Pentma vuol dire pietra, ma questo blog è solo un sassolino, come ce ne sono tanti. Forse solo un po' più striato.
giovedì, dicembre 24, 2009
La cinecagata di Natale
Cercare di dare valore cinefilo a boiate come il cinepanettone è francamente un po' troppo. Ormai è solo così che l'inesistente cinema italiano fa cassetta, ma voler trovare giustificazioni sociologiche in un prodotto fatto per uno spettatore con un quoziente intellettivo pari a una zucchina poteva farlo solo Marco Giusti. Capisco che se ti chiedono 100 righe sul nulla tu le fai, ma l'unico che riesce davvero ad essere tranchant a sinistra è Stefano Disegni.. Non bisogna necessariamente amare Moretti (che io infatti non amo) per aborrire le noiosissime stronzate di Neri Parenti e di altri della sorta. Peccato che nessuno sia più in grado di scrivere una sceneggiatura senza questo florilegio di volgarità che alla fine risultano semplicemente noiose. Non significa essere moralisti, ma io vorrei vedere questi sceneggiatori scrivere qualcosa di valore. Che resti, e si riveda anni dopo. Se un giovane d'oggi rivede un film di Totò ride. Se riguarda un cinepanettone di 20 anni fa, vomita. Basta raccontarci balle. Queste sceneggiature fanno schifo e punto. Con buona pace di Marco Giusti e Walter Veltroni.
Marco Giusti per il Manifesto
Lo sapevamo. Anche il 26° film di Natale della coppia De Laurentiis-De Sica, "Natale a Beverly Hills", diretto con mano felice da Neri Parenti, è un trionfo di volgarità, doppi sensi pecorecci, calci nelle palle, vecchie ridicolizzate per i loro appetiti sessuali, peti e gettate di cacca in faccia (a Ghini...).
Meglio! Dopo le inutili ospitate da Bruno Vespa, la mancanza dei consueti sceneggiatori, Brizzi e Martani, la pesante cacciata dal set della superfiga Belen Rodriguez (oscurava la Hunziker?), temevamo il peggio. Cioè la normalizzazione, la commedia perbenista, le sitcom modello Mediaset.
Invece già dalle prime sequenze, dopo i notevoli titoli di testa che scorrono su Los Angeles, arrivano Michelle Hunzinker che si confronta con i piselli di un gruppo di spogliarellisti per il suo addio al celibato, poi Gianmarco Tognazzi con parrucchino pesantissimo (alla conferenza stampa gli hanno scritto sul suo cartellino Paolo Tognazzi!) che viene apostrofato da Alessandro Gassman come "il solito figaless", cioè senza figa, poi come "pistolino d'oro, perché se lo stava sempre a lucidà", quindi Christian, scatenatissimo, che porta in giro una vecchia americana ricca e si permette battute del tipo "Quando gli stringo le zinne le esce il latte in polvere".
I nomi dei personaggi parlano da soli. Tognazzi si chiama Rocco Passera, Massimo Ghini, che fa l'uomo di Sabrina Ferilli, Aliprando Impepoli della Fregna, pronunciato con la g dura, freg-na, che permette una serie di volgarità a Christian. "Come freg-na de pecora?". I rami cadetti della famiglia si chiamano della Mona, de la Fesse, della Fava.
Rispetto agli ultimi cinepanettoni si segnala mezzora in meno di durata (è un bene), la quasi scomparsa dell'idea del Natale, un minor sviluppo del lato pochadistico, che Brizzi e Martani sapevano dosare alla perfezione, la fortunata scomparsa dei comici milanesi targati Mediaset, cioè Fabio De Luigi e Claudio Bisio, con il conseguente arrivo della coppia Tognazzi-Gassman, a ben otto anni di distanza dal cult veltroniano "Teste di cocco" (poi ti chiedi perché abbiamo perso le elezioni...).
Christian, che riesce a farci ridere per tutto il film, ha dalla sua partner perfetti e affiatati come Ghini e la Ferilli, che a un certo punto viene apostrofata come "burina di Fiano", e si muove con grande eleganza anche nelle situazioni più pesanti.
La storia lo vede come padre naturale del figlio della Ferilli, l'ormai cresciuto Emanuele Propizio, "Sei sicuro che è mio figlio, ci ha una faccia da cazzo?" e' la battuta chiave. Si scopre cosi' che l'aveva lasciata quando lei era incinta di ben sette mesi. "Ma ero un ragazzo!", cerca di difendersi. "A 35 anni?", risponde lei. Mollato dalla vecchia americana, che gli ha preferito Rosario Rubicondi, già amante di Ivana Trump, finge di essere il fratello della Ferilli per non rivelarsi come vero padre al figlio.
Sfruttatore alla Sordi, vanesio ("ci ho una macchia sulla Prada!"), Christian si farà mantenere in albergo a Beverly Hills da Ghini, ricco oltre che blasonato, ma sarà risolutivo per l'iscrizione del ragazzo a un college californiano con la vecchia direttrice arrapata. "Eppure gli avevo fatto vedere il blasone!", si domanda stupito Ghini, lanciando un fitto dialogo con Christian di doppi sensi che culminano sul discorso della retta del college. "Sì", fa Christian, "prima l'ho retta poi me la so ingroppata".
Il secondo episodio, meno felice, vede Gassman, che ha un ristorante a Venice Beach, che si prepara a sposare la Hunziker. Ma il vecchio amico di scuola Tognazzi, chirurgo estetico, si innamora anche lui della ragazza e decide di tramare per farli ingelosire e impedire le nozze.
Il problema principale è la storia, che non permette grandi sviluppi, e la recitazione da spot Telecom della Hunziker. Gassman, che fa un cialtrone coatto più alla Angelo Infanti che alla Vittorio Gassman, ha il coraggio di buttar via quello che aveva riguadagnato in rispetto critico con "Caos calmo" come fratello di Nanni Moretti, mentre Tognazzi si finge milanese (ma perché?) con baffi e zazzera come Giancarlo Dettori nelle commedie sexy con Gloria Guida.
Alla fine, grazie al trio Christian-Ghini-Ferilli, e ai miracoli di Neri Parenti nel dosare il tutto, il film scorre bene e si ride parecchio. Completano il cast Paolo Conticini come padre di Michela Quattrociocche, new entry mocciana, e una rediviva Jo Champa, che arrivò a Hollywood ai tempi della scalata di Parretti alla Metro e lì rimase sposandosi un miliardario non giovanissimo. Certo, ci fosse stata Belén, il pubblico maschile avrebbe apprezzato di più.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento