di Francesco Bei
ROMA - Alla fine Silvio Berlusconi, a mente fredda, se ne è convinto. Quel "fuorionda" di Gianfranco Fini si è risolto in un "clamoroso autogol" per il presidente della Camera. Il quale, "vittima di se stesso, si è cacciato da solo in un angolo". L'umore del premier nei confronti di Fini resta quello, la rabbia fredda verso un alleato che ormai considera "un traditore" non sbollirà. Tanto che ha confidato di non volerlo più vedere di persona e, quando si è discusso di una possibile richiesta di dimissioni di Fini, Berlusconi ha obiettato: "Se fosse possibile sfiduciarlo, proporrei io stesso la mozione. Ma non gli forniremo l'alibi perché passi per una vittima".
Nessuna colomba quindi è oggi ammessa a palazzo Grazioli: "D'ora in poi voglio tutte aquile", ha scherzato il premier. Ne ha fatto le spese Sandro Bondi, redarguito ieri dal Cavaliere per non aver contrastato a sufficienza la telefonata di Gianfranco Fini a Ballarò.
Insomma, la strategia è quella di "isolare" il presidente della Camera, usare il Pdl per farlo apparire sempre più in minoranza. E semmai sfidarlo sulle cose concrete. "Voglio vedere come si comporterà su Nicola Cosentino", ha detto il Cavaliere pensando al voto alla Camera sul sottosegretario, "e anche sul processo breve non voglio scherzi". Una legge, quella sul processo breve, che Berlusconi pretende sia approvata "entro febbraio".
Il sospetto del Cavaliere è che Fini stia facendo da "suggeritore" dietro le quinte con il capo dello Stato, inducendolo a non firmare il provvedimento. In quel caso il premier avrebbe già pronte le contromisure: "Farò rivotare immediatamente la legge", mettendo così il Quirinale con le spalle al muro.
Insomma, ora la pressione si è spostata sul Colle. Tanto che Denis Verdini, coordinatore del Pdl tra i meno loquaci, ieri si è preso la briga di ricordare che "il centrodestra finora non ha mai espresso il presidente della Repubblica. Pur avendo rispetto per le Istituzioni, sappiamo che sono fatte da uomini, non da marziani".
L'ipotesi di uno scontro istituzionale all'orizzonte tra il premier e il capo dello Stato - che possa concludersi magari con una delegittimazione di Napolitano a seguito di una nuova votazione sul processo breve - inizia a preoccupare anche lo stato maggiore del partito democratico. E non è un caso se ieri il Pd abbia manifestato disponibilità sulle riforme costituzionali, svincolandole dalle leggi ad personam, per provare a creare un argine a tutela del presidente della Repubblica.
Il momento insomma è grave e anche Fini ne è consapevole. Sa che l'equilibrio con Berlusconi è arrivato davvero a un punto di rottura e difatti ieri ha impartito ai suoi l'ordine di abbassare i toni. "Io non cambio opinione e continuerò a dire quello che penso - ha ripetuto il presidente della Camera in privato - ma non sarò certo io a mettere a rischio il governo. E poi perché se la prendono con me e non con Bossi? Dice che "controlla" Berlusconi e nessuno obietta niente".
Un messaggio che Fini ha ripetuto ieri mattina a Gianni Letta, in un breve incontro avvenuto a Montecitorio. Poi il presidente della Camera ha interrotto le comunicazioni ed è andato a festeggiare i due anni della figlia Maria Carolina.
Ma il mondo degli ex An è sempre più in subbuglio. E non si tratta più del solo Maurizio Gasparri, che anche è tornato a mettere sotto accusa il suo vecchio leader. Ormai anche i meno ostili a Fini, come Altero Matteoli, hanno alzato le braccia di fronte all'ultimo scontro con il Cavaliere.
Ieri al Senato una cinquantina di deputati e senatori ex An (per la maggior parte area La Russa-Gasparri, ma c'erano molti di Forza Italia) si è riunita per discutere come rispondere all'offensiva di Fini. E si è deciso che a fine gennaio verrà organizzata una convention ad Arezzo di tutte le fondazioni del Pdl - comprese quelle forziste - in funzione anti "Farefuturo", per dimostrare che il think tank finiano non è l'unica centrale culturale del centrodestra.
Nel frattempo sulle elezioni regionali è tutto fermo. Sembra che, da ultimo, sia tornato in ballo il Piemonte, perché Berlusconi ritiene ancora possibile un accordo con l'Udc in cambio del sacrificio della candidatura di Roberto Cota. Il tutto nella speranza di un atteggiamento più morbido di Casini sulla giustizia. Intanto il leader dell'Udc, osservatore interessato dello scontro Berlusconi-Fini, ieri pomeriggio ragionava a voce alta sugli ultimi sviluppi: "Se Fini tiene duro si dimostrerà che la vera tigre di carta è Berlusconi. Il primo a non volere le elezioni è il Cavaliere, perché stavolta teme di perderle".
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