martedì, novembre 30, 2010

Minzolini e il modo di raccontare la truffa Alitalia

È legittimo chiedersi se Minzolini per esempio negli Usa o in Francia sarebbe ancora al suo posto? 

Vittorio Malagutti per "Il Fatto Quotidiano"

La mazzata più pesante, almeno finora, ha colpito Antonio Baldassarre. Giusto un mese fa l'ex presidente della Corte costituzionale si è visto recapitare dalla Consob una supermulta da 400 mila euro per aver diffuso nella seconda metà del 2007 "informazioni false e fuorvianti" sulla privatizzazione di Alitalia.
AUGUSTO MINZOLINI
Capitolo chiuso? Pare di no, perchè la Commissione di controllo sui mercati finanziari proprio in queste settimane sta tirando le somme di altre due indagini avviate a suo tempo sui vorticosi movimenti di Borsa che accompagnarono la vendita della disastrata compagnia di bandiera.

IL COLPO AL GOVERNO PRODISotto la lente dei commissari è finita una fantomatica offerta avanzata nel dicembre 2007 dai due fondi americani Evergreen e Thl. Ma il dossier di gran lunga più importante e delicato sul piano politico riguarda, tra gli altri, anche Silvio Berlusconi e il direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Tutto comincia il 27 marzo 2008 quando Minzolini, all'epoca cronista politico del quotidiano La Stampa di Torino, firmò un articolo in cui il Cavaliere annunciava una cordata made in Italy di compratori per l'Alitalia.
Il governo Prodi era agli sgoccioli e mancavano solo due settimane alle elezioni politiche del 13 aprile. "La cordata esiste, eccome", disse Berlusconi secondo Minzolini. Quelle parole ebbero l'effetto di una bomba, anche perchè l'Alitalia era uno dei temi caldi della campagna elettorale. Solo che non era vero niente. A quell'epoca non c'era nessun gruppo di investitori italiani pronti a fare un'offerta per privatizzare Alitalia, che invece era vicinissima ad essere venduta ad Air France.
E fu il Cavaliere in persona a 24 ore di distanza a smentire le dichiarazioni pubblicate da La Stampa a firma Minzolini. Si tratta di "indiscrezioni o supposizioni da parte giornalistica", si affrettò a precisare Berlusconi, che all'epoca interveniva un giorno sì e l'altro pure per difendere, diceva lui, la svendita allo straniero dell'Alitalia.
Ormai, però, il danno era fatto. L'articolo fece partire a razzo le quotazioni borsistiche della compagnia aerea. In un sol giorno il titolo fece un balzo del 10,9 per cento con milioni di pezzi scambiati. La cordata, in realtà, si formò solo sei mesi più tardi dopo che Air France, spaventata anche dall'ostilità del centrodestra, si era ritirata han 40 giuseppe vegas
Nel frattempo però la Consob aveva già aperto un'inchiesta ravvisando nell'articolo di Minzolini il fumus della manipolazione informativa, cioè la diffusione di "informazioni, voci o notizie false o fuorvianti" in merito ad azioni quotate in Borsa. Lo stesso Lamberto Cardia, il prudentissimo presidente dell'Authority di controllo sulla finanza, in quelle settimane era arrivato a raccomandare grande prudenza, perchè, come dichiarò in un'intervista al Sole 24 Ore, "quando un politico manifesta desideri o finalità da raggiungere può innescare movimenti del titolo e rendere squilibrato il mercato".

Parole che sembrano scelte con cura per descrivere l'intervento berlusconiano. La Commissione si è mossa con i piedi di piombo. Dopo aver elaborato, come prassi in questi casi, una gran mole di dati sugli scambi borsistici di quei giorni caldi, sono state raccolte le dichiarazioni di alcuni presunti partecipanti alla cordata tirati in ballo da Berlusconi nell'articolo. Tra questi anche l'Eni, Mediobanca i gruppi Ligresti e Benetton. Tutti hanno chiarito che a marzo del 2008 non erano stati coinvolti in nessun piano alternativo a quello di Air France per privatizzare l'Alitalia.

LA VERSIONE DI AUGUSTOInsomma, a voler credere alle dichiarazioni di tutti i protagonisti, quell'articolo che mise a rumore i mercati spacciava come vere una serie di bufale. Non solo i presunti acquirenti a quell'epoca non avevano progetti concreti per mettere le mani sulla compagnia di bandiera. Ma, a quanto pare, lo stesso Berlusconi a marzo del 2008, non avrebbe mai pronunciato le parole attribuitegli nell'intervista.
A questo punto, per chiudere il cerchio, non restava altro da fare che chiedere a Minzolini la sua versione dei fatti. Ed è esattamente quello che hanno fatto gli ispettori della Consob, ricevendo una riposta piuttosto sorprendente. Il futuro direttore del Tg1 ha scelto di minimizzare, precisando che quelle parole attribuite a Berlusconi erano in sostanza il frutto della sua libera interpretazione delle posizioni del Cavaliere.
Fin qui l'istruttoria della Commissione, che come spesso accade, non si può dire si sia mossa a gran velocità. Del resto anche il verdetto su Baldassarre e la sua cordata fantasma è arrivato a quasi due anni di distanza dai fatti incriminati. Per non parlare dell'inchiesta giudiziaria vera e propria. Solo nei giorni scorsi la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dell'ex presidente della Corte Costituzionale. E Berlusconi? La Commissione si trova di fronte a una scelta molto delicata.
Tanto più in questi giorni che precedono l'insediamento del nuovo presidente Giuseppe Vegas, politico del Pdl nonchè viceministro dell'Economia. Sembra escluso a questo punto che i commissari decidano di sanzionare il presidente del Consiglio.
Una scelta clamorosa che sarebbe difficile da giustificare visto che il Cavaliere ha corretto le sue posizioni a poche ore dalla pubblicazione dell'articolo, di fatto sconfessando Minzolini. Il quale è rimasto con il cerino acceso in mano. E' lui l'unico ad aver messo la firma sotto una serie di informazioni che si sono rivelate quantomeno inesatte ma con effetti concreti. E' anche vero, d'altra parte, che lo stesso Minzolini ha ridimensionato l'episodio.
Resta da vedere se la Consob si accontenterà delle sue spiegazioni oppure proporrà un qualche tipo di sanzione nei confronti del giornalista. Che nel frattempo, come noto, ha fatto carriera. E ha continuato a raccontare di Alitalia e delle gesta berlusconiane. Questa volta dalla poltrona di direttore del Tg1.

Altro che Bunga Bunga

Il Dipartimento di Stato è preoccupato perché a Washington credono che i due compagnucci Putin e Silvio facciano affari, non politica fra di loro...
Fonte Dagospia & Il fatto

1- BERLUSCONI RIDE? NO, E' NERO COME LA PECE...Scrive Ugo Magri su "La Stampa": E per fortuna che Berlusconi «si fa una risata», che lo tsunami di «Wikileaks» non lo sfiora, come prova a far credere la propaganda del Cavaliere... In verità il premier è nero come la pece. Basta incrociarlo qui a Tripoli per accorgersi che, se potesse, i giornalisti li metterebbe tutti in una gabbia: appena spuntano lui si alza di scatto e se ne va...

2- "ORA VI SPIEGO CHI E' IL MEDIATORE". PARLA MASSIMO CIANCIMINO
Marco
Lillo per "Il Fatto Quotidiano"

Quando ha letto i report dell'ambasciata americana pubblicati da Wikileaks sugli affari di Berlusconi e Putin con l'energia, Massimo Ciancimino ha sorriso. "Da sei anni dico i, tè cose e nessuno mi ascolta: la verità è che gli amici di Berlusconi hanno usato gli stessi canali e mi hanno soffiato l'affare".
Antonio Fallico con Putin
Ciancimino, non esageri: dopo la trattativa Stato mafia, ora ci vuole spiegare pure la trattativa Putin-Berlusconi sul gas, non le sembra un po' troppo?
Io sono stato prima un protagonista e poi una vittima di quella trattativa. Wikileaks riporta la nota degli americani in cui si parla del mediatore italiano che parla russo? Tutti si chiedono chi sia. Bene, io "il mediatore" lo conosco bene, si chiama Antonio Fallico, e chi me lo ha presentato lo definiva 'la chiave per Gazprom'.
Perché 'il mediatore' sarebbe Fallico e qual è il suo ruolo?
ASSANGE
Il Fatto ne ha già parlato: è un siciliano che è stato nominato presidente di Zao Bank, la filiale di Banca Intesa a Mosca. Io l'ho conosciuto prima del mio arresto quando per primo avevo capito le potenzialità del buisiness dell'energia e trattavo con Gazprom per importare il gas dalla Russia. Ero a un passo dalla conclusione, poi mi hanno indagato e l'affare se lo sono preso gli amici di Berlusconi. Se il contratto , fosse andato in porto nella sua interezza, avremmo guadagnato 180 milioni di euro di utili all'anno. Tanti soldi che permettono di far guadagnare tante persone, sia in Italia che in Russia.
OBAMA LABBRO SPACCATO
Andiamo per ordine. Ci spieghi come pensava di importare il gas e qual era il ruolo di Fallico.
Per importare il gas dalla Russia ci vuole l'accordo di Gazprom. Grazie proprio ad Antonio Fallico ero riuscito ad agganciare i vertici di Gazprom, in particolare Alexander Medvedev, che è il direttore generale della Gazprom Export e che non va confuso con Dmitri Medvedev, attuale presidente russo.
Ciancimino, Gazprom fattura 4 mila e 250 miliardi di euro e fa utili per 450 miliardi. Scusi la domanda ma perché doveva mettersi in affari con voi?
Voglio ricordarle che la Fingas del professor Lapis aveva appena incassato 120 milioni di euro dalla vendita agli spagnoli della Società che aveva metanizzato i paesi siciliani. E la nostra forza era proprio questa: solo una piccola società come la nostra poteva agire in maniera "agile" e meno burocratica nella seconda fase degli accordi, quella che prevedeva il ritorno di parte dei soldi in Russia alle fondazioni vicine agli uomini di Gazprom. Non presentavamo i rischi connessi all'inserimento di società pubbliche e grandi come dimostra il recente caso Finmeccanica.
BERLUSCONI BUSH
Quando ha incontrato Fallico e Medvedev?
Medvedev lo ha incontrato, con Fallico, il professor Lapis a Vienna mentre io ho incontrato il suo collaboratore Nelson insieme a Fallico sempre a Roma in un hotel di via Veneto e poi nello studio dell'avvocato Ghiron. In quell'occasione abbiamo messo a punto tutti i dettagli dell'operazione che prevedeva la possibilità per noi di importare dalla Russia in Europa 6 miliardi di metri cubi all'anno attraverso la Slovacchia e la Slovenia. Il nostro guadagno sarebbe stato di 30 dollari ogni mille metri cubi.
E quanto sarebbe stato il "ritorno" per i russi, del quale ci spiegava prima?
L'accordo raggiunto a Vienna prevedeva che noi pagassimo per ogni mille metri importati una somma di dieci dollari, sui trenta incassati, alla Fondazione.
Quale Fondazione?
L'uomo della Gazprom, Nelson, ci disse che lui ci avrebbe indicato a quale Fondazione versare i soldi.
E cosa le disse Fallico?

Lui ci consigliò di seguire le indicazioni dei manager di Gazprom e comunque mi disse di finanziare con una piccola somma la Fondazione Putin per un balletto a Roma. Cosa che puntualmente abbiamo fatto. Insomma tutto procedeva per il meglio. Ad ognuno dei partecipanti all'operazione era stato garantito un ritorno. Stavamo andando a parlare con la Geoplin della Slovenia quando è uscita la notizia dell'indagine, anzi a dire il vero gli sloveni lo hanno saputo un giorno prima e si è bloccato tutto. Poi l'affare con Gazprom lo hanno fatto gli amici di Silvio Berlusconi.
Si rende conto che questa storia è basata solo sulle sue parole?
Mica tanto. Nell'anomala perquisizione in cui non aprirono la cassaforte mi fu sequestrato un bigliettino che stupì i carabinieri nel quale c'era il ringraziamento della Fondazione Putin e i biglietti da visita di Alexander Medvedev, di Nelson e Fallico.
Fallico è un siciliano come lei e si dice che abbia frequentato lo stesso liceo di Marcello dell'Utri. Ne avete parlato?
No. Fallico era certamente legato a Gaetano Micciché di Banca Intesa. Probabilmente è una persona vicina al mondo berlusconiano ma non abbiamo mai parlato di politica, con lui parlavo di affari.
Hillary Clinton, secondo Wikileaks, chiede se Berlusconi abbia interessi in comune con Putin nell'energia. Lei cosa pensa alla luce della sua esperienza?
Il contratto dell'Eni per l'importazione del gas è un segreto di stato e il margine di guadagno è enorme. Secondo me Berlusconi sta aiutando società a lui vicine e non mi stupirei se ci fosse una fondazione russa finanziata da qualche impresa coinvolta nell'affare.


3- FALLICO, SICILIANO A MOSCA: DAGLI AFFARI IN URSS ALL'ASSE ENI-GAZPROM
Massimo Mucchetti
per "Il Corriere della Sera"

Se non si troverà il nome nelle informative diplomatiche messe in rete da Wikileaks, è probabile che non si saprà mai con burocratica certezza a chi faceva riferimento l'ambasciata americana quando accennava a un mediatore riservato, che «parla il russo», tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. E tuttavia, da tempo, le cronache finanziarie individuano questa figura in Antonio Fallico, presidente di Intesa Sanpaolo Russia, advisor di Gazprom per l'Italia, e dunque abituale interlocutore di Eni ed Enel.
Sessantacinquenne, siciliano d'origine, abbigliamento anonimo ma fresco autore per Feltrinelli di un romanzo intrigante, «Prospettiva Lenin», ambientato nella Mosca della perestroika, Fallico ricevette grandi e pubblici elogi da Berlusconi in persona quando, nel 2004, il premier italiano volle intervenire all'inaugurazione della filiale russa di Intesa, benché questa avesse allora non più di 23 dipendenti.
Chi assistette alla scena rimase colpito dal fatto che Berlusconi non spese una parola per il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, e per l'amministratore delegato, Corrado Passera, presenti per ragioni d'ufficio, e quasi rubò la scena al collega russo Michail Fradkov, invitato d'obbligo. Del professor Fallico, Berlusconi ha parlato come del suo uomo di fiducia all'amico Putin.
Il quale, però, ha tutte le informazioni per sapere che Fallico ha una storia tutta sua, che può certo incrociare Berlusconi e i suoi amia come tanti altri imprenditori e uomini di governo italiani impegnati in transazioni con l'Urss e poi con la Federazione Russa e le altre repubbliche ex sovietiche. Una storia che ha perfino favorito il dialogo interreligioso tra il Patriarcato ortodosso di Mosca e i Francescani. Fallico mise piede a Mosca per la prima volta nel 1974 per seguire piccoli affari come il commercio di barre d'oro, per conto della Banca cattolica del Veneto.
Nel 1989 aprì la prima rappresentanza vera e propria del Banco Ambroveneto, che aveva nel frattempo assorbito la «sua» banca. E poi fu Intesa. Una così lunga durata presuppone un rapporto fiduciario molto forte con chi guida Intesa Sanpaolo, e cioè con Bazoli, ancorché il professore bresciano entri in scena 8 anni dopo l'esordio di Fallico all'ombra del Cremlino.
Berlusconi può aver pensato di annettersi questo raffinato ufficiale di collegamento tra Milano e Mosca forse perché, nella seconda metà degli anni Ottanta, Fallico aveva aiutato la Silvio Berlusconi Editore ad aggiudicarsi i diritti di alcuni libri sulle riforme gorbacioviane e in quelle occasioni aveva incontrato Fedele Gonfalonieri e Marcelle Dell'Utri, suo antico compagno di collegio a Brente. Ma la professione è una cosa e la mediazione privata un'altra. La distinzione è venuta a galla tra il 2005 e il 2006 sulla delicata questione del gas.
Gli accordi tra Eni e Gazprom prevedevano che l'azienda italiana retrocedesse alla russa 3 miliardi di metri cubi l'anno, già acquisiti tramite gli storici contratti take or pay, affinchè Gazprom potesse venderli direttamente a clienti italiani. Partita delicata per più di una ragione: Gazprom è considerato negli Usa il braccio secolare dell'imperialismo energetico del Cremlino; l'Eni non ha interesse a veder diminuire il suo molo di intermediario tra i pozzi siberiani e i consumatori italiani; i russi non hanno una rete di vendita propria in Italia e dunque devono appoggiarsi a qualcuno, e questo qualcuno sono soprattutto le ex municipalizzate.
Intesa Russia stava dunque cucendo un accordo tra Gazprom e le varie A2A, quando si è messo in mezzo un uomo d'affari milanese, Bruno Mentasti, di nessuna esperienza nel settore ma intimo dell'inquilino di Palazzo Chigi, con una joint-venture tra sé medesimo ed esponenti di Gazprom basata a Vienna. Intesa Russia consiglia cautela a tutti: se in Russia la catena di comando è ferrea, in Italia lo è assai meno.
E infatti Berlusconi perde le elezioni. Fallico porta Alexander Medvedev dal nuovo premier, Romano Prodi. L'Eni rientra in campo solo dopo per tornare al canovaccio iniziale, senza il passaggio da Mentasti, utile a lui e ai suoi soci, ma non a un trasparente commercio italo-russo. Si è così arrivati a una joint-venture tra A2A, Iren e Gazprom Germania, in attesa che il colosso russo apra la sua filiale italiana a Verona, dove Fallico anima la Fondazione Eurasia. E Berlusconi ha poi lasciato perdere.

Assassin's Creed Brotherhood - Rome

if it wouldn't be a videogame....

Funzionari di terzo livello un accidente

Fonte: la Repubblica


Come arrivano i dati di Wikileaks

Un gruppo di hacker si impossessa dei segreti della diplomazia americana e li diffonde su Internet causando uno sconvolgimento delle relazioni internazionali. Si riunisce il consiglio di sicurezza dell'Onu, alcuni capi di stato si dimettono, lo scandalo è mondiale. Una storia degna di un giallista, ma stavolta non è fiction. O almeno ne rappresenta il finale alternativo. In uno dei suoi primi libri, Crypto (1998), Dan Brown (Angeli e Demoni, il Codice Da Vinci), descrive i minuti precedenti la peggiore catastrofe dell'intelligence americana: un attacco concentrico di tutti gli hacker per svelare ciò che di segreto è contenuto nella più grande banca dati protetta del mondo rimasta indifesa a causa di un virus mutante introdotto nel sistema dal suo creatore per un calcolo politico sbagliato. Nel libro, la cavalleria informatica della National Security Agency (NSA), supersegreta agenzia di controspionaggio americana di Fort Meade, li ferma all'ultimo momento.

Ma stavolta non è andata così. Wikileaks ha realmente avuto accesso e pubblicato i segreti della diplomazia americana provocando uno sconquasso delle relazioni internazionali. Come ha fatto a ottenerli? Se si esclude un errore informatico (difficile), l'unica spiegazione per la fuoriuscita di milioni di documenti riservati e top secret è che qualcuno sia riuscito a violare le difese di uno o più database dove il materiale era custodito, visto che la numerosità dei file rende difficile pensare che ci fosse



qualcuno pronto a “sniffare” ogni comunicazione fra le ambasciate dei singoli paesi coinvolti e il Dipartimento di stato americano. Ma c'è un'altra spiegazione: il tradimento di qualcuno abbastanza in alto che, per calcolo o corruzione, ha voluto rendere noti i documenti riservati.

Wikileaks è un sito che pubblica informazioni che i governi tengono segreti e per questo si autorappresenta come un sito antiguerra e anticorruzione. Fondato da un gruppo di giornalisti e attivisti per i diritti umani, europei e americani, teologi della liberazione brasiliani e dissidenti cinesi e iraniani, è stato spesso alla ribalta per le modalità di raccolta di informazioni privilegiate e top secret che possono essere inviate al suo sito in assoluta segretezza grazie all'uso della crittografia. Un team di volontari organizza e pubblica queste notizie garantendo la segretezza, l'affidabilità e la sicurezza delle fonti, mentre un gruppo di hacker distribuito ai quattro angoli del pianeta si occupa della sicurezza del sito e di chi lo contatta.

Se Wikleaks 
ha i propri server principali 1presso il provider svedese di The Pirate bay, PRQ, noto per il livello di sicurezza che garantisce, ospitandoli in un bunker antinucleare, ne ha anche molti secondari (mirror) in altri paesi che proteggono la libertà d'espressione e altri ancora presso insospettabili cittadini. E' per questo che non si può fermare.

La politica di Wikileaks è che non mantiene traccia dei log (le tracce delle interazioni informatiche che avvengono verso i suoi server) per tutelare l'anonimato di chi gli invia i documenti riservati.
I documenti hanno una codifica da giornalismo americano, un checksum su ognuno di essi, ed è difficile pensare che siano inviati così alla rinfusa. Più facile pensare che ci sia un accordo di collaborazione con qualche gola profonda che per l'invio dei documenti sfrutta tutte le astuzie della comunicazione in codice.

La forza tecnologica di Wikileaks sta tutta nell'uso della crittografia, l'arte e la scienza delle scritture segrete, e di una variante informatica della crittografia, che è la cifratura a doppia chiave, pubblica e privata. Con un meccanismo a chiave e serratura, se non hai la prima chiave, non puoi aprire la porta solo con la seconda chiave. In genere la chiave pubblica viene scaricata da appositi server, scambiata in modo informale, con metodi tradizionali, anche al bar su un foglietto di carta, o a una festa e serve al mittente per cifrare il documento, che il destinatario decifrerà con la sua chiave privata. Se qualcuno intercetta il documento con la chiave pubblica e non ha la chiave privata, il contenuto non può essere decifrato, ma solo decrittato, come? Con un attacco di forza bruta, mettendo migliaia di processori a lavorare in parallelo per tentare i miliardi di combinazioni alternative della chiamiamola così, “password” del documento. La variante cruciale qui diventa il tempo a disposizione per farlo, calcolato in anni luce informatici.

Ma quando Phil Zimmermann andò incontro a un processo per aver creato e distribuito quella che era considerata un'arma da guerra, il software a doppia chiave per la tutela della privacy, il PGP (Pretty Good Privacy), il governo americano gli impedì di comunicare all'estero la versione elettronica del software. Phil Zimmermann ne stampò una versione su carta e con quella viaggiò fino ad Amsterdam senza essere fermato. E dove fu ricompliato aprendo la strada alla “crittografia per le masse” a livello commerciale.

Ecco, non ci vogliono tecnologie da superpotenza per trasferire delle informazioni delicate, basta un po' d'inventiva.

Perciò per capire quello che è accaduto e immaginare cosa accadrà in seguito, bisogna pensare che questa imponente fuga di notizie è il risultato di una miscela di fatti concomitanti, leggerezza, difese deboli, attori con pochi scrupoli pronti a sfruttare la situazione a proprio vantaggio.

Infatti la maggior parte dei doc svelati hanno validità “restriced” e non “classified”, quindi consultabili da funzionari di basso livello, altri no, ma il punto vero è che Wikileaks ha degli informatori. Che non sono cybernauti qualsiasi. Forse non c'è bisogno di ipotizzare un attacco informatico di alto livello per penetrare le difese della diplomazia americana.
 
* Arturo Di Corinto con Alessandro Gilioli è autore del lbro “I nemici della rete” (Rizzoli 2010)

Mario Monicelli - LA SPERANZA E' UNA TRAPPOLA

Ciao maestro

Perché Silvio deve andare via


Oltre Wikileaks, da Bondi fino a Brancher 
Tutti gli scandali del governo Berlusconi
In Italia non c'è bisogno di nuove rivelazioni internazionali. Qui tutti gli scandali, quelli vecchi e quelli nuovi, sono alla luce del sole
Le rivelazioni di Wikileaks sono l’ultimo graffio su una macchina che sembra pronta alla rottamazione. I problemi di Silvio Berlusconi non si limitano ai rapporti con gli americani che lo considerano un “inaffidabile e vanitoso” amico di Putin. Accanto al timore per il contenuto dei nuovi cablogrammi Usa che sarà reso noto nei prossimi giorni, il premier deve fare i conti con la quotidianità degli ultimi mesi: i rifiuti di Napoli, la ricostruzione mancata dell’Aquila, l’Unione europea che proprio oggi ha richiesto una nuova manovra finanziaria se l’Italia non ridurrà al 3% il rapporto deficit/Pil entro il 2012 (ora la previsione è del 3,5%). Insomma, c’è poco da stare allegri. Anche perché, il 14 diccembre è alle porte. Quel giorno Berlusconi si troverà sotto un fuoco incrociato. Da una parte la Corte costituzionale che si esprimerà sulla legittimità del lodo Alfano, dall’altra la fiducia all’esecutivo a Camera e Senato. Ma non è tutto. Nelle ultime settimane, il Cavaliere si è dovuto pure adoperare per convincere il ministro Mara Carfagna a non dimettersi e a non lasciare il Pdl. Ha fronteggiato il caso Ruby, la giovane marocchina “salvata” con una telefonata alla questura quando lei era minorenne e ha dribblato le ultime rivelazioni di Nadia Macrì. Ovvio quindi che il presidente del Consiglio sia in affanno. Anche perché il suo esecutivo non sta meglio. I ministri o gli ex ministri nella bufera sono tanti. Il caso Bondi, che ha sistemato figlio ed ex marito della compagna e poi aiutato (creando persino un premio cinematografico ad hoc) l’attrice ballerina bulgare Michelle Bonev, è solo l’ultimo di una lunga serie. Dopo Scajola, a cui pagavano casa a sua insaputa, dopo Brancher, ministro per due settimane e dopo Michela Vittoria Brambilla che tra Aci e ministero ha sistemato la metà dei fedelissimi, nella corte di re Silvio l’aria ormai è da fine impero.    

Ma ecco una guida ragionata e necessariamente breve ai protagonisti dei principali scandali degli ultimi mesi
Aldo Brancher
Ministro per diciasette giorni. Tanto è durato il regno di 
Aldo Brancher al dicastero del Decentramento e della Sussidiarietà. Parabola discendente che termina il 28 luglio quando il tribunale di Milano condanna lo stesso Brancher a due anni di reclusione per ricettazione e appropriazione indebita nel processo con rito abbreviato per la vicenda Antonveneta. La sentenza dei giudici milanesi svela l’antefatto di una nomina subito definita ad personam. Si inizia il 18 giugno quando il presidente della Repubblica firma il decreto di nomina. Sei giorni dopo, il neo ministro invoca il legittimo impedimento e non si presenta in aula dove è indagato assieme alla moglie. I suoi legali parano le polemiche. Dicono che il loro assistito ha bisogno di tempo per riorganizzare il ministero. Niente tribunale, dunque. Il giorno dopo arriva la doccia fredda del Quirinale. Quel ministero, fa notare il Colle, è senza portafoglio. E dunque c’è ben poco da organizzare. Per il governo la situazione inizia a farsi insostenibile. Nella querelle entra anche il presidente della Camera. “Non voglio – spiega Gianfranco Fini – che nel mio partito e nel governo ci sia nemmeno il sospetto che c’è qualcuno che si vuol far nominare ministro perché non vuole andare in Tribunale”. E’ il primo di luglio. Un mese particolare per l’attuale leader di Fli. Da lì a poco, infatti, scoppierà l’affaire della casa di Montecarlo. Il cinque luglio, Brancher rompe gli indugi. Si presenta in aula e annuncia le sue dimissioni. Inizia e finisce così la storia dell’ex prete di Trichana (Belluno) che negli anni Ottanta molla la tonaca per seguire gli affari di Marcello Dell’Utri e Fedele ConfalonieriLui, l’unico ministro della storia repubblicana, diventato tale sebbene fosse reo confesso di aver pagato mazzette . Capita negli anni Novanta, quando Tangentopoli travolge Napoli e il ministero della Sanità.
Gianni Letta
Abuso d’ufficio, turbativa d’asta e truffa aggravata. Tanto vale perché il nome di 
Gianni Lettafinisca sul registro degli indagati. La notizia sul sottosegretario alla Presidenza del consiglio deflagra alla fine di settembre del 2009. Le accuse nei suoi confronti sono legate a presunti favori a “La cacsina”, holding di cooperative vicina a Comunione e Liberazione. Si tratta di un appalto per un centro di assistenza per richiedenti asilo a Policoro, in provincia di Matera. L’indagine è partita dalla procura di Potenza (i primi accertamenti sono stati decisi dal pm Henry John Woodcock). Dopo un conflitto di attribuzione con Roma però, il fascicolo viene trasferito alla piccola procura di Lagonegro, in provincia di Potenza. Prima della carriera politica, Letta lavora alla Fininvest. Fa il vicepresidente. E come tale nel 1993 viene ascoltato dall’allora pmAntonio Di Pietro. Davanti a lui ammette un finanziamento illecito di 70 milioni di lire, versati nel 1989 all’allora segretario del Psdi Antonio Cariglia.“La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata tramite fattorino”, racconta il futuro sottosegretario. Lo salva però l’amnistia del 1990. Cariglia, a sua volta sentito dai magistrati, comunque chiarisce: ”Con Letta sono amico da tempo e, in una fase in cui i nostri rapporti con il PSI erano molto difficili, sapendo che la Fininvest aveva ottimi rapporti con il PSI, mi rivolsi a lui perché il PSDI avesse più spazio in televisione e non fosse discriminato”.
Roberto Calderoli
Il ministro per la Semplificazione normativa finisce nell’inchiesta Antonveneta. A tirarlo in ballo è l’ex ad di Bpl e Bpi Giampiero Fiorani.
 Inizialmente, Calderoli viene indagato per appropriazione indebita. Accusa derubricata successivamente in ricettazione. E alla fine totalmente archiviata. Un accusa però imbarazzante visto che a muoverla, e a riperla nel corso di tutti i suoi interrogatori, è Fiorani. L’ex banchiere lodigiano sostiene infatti di aver versato a Aldo Brancher 2oo milioni di lire “che doveva dividere con Calderoli”. Per quanto riguarda Brancher si trovano i riscontri e si arriva alla condanna. Per quanto riguarda Caldroli no. E arriva così l’archiviazione. Senza però che il ministro per la Semplificazione denunci Fiorani per calunnia.
Renato Schifani
Non solo politica per il presidente del Senato Renato Schifani. Ci fu un tempo, infatti, in cui il parlamentare Pdl faceva l’avvocato a Palermo. Niente di male se no fosse per una serie di particolari oggi  imbarazzanti. Non solo perché l’attuale seconda carica dello Stato si è così ritrovato a sedere in una società, la Siculaborker, accanto a soci poi condannati per fatti di mafia, come il boss di Villabate, Nino Mandalà. Ma anche perché Schifani, assisteva sia in sede civile, sia come consulente extra-giudiziale, molti clienti legati a Cosa Nostra. Uno di questi, Giovanni Costa, poi condannato in primo grado per ricilcaggio, utilizzava Schifani come consulente in una serie di operazioni immobiliari finite nel mirino della magistratura. Inoltre c’era l’attività di penalista specializzato nei procedimenti di sequestro preventivo dei beni. In queste vesti, nel 1983, Schifani ha anche seguito  Giovanni Bontate, fratello di Stefano, il principe di Villagrazia ucciso a Palermo nel 1981, indicato da alcuni testimoni e collaboratori di giustizia come uno dei presunti finanziatori siciliani di Silvio Berlusconi. Oggi Schifani, stando a quanto ha rivelato L’Espresso, è sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa. Il settimanale ha anche raccontato come Schifani già negli anni Ottanta fosse solito viaggiare dalla Sicilia a Milano per rendere vista a Marcello Dell’Utri e il futuro premier.  Eletto nel collegio siciliano di Altofonte-Corleone, secondo il pentito Gaspare Spatuzza, Schifani potrebbe essere stato uno dei canali tra i boss Filippo e Giuseppe Graviano, e il duo Berlusconi-Dell’Utri. In passato, come raccontato da IL Fatto Quotidiano, era già stato per tre volte indagato e altrettante archiviato.
Sandro Bondi
Il ministro della Cultura si è rivelata una persona di cuore, disposta ad aiutare i “casi umani”, come li ha definiti, ma solo quelli della famiglia della compagna, Manuela Repetti. Ma si è speso anche per l’attrice ballerina bulgara Michelle Bonev, creandole, fra l’altro, un premio ad hoc alla mostra del cinema di Venezia. Dopo aver sistemato il figlio di Repetti, Fabrizio Indaco, si è impegnato per l’ex marito della donna, 
Roberto Indaco, riuscendo a individuare nella relazione di spesa del Fus 2009, in tempi di tagli selvaggi al settore, una consulenza da 25mila euro. “Si tratta di una vicenda molto dolorosa”, ha detto al riguardo chiedendo “rispetto” perché è una questione “del tutto personale e privata”. Pubblica, invece, la vicenda legata a Michelle Dragomira Bonev.Per l’amica “molto cara al presidente Berlusconi” il ministro Bondi ha inventato dal nulla, dando prova di infinita creatività, a una serata evento al Lido con presenza della collega di governo, Mara Carfagna, una targa premio, fotografi e comparse varie. In un turbine di smentite poi smentite e rismentite, il titolare della cultura ha scoperto, in pieno stile Scajola, di aver premiato un film fantasma: “Goodbye Mama”, che avrebbe dovuto consegnare Michelle Bonev al firmamento cinematografico internazionale, non l’ha visto nessuno. Né in Italia né in Bulgaria. Così come il cachet della serata: nessuno avrebbe pagato la trasferta della delegazione di 32 persone portate sulla laguna ad assistere alla farsa bondiana. Secondo il ministro ha pagato la Bulgaria, ma il portavoce del premier bulgaro smentisce: “Tutto a carico del ministero dei beni culturali italiani”. Bonev, per riconoscenza, è intervenuta nella bagarre di dichiarazioni: “Ho pagato tutto io”. O meglio, “il mio fidanzato”. Soggiorni a cinque stelle? Cene sontuose? Red carpet? A Sofia dubitano.

Venerdì il ministro della Cultura bulgaro, Vezhdi Rashidov, intervenendo telefonicamente a un programma televisivo
 (video sottotitolato), ha detto: “Il nostro viaggio al Lido? Ho un invito ufficiale del ministro Sandro Bondi” (ecco il documento). Poi il colpo di teatro. Una lettera protocollata del primo ministro bulgaro Borissov datata 30 agosto (ecco il documento), in cui addirittura le autorità bulgare dettano all’Italia le condizioni. “La tratta si deve svolgere in aereo: Sofia-Venezia-Sofia. Viaggio e alloggio saranno coperti da chi ci riceverà”. La questione sta diventando un caso diplomatico (leggi l’articolo), visto che ieri lo stesso Bondi è intervenuto per smentire l’omologo bulgaro. Così, dal film fantasma, emerge una sorta di telenovela. Con il finale ancora tutto da scrivere.
Claudio Scajola
Da ministro dell’Interno nel Berlusconi 2 vantava già un piccolo primato: il disastro organizzativo del G8 di Genova e la battuta “Marco Biagi era un rompicoglioni che voleva la scorta”. Fu solo la seconda che lo portò alle dimissioni. Ritornato in sella nell’ultimo esecutivo, si dimette per la seconda volta da ministro (questa volta per lo Sviluppo Economico) dopo lo scandalo cricca/Propaganda Fide, quando si scopre che il “mezzanino” vista Colosseo in cui il ministro vive è stato pagato in parte con 80 assegni circolari intestati all’architetto Zampolini per un totale di 900mila euro. Zampolini è il progettista vicino a Diego Anemone, imprenditore accusato di avere ottenuto diversi appalti dalla Protezione Civile in cambio di sostanziose mazzette, in forma di immobili a prezzi di comodo e ristrutturazioni non fatturate. L’inchiesta su Anemone trascina con sé molti nomi noti: il procuratore Achille Toro, il funzionario del ministero delle infrastrutture Ercole Incalza, l’ex ministro Pietro Lunardi, lo stesso capo della Protezione Civile Bertolaso. 
Il 4 maggio, Scajola lascia il posto di ministro, sostenendo di avere regolarmente pagato 600mila euro – con tanto di mutuo – per la casa e che il resto, se esiste, sia stato versato “a sua insaputa”.
Paolo Romani
Ha lavorato duro e alla fine è stato premiato con il ministero dello Sviluppo economico, come sostituto di Claudio Scajola. Romani del resto è uomo di fiducia di Silvio Berlusconi da decenni, tanto da essere da sempre soprannominato  “il ministro delle tv”.  Quelle di Berlusconi.  
Anche se, va detto, a Mediaset non ha mai lavorato. Ma per il Biscione ha sempre avuto buone idee. Nel 2005 è nominato sottosegretario alle Comunicazioni. Si allontana dalla capitale solo su incarico del Cavaliere per risolvere due vicende delicate: individuare un erede per guidare il partito in Lombardia, dove i ciellini di Formigoni creano qualche problema, e risolvere l’annosa e imbarazzante questione dell’area monzese della Cascinazza, di proprietà del fratello del premier. Una volta nominato ministro individua il modo per risanare una volta per tutte la Rai. Privatizzazione? No. Far pagare a tutti il canone della televisione pubblica. Il provvedimento, ha annunciato, potrebbe entrare nel milleproroghe: chi ha la corrente elettrica e paga regolarmente la bolletta dovrà versare anche il canone, a meno che non riesca a dimostrare di non possedere una televisione in casa. Ma si era già adoperato affinché l’agcom non divenisse “troppo imparziale”, bocciando gli emendamenti  che recepivano le direttive Europee.
Altero MatteoliIl ministro dei Trasporti, ha preso una posizione netta sullo scandalo dell’evasione fiscale attraverso i maxi-yacht. Contro i controlli “aggressivi” della Guardia di Finanza. “La Guardia di Finanza svolge il suo lavoro, ma se lo fa con un minimo di buonsenso è meglio perché in alcuni casi questo non c’è stato”. Un attacco in piena regola che diventa sospetto quando si scopre cheanche i figli di Matteoli sono finiti nel mirino delle fiamme gialle. Poca cosa comunque a confronto dei guai del padre che invece è ancora sotto processo per favoreggiamento. Matteoli infatti è accusato di aver avvertito , quando era ministro dell’Ambiente, un indagato dell’esistenza di un’inchiesta su uno scandalo edilizio a base di mazzette dell’Isola d’Elba. Un dibattimento attualmente sospeso in attesa delle decisioni della Corte Costituzionale dopo che il ministro era stato salvato da un voto del parlamento. I problemi di Matteoli comunque non si chiudono qui. Durante le indagini sugli appalti della Cricca ha ammesso con i giornalisti di aver nominato provveditore alle Opere Pubbliche della Toscana un funzionario senza i titoli necessari, solo perché era stato così richiesto dal coordinatore del Pdl Denis Verdini. Mentre il comune di Orbetello, dove è stato sindaco nel 2006, è finito nel mirino dei giudici  di Napoli che, tra bancarotte e imprenditori di destra legati alla camorra, hanno arrestato amici e conoscenti, movimentando parecchio la laguna dell’Argentario.
Michela Vittoria Brambilla
La rossa di Calolziocorte ama la libertà, negli spostamenti come nelle scelte di governo. Per questo da ministro del Turismo non si è fatta mancare 
i voli con gli elicotteri di Stato – ad esempio per andare ad incontrare il proprio comitato elettorale – e ha raggiunto il considerevole record negativo di 157mila euro di spese viaggi contro un budget di 27mila (anno 2009). E con la stessa libertà ha gestito le assunzioni nel suo dicastero. Almeno una decina di fedelissimi che la seguono in tutte le sue iniziative hanno trovato un lavoro nel ministero.Da Giorgio Medail, che la portò in televisione negli anni novanta, a Luca Moschini, passato direttamente dai circoli della libertà alla realizzazione dei siti ministeriali (e personali) della Brambilla. Più un intero staff di giornalisti e segretarie catapultato dai Promotori e dalla Tv della Libertà al “rilancio dell’immagine” turistica dell’Italia. Per non dire della gestione dell’Aci, nel cui Cda infila il compagno Eros Maggioni, il figlio del ministro La Russa, Geronimo (vicepresidente), e Massimiliano Ermolli. Quest’ultimo, figlio del più noto Bruno, fedelissimo del premier, da commissario dell’Automobile club è colui che gestisce il rinnovo del consiglio di amministrazione. Alle elezioni si presentano due liste. Il commissario Ermolli ne esclude una. Ammessa solo l’altra, in cui guardacaso lo stesso Ermolli è candidato.
Renato Brunetta
Il ministro che doveva rivoluzionare la pubblica amministrazione si è fatto notare, ad oggi, più per le sue (presunte) frequentazioni che per i famigerati tornelli da mettere nei tribunali. Alla fine di settembre il nome del ministro della Funzione pubblica entra (mai indagato) 
nelle inchieste sul parco delle 5 terre che mettono nei guai il responsabile Franco Bonanini e il sindaco di Riomaggiore, Gianluca Pasini. Di lui e del suo rustico nelle 5 terre gli indagati parlano spesso nelle conversazioni intercettate. Passano due mesi e il nome di Brunetta balza di nuovo agli onori della cronaca, tirato in ballo da Perla Genovesi, ex assistente parlamentare, finita in carcere per spaccio. Genovesi racconta di avere presentato al ministro la sua amica, la escort Nadia Macrì.Macrì a sua volta conferma e racconta di rapporti sessuali con il ministro, per 300 euro a incontro più alcuni gioielli. In cambio la ragazza, separata dal compagno e in difficoltà con l’affidamento del figlio, avrebbe ottenuto l’intercessione con l’avvocato Taormina. Brunetta smentisce gli incontri sessuali, ma conferma di avere conosciuto la ragazza grazie all’interessamento della Genovesi e di averla segnalata a Taormina.