunto biscotto (combine) degli olandesi per fare fuori dalla fase successiva una squadretta che aveva segnato cl contagocce e non meritava di andare avanti (dimenticate la vittoria con la Francia che i transalpini erano così cotti che si sarebbero fatti battere dal San Marino)? Ricordate le nostre squallide vestali a minacciare, inveire contro l'avverso destino. Guai, guai agli olandesi se non dovessero battere la Romania. Poi arrivano le Olimpiadi e l'Italia non batte il Camerun (che si farà massacrare dal Brasile) e persino i giornali cinesi parlano di combine. Non c'è nulla da dire. O meglio, ci sarebbe, ma poi fioccherebbero le querele.

da Repubblica.it

Italia-Camerun, pari e fischi. Blatter e Abete attaccano
Il pari va bene a tutti. I dirigenti: "Brutto spettacolo"
Gli azzurri chiudono al primo posto ed evitano il Brasile ai quartidal nostro inviato MARCO MENSURATI

TIANIJN - Iniziata come una partita vera, la sfida tra Camerun e Italia - in palio un buono per evitare di incrociare il Brasile nella prossima partita - finisce in un mezzo biscotto. Uno spettacolo talmente avvilente e noioso che addirittura i cinesi, popolo paziente per eccellenza, finiscono per fischiare e reclamare la restituzione dei soldi del biglietto. Il boato di delusione che esplode al 90' dovrebbe far riflettere un po' tutti: forse i tifosi e le Olimpiadi in generale meritavano un po' più di rispetto.

Inevitabile alla fine la polemica. Blatter, presidente della Fifa: "Meglio non commentare quello che ho visto". Abete, che di solito non si sbilancia mai: "Un brutto spettacolo". Casiraghi difende la prestazione della squadra: "L'harakiri esiste in Giappone, non in Cina. Abbiamo giocato tre partite in sei giorni, c'era un caldio bestiale".

Eppure, all'inizio, nonostante un pareggio andasse bene a entrambe le squadre, nonostante il terreno, -una "spiaggia dipinta di verde" l'hanno ribattezzato i brasiliani che qui ci hanno giocato le prime due partite - nonostante il caldo soffocante e, soprattutto, nonostante l'arbitro pasticcione, Italia e Camerun almeno ci hanno provato. Soprattutto in avvio, quando la squadra che aveva più da perdere, il Camerun, ha cercato di metterla subito sul piano a lei più congeniale, quello agonistico e atletico.

L'impatto dei camerunensi con il match è stato piuttosto duro. Tanto duro che, già al 13', hanno rischiato di portarsi in vantaggio. Su calcio di rigore. In area ci erano arrivati quasi per caso. Ma una volta lì hanno pescato il colpo di spalla di Bocchetti scambiato dall'assistente dell'arbitro Vasquez per un tocco col braccio. Per fortuna degli azzurri, sulla realizzazione, Emiliano Viviano portiere del Brescia, classe '85, trova il guizzo giusto, legge la traiettoria e salva il risultato.

Il Camerun però insiste. Non ha la minima intenzione di accontentarsi del suo punto e qualificarsi ai quarti. E quindi spinge sul versante agonistico del match, forse ancora più di prima. E' qui che l'arbitro dà il peggio di sé permettendo nella fase centrale del primo tempo agli "indomabili" entrate troppo violente e scomposte - seppure quasi mai cattive. Ed è proprio in conseguenza di una di queste entrate che finisce la partita. Subito dopo un rigore reclamato dagli azzurri (aggancio in area di Giovinco e uscita spericolata ma, probabilmente, regolare del portiere avversario) in un incrocio con Nocerino a centrocampo, il colossale Mandjeck entra in maniera sconsiderata prendendo in pieno il piede dell'avversario. Rosso diretto.

A quel punto, con un uomo in meno e un po' di acido lattico nelle gambe, il Camerun - che perdendo avrebbe rimesso in gioco la Corea - decide di accontentarsi. E si ferma. Nel senso letterale del termine. Ne viene fuori una palude immobile di passaggetti e mezzi tocchi che spazientisce persino il pubblico cinese, che mai si sarebbe sognato di dover fischiare a uno dei molti avvenimenti delle sue attesissime olimpiadi.

L'Italia dal canto suo sta al gioco. Non tanto per paura di qualcosa di particolare quanto perché il caldo e l'umidità stringono il water drop, lo stadio da 80 milioni di dollari costruito per l'evento, in una morsa micidiale. E perché il torneo è ancora lungo.

Follìe olimpiche




Russia contro Georgia lite anche nel beach volley
La nazionale georgiana composte da brasiliani "naturalizzati". Protestano i russi: "Abbiamo giocato contro il Brasile, questi non conoscono nemmeno il nome del presidente giorgiano"

EMILIO MARRESE per la Repubblica

PECHINO - Dopo l'abbraccio da libro Cuore sul podio, che aveva commosso e fatto scrivere pagine, tra la russa Paderina e la georgiana Salukvadze, argento e bronzo nella pistola dieci metri, oggi al beach volley è finita ben diversamente: la tregua olimpica s'è insabbiata. Le atlete russe, eliminate dalle georgiane, hanno fatto notare di essere state buttate fuori, in realtà, da due brasiliane naturalizzate a suon di dollari. E il presidente della federazione georgiana ha risposto a brutto muso: zitte voi che ci state invadendo. "Abbiamo giocato contro il Brasile, non la Georgia" , ha detto la russa Alexandra Shiryaeva dopo l'incontro, perso per 1-2: "Queste non conoscono nemmeno il nome del presidente georgiano". Non ha tutti i torti, la ragazza: Christine Santanna e Andreeza Chagas hanno ottenuto la cittadinanza della Georgia senza nemmeno vivere in questo Paese. I loro nomi sono stati cambiati in Saka e Rtvelo, che sono poi le due parti del nome Georgia in lingua locale. Stesso discorso, e ancor più comico, per la coppia del beach volley maschile georgiano: altri due brasiliani ingaggiati dietro lauto compenso che si chiamano Renato Gomes e Jorge Terceiro, ma per esibirsi nel loro sport, non solo ai Giochi, si sono fatti ribattezzare Geor e Gia.


Il presidente della Federazione volley georgiana, Levan Akhvlediani, ha replicato alle accuse delle russe schiacciando duro, pure troppo: "Qui è solo sport e le guerre è meglio vincerle sui campi di gara: sono notti che non dormo per l'invasione russa del mio paese. Con le loro proteste le russe si sono dimostrate cattive perdenti. Ora che sono state sconfitte si lamentano di essere state battute dal Brasile, se avessero vinto, avrebbero detto di aver battuto la Georgia. Dopo lo scoppio della guerra molti dei nostri atleti volevano andarsene da Pechino, ma siamo rimasti su ordine del presidente Saakashvili e abbiamo continuato a gareggiare nel rispetto dello spirito olimpico, nonostante la preoccupazione, senza avere praticamente notizie delle nostre famiglie. Ma ora a casa sono sicuro che tutti sono molto contenti".


Geor e Gia invece avevano perso tre giorni fa contro il Brasile vero, campione olimpionico in carica (Ricardo ed Emanuel), col quale dividono allenatori e centro tecnico di preparazione: "In Georgia non è che ci stiamo molto: per il beach volley il Brasile è molto meglio". Solo per quello, naturalmente.